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Autore: Banana_Mecha    04/10/2012    3 recensioni
"La signora Kim siede vicino alla vetrina, nella sua caffetteria.
La porta è stata chiusa dall'interno con una spessa catena allucchettata; eppure non è neanche il tramonto.
Dentro le luci sono accese, e diffondono un caldo bagliore arancione, ma adesso che questo locale è vuoto… Prima che scatti il coprifuoco c'è ancora chi si azzarda a venire a trovarla. Sono molte meno di prima, certo, però vengono quasi ogni giorno.
Le passano ancora le lettere. Alcune addirittura portano del cibo.
Le si avvicinano e le sussurrano: «Yesung sta bene?»
Gli occhi della signora Kim si riempiono di lacrime. Non lo so, vorrebbe rispondere, mi manca mio figlio e non so niente di lui da mesi. Però non dice niente. Annuisce, e cerca di sorridere."
Settembre 2013. E' bastata una notte, e nessuno poteva sospettare che sarebbe accaduto così. Il Nord ha attaccato il Sud e la capitale è in ginocchio. La musica viene bandita dalla legge.
Gli artisti vengono costretti a rifugiarsi e a combattere contro i traumi di una guerra crudele e la paura di essere trovati. Non saranno soli però. Presto nel sottosuolo di Seoul nascerà la ribellione.
SJ, SNSD, B1A4, B.A.P.
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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INTRODUZIONE Scusate se al momento è tutto molto trasandato. In realtà sto pubblicando su EFP per un'amica che vorrebbe commentare (lei è gentilissima, sono sicura mi aiuterà un sacco cercatevi le sue fic che sono stupende, si chiama HaruHaru19) ma se qualche anima pia si appassionerà a questa "storia" (se tale si può definire, anche se a Firenze l'è un troiaio) prometto che rivedrò tutto e la modificherò per renderla leggibile. Questo capitolo è il proseguimento del prologo. E' un flash-forward rispetto alla trama, infatti già dal prossimo capitolo inizierò a spiegare cos'è successo effettivamente a Seoul. Bene, ora pubblico anche il secondo :3 Eleonora, quanto mi fai sgobbare u.ù tsk

«Che noia… », esordisce  Soon Mi. 

La ragazza si rigira tra le mani una caramella alla menta, sovrappensiero.  La frangia incolta le copre per metà due sottili occhi da gatto. Non è bellissima; ha ancora i tratti immaturi di una liceale, ed è un po' troppo magra, ma i suoi occhi sono due calamite. Ne si avverte la presenza anche dietro i capelli scuri; inevitabilmente si cerca di capire cosa sia quella luce liquida nelle iridi nere, che sembra colare sulla ciglia corte e fitte.
Min Ji invece è ancora del tutto acerba; i capelli sono corti come quelli di un maschio e gli occhi sono due grandi pozzanghere sporche; niente a che vedere con quelli di Soon Mi. E' sempre stata affascinata da lei. Da quando la conosce le si è attaccata addosso. La segue ovunque, come una fedele discepola. Per lei farebbe tutto.
Anche adesso siede rannicchiata contro delle casse, e osserva in silenzio Soon Mi contemplare la sua caramella.
Le due hanno il turno di guardia questa sera.  
Min Ji si chiede come sia possibile che l'amica non abbia freddo. Rimane lì impassibile, nella sua tuta mimetica sporca e sformata. Scarta la caramella e se la caccia in bocca, poi lascia scivolare la carta verde a terra. Sopra c'è disegnato un piccolo stemma, quasi irriconoscibile per chi non è abituato a vederlo fin da piccolo: lo stemma del regime.
Min Ji sta congelando. Quelle divise non sono per niente adatte ad affrontare una notte di Novembre come quella. Si stringe nelle spalle, sente il metallo duro del fucile contro le scapole. 
Min Ji ha 17 anni. E' un tempo sufficiente perché una nordcoreana capisca cosa è giusto e cosa è sbagliato.
E' giusto: servire la patria, fare la brava donna di casa, non fare troppe domande, ignorare la fame.
E' sbagliato:  ficcare il naso, uscire fuori casa dopo il coprifuoco, rivolgere la parola agli ufficiali, comprare cose dall'estero, ascoltare musica straniera, sapere l'inglese, attirare l'attenzione, avere idee diverse.
Min Ji ha quasi sempre rispettato queste semplici regole; anche quando sembrava difficile la forza dell'abitudine ha preso il sopravvento. Non apre mai bocca, se non quando è necessario, e fa movimenti lenti e torpidi. 
Non ha niente di cui essere rimproverata; è quasi statica. E' robusta e ha fattezze mascoline: questa è l'unica qualità che ha per fare il soldato. Ecco ciò che la gente pensa di lei. 
Min Ji in realtà è solo un'ottima attrice. Meno apre bocca e meno la gente sospetterà che sa qualcosa.
Soon Mi tira fuori dalla tasca della divisa mimetica un accendino. Se lo rigira fra le mani in silenzio, come se con lo sguardo potesse capirne il peso, poi inizia a giocarci accendendolo e aspettando che venga spento dal vento umido che soffia sul campo. 
Le due ragazze custodiscono un segreto. Sanno di potersi ciecamente fidare l'una dell'altra e quello ne è la prova. Non tradirebbero mai la compagna..
«Non potrei vivere senza», aveva detto una volta Soon Mi.
Quell'episodio si sarebbe impresso a fuoco per sempre nella mente di Min Ji. Dopo anni che la conosceva era la prima volta che sentiva quella ragazza dal cuore di ghiaccio aprirsi così. Era l'alba; avevano trascorso la notte a parlare e a guardare le stelle nella soffitta della stalla, nella casa di campagna a Pungsan. Distese nella paglia si accarezzavano la pancia, assolutamente incuranti del fieno nei capelli e nei vestiti. A bassa voce, tanto che facevano fatica a udire le loro stesse voci, parlavano del loro segreto finchè il cielo scuro non si era tinto di un rosa pallido e allora Soon Mi aveva detto quelle parole.
Gli occhi di Min Ji diventano umidi. Al buio Soon Mi non la vedrà. E' troppo presa a fare il suo nuovo gioco. A guardia di quelle casse di armi nessuno potrebbe sospettare che un soldato stia piangendo per un ricordo così insulso.
Ma sapete quanto sia difficile essere un'adolescente in Corea del Nord?, vorrebbe chiedere con rabbia. Sapete quanti bocconi amari si deve inghiottire, quanti sogni soffocare, quante parole ci si sente in colpa di aver anche solo pensato? Sapete cosa vuol dire avere paura di essere traditi dalle proprie azioni, conoscete l'angoscia del rintanarsi in una stanza mentre i soldati mettono la tua casa a soqquadro? 
Si morde le labbra, tirando su col naso. Soon Mi alza appena gli occhi su di lei.
"Non potrei vivere senza", pensa ancora un volta Min Ji, e le sembra di vedersi scorrere davanti l'immagine di una piccola Soon Mi distesa nel fieno che tiene delicatamente tra pollice e indice un dischetto di metallo e lo inclina, in modo che la luce dell'alba, riflettendosi, crei uno splendido arcobaleno.

Ormai le stazioni della metro sono inaccessibili dalle entrate principali; sono state chiuse dopo che il servizio pubblico è stato interrotto. A Seoul però la rete idrica e quella della metropolitana sono strettamente connesse. Ci sono stanze sotterranee che venivano usate per il controllo e la manutenzione di entrambe, almeno fino a qualche mese prima. Grazie a queste è facile passare dalle fognature ai tunnel del trasporto pubblico. 
E' stata una scoperta fondamentale.
Ci si può spostare per tutta la città senza temere di essere visti dai militari nordcoreani, e nessuno sospetterebbe mai che qualcuno si stia nascondendo là sotto. 
Yesung cerca di resistere alla puzza di fogna, mentre si fa luce con una piccola torcia. Ormai conosce il sottosuolo di Seoul come le sue tasche. Ora si gira a destra, si va  un po' avanti, ed eccola, la porta di metallo bianco che cercava. La serratura è forzata; non importa, nessuno gli farà causa se per liberare la Corea del Sud dal regime ha rotto qualche maniglia.
La spinge ed entra. La sua torcia illumina per qualche istante le mappe sotterranee della città appese ai muri e strane apparecchiature di cui ignora la funzione, poi va avanti, fino all'altra porta. Tira, ed esce. Bentornato a casa, pensa con macabra ironia.

Le notti non passano mai, laggiù. Se durante il giorno ogni tanto si sente il rumore di qualche camion, che fa tremare impercettibilmente l'aria, la notte ogni suono è completamente prosciugato. Distesi nelle coperte e nei sacchi a pelo ci si immaginano le guardie con i loro stivali pesanti camminare pochi metri più in alto, sulla strada, ma non giunge alcun rumore. C'è solo il suono dei respiri. 
È in notti fredde come queste che Bani invece di dormire pensa al suo oppa. Se riesce a girarsi nel sacco a pelo senza fare troppo rumore, può vederlo qualche metro più in là che dorme sonni tormentati. Può seguire la linea dritta del suo naso, appena illuminato dalle fioche lampade a gas.
E' bello, il suo oppa. I capelli arruffati gli proiettano delle lunghe ombre sul viso, e sembra un pezzo di stoffa bianco su cui danza un macabro spettacolo di ombre cinesi.
Bani si tira lentamente a sedere, e porta le ginocchia al petto. I lunghi capelli mossi seguono con morbidezza le ritrose, quasi animati di vita propria. 
Jin Young dorme come un bambino. Sente il suo respiro, e ancora una volta si sorprende di quanto sia vero. Vorrebbe poter allungare la mano e sfiorargli una guancia per sapere che non lo sta sognando e che il suo oppa è fatto di carne e sangue come lei.
Non lo farà però. Sa che c'è una barriera invisibile fra loro due. Come se tendendo la mano finisse per incontrare una parete di vetro.
Il cimitero è forse il posto più deserto della città. Nessuno va più a piangere i suoi morti, tutti troppo presi a rimanere vivi, forse. Bani lo attraversa sempre con una strana sensazione dentro; il cielo grigio di Novembre sembra un grosso coperchio che la intrappola fra quelle file di tombe.
La lapide di Jung Jin Sung è una delle più recenti. La data recita 1989-2013, e poi una ragazza bellissima abbraccia un enorme orso di peluche nella foto. 
Bani passa da lì tutti i giorni e con dedizione cambia l'acqua dei fiori e sostituisce quelli secchi con i freschi appena comprati. Recita una preghiera per quella sconosciuta che riposa nella tomba, poi si alza e riprende le sue buste.
Si chiede continuamente chi sia la ragazza della lapide e perché Jin Young oppa ci tenga così tanto a portarle dei fiori ogni giorno. La risposta sembra così ovvia che lascia poco spazio all'immaginazione. Nelle lunghe giornate fuori le capita di ritornare a casa per farsi una doccia e dormire nel suo letto. Sua madre tenta ogni volta di convincerla a rimanere, con scarso successo.
In quei giorni Bani, mentre si prepara per ritornare al rifugio si guarda allo specchio. Guarda le sue linee dolci e gli splendidi capelli; non ha bisogno di trucco per sembrare più bella, la rovinerebbe soltanto. Inclina la testa di lato e pensa che però non è bella quanto la ragazza morta. 
Eccola, la fredda parete di vetro fra loro due. Quella che non le dà neanche il coraggio di toccarlo; lui è ancora innamorato di quella sconosciuta bellissima. Jung Jin Sung, si rivolge alla ragazza della lapide osservando le guance di porcellana del suo oppa, che gli diresti ora per farlo stare bene?
«Bani che fai? Dormi, ti prego…», sussurra qualcuno, poco distante da lei. Allora la ragazza scivola nel suo sacco a pelo, e chiude gli occhi.
Si addormenta, e sogna. E' di nuovo la liceale ingenua di tre mesi fa.

Hyukjae ultimamente ha incubi ricorrenti. Donghae gli ripete che è colpa della puzza stordente dei suoi piedi o altre cazzate simili per sminuirlo, ma per Hyukjae ormai è diventata un'ossessione. Si alza con il fiatone nel bel mezzo della notte, e scappa nel bagno a vomitare. Subito dopo può capitare che gli venga da piangere, ma non ci pensa. Si sciacqua la faccia e torna a letto, senza riuscire però ad addormentarsi. Attualmente lui e i suoi inseparabili amici Donghae, Yesung, Sungmin, Siwon, Shindong, Ryeowook, Kyuhyun, Kangin, Henry e Zhou Mi si trovano a condividere la sala d'aspetto principale della stazione della linea 21 con un'altra ventina di ragazze e ragazzi della loro età. Anche se ce ne sono di più piccoli.
Al mattino il posto si svuota quasi completamente, però. 
La sveglia suona alle 4.00, un'ora prima della fine del coprifuoco, e tutti si preparano a uscire. 
Alcuni ragazzi si infilano subito la divisa di scuola, per raggiungere i loro licei che si trovano anche dall'altra parte della città. 
Hyukjae solitamente ricontrolla che le liste siano complete e che l'organizzazione sia stata efficiente. Lo è quasi sempre.
Là sotto non c'è niente fuori posto; ognuno ha la sua mansione, e ognuno fa quel che deve senza obiezioni. 
Quando tutti escono, rimangono solo loro là sotto. Lui e i suoi amici, che ormai sono suoi fratelli.
Durante quelle interminabili giornate non importa quanto debbano fare per il rifugio, gli allenamenti e tutti gli impegni, ci sarà sempre un momento in cui rimangono da soli senza far niente e allora li prende lo sconforto. Sono solo undici. Chiunque sappia chi sono (e in Corea lo sanno TUTTI) non può fare a meno di notare che ne mancano due. 
Uno degli incubi ricorrenti di Hyukjae riguarda queste due persone, e stanotte puntualmente è venuto a tormentarlo. Si alza a sedere di scatto e si asciuga la fronte sudata. Si alza, cerca di non pestare nessuno degli addormentati e poi corre in bagno.
Da quando sono loro a occuparsene, il bagno della stazione della metropolitana ha assunto un aspetto quasi accogliente. Profuma ed è sempre pulito. Hyukjae ringrazia il cielo ogni volta di non doversi chinare in un cesso sporco e puzzolente per vomitare. Regge spasmodicamente i bordi della tazza e si svuota, con le lacrime agli occhi. L'odore non fa altro che aumentargli la nausea, lo stomaco è sottosopra e il suo corpo trema, come se fosse stato svuotato di tutte le sue energie. Alza la testa e si asciuga le lacrime; rimane qualche secondo in ginocchio prima di trovare la forza di rialzarsi e tirare l'acqua. Esce e si sciacqua la bocca sotto la cannella. Sa che non serve a niente; in gola sente ancora l'orrido sapore della sua cena parzialmente digerita e finita ora nelle fogne. 
Il riflesso nello specchio è spaventoso. Se le mie fan mi vedessero ora si preoccuperebbero, pensa. E' ancora più magro di un tempo. Adesso il cibo scarseggia e anche quel poco che mangia finisce per vomitarlo. Chiude gli occhi e respira a fondo. I polsi sono diventati sottili come grissini e gli zigomi sono ancor più pronunciati. Si ravvia i capelli arruffati, si liscia la maglietta spiegazzata e fa per tornare a letto. 
La porta del bagno si apre lentamente e lo fa trasalire. 
Yesung si chiude dentro e poi si appoggia contro la porta guardando Hyukjae negli occhi. I suoi capelli rossi sembrano fiamme, ma non sono nulla in confronto a quello sguardo. 
«Hyung…», mormora Hyukjae con un fil di voce.
«Non dire niente. Non voglio la tua compassione».
Yesung si siede a terra. Ha già l'aria un po' brilla, gli occhi lucidi e una bottiglia ancora chiusa di soju in mano. Hyukjae si chiede dove l'abbia trovata.
«Secondo te», esordisce Yesung con la sua voce calda, mentre stappa il soju e se ne scola una bella sorsata. «Li tengono in un campo di internamento o li hanno ammazzati subito?»
Hyukjae inizia a sudare freddo. Apre bocca un paio di volte, e poi la richiude. 
«Spero li abbiano uccisi», prosegue Yesung, e Hyukjae scivola a sedere sul pavimento. Non sa più da che parte guardare. E' come se in questo momento qualcosa di pesante gli opprimesse la cassa toracica e gli impedisse di respirare.
«Ho sentito cose orribili su quei posti. Roba che i lager nazisti non sono niente in confronto. Ti usano come cavia umana per esperimenti che non oserebbero condurre neppure sugli animali, oppure si divertono a torturarti. Hanno inventato più tecniche per farti urlare loro dei cinesi. Ovviamente molte le hanno fregate proprio ai cinesi. Una è quella dell'estrarti le unghie una a una e infilarti le dita nel sale…»
«BASTA!», lo interrompe Hyukjae. Inizia a singhiozzare, reggendosi la testa che sta scoppiando. Anche Yesung piange, ma continua a buttare giù il suo soju.
Hyukjae sa bene in cosa consistano i campi di internamento. Pur di non pensare che soffrono, anche lui alla fine ha iniziato a sperare contro ogni logica che Heechul e Leeteuk siano morti.
Yesung lo guarda: nel suo sguardo c'è l'amore di un genitore per il figlio. Gli allunga la bottiglia di soju. 
Hyukjae la afferra e suo malgrado se la porta alle labbra.
  
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