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Autore: lilly81    05/10/2012    16 recensioni
Brevi ed intensi racconti, capsule da mandare giù tutte d’un fiato, per narrare momenti qualunque della convivenza tra Bulma ed il principe dei saiyan. NUOVI AGGIORNAMENTI!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Convivendo in… Capsule”

“Convivendo in… Capsule

 

Episodio XIV

 

Aqua, Sodium Laureth Sulfate, Parfum, Sodium Laroyl Glutamate, Sodium Chloride, Disodium EDTA, 2-Bromo-2 Nitropropene-1,3-Diol, Phosphoric Acid, Citric Acid, Citronellol, Coumarin, Eugenol, Limogene, Linalool.

 

E le mandorle?

Le avevano raccolte dagli alberi, sgusciate una dopo l’altra e tritate insieme al cocco?

Come facevano a montare tanta schiuma bianca?

Da quando aveva piantato le proprie tende sulla Terra – si fa per dire, giacché, se non fosse stato per l’invito di un avvenente esemplare del posto, gli avrebbe fatto da tetto la chioma di un albero - Vegeta si stupiva delle cose più elementari: non del fatto che gli elicotteri e i jet potessero entrare comodamente nel taschino laterale di una borsetta, né della capacità dei terrestri di prevedere il sole o la pioggia; e neppure della ricerca scientifica e tantomeno dell’arte.

Bazzecole!

Aveva trovato più interessante, tanto per fare un esempio, la moka del caffè.

Erano occorsi almeno quattro anni di permanenza sulla Terra per accorgersi di quell’arnese che borbottava sui fornelli, ma quando aveva scoperto che proprio da lì si diffondeva, di buon mattino, quell’aroma capace di stimolargli l’appetito e dargli una carica in più, l’aveva fatta entrare nel limitato raggio della sua considerazione: poco importava che l’avesse afferrata con le mani nude, rovesciandone il contenuto bollente e imprecando bestemmie.

Alla base orbitante di Freezer non esistevano né moka né caffè.

Il semaforo: pure questo sconosciuto si era guadagnato un posto discreto nel limitato raggio sopracitato.

Incredibile come fossero tre colori a decidere l’andamento del traffico di auto.

Che stupida invenzione, verde, giallo e rosso, verde, giallo e rosso, verde giallo e rosso, eppure… logica e sensata!

Se la base orbitante di Freezer ne avesse avuto a disposizione un paio, l’andirivieni di navicelle da un pianeta all’altro sarebbe stato gestito meglio e non ci sarebbero state diatribe e scontri all’ultimo sangue su chi avesse avuto il diritto di atterrare o decollare per primo.

Sul pianeta di Freezer non esisteva neppure il bagnoschiuma, non certamente al sapore di mandorle e di cocco: ci si lavava con acqua e niente altro e la pelle manteneva sempre il sapore ferrigno del sangue.

 

Testato dermatologicamente. Ph neutro. Non ingerire. Non disperdere nell’ambiente dopo l’uso. Tenere lontano dalla portata dei bambini.

 

Ecco di cosa sapeva la pelle di Bulma la sera prima: l’aveva gustata centimetro per centimetro e non un angolo del suo corpo era rimasto inesplorato.

L’essenza di cocco e di mandorle era finito negli anfratti più umidi e nascosti ed era stato come scoprire banchetti di dolci allestiti in antri bui e stillanti di rugiada.

Da cacciatore errante, pensò che anche quella sera sarebbe potuto andare in cerca di mandorle e di cocchi su e giù per i sentieri di quel corpo.

Per quanto ne conoscesse a memoria il percorso, ogni volta rischiava sempre di smarrirsi: le strade spianate si stringevano d’improvviso costringendolo a cambiare rotta; s’inerpicava, attraverso pendii scoscesi, sopra le vette più alte, e lassù, col fiato  corto e niente affatto esausto, si tratteneva in bilico a contemplare il paesaggio sottostante. Alcune delle vallate, se solo imboccate, trasmettevano segnali di allerta di là dei confini e qualcosa di tagliente e di laccato, in agguato sotto le lenzuola, lo assaliva alla schiena.

Quel tragitto, durante il quale mai si concedeva soste, se non all’ombra della vegetazione più fitta, non avrebbe avuto fine, e ogni volta si sarebbe ritrovato spossato, nudo, ansimante, ma soddisfatto del bottino.

Posò il flacone di bagnoschiuma sul bordo della vasca e tornò a flettere la testa all’indietro, intanto che il vapore, prodotto dall’idromassaggio, si depositava sulle mattonelle rosa del bagno come la sagoma di un fantasma.

Anche questa era una bella invenzione, la vasca idromassaggio.

Soprattutto dopo una giornata di allenamenti, era il posto ideale nel quale trovare un po’ di quiete e scollare il sudore appiccicoso fermentato dalla battle suite.

Peccato che quella sera la quiete durasse un po’ meno delle altre volte, perché la testolina azzurra di Bulma fece capolino dalla porta e invase il suo territorio come una lepre impavida varca lo stesso sentiero del cacciatore.

Quella donna non aveva limiti: sarebbe entrata con la stessa disinvoltura, anche se fosse stato seduto sul water. Quante volte era già capitato con la scusa che doveva lavarsi i denti in fretta!

Questo era il risultato per averle concesso troppa confidenza: a nulla servivano i codici individuali per la chiusura degli usci automatici se a lei bastavano pochi secondi per indovinarne le combinazioni.

Ma Vegeta decise di deporre il fucile e fare finta di non averla vista.

La lepre impavida non era sbucata per caso sul sentiero fucsia del bagno, saltellando tra un calzino puzzolente ed un paio di mutande, ma l’aveva cercato di proposito, infischiandosi, con un bel muso tosto, dell’arsenale che gorgogliava sotto l’idromassaggio.

“Ta-daaaaa!”, sventolò un giornale e gli esibì la prima pagina come un trofeo. “Eletta donna dell’anno! Non ci posso ancora credere! Non è stupendo?”.

A Vegeta interessava molto poco vedere la faccia di sua moglie stampata sulla copertina di “Vanity Dragon”, accanto ad un sommario che parlava di contraccezione, moda d’autunno, e cinquanta ricette da preparare con la zucca.

“Era così necessario farmelo sapere ora?”.

“Oh, tesoro! Non stavo più nella pelle! Non potevo aspettare l’ora di cena per fartelo sapere!”.

L’ora di cena? Non gli sarebbe interessato saperlo neppure tra un ventennio!

Tuttavia, valeva la pena di starla ad ascoltare, se non altro perché si era adagiata sul bordo della vasca e, nell’accavallare le gambe, aveva messo in risalto i ricami romboidali delle calze.

Al saiyan non restò altro che spegnere l’idromassaggio, confidando che la lepre impavida scorgesse nell’acqua sbollita il fucile, le munizioni e tutto l’arsenale di cui disponeva per farla fuori in qualsiasi momento.

Chissà se le lepri potevano cucinarsi con la zucca! O magari essere imbottite di mandorle e farcite di cocco!

Umettata la punta di un indice eccitato, Bulma sfogliò il giornale e, nella piega già formatasi a metà, trovò in quattro e quattr’otto la prima pagina delle cinque a lei dedicate: la numero 27.

Intelligente, briosa, risoluta, Bulma Brief, a quarant’anni, sfoggia le forme di una splendida ventenne. Eletta donna dell’anno dai nostri milioni di lettori sparsi in tutto il mondo, per il contributo che offre all’umanità intera grazie alle sue indispensabili  invenzioni ed incredibili scoperte, l’ultima delle quali l’esistenza di un pianeta a ridosso di Mercurio…”.

“Tu non hai scoperto un bel niente”, la interruppe Vegeta. “Sono stato io a dirti che Mercurio non è il primo pianeta del vostro sistema solare”.

Non era stato facile persuaderla a riguardo, perché quel pianeta proprio non riusciva ad essere visualizzato dai telescopi terrestri e soltanto la spedizione di un robot, appositamente costruito, le aveva fatto tirare la lingua e scendere dal piedistallo marmoreo di miss scienziata alla quale non sfugge mai niente.

“E’ soltanto l’ultima scoperta!”, sdrammatizzò Bulma. “Non hanno mica detto che era la più importante che avessi fatto!”, passò una mano tra i capelli che incominciavano ad incresparsi sotto l’effetto dei vapori mandorlati.

Dunque, dove ero rimasta… sì… Intelligente, briosa, decisa, Bulma Brief, a quarant’anni, sfoggia le forme di una splendida ventenne…”.

“L’hai già letto, passa avanti!”, sbuffò l’altro il quale, nell’atto di incrociare le braccia, sollevò un’onda anomala nella vasca.

A farne le spese furono le frange del tappeto all’altro lato e le colonie di acari che alloggiavano dentro.

“Allora… ecco…”, scorse il rigo, “…Bulma Brief ha scelto di aprire, solo per i lettori di Vanity Dragon, le porte della sua casa…”.

E mentre la voce della donna diventava un’eco distorta, imprigionata dai fantasmi di vapore che andavano e venivano dalle mattonelle, a Vegeta venne in mente la troupe di giornalisti che aveva invaso la Capsule Corp. circa due settimane prima.

Nessuno di loro aveva saputo trovare una spiegazione al fatto che le macchine fotografiche fossero saltate in aria al passaggio di un uomo misterioso: tutti avevano pensato di aver esagerato un tantino troppo con gli aperitivi e gli stuzzichini quando avevano visto lo stesso uomo saltare dalla finestra e librarsi in aria.

“…La facoltosa scienziata, dopo aver mostrato i laboratori ed esibito il progetto di un nuovo kit di capsule ancora più spazioso, che sarà immesso sul mercato prima di Natale per la gioia di tutti i consumatori, si è mostrata reticente a parlare della sua vita privata, della quale si conosce soltanto l’esistenza di un figlio e di un uomo scontroso e riservato, nondimeno, si è detta assai soddisfatta e felice…”.

A sentirsi chiamare in causa, Vegeta sogghignò e un rivolo d’acqua scese lungo il collo e si raccolse nelle fosse giugulari:

Visto che sono anni che ti infischi del fatto che io sia un tipo scontroso e riservato, ti consiglio di ritagliare quell’ultimo pezzo ed incollartelo da qualche parte. Può essere che tu riesca a ricordarlo meglio”.

“Mi dispiace, ma questa è stata una mia licenza”, chiuse la rivista. “Non sei affatto menzionato nell’articolo e sai perché?”.

Vegeta sembrò più interessato alla bolla di sapone rimasta in bilico sotto la fontana: persino le paperelle di gomma sarebbero state un intrattenimento migliore, se solo Trunks avesse avuto l’età giusta per giocarci ancora.

“L’unico modo che avevo per evitare una mattanza gratuita di giornalisti in casa mia, era raccontare che del padre di mio figlio non avessi più notizie da molti anni. Non so se mi hanno creduto…”, fece soprappensiero, arrotolando il giornale, “…anche perché tu sei apparso proprio in quel momento e quando ti hanno visto spiccare il volo dalla finestra, ho dovuto far loro credere che eri uno dei miei robot”.

Quando parlava a quel modo, il saiyan non riusciva mai a capire se stesse facendo davvero sul serio.

Con lo stesso scetticismo, la vide posare il giornale sulla cesta del bucato – aveva acquistato almeno una ventina di copie ed una era stata già incorniciata e inchiodata sopra la scrivania tra gli altri titoli di studio – e mettersi ad armeggiare con un paio di forcine tra i capelli davanti allo specchio.

“Il direttore di Vanity Dragon mi ha chiamato proprio stamattina e mi ha proposto di posare per un calendario di beneficenza. Mica ti dispiace?”.

Non solo non gli dispiaceva ma non gliene importava un fico secco. Tornò ad appoggiare la testa contro il bordo della vasca e la schiuma osò avvolgergli il mento di una barba profumata e bianca.

Bulma non ricevette risposta e si voltò per accertarsi che lui avesse inteso giusto:

“Te lo chiedo perché si tratta… ehm… di un calendario di nudo”.

I fichi secchi gli rimasero in gola ed ebbe la sensazione che cinquanta centimetri di acqua sarebbero stati più che sufficienti per annegarci dentro.

“Cosa… cosa vuol dire beneficenza?”. Forse, aveva perso qualche passaggio, e intanto la barba da anacoreta appena disceso dalla vetta di una montagna gli era già caduta dal mento, ed un’altra onda anomala era stata generata a danno del tappeto e delle colonie di acari alloggiate tra le frange.

“Che il ricavato del calendario servirà a costruire un ospedale per bambini”.

E tutta la beneficenza che già faceva a cosa diavolo serviva? Montagne di lettere, calendari, bigliettini che riempivano la cassetta postale ogni mattina. I robot non facevano in tempo a portarli in casa che già si traducevano in bollettini postali. Neppure le leggeva! Avrebbe potuto finanziare anche un’associazione a delinquere e non se ne sarebbe accorta!

“Il direttore dice che si aspetta di triplicare le vendite”.

Non poteva triplicarle con le tette di qualcun’altra?

“E i bambini cosa dovrebbero farci con un tuo calendario?”,  non aveva mai avuto tanta premura verso i più piccoli come con questo pensiero.

Bulma scoppiò a ridere:

“Sciocchino! I calendari non sono mica per i bambini! La gente acquista il giornale, paga un sovrapprezzo per ricevere anche l’allegato e con il ricavato si finanzia la costruzione dell’ospedale”.

Ma questo gli era stato chiaro fin dall’inizio: dare il calendario in mano ai bambini era stata soltanto una speranza.

Nel suo cervello di alieno disadattato non riusciva proprio a prendere forma l’idea che il calendario sarebbe stato acquistato da chiunque e che tutti, compreso il lattaio di fronte, il gelataio col carretto, il fioraio all’angolo, il ragazzino brufoloso, l’autista dello scuolabus che stazionava in prossimità dei laboratori, tutti avrebbero avuto una visione chiara, mese per mese, giorno per giorno, delle tette di sua moglie.

Già si era accorto del modo in cui il postino con i baffi squadrava Bulma ogni volta che c’era una raccomandata da ritirare. Lei firmava e lui effettuava una scansione radiografica dalle gambe fino al collo.

Ma che bel regalo che adesso gli avrebbe fatto! Tanto valeva che andasse a ritirare la raccomandata a seno nudo! Chissà quante volte l’aveva già sfogliata per ricordare una tassa da pagare o un appuntamento dal dottore!

“Ovviamente sto parlando di foto artistiche. Non c’è niente di osceno e di sconcio. Se ne occuperà una troupe di professionisti”.

Si sbottonò la camicetta e con una sculettata uscì dalla minigonna.

Mica ti dispiace se ne approfitto e faccio un bagno pure io?”.

Vegeta non rispose. Restò a fissarla mentre, sfilate le calze e il reggiseno, mise prima un piede e poi l’altro nella vasca; e intanto si chiedeva se con quella stessa familiarità si sarebbe spogliata dinanzi ad una decina di… professionisti.

Altro che foto artistiche! Tra le sue tette ognuno ci avrebbe annotato quello che voleva!

Un’altra onda anomala si abbatté sulla colonia di acari e l’acqua incominciò a ribollire di nuovo, ma non era l’idromassaggio.

Come un moribondo nel deserto, Vegeta fu vittima di mostruose visioni, e mentre il numero dei calendari si moltiplicava sotto i rulli delle stampe, ripensò alla fotografia che Kakaroth aveva promesso a Kaioshin appena qualche settimana prima.

Era la giusta punizione divina per non aver voluto persuadere il vecchio con una foto di sua moglie, ed ora avrebbe affrontato di nuovo Majinbu in tutte le sue metamorfosi, sacrificio compreso, perché le migliaia e migliaia di copie finissero tra le vereconde mani di Kaioshin e fossero confinate anni luce da lì.

Mentre le mandorle e il cocco sfrigolavano intorno alle mammelle e la spugna tamponava con delicatezza estenuante il collo e le piccole spalle, Vegeta rifletté che, se pure un ingenuo come Kakaroth aveva notato la generosità di certi dettagli, allora non c’era scampo.

Il problema andava estirpato alla radice e, considerato che impedire la diffusione a mezzo stampa sarebbe stato come provare a debellare un virus, solo due erano le soluzioni da passare al vaglio: o trovare il modo di spianare il petto di sua moglie, magari sotto il rullo compressore di una stampante, ma, rinunciando a tanta abbondanza, avrebbe fatto un torto a sé stesso prima che agli altri, o il genocidio finale di tutta la razza umana, che per lui valeva molto meno.

In quest’ultimo caso, con Bulma e suo figlio avrebbe potuto trovare riparo sul pianeta di Kaioshin e lì sua moglie, per la gioia del vecchio, sarebbe potuta anche andare in giro con le tette al vento.

La soluzione più semplice, ovvero dichiararle che non era il caso di fare beneficenza senza vestiti, equivaleva a fare un picnic da solo con Kakaroth su di una tovaglia a quadretti bianchi e rossi: avrebbe preferito morire.

“Tu non lo fai per beneficenza, lo fai perché ti piace essere guardata”.

“Anche per questo”, ammise la lepre impavida senza vergogna, farcendo di mandorle e cocco pure la faccia.

Vegeta cercò di tenere a bada la contrazione della tempia, ma non ci riuscì.

“Che c’è di male? Alla mia età può essere un’esperienza in più”.

“Non mi farebbe piacere essere visto nudo da gente estranea”, aggiunse fingendo noncuranza, ma intanto la frustrazione montava nell’acqua e irrobustiva la schiuma.

“E’ soltanto una forma d’arte, niente di più. Che vuoi che sia? Non è una questione di pudore. Mi vergognerei di più se mi spiassero in questo momento dai vetri della finestra e mi scattassero una fotografia”.

Davanti a tanta disinvoltura, il principe dei saiyan sentì che sotto l’acqua calda uno dei suoi muscoli, quello più virile, si era ritirato oramai in un eloquente ermetismo e che, quando il resto del corpo avrebbe smesso di generare nervosismo sottoforma di idromassaggio, sarebbe venuto a galla un pesce morto.

 

Aqua, Sodium Laureth Sulfate, Parfum, Sodium Laroyl Glutamate, Sodium Chloride, Disodium EDTA, 2-Bromo-2 Nitropropene-1,3-Diol, Phosphoric Acid, Citric Acid, Citronellol, Coumarin, Eugenol, Limogene, Linalool.

 

Anche da lontano, riusciva a scorgere ogni lettera impressa sul flacone del bagnoschiuma.

Non riusciva a vedere altro che questo: la spuma era diventata una sostanza tossica che gli stava togliendo il respiro; nel delirio, cresceva a dismisura, arrivando a lambire anche la moquette della camera da letto attraverso la fessura della porta, e i fantasmi di vapore andavano e venivano dalle mattonelle prendendosi gioco di lui.

Si risolse ad alzarsi con una scrollata d’acqua che debellò definitivamente le colonie di acari e inzuppò pure gli altri indumenti lasciati a terra.

“Vegeta, sei sicuro di sentirti bene?”.

Che avesse trovato un pesce stecchito nell’acqua?

Il saiyan davvero osservò la vasca e vide che il livello dell’acqua era tornato ad abbassarsi svelando l’intero profilo, cosparso di schiuma, dei seni della donna.

Prenderli a morsi poteva essere la mossa giusta per costringerla a ritardare i suoi empi propositi di visibilità, ma non aveva voglia di avvicinarsi a lei e neppure di guardarla.

“Certo che sto bene. Sono a mollo da parecchio”, ringhiò e, anziché incrementare l’aura come sempre faceva quando si asciugava, tirò dal gancio il telo da bagno e se lo strofinò addosso come un comune terrestre.

“Mi sembri accaldato”.

“C’è una temperatura di 50° gradi qua dentro”, superò il guado formatosi a terra, a ridosso dei calzini puzzolenti e delle mutande, e fece scattare l’uscio automatico.

L’impatto con l’aria più fresca della stanza da letto gli fece realizzare che non c’erano più schiuma, fantasmi, lepri impavide, né sentieri boscosi di colore fucsia, solo quel profumo di cocco e di mandorle che si portava addosso e che non avrebbe voluto sentire per i prossimi anni.

Con la faccia schiacciata contro il cuscino, si domandò tutto quel malessere a cosa fosse dovuto.

Era gelosia? Ma la gelosia non era prerogativa dei terrestri?

Voltò la schiena e restò a fissare il soffitto tagliato in due dall’abatjour.

La verità era che non gli andava di condividere sua moglie con nessuno e meno che mai con quel branco di smidollati che erano i suoi amici.

Già sentiva la pacca di Kakaroth sulle spalle:

“E pensare che ti sei arrabbiato tanto quando ho proposto di dare una foto di Bulma a Kaioshin. Siccome adesso tutti conoscono le tette di tua moglie, non è che potremmo inviare una copia al vecchio come ringraziamento per averci aiutato durante lo scontro con Majinbu?”.

Vegeta sussultò come se davvero una presenza gli avesse sfiorato la spalla. Era il colmo!

Al pensiero che il calendario avrebbe arricchito la collezione di giornaletti porno del vecchio eremita delle tartarughe, o rinfrescato la memoria dell’ex fidanzato, che sicuramente, in passato, aveva sbirciato a sufficienza sotto le magliette aderenti di Bulma, il suo petto fatto di acciaio blindato rantolò, producendo lo stridio di un cardine arrugginito.

Tuttavia, la certezza che Iamcha non avesse mai trovato banchetti di dolci allestiti in antri bui e stillanti di rugiada, gli permise di trovare un istante di lucidità mentale e con questo lubrificare meglio gli ingranaggi dell’acciaio blindato.

Alla fine di tutti questi pensieri, volle illudersi che non si trattasse di gelosia, ma soltanto di amarezza e che le donne non meritavano tanto affanno.

Facesse pure la sua beneficenza! In un modo o nell’altro, gliela avrebbe fatta pagare cara!

La lepre impavida uscì dal bagno portando altro odore nauseabondo di cocco e di mandorle. Il cacciatore errante pensò che la preda fosse diventata troppo poco appetitosa per sprecare una munizione; e la ignorò girandosi su di un fianco.

“Domani chiamerò il direttore di Vanity Dragon e gli dirò che il calendario non è una buona idea. L’ospedale può essere realizzato anche con una percentuale ricavata dalla vendita del nuovo kit di capsule che sarà messo sul mercato a breve”.

Vegeta tornò ad aprire gli occhi, ma non si mosse.

“Il bagno caldo mi ha permesso di riflettere meglio”, continuò Bulma, slacciando la vestaglia. “E’ che non mi sembra giusto nei confronti di Trunks. E’ ancora un bambino e ne potrebbe restare turbato. Non credi?”.

Dunque, era soltanto per suo figlio che lo faceva? Ma se Trunks aveva smesso di interessarsi alle sue tette da almeno sette anni!

Oltraggiato e ferito, Vegeta sentiva la puzza di pesce morto proveniente dal bagno farsi più insistente.

Bulma, che lo conosceva troppo bene da indovinare il cruccio del suo volto anche soltanto seguendo le linee tortuose della schiena, scosse la testa e sorrise:

“Inoltre…”, aggiunse, infilandosi sotto le coperte, “…ho pensato che solo la persona di cui sono innamorata ha il diritto di vedere certe cose ”.

Finalmente le sentì dire una cosa sensata, ma gli oppose una tenace resistenza pure quando la morbidezza del suo petto incriminato sgusciò dal pile del pigiama e finì contro la sua schiena.

L’impronta umida di un bacio sul lobo dell’orecchio neppure servì a risvegliarlo dal rigor mortis del suo orgoglio; e così Bulma, ricordando di aver abbozzato delle e-mail urgenti da spedire alle filiali in oriente, aprì il pc portatile lasciato sul comodino e si mise a lavorare in attesa che il sonno, varcata la porta, entrasse in punta di piedi.

La normalità di quella situazione – non era raro che Bulma per addormentarsi leggiucchiasse qualcosa e il pc facesse da terzo incomodo sopra le coperte – si tradusse per Vegeta in una specie di respiro di sollievo: Kakaroth non lo avrebbe commiserato, Muten non avrebbe arricchito la sua collezione, Iamcha non si sarebbe rinfrescato la memoria e il postino con i baffi avrebbe continuato a effettuare scansioni radiografiche ogni volta che ci sarebbe stata una raccomandata da firmare.

Giorno per giorno, mese dopo mese, stagione dopo stagione, soltanto a lui sarebbe spettato il diritto – Bulma non si era avvalsa proprio di questo concetto? - di guardare sua moglie a quel modo.

La sensazione di pericolo scampato rasentò quasi quella sperimentata al ritorno dal santuario di Dende, in compagnia di Bulma e di suo figlio, qualche settimana prima.

Il letto profumava di nuovo di cocchi e di mandorle e proprio nel momento in cui il saiyan si domandava se fosse il caso di voltarsi e mettersi di nuovo alla ricerca di banchetti di dolci allestiti in antri bui e stillanti di rugiada, sentì Bulma esclamare sconvolta:

“Ma come è potuto succedere?”.

In genere, sceglieva quella gamma di interrogativo anche quando sbagliava la combinazione del sudoku o scopriva di aver perso l’inaugurazione di un nuovo centro commerciale, perciò, Vegeta continuò a crogiolarsi nel pensiero confortante del pericolo scampato.

Trasmesse le e-mail urgenti, la scienziata si era messa a navigare su acque più basse e tranquille, ignorando che le insidie si nascondono anche in un metro d’acqua.

 “Ti ricordi quando la scorsa settimana sono andata a quella conferenza nella Città dell’Est?”.

Se non altro, ricordava il broncio che Bulma aveva tenuto il giorno prima di partire, quando si era arresa all’evidenza che né lui né Trunks le avrebbero fatto compagnia.

 “In albergo mi è stata data una camera al primo piano. Mi hanno detto che le suite erano già tutte occupate. Non so come sia potuto succedere, è stata una frazione di pochi secondi, oh, è terribile… tutto questo è successo perché mi avete lasciato andare da sola!”, si mise a singhiozzare.

A quel punto, Vegeta decise di risorgere dal rigor mortis del suo orgoglio, si voltò e vide che sul monitor del pc era visualizzata la pagina di un giornale.

“Un paparazzo mi ha scattato una fotografia proprio nel momento in cui mi sono avvicinata alla finestra per chiudere le tende”.

“E allora?”, tralasciando il dettaglio che per lui un paparazzo era un incrocio sperimentale tra un papero starnazzante e un missile, una creatura abominevole che solo uno scienziato come il Dott. Gero avrebbe potuto partorire, non poteva sapere che “Gossip ball” era una delle principali testate scandalistiche e non un giornale di divulgazione scientifica; né poteva immaginare, il grande conquistatore di galassie, che un popolo innocuo come quello dei terrestri disponesse di armi alternative ed altrettanto micidiali.

Povera scimmia venuta da lontano! Si sarebbe sempre potuto consolare con i cocchi e le mandorle, giacché su certi dettagli l’esclusiva sarebbe stata sua, e continuare a banchettare solo soletto in antri bui e stillanti di rugiada, nel confortante pensiero che soltanto con gli occhi non ci si sfama sul serio, ma intanto chi gli spiegava, senza mettere a repentaglio l’incolumità della razza umana, i concetti di “pubblico dominio” e “privacy violata”?

Vedendo che l’altra incominciava a rosicchiare le unghie e a singhiozzare come se queste si ficcassero in gola, si decise a girare il monitor dalla sua parte: l’immagine mostrava sua moglie intenta a tirare le tende dietro i vetri di una finestra d’albergo, nuda come mamma l’aveva fatta e come solo lui si era illuso di vederla.

“Esclusivo: dopo la scoperta di un nuovo pianeta, a Bulma Brief, genio indiscusso della C.C., non resta altro che tirare una tenda e scoprire… stessa”.

 

FINE

 

   
 
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