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Autore: TooLateForU    06/10/2012    14 recensioni
Per arrivare a Churchill Square, ogni mattina, costeggiavo High Street. E ogni mattina, all’incrocio tra Starbucks e Dunking Coffee, c’era un barbone accucciato su alcuni plaid sporchi e consunti. Le uniche cose visibili tra tutti quegli stracci erano un paio di occhi verdi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7.57
Cazzo, cazzo, cazzo. Mi sistemai velocemente la borsa sulla spalla destra, digitai con la mano sinistra un messaggio a Susie e abbassai la maniglia del portone con un gomito, prima di essere investita dall’aria fredda della città.
Ebbi giusto il tempo di alzare gli occhi verso il cielo e notare con piacere che non stava piovendo, quando mi ricordai che ero in un merdoso ritardo e ripresi a correre.
Lanciai l’iPhone alla rinfusa nella borsa, prima di afferrare il blackberry che squillava impazzito.
Cammina cammina cammina, destra, dritto, di nuovo destra..
“Pronto?” risposi affannata, mentre davo involontariamente una spallata ad un passante.
“Ehi! Guarda dove cammina!”
“Elizabeth, sono le otto e il caffè scremato al vetro di Isabelle non è ancora sulla sua scrivania, perché?”
La voce nasale e infastidita di Trudy era proprio quello che ci mancava questa mattina. Me la immaginai a rigirarsi nervosamente una matita tra le dita mentre fissava con quegli occhi da pesce che si ritrovava il grande orologio in metallo sopra la sua scrivania.
“Sì sì lo so, passo subito da Dunking Coffee.”
“Ancora non l’hai preso?!”
“Sto correndo!”
“E allora vola!”
Stavo per mandarla gentilmente a fanculo quando (per fortuna) un tututututu familiare invase le mie orecchie. Mormorai un ‘merda’ a mezza bocca, gettando anche il blackberry nella borsa ed entrando di corsa nel bar. Superai non molto carinamente una famiglia di spagnoli spaesati, ma c’erano ancora almeno tre persone davanti a me.
Sbuffai, quando il blackberry riprese a squillare.
“Pronto?” risposi, esasperata.
“White, hai ritirato il cappotto di pelliccia di Isabelle dalla lavanderia?” Robert, lo stronzo occhialuto del terzo ufficio, parlò freddo.
Cazzo, il cappotto!
 Sono fottuta.
“Certo che l’ho fatto.” mentii con tranquillità, quando mi accorsi che era il mio turno al bancone.
“Dica.”
“Un caffè scremato al vetro da portare via, grazie”
“White? Stai facendo colazione?”
“Pronto? Rob..bzzz..non ti sen..bzzbzzzzzz..segnal..bzzzz.” attaccai in preda al panico, sotto lo sguardo interrogativo di qualcuno nella fila.
Dio solo sa perché abbia accettato di essere la segretaria del capo redattore di Marie Claire.
Ah no, lo so, per la paga.
Ma nessun assegno poteva ricomprarmi la vita che volevo.
“Due sterline.” mi informò svogliata la cameriera non più che diciottenne, masticando una gomma. Le porsi i soldi, afferrai il pacchetto e corsi fuori.
La lavanderia, la lavanderia..dov’era? Ah sì, dietro la fontana sotto l’ufficio. Ripresi a camminare velocemente, prima di tirare fuori dalla borsa lo specchietto Chanel, tanto per sapere se la mia faccia fosse quella di un dugongo con la gastrite o no.
Osservai i ricci ricadermi scompigliati sulle spalle con una smorfia, uguale per le occhiaie sotto gli occhi azzurri ridotti quasi a due fessure. E vabbè, mi sarei truccata in ascensore, tra il secondo e il terzo piano. Non c’è niente che un buon correttore non possa nascondere.
D’un tratto notai nello specchietto una figura accovacciata a terra, e mi girai indietro. Per arrivare a Churchill Square, ogni mattina, costeggiavo High Street. E ogni mattina, all’incrocio tra Starbucks e Dunking Coffee, c’era un barbone accucciato su alcuni plaid sporchi e consunti. Le uniche cose visibili tra tutti quegli stracci erano un paio di occhi verdi.
E oggi era di nuovo lì, curvo su se stesso, l’aria infreddolita. Forse però stava dormendo. Non doveva essere di molto più grande di me, sui venticinque anni, ma sembrava provenire da un mondo diverso con quei jeans cascanti e rattoppati, e quei plaid..Uno straccio era scivolato, lasciando intravedere parte del viso ricoperto da polvere e dei capelli arruffatissimi.
D’un tratto spalancò gli occhi, ed incrociò il mio sguardo. Senza neanche volerlo arrossii.
Dovevo dargli dei soldi? Magari mi era rimasto un penny da qualche parte..
No, oggi era troppo tardi. Magari domani.
Gli voltai le spalle, e ripresi a camminare.
 
 
7.30 martedì
Camminavo tranquilla per le strade di Londra, consapevole di essere in perfetto orario. Quella mattina sembrava tutto più bello: il cielo azzurro sopra di me, il mio trench beige di Burberry, questo caffè con panna di Starbucks, il commesso di Ralph Lauren che mi aveva fatto l’occhiolino..
Aaah, mi sentivo calma e piena di gioia interiore. Gioia che sparirà appena metterò piede in ufficio e Trudy mi assalirà, ma d’altronde il lavoro è solo quello che fai mentre vuoi fare altro.
Costeggiai High Street con calma, fermandomi ad osservare ogni singola vetrina patinata. Se qualcuno anni fa fosse venuto a bussare nella mia piccola casa di periferia dove vivevamo io, mia madre e quattro fratelli per dirmi che un giorno avrei potuto permettermi tutto questo mi sarei messa a ridere.
Stavo per girare l’angolo quando rividi il solito ragazzo barbone. Oggi era proprio sveglio, lo vidi sfregarsi le mani ricoperte da dei guanti sfilacciati e senza dita per riscaldarsi, mentre si stringeva tra le spalle.
Mi guardai riflessa in una vetrina e mi vergognai terribilmente dei miei vestiti griffati e della mia aria snob, sbattuta in faccia a chi aveva così poco.
Poverino, stava morendo di freddo..e forse anche di fame, a giudicare dal viso smunto. Non che potessi vedere molto di lui, comunque..
Guardai il caffè bollente che avevo tra le mani, e sospirai. Poi mi avvicinai piano a lui e posai il caffè vicino ad una sua gamba.
Questo alzò lo sguardo, trapassandomi con due occhi verdi inspiegabilmente limpidi sul viso sporco. Sembrava stanco, stanchissimo, e più grande di quanto dovesse effettivamente essere. Il viso era scavato, i capelli ricci e arruffati, ma era..era interessante.
Non disse niente, si limitò ad afferrare il caffè e a trangugiarlo famelicamente, versandoselo anche un po’ sul mento.
Era buffo, e mi venne da ridere, ma mi trattenni.
“Grazie cenerentola.” disse infine, senza neanche guardarmi, con voce bassa e roca, come se avesse mal di gola. Aggrottai le sopracciglia, non capendo perché mi avesse chiamata così, ma mi allontanai senza una parola.
Strani tipi, i senzatetto.
 
Rabbrividii, stringendomi di più nel cappotto. Faceva un freddo cane quella mattina, ed io avevo anche dimenticato i guanti a casa, dannazione.
Sentii il blackberry vibrare, segno che era arrivato un messaggio.
‘Hai portato Maki a fare la toeletta? trudy.’
Maki, l’esaurito ed isterico cane di Isabelle, faceva la toeletta almeno una volta a settimana alle sei e trenta della mattina. Niente domande, vi prego.
Digitai velocemente un sì in risposta, continuando a camminare. Controllai di avere ancora in borsa quel muffin con glassa e velocizzai il passo, impaziente di incontrarlo.
Da due settimane circa avevo preso a portare la colazione al barbone di High Street, e il pomeriggio quando uscivo dal lavoro tutti gli avanzi del pranzo delle mie colleghe, troppo spaventate dalle calorie per mangiare davvero.
Non ci dicevamo niente. Io gli davo le cose, e lui mi salutava sempre con lo stesso ‘grazie cenerentola’. Non sapevo neanche il suo nome, non sapevo niente.
Lo avvistai, mentre si calava il capello di lana più giù sulla testa, e mi avvicinai velocemente.
“Ciao.” cominciai. Dovevo sempre farmi sentire, altrimenti lui era capace di non accorgersi di me. Era come se vivesse in un mondo tutto suo.
Alzò gli occhi su di me, a mo’ di saluto, ed io gli porsi il muffin. Lo guardo come se fosse la cosa più preziosa di questa terra, e me lo tolse bruscamente dalle mani per metterselo in bocca voracemente. Restai a fissarlo, prima di prendermi una mano nell’altra nel vano tentativo di riscaldare.
Stranamente, lui lo notò. Masticando mi rivolse uno sguardo perplesso.
“Non hai i guanti?” domandò, d’un tratto, ed io sobbalzai. Non ero abituata a sentire la sua voce.
“Ehm, no, li ho dimenticati a casa..” mi giustificai.
Il barbone non disse niente, continuò a mangiare. Quando finì ed io stavo per andarmene, però, mi trattenne per una mano.
Sentii quasi una scossa elettrica, al suo tocco. Aveva delle mani lunghe, ed affusolate e..belle.
Si sfilò uno dei due guanti, quello meno bucherellato, e me lo porse in silenzio.
“Oh, no..no davvero, ti serve.” mi opposi. Lui non disse niente, continuò a porgermelo.
“Senti, sei molto gentile, ma non posso accettare, tu stai morendo di freddo e poi..”
Niente. Continuava a porgermi il guanto. Alla fine lo presi, con un sospiro, e me lo infilai.
“Contento?”
Accennò un sorriso (dico davvero, un sorriso!), prima che mi girassi per andarmene.
“Grazie cenerentola.”
Mi fermai. E mi rigirai “Ma perché mi chiami cenerentola?” domandai, curiosa. Il barbone scosse la testa “Te lo spiego un altro giorno.”
Poi chiuse gli occhi, per riprendere a dormire.
 
 
Corri. Infila la giacca. Prendi i cellulari. Corri. Esci di casa. Corri. Passa dal bar. Corri. Rispondi ai telefoni. Corri. Prendi la sua colazione. Corri.
‘dove diavolo sei Elizabeth?! Isabelle è fuori di sé!’
‘White, se non ti presenti entro dieci minuti sei licenziata.’
‘m-u-o-v-i-t-i!’
‘hai portato le nipoti a scuola, vero?’
Rallentai il passo, e ripresi fiato. Una seria di voci si accavallavano nella mia mente, sentivo le orecchie fischiare e la milza bruciare, la testa mi pulsava.
Non ce l’avrei fatta, quel giorno. Semplicemente non ce l’avrei fatta, e non ci avrei neanche provato, pensai, avvicinandomi al solito angolo.
Afferrai i due cellulari, e li gettai entrambi nel cestino lì accanto, mentre sentivo un sorriso aprirsi spontaneo sul mio volto.
Andate. Le voci se ne erano andate.
Vidi il barbone, e mi avvicinai a lui. Poi mi sedetti vicino a lui, su quello sporchissimo marciapiede, imbrattando con chissà quali schifezze il mio vestito Prada.
Mi sfilai i tacchi, rimanendo scalza per terra. E non me ne importava niente.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non disse niente e mi limitai a porgergli il pezzo di torta che avevo comprato.
“Penso che mi licenzierò.” affermai, ad alta voce. “Voglio mandare tutto a puttane.”
“Mi sento come se a vivere questo ultimo anno fosse stata un’altra e non io, capisci? Mi sembra che mi sia passato tutto davanti alla velocità della luce, senza che potessi controllarlo, e a fine giornata mi trovo sola nel mio appartamento con la cena surgelata, a ventiquattro anni. Sai da quant’è che non faccio del sesso decente? Tanto, ti assicuro.”
Stette in silenzio, lo sguardo fisso davanti a qualcosa di imprecisato davanti a sé.
Silenzio.
“La prima volta che ti ho vista mi sei sembrata una ragazzina spaurita con addosso i vestiti della madre, che le stavano troppo grandi. Un pulcino smarrito rivestito di perle e diamanti. Non cammini come le ragazze che sono nate e cresciute qui, le snob che cagano soldi, cammini come le ragazze di periferia. Anche con vestiti addosso che costano come l’affitto di una casa. Sei come cenerentola, una lavapiatti che porta le scarpette di cristallo.” disse il barbone, con molta tranquillità.
Non seppi se sentirmi offesa (mi aveva dato della pezzente), o onorata per averlo fatto parlare così tanto.
Mi sentivo più offesa, a dir il vero.
“Odio il tuo profumo costoso, le tue scarpe di vernice, i tuoi vestiti firmati. Non ti servono, per niente.” continuò, tirando su con il naso “Invece mi piacciono i tuoi capelli, odorano di shampoo alla pesca, e sono sempre in disordine. Sei bella anche con le occhiaie, non serve che le copri con quelle porcherie. E le tue labbra rosse e screpolate sono sexy, fossi in te getterei al cesso tutti quei rossetti brillanti. Per me sei bella da lavapiatti, non ti servono le carrozze e lo scarpe di cristallo.”
Non mi trattenni, e mi lasciai andare ad una risata liberatoria, e potei giurare che anche lui stava ridendo, piano.
Girai il viso verso il suo, e alzai il cappello di lana che si era calato quasi su tutta la faccia. Con una mano scacciai un po’ di polvere e sporco che aveva sulle guance, mi sporsi, e lo baciai.
E mi sembrò di baciare un principe, un vero principe azzurro al ciglio della strada, senzatetto, e sporco di polvere.
 
 
 
 
 
non so che dire. one shot che mi è venuta in mente mentre ascoltavo homeless, di ed sheeran.
tanto amore per quell’uomo.
a me è piaciuto tanto scriverla, spero che non sia venuta fuori una cagata assurda, ahah
besos

 
   
 
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