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Autore: _Destiny1    03/10/2012    15 recensioni
Tutte le volte in cui sono con lui penso che potremmo fermarci su una panchina a parlare di tutto, di noi, del tempo che passa, che potremmo sdraiarci su un prato e sonnecchiare un po', mano nella mano, che potremmo prendere la macchina e fare i turisti per caso chissà dove.
E lo facciamo, ogni volta in cui siamo insieme facciamo un sacco di cose.
Puntualmente, però, quando mi ritrovo lontana da lui, mi chiedo perché non ci siamo semplicemente chiusi in camera a far l'amore fino a morirne. O quasi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dipendenza.


 Fenomeno per cui il benessere psicofisico di una persona dipende dall'assunzione di una sostanza chimica o da un comportamento autolesionista.
La dipendenza può diventare un vizio, una necessità e poi un obbligo. questo  è quello che accadde a ALLIE.
La sua dipendenza era diventata un obbligo. non poteva smettere, non voleva smettere.  Lei dipendeva dall’autolesionismo.
Che cosa era per lei l’autolesionismo?
Un dolore fisico che sostituiva quello dell’anima.  Era l’unico modo per cui lei potesse stare bene, anche se per poco tempo.  Nessuno avrebbe mai  pensato che soffrisse di una dipendenza così grave.
 ALLIE  stava sempre in disparte,  camminava a testa bassa, evitava gli sguardi, si sedeva nelle ultime file, parlava poco, cercava di non farsi notare. Difficile però non notare una ragazza così.
Lei era bella, una bellezza particolare, che ti strega e che non passa inosservata. Aveva lunghi capelli biondi che le arrivavano quasi fino al bacino, li teneva sempre sciolti, un po’ scompigliati. La cose che più ti colpiva di lei erano i suoi occhi. 
Erano di un colore così bello, così raro.  Non erano semplicemente blu, sembrava quasi che  fossero due angoli di cielo, erano freddi come il ghiaccio. 
Li circondava sempre con molto trucco, anche le sue labbra erano perfette, messe in evidenza dal rossetto che era solita ad usare. Allie era un contro senso. Voleva passare inosservata ma non ci riusciva, troppo bella per non essere notata.
Lei non aveva dei genitori, no, loro l’avevano abbandonata appena era nata. Era stata  costretta a vivere in un orfanotrofio dove la vita, si sa, non è mai facile.  Odiava quel posto grigio, cupo.  Là non aveva mai conosciuto la felicita, solo dolore mentale e fisico.  Veniva sempre maltrattata, da tutti.  Iniziò ad accumulare odio, che ad ogni botta, ogni insulto cresceva sempre di più.
A undici anni scoprì un metodo per liberarsi, per sentirsi leggera.  L’AUTOLESIONISMO.  Cercava la tranquillità, la serenità nelle ferite che si procurava. 
Quando ebbe quindici anni scappò dall’orfanotrofio, prese i soldi che si era procurata lavorando di nascosto e se ne andò, abbandonando il posto in cui lei era cresciuta, il posto in cui una parte di lei era morta. Da una piccola cittadina della gran Bretagna  arrivò nella grande e affascinante Londra con la speranza di iniziare una nuova vita in cui il dolore e l’autolesionismo non facessero parte. Purtroppo non fu così, ormai soffriva di dipendenza, non poteva fare a meno di tagliarsi, era più forte di lei, il dolore era più forte di lei.  
Trovò un lavoro in un  bar come cameriera, riuscì a pagarsi un appartamento  e la scuola.
Allie ora ha 17 anni, frequenta la scuola, lavora, soffre.
 
La ragazza dai lunghi capelli biondi varcò il cancello della scuola e con passo lento si avviò verso il suo armadietto.  
Non appena lo raggiunse  lo aprì e afferrò il libro e il quaderno di musica, amava quella materia, amava la musica.
Era l’unica cosa che, oltre all’autolesionismo, le donava  una sensazione di libertà.  Chiuse l’armadietto e si diresse verso l’aula, attraversando i corridoi stracolmi di studenti.  Camminava mantenendo lo sguardo sulle sue convers  nere, non badava a chi le si presentasse davanti, camminava concentrandosi solo sui suoi passi. Allie si sentii toccare una spalla e stupita ma anche spaventata alzò lo sguardo, di fianco a lei c’era  Ron il capitano della squadra di basket. “che vuoi Ron!” ringhiò la bionda. “ehi Lie calmati, volevo solo parlare. Sai come facevamo ai vecchi tempi” Allie scrollò la testa e si liberò dalla presa  del capitano. “Dai Lie, che ti prende”   insistette lui riafferrando la bionda  e costringendola a guardargli gli occhi.  “non chiamarmi Lie.” Ringhiò lei liberandosi definitivamente dalla presa del ragazzo e avanzando a passo svelto verso la sua classe. Allie odiava Ron, avevano avuto una relazione in passato. Lei pensava che grazie a lui tutto si sarebbe risolto, la sua dipendenza intendo, invece non fu così. 
Lui la distrusse ancora di più,  lui la usò proprio come si fa con un fazzoletto di carta.  Lei lo amava, lui la usava.
Lei quando lo baciava sentiva le farfalle, lui il nulla. Lui la lasciò, lei ricadde nella sua dipendenza.
“Lie,Lie,Lie” era questa la parola che rimbombava nella sua testa mentre prendeva postazione nell’ultimo banco in fondo alla classe. Odiava così tanto quel soprannome che al solo pensiero le veniva voglia di distruggersi.  Glielo aveva affiancato Ron quel soprannome. Diceva che le si adattava perché lei era una bugia, una menzogna.  Ron non sapeva della sua dipendenza  e per questo la chiamava Lie. Lui non era mai riuscita a capire i suoi atteggiamenti, il suo carattere chiuso, non capiva perché aveva i polsi sempre coperti da maglie a maniche lunghe o quantità irragionevoli di polsini e braccialetti. Lui semplicemente non capiva, non sapeva.
 Per lui lei era una menzogna vivente, forse fu per questo che lui la tradì e poi la lasciò sola con i suoi tagli. Se solo lui avesse saputo chi era davvero Allie. Forse non le si sarebbe mai avvicinato per  una folle paura di essere “contagiato”  o forse l’avrebbe aiutata a guarire.  Allie scosse la testa  per cacciare via quei pensieri che la stavano spingendo a traforarsi la pelle con le proprie unghie.
Non poteva farlo ora, non in classe, non davanti a qualcuno. Eppure la voglia era tanta, la necessita era tanta! Non resistette più si alzò di scatto e ,chiedendo frettolosamente il permesso di andare al bagno all’insegnante, usci dall’aula e si andò a rifugiare in bagno. Estrasse prontamente la lametta che conservava nella sua borsa e la posò sul suo polso ricoperto da cicatrici.
Esercitò una piccola pressione ma prima di tracciare un taglio si guardò un attimo allo specchio. Fissò la sua immagine riflessa in quella lastra di vetro, lei non vedeva chi era, non vedeva la sua immagine. Vedeva solo il suo passato, i pugni, i calci, le sberle, gli insulti. A quel punto la rabbia fu troppa, si doveva liberare, tagliò ripetutamente il suo polso. Non riusciva a frenarsi, aveva troppa rabbia repressa. Continuava ancora, ancora e ancora. Il sangue usciva, colava lungo i suoi polsi completamente. Si sentì debole, gli occhi pesanti, le forze mancarono, sorrise debolmente e poi cadde a terra  quasi senza vita.

 


ciao 
allora eccomi con una nuova ff 
come avete notatotratta un argomento delicato e personale..
spero che vi piaccia, sarà un pò particolare e diversa :)
bhè vi supplico ditemi cosa ne pensate, ci tengo davvero tantissimo :)

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