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Autore: Gageta    05/10/2012    2 recensioni
Ted Tonks muore un giorno di fine inverno, ucciso mentre tenta di scappare dal Ministero. Il suo ultimo pensiero è per la sua amata Andromeda, che sa, non rivedrà più.
Ma andrà veramente così? E se l’amore per sua moglie e per la sua famiglia lo tenesse attaccato alla vita?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Ted Tonks, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Ghost of You

Capitolo II

A

ndromeda fissava la parete bianca di fronte a lei. Era da giorni che si chiudeva in lunghi silenzi, rifiutando la compagnia di chiunque, per rimanere da sola con i suoi pensieri.

Suo marito era morto da una settimana. Kingsley e alcuni membri dell’Ordine erano riusciti a recuperare il suo corpo. Lo avevano trovato ai piedi di un grosso albero, in una foresta a nord dell’Irlanda.

Avevano detto di aver trovato poco lontano dalla mano la sua bacchetta.

Andromeda sapeva che Ted aveva combattuto. Lui non si sarebbe mai arreso a quegli sporchi Ghermidori. Loro si che erano sporchi, suo marito no. A lei non era mai importato della purezza del suo sangue, lo aveva sempre considerato un suo pari. Almeno, quasi sempre. Inizialmente lo aveva considerato anche lei un Sanguesporco. Ma era stato molto tempo prima, sicuramente molto prima che decidesse di sposarlo.

Continuava a ricordare il suo volto, l’ultima volta che lo aveva visto. Erano ormai passati molti mesi da quando era stata costretta a lasciarlo partire per far si che il Ministero non lo portasse ad Azkaban, o peggio, lo uccidesse. L’aveva lasciata con la promessa che sarebbe tornato, a battaglia finita. E invece il destino aveva voluto diversamente. Lui era morto e non sarebbe mai più tornato.

Qualcuno salì le scale. «Mamma…». Il volto di sua figlia Ninfadora fece capolino da dietro la porta. «È pronta la cena».

Andromeda annuì, continuando a fissare la parete.

La ragazza sulla porta si morse il labbro inferiore, pensierosa, poi si guardò intorno. Dopo qualche attimo d’indecisione entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si avvicinò al letto dove sedeva la madre e si accomodò di fianco a lei.

«Mamma…» ripeté.

Una lacrima solcò il volto della donna, scivolò lungo la guancia e si fermò sul mento, pendendo pericolosamente nel vuoto.

Ninfadora esitò un attimo, poi passò un braccio intorno alle spalle della madre, poggiando il capo sulla sua spalla.

Rimasero in quella posizione per un po’, in silenzio, rimuginando sugli eventi più recenti.

Il funerale di Ted Tonks si era svolto pochi giorni prima. Andromeda era riuscita a parteciparvi a fatica: la consapevolezza che non avrebbe più rivisto suo marito le pesava sempre di più nel petto e in quasi tutti i momenti della giornata si ritrovava a pensare a lui. Chissà come aveva vissuto in quei mesi, chissà come aveva vissuto i suoi ultimi attimi di vita. Sperava che non si fosse arreso subito, che avesse combattuto con tutte le sue forze prima di arrendersi alla cruda verità. Una parte di lei sperava ancora che l’uomo sbucasse da qualche parte nella casa, che corresse verso di lei e che le dicesse che andava tutto bene, che lui era ancora vivo e che era stato tutto un brutto sogno.

Ma non era così, e Andromeda lo sapeva bene, anche se non voleva accettarlo.

Ninfadora pensava in parte alle stesse cose. Voleva molto bene a suo padre. Quando aveva ricevuto la notizia della sua morte, le era sembrato di aver perso una parte del suo cuore. Ogni tanto si guardava allo specchio, concentrandosi sul gonfiore nei pressi del ventre, e pensava che suo padre non avrebbe mai conosciuto suo nipote. Da quando aveva saputo di essere incinta, aveva cominciato a fantasticare sulla vita del suo futuro figlio. Aveva immaginato i suoi genitori giocare con il bambino, aveva visto suo padre e sua madre, nonni. Sapeva che suo padre avrebbe tanto voluto conoscere suo nipote. E invece non sarebbe andata così. Lui era morto e non avrebbe mai visto il piccolo crescere. Senza che se ne accorgesse, le lacrime avevano ripreso a rigarle il volto, come ormai succedeva troppe volte in quei giorni. Ogni volta che pensava a suo padre, le era naturale correre a rifugiarsi tra le braccia di Remus. Lui sapeva sempre come consolarla. Però in alcuni momenti come quello, si univa a sua madre e insieme lottavano contro il dolore per la perdita dell’uomo.

Andromeda passò una mano tra i capelli della figlia: quella settimana erano lunghi fino alle spalle e neri, in segno di lutto. Anche lei vestiva di nero. Non le era mai piaciuto quel colore, le ricordava troppo i Black, la sua famiglia di origine. Ma aveva voluto portare rispetto a suo marito e lo aveva accettato, almeno per un po’. Non le si addiceva e se lo ripeteva ogni volta davanti allo specchio.

Sapeva che Ted non avrebbe mai voluto vederla soffrire così, ma non poteva farci niente. Anche se tentava di non darlo troppo a vedere soffriva molto la sua mancanza.

Andromeda sospirò e si alzò con fatica. «Non lasciamo che la cena raffreddi» sorrise debolmente a Ninfadora.

La ragazza annuì e si alzò anche lei. Poco prima di uscire dalla stanza, però, la fermò. «Voglio chiamare il bambino con il suo nome…» mormorò.

Andromeda la guardò stupita. «Re-Remus è d’accordo?»

«È stato lui a suggerirmelo…» ribatté, Ninfadora.

Andromeda sorrise e prese per mano la figlia. «A me va benissimo. Tu sai quanto amavo tuo padre».

«Anche lui ti amava, mamma». Sospirò nuovamente, poi condusse la madre fuori dalla stanza.

***

Una figura incappucciata comparve all’ingresso del cimitero. Stringendosi nel mantello, come a voler allontanare da se stessa il freddo invernale, la donna entrò, lasciando profonde impronte nel terreno imbiancato.

Aveva nevicato quella notte. La spessa coltre bianca ricopriva il selciato, rendendolo a tratti scivoloso, e il profilo delle lapidi, dando al luogo un aspetto lugubre.

Andromeda rabbrividì e si strinse ancora di più nel mantello. Per fortuna aveva scelto di tornare in quel luogo di giorno: se fosse venuta al buio, molto probabilmente si sarebbe spaventata molto di più. Non sapeva perché, ma sin da bambina aveva avuto paura dei cimiteri. Di certo l’opinione comune non l’aiutava. Tutte quelle storie sui fantasmi… si ricordava ancora la prima volta che ne aveva visto uno. Era stato il primo giorno di scuola, a Hogwarts, mentre tornava dalla lezione di trasfigurazione. Neanche il fantasma aveva evitato di spaventarla. Il Barone Sanguinario l’aveva trapassata da parte a parte, dandole un senso di gelo improvviso. Le catene e le macchie di sangue argenteo che lo ricoprivano avevano contribuito a spaventarla ancora di più.

Scosse la testa, cercando di allontanare quei ricordi dalla propria mente. Ora era cresciuta, non avrebbe dovuto avere ancora paura di cose del genere.

Sospirò. Dopotutto, i fantasmi non infestavano i cimiteri.

Si avviò lungo la stradina lastricata, stando attenta a non scivolare, verso un punto preciso del cimitero. Nonostante ci fosse stata solo un paio di volte, conosceva il percorso a memoria, come se lo percorresse da una vita. Oltrepassò le file di tombe, finché non individuò quella che la interessava.

Girò, addentrandosi tra le tombe. Il terreno, lì, non era mai stato calpestato e la neve era molto più alta. Affondò i piedi nella neve, stringendo i denti quando il freddo le investì i piedi.

Cominciò ad avvicinarsi alla tomba di suo marito, ma a pochi passi da essa si fermò. Cercò frettolosamente la bacchetta magica nella veste e la estrasse. Con semplici e veloci movimenti fece comparire davanti a lei un mazzetto di fiori colorati. A quel punto si avvicinò alla lapide e si chinò, poggiando i fiori sulla tomba.

I suoi occhi non poterono fare a meno di leggere l’iscrizione:

 

Ted Tonks, nato il 16 giugno 1951, morto il 15 marzo 1998

 

Wear your memory like a stain

Here to stay with me forever

 

Le lacrime ricominciarono a scendere, lente e inesorabili, rigandole il volto. Non sarebbe stata più la stessa cosa senza suo marito, ne era certa.

In quel momento un brivido la percorse da capo a piedi. Pensò che fosse dovuto al freddo, così non vi badò più di tanto. Qualche secondo dopo, però, si accorse che sì, il freddo c’era, ma era solo sulla sua spalla. Alzò un braccio, incurante, e si toccò lì dove avvertiva l’aria così pungente. Prima di toccarsi la spalla, però, un gelo improvviso le trapassò la mano da parte a parte, sorpassando lo strato di pelle del guanto.

«Andromeda…»

La donna in questione sobbalzò e si girò di colpo. Riconosceva la voce, l’avrebbe riconosciuta tra milioni.

Ciò che vide le mozzò il fiato. Non poteva essere, semplicemente non poteva essere vero.

Indietreggiò, inciampando nella tomba. Si ritrovò a terra, la schiena appoggiata alla lapida gelata a fissare…

«Andromeda, sono io…» parlò il fantasma.

La donna scosse velocemente il capo, inorridita.

Il fantasma sembrò rattristato da quel movimento, ma non si perse d’animo. Fluttuò nell’aria, avvicinandosi alla sua ex moglie.

«Andromeda, ti prego, devi credermi».

La donna si schiacciò contro il duro marmo. Si strofinò gli occhi con malagrazia: era solo un sogno, niente di più. Stava facendo un incubo. Presto si sarebbe svegliata, e di quello che stava succedendo ne sarebbe rimasto solo un ricordo sfuocato.

«Mi dispiace, mi dispiace infinitamente. Non ho mantenuto la mia promessa, sono morto». Il fantasma si chinò. Ormai era all’altezza della donna, che lo guardava con gli occhi sbarrati.

Andromeda si prese la testa tra le mani e cominciò a piangere. Perché non si svegliava?

«Non piangere… sono tornato per te» continuò il fantasma. «Andromeda, guardami».

La donna scosse nuovamente la testa, tappandosi le orecchie con forza. Non voleva sentire, non voleva ascoltare la sua voce. Faceva troppo male.

Il fantasma di Ted Tonks allungò un braccio verso la donna e poggiò la mano sulla sua palla, là dov’era stata poco prima.

Rimasero così per un po’.

Lentamente, Andromeda riuscì a calmarsi. Quando riaprì gli occhi, sperò con tutto il cuore che fosse stata solo la sua immaginazione, ma lui era ancora lì.

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tirò su col naso, fissando il fantasma con improvvisa curiosità.

Ted sorrise incoraggiante a sua moglie e allontanò la mano da lei.

«Tutto a posto?» domandò titubante.

Andromeda non rispose subito. Si prese un po’ di tempo. Alla fine rispose con una domanda. «Perché lo hai fatto?»

Il fantasma sembrò rattristarsi un attimo. Poi, come se non volesse che la donna tornasse a piangere, si riscosse e continuò a sorridere. «Perché avevo una promessa da mantenere…»

Andromeda si morse il labbro inferiore, pensierosa. «Io… no-non avresti dovuto…» si strinse su se stessa, portando le ginocchia al petto. Per un attimo le sembrò di essere tornata ragazza, quando nella stessa posizione in cui si trovavano in quel momento, lui l’aveva consolata dopo una brutta giornata.

«Ti amo. Amo te e la mia famiglia. Voglio conoscere mio nipote. L’elenco delle cose che dovevo fare prima di morire è pressoché infinito…». Allargò il sorriso e guardò la moglie nei suoi occhi neri e profondi.

«Ted…». Andromeda scosse ancora la testa. Poi inarcò il collo e appoggio la cute contro la fredda lastra di marmo. Respirò piano, inalando più aria possibile.

«Sono tornato per stare con te. Non voglio morire, voglio rimanere accanto alla mia famiglia. Avevo ancora una vita davanti. Per me è stata una tortura, una scelta molto difficile, però ho deciso di rimanere. Ti prego, perdonami».

«Perdonarti di cosa?» Andromeda tornò a guardarlo, questa volta però le labbra erano aperte in un sorriso, un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso.

Allungò una mano verso quella del fantasma. Il calore incontrò il freddo, la vita incontrò la morte. Quello che Andromeda avvertì nel suo cuore però non era né morte né freddo, solo un forte calore al cuore, il calore dell’amore.

 

Angolo autrice:

Le frasi sulla tomba di Ted Tonks sono due versi della canzone di Selena Gomez, Ghost of You (da cui poi la storia prende nome). La traduzione in italiano è questa:

“Porto addosso il tuo ricordo come fosse una macchia

È qui per restare insieme a me per sempre”

Non mi piaceva in italiano, così l’ho lasciata in inglese.

Secondo e penultimo capitolo. Lo messo oggi perché domani non ci sarò.

Allora? Che cosa ne pensate? Mi dareste un piccolo (ma proprio piccolo piccolo) parere?

Mi piacerebbe veramente sapere leggere qualche vostro commentino prima di ricevere il parere del giudice. Che ne dite? *incrocia le dita speranzosa*

A dopodomani,

Gageta98

 

P.S. a quanto pare non sembra interessarvi, però io sono anche qui: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl

   
 
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