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Autore: arabel993    05/10/2012    1 recensioni
Cecilia è una ragazza semplice che vive in campagna. Non ha nulla di speciale, ma la vita decide di farle una sorpresa: Irene
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo.

Camminavo da un po' ormai, ma non me n'ero ancora accorta.

Il sole stava calando.

Si era alzato il vento e le foglie rosse e gialle degli alberi allineati lungo la stradina che percorrevo cadevano sull'asfalto umido.

Ero talmente presa dai miei pensieri che non badavo nemmeno a dove mettevo i piedi e quindi le mie scarpe bianche da tennis e il risvolto dei jeans si erano completamente bagnati. Il marciapiede era, infatti, ricoperto da basse pozzanghere scure.

Ad un tratto qualcosa mi colpì alla spalla e mi svegliai dal mio stato di trans.

Ero in mezzo alla campagna. Fuori dal mio paese.

Lontana da casa.

Al tramonto.

Mi guardai attorno stupita.

Vicino a me c'era una ragazzina. Mi stava guardando incuriosita e, a dir la verità, anche un po’ preoccupata.

 << Scusami, ti ho spinta… giuro, non l’ho fatto apposta! >> la sua vocina da bambina dispiaciuta mi aveva colpita direttamente al cervello svegliandomi completamente dal mio torpore. Non mi aspettavo che mi parlasse, e tanto meno delle scuse, dato che ero io quella che camminava come un zombie senza guardare dove metteva i piedi.

Aveva dei begli occhi. Azzurri e grandi. Il loro color ghiaccio faceva risaltare la pelle chiarissima.

Mi ero fermata e la stavo osservando con attenzione. Non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse magra. Il maglione che indossava, ovviamente troppo largo, le ricadeva pesantemente sui jeans scuri e morbidi. “Tutto addosso a lei sembrerebbe così morbido” pensai.

Nel momento in cui ero risalita con lo sguardo dai suoi vestiti per osservarle i capelli diventò rossa in volto e, con un tremito nella voce, mi distrasse dai miei pensieri << Scusa ma… si sta facendo tardi >> e guardando il suo orologio dal cinturino di cuoio continuò << tra poco dovrei tornare a casa. Vuoi venire da me? Così potrai chiamare qualcuno che possa venire a prendert… >> in quel momento un brontolio da sopra le nostre teste le fece morire le parole in gola.

Un lampo squarciò il cielo plumbeo. “Ma quando cavolo era arrivate tutti questi nuvoloni???” e un altro tuono invase l’aria umida della sera. La mia nuova piccola amica (se così posso definirla) impallidì. Mi afferrò con forza la mano e si mise a correre lungo il viale che stavamo  percorrendo prima di scontrarci. In quell'istante cominciò a cadere dal cielo una fitta pioggia gelata, tipica delle serate di inizio ottobre.

Mentre correvo dietro alla ragazzina mi sorpresi a pensare con quanta forza la sua piccola mano fredda, bianca e oserei dire pure scheletrica, stringeva la mia. A dir la verità tutta la ragazzina era così. Non riuscivo a darle più di tredici, quattordici anni. Cosa che il suo corpo sembrava confermare. Era più bassa di me di almeno una decina di centimetri abbondanti, la sua figura era filiforme e la vocina tremula e timorosa.

Eppure…

Qualcosa nella piccola sconosciuta mi diceva che era più grande. Non poteva avere l’età che avevo creduto avesse appena qualche minuto fa! Non lo ritenevo possibile…

I miei pensieri però furono interrotti nuovamente e all'improvviso.

La ragazza si era fermata davanti ad una casetta alle soglie di un altro paesotto che, a prima vista, ero sicura fosse almeno a una quindicina di chilometri dal mio. Possibile che, immersa nei miei cupi pensieri, avessi camminato tanto?

La giovane dagli occhi di rugiada aveva aperto la porta e acceso la luce dell’ingresso << vuoi inzupparti ancora di più, se possibile, o vuoi entrare? >> mi aveva chiesto sorridendo e facendomi accomodare. “Che strano sorriso però!” ecco. Proprio strano; aveva qualcosa di decisamente anormale. Era per caso malizia quella che per un istante avevo intravisto nei suoi occhi???

“Naaaah Cecilia, che vai a pensare!” e avevo scosso la testa come per eliminare quei pensieri bizzarri dalla mia testolina confusa e alcune gocce di pioggia erano cadute sul tappeto d’ingresso. Ora mi stavo guardando attorno.

La casa non era molto grande. Almeno da quanto avevo visto sembrava potessero viverci comodamente due, o al massimo tre persone.

<< Oh che sbadata! – disse avvicinandosi a me, dopo esser tornata dalla cucina - Do sempre per scontato che tutti sappiano chi sono – rise – mi chiamo Irene >> e mi offrì una tazza di caffè tiepido ed un asciugamano che non le avevo chiesto ma che, immagino, avesse capito desideravo molto. Infatti ero completamente bagnata e il freddo mi era arrivato fino nelle ossa.

<< Grazie Irene >> le sorrido.

<< Scusami un attimo >> e si allontanò. Entrò in una stanzetta buia in fondo al corridoio e se la chiuse alle spalle.

Io rimasi seduta sul piccolo e usurato divano che si trovava nel soggiorno, a pochi metri dalla porta d’ingresso da cui entravano spifferi d’aria fredda.

Rabbrividii.

Guardandomi in torno notai un orologio analogico sopra ad una libreria. Segnava  le 20.03. “Non può essere così tardi!”, altrimenti i miei dovevano avermi già chiamata da un pezzo non vedendomi tornare per cena. Misi la mano in tasca alla ricerca del cellulare.

 Non c’era.

“Merda! L’ho lasciato in casa! Sono fot*utamente nei guai!”

Mentre pensavo disperatamente ad una scusa plausibile da sganciare ai miei peri il ritardo la ragazza uscì dalla stanzetta e mi si avvicinò fino ad arrivare col suo viso – “ha una pelle così chiara e liscia che si possono scorgere le vene sotto di essa” – a veti centimetri dal mio e mantenendo gli occhi puntati nei miei.

<< E’ tardi. Questa notte rimarrai qui. Non penso che vorresti tornare a casa con questo tempaccio >> aveva ragione. Sembrava quasi che stesse per scatenarsi un tornado là fuori, tanto soffiava il vento.

<< Però dovrei avvisare i miei. Si staranno preoccupando e…. >> << L’ho già fatto io, non preoccuparti >> detto ciò Irene  mi prese per mano e mi condusse lungo il corridoio che aveva percorso poco prima e su cui si affacciavano quattro porte. Aprì la prima a sinistra e vi accese la luce mentre mi spingeva dentro, con delicatezza. << Ecco, la camera degli ospiti. Spero ti vada bene dormire qua. Io starò in quella di fronte, così se ti servirà qualcosa basterà bussare – mi sorrise e mi fece una carezza sulla guancia, a cui non mi sottrassi – buna notte Cecilia >> << Grazie, buona notte anche a te >>. Ci sorridemmo per un breve secondo e poi uscì dalla mia stanza.

Mi sedetti sul letto e, temendo di ritornare nel vortice dei miei tristi pensieri mi misi ad ispezionare la camera. Scovai “La fonte magica” di N. Babbitt nel cassetto del comodino, una maglietta rosa sbiadita e consumata appesa nell'armadio davanti alla finestra che dava sul cortile e un coniglietto di peluche che odorava di borotalco nel cassetto del comò.

Finita la perlustrazione mi risedetti sul letto e presi il libro. Mi sdraiai e lessi le prime facciate. Ma presto i ricordi della giornata si fecero nuovamente presenti e smisi di leggere.

Sembrava così assurdo tutto ciò che mi era capitato nelle ultime dieci ore… Perché ero uscita così di casa? Senza borsa e cellulare? Perché avevo incontrato una ragazza starna mai vista in giro e l’avevo seguita a casa sua? Perché non le avevo chiesto come facesse a conoscermi? Perché le avevo creduto quando mi aveva detto di aver chiamato casa? Era davvero tutto a posto? Cosa… Perché… Chi…?

Poi mi addormentai.

  
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