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Autore: Seyenne    17/04/2007    2 recensioni
Sapete come si fa a mostrare a qualcuno un proprio ricordo? La maniera più semplice è quella di descriverglielo, fin qui nulla di anomalo, no? Beh, ora io però mi domando: quando io mostro un mio ricordo a qualcuno quella persona riesce a comprenderlo del tutto? Riesce a sentire gli odori e a distinguere le varie sfumature di colore e i chiaro scuro delle ombre che io ho provato in quei momenti? Riesce a vedere la scena? Io provo a raccontarvi i miei ricordi, voi provate a vederli.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Claire de Lune:

 

Il pavimento è in legno, in assi di legno a voler essere precisi. La trama tuttavia non è uniforme, è come se l’albero fosse ancora vivo sotto ai miei piedi infatti posso riconoscere con precisione tutte le venature e i vecchi nodi dell’ormai fu pianta.

I muri che mi imprigionano sono cerulei, celesti come il cielo o il mare quando il sole è alto e non c’è traccia di vento o nuvole, la sensazione che infondono è tranquillità e soprattutto danno la strana illusione di impalpabilità come se non marcassero un vero confine, come a voler richiamare alla mente col loro tono la vastità del mare e del cielo.

Su un fianco della stanza c’è una porta a vetri, è spalancata. Suoni, luce e odori si fanno spazio dentro la camera attraverso di essa. Il sole all'esterno sfolgora e tutto quello che è baciato dai suoi raggi diviene chiaro e brilla, l’aria è calda e porta con se l’aroma dei boccioli primaverili misto a erba tagliata.

All’interno della stanza note di pianoforte, mani spedite alternano il bianco e il nero dei tasti in un’antica danza. Mio fratello suona per me “Claire de Lune”, Debussy. Le note della sinfonia sembrano prendere vita sotto i miei occhi, se mi concentro posso quasi vedere il suono tanto mio fratello ci sta mettendo impegno.

La tenda blu e gialla si gonfia di una folata più forte, pare quasi la vela maestra di chissà quale veliero, e posso sentire distintamente il profumo delle primule sul balcone. Ispiro a pieni polmoni e mi lascio ricadere all’indietro sul letto sul quale sono seduta.

Il soffitto è bianco, bianco brillante per via del sole, perfettamente nel mezzo un lampadario domina la scena, è blu anch’esso. Sorridendo appunto mentalmente che mio fratello ha una fissazione per questo colore.

La mobilia chiara concorre a rendere sereno l’ambiente, l’unica cosa che stona in questa stanza è il pianoforte che è nero come la pece e sembra essere del tutto fuori luogo nell’insieme. Sposto lo sguardo sul suo occupante, è talmente concentrato che sembra essersi scordato della mia presenza.

Le mani viaggiano veloci e precise, la camicia chiara ha le maniche arrotolate fino ai gomiti e posso distinguere il tatuaggio che anni fa ha fatto tanto urlare mamma.

I muscoli delle spalle guizzano lesti seguendo i movimenti delle braccia, gli occhi sono chiusi e le sopracciglia aggrottate.

Di nuovo se mi sforzo mi sembra quasi di poter osservare quello che in realtà non è possibile. Concentrandomi posso sul serio vedere la musica, la vedo nell’espressione del suo viso, concentrato ogni secondo sulla nota, sul movimento, successivo sempre anticipando i tempi. La sinfonia è fluida, mai un’esitazione, mai un errore. Sorrido al pensiero di quante volte le sue mani hanno tracciato quella sequenza sui tasti dello strumento.

La scrivania non ha un centimetro libero: penne, quaderni, libri, scatole, cd, cartacce, il computer e un sacco di altre cose, che da qui non riesco a distinguere, la ingombrano. Lo sguardo cade distratto sulla custodia del mio cd di Madonna. Secondo appunto mentale della giornata, ovviamente riportarlo nella stanza della proprietaria, la mia quindi.

Sospirando giro il capo sull’altro lato della stanza e i miei occhi incontrano il comodino a fianco del letto. Una lampada occupa quasi tutto lo spazio, altri libri e poi il cellulare di mio fratello, forse potrei…. Alzo lo sguardo su di lui e increspo le labbra soddisfatta notando che è così come lo avevo lasciato, occhi chiusi, concentrato, non mi presta alcuna attenzione.

Senza fare rumore mi tendo e allungo una mano verso l’apparecchio. Le mie dita sfiorano il telefono e i miei occhi corrono veloci sulle spalle del musicista, afferro lesta l’oggetto della mia curiosità ma non faccio in tempo ad aprire lo sportello che la stanza, un secondo prima ospitante Debussy, è di colpo invasa da un suono grave e spaventoso.

Mi giro intimorita verso di lui ma me lo ritrovo a due passi che sorride sardonico. Spalancando la bocca indispettita e con ancora il telefono stretto nel pugno della mano spicco un salto verso la porta in un maldestro tentativo di fuga, o almeno ci provo perché sono presto atterrata con molta poca delicatezza. Schioccando la lingua esasperato mi afferra il polso in un chiaro invito a riconsegnare ciò che gli ho sottratto. Per tutta risposta gli regalo una linguaccia e lui, dopo aver alzato le sopracciglia ironico, comincia a torturarmi col solletico.

Le mie risa invadono la stanza e presto vi si aggiungono le preghiere e suppliche di resa, la mancanza d’aria è sempre stata qualcosa che mi fa capitolare velocemente…. Stavolta è la sua risata a diffondersi tra il blu della stanza.

Riappropriatosi di ciò che è proprio torna al suo trono e ricomincia a muovere veloci le mani sui tasti: bianco, bianco, nero, bianco, nero, nero e poi bianco e ancora nero e così finché non si sarà stancato.

Ripiombando sul letto sorrido felice e riempio di nuovo i polmoni di primule e erba mentre la luce mi porta ora sul mare ora nel cielo e Debussy passando per le orecchie è sentito dal cuore.

  
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