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Autore: Kiyara    06/10/2012    1 recensioni
La mattinata di una studentessa di Milano (me stessa medesima) con una punta di ironia e comicità.
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, gente! :) Ecco alcune piccole note che sarebbe opportuno voi leggeste prima di passare alla storia:
- I membri dei Metallica cui mi riferisco: Lars Ulrich e Cliff Burton
- Larsa, larsare: la mia amica e sua cugina che storpiano il nome di Lars e inventano un verbo per prenderlo in giro (amichevolmente, ovvio)
- ATM, azienda trasporti milano, vale a dire autobus e metrò (quello che uso io)


UNA MATTINA QUALUNQUE

Sono partita da Inganni come ogni mattina con quella ritardataria dell’Ali che in realtà era in ritardo solo per caso. Cambiamo metro a Pagano, lei vede Marco, il suo amico del cuore, e rimane con lui dove sale un sacco di gente; io proseguo verso il fondo dove, in teoria, non c’è mai nessuno e trovo la Giulia, magra e vestita di nero, che tanto per cambiare ascolta la musica ed è china su un libro che legge con molto interesse. La distraggo richiamando la sua attenzione su di me, ci scambiamo i soliti saluti.
< L’hai visto Dorian? > le chiedo.
< No, guarda > risponde ironica.
Infatti lui è lì, a pochi metri da noi. Bellissimo, bianco in volto, con quelle mani sottili e affusolate che sono la gioia di Giulia e i capelli stupendi legati (eresia!). E’ più di un anno che lo osserviamo facendoci filmini mentali, provando a indovinare il suo nome (Alessandro? Davide? Per me c’ha la faccia da Dorian) e fantasticando sul giorno in cui noi, anzi, la Giulia troverà il coraggio di avvicinarsi e – finalmente – parlargli. Ovviamente con lui c’è il suo amico, Basil, che non perde occasione di lanciare occhiatacce in nostra direzione. Che sospetti qualcosa? Sono stata io ad affibbiare al metallaro dei sogni il nome in codice Dorian, perché in quel periodo stavamo leggendo una certa opera di Oscar Wilde, e il nome del suo amico è venuto da sé.
Arriva la metro. Saliamo. Ci aspettano ancora cinque lunghe fermate (QT8 è la più lunga) prima di arrivare all’ “agognata” Lampugnano, quella della nostra scuola rosa antico, dalle pareti tonde, con i laboratori linguistici, il bar e la piscina. E le ragazze metallare che la Giulia osserva con ammirazione.
Il treno è uno di quelli nuovi, dall’aspetto ancora pulito, con l’aria condizionata. Se ci fosse un posto libero ripeteremmo la solita scenetta (< C’è un posto, vuoi sederti? > < No, io sono giovane > e mi siederei), ma non c’è. In compenso non troviamo troppa gente a opprimerci.
Chiudo gli occhi con espressione rilassata e comincio a ondeggiare la testa al ritmo del basso di Cliff. Cliff? Mi volto verso la Giulia. Ha gli auricolari e si sta sparando nelle orecchie i Metallica a tutto volume. Così si rovinerà l’udito, presto, devo fare qualcosa per fermarla.
Comincio a chiamarla, ma lei non risponde. Le tolgo un auricolare ed esclamo: < Compagna Giuli! > a due centimetri dal suo orecchio, anche se so che non è una compagna (semmai quella sono io) e che odia essere chiamata Giuli.
< Cosa vuoi, donna? > ribatte lei con voce squillante.
< Abbassa, sento Larsa larsare fino a qui, così ti distruggi i timpani! >
< Meglio > dice lei, ma tira fuori l’iPod e abbassa il volume.
Scherziamo sulla vita, sulla scuola e su di me che continuo a girarmi verso Dorian senza beccarmi le occhiate di Basil perché quelle le riserva solo alla Giulia. Lei mi parla delle ultime cose che ha scoperto su qualche gruppo metal e io di qualche importante fatto storico.
Siamo a Lotto. Dorian scende seguito da Basil, lo seguiamo con lo sguardo finché non scompare e la metro riparte. Il lungo e tortuoso tratto che porta a QT8. QT8. Ripartiamo, questa volta il tragitto è più breve. Ecco Lampugnano, con una miriade di studenti che si riversa sulla banchina. Scorgo Marco e Ali da qualche parte davanti a noi, tra la folla. La scala mobile è piena, non mi muovo per paura di urtare qualcuno con il mio zaino verde evidenziatore e mi giro verso la Giulia solo con la testa provocandomi un gran torcicollo.
Arrivati in cima, superiamo i tornelli senza dover ritimbrare tessere o biglietti, anche se più di un cartello rosso ci informa che dovremmo farlo. Forse gli impiegati dell’ATM si sono resi conto che sarebbe controproducente bloccare i tornelli alla mattina con la massa di gente che scende li per andare a scuola, tra studenti e qualche professore infilatosi tra le fila delle sue vittime. Credo sia l’unica stazione a far ritimbrare i documenti di viaggio al pomeriggio.
Usciamo e ci dirigiamo verso la nostra scuola, rosa antico, dalle pareti tonde, con i laboratori e il bar e la piscina… mi sembra di aver già pensato a queste cose. Il semaforo dura ore e quando scatta il verde facciamo appena in tempo a mettere piede in strada che subito il segnale acustico per i ciechi ci informa che dobbiamo camminare più veloci e un istante dopo, alzando lo sguardo, ci accorgiamo che si è già acceso il cerchio arancione. Eccoci nel cortile, alle otto meno dieci, ad aspettare cinque lunghi minuti prima che i bidelli aprano le porte e ci permettano finalmente di entrare. Qualcuno prova comunque a infiltrarsi nell’edificio, ma viene rimandato indietro con la sola eccezione dei professori. Io e la Giulia ci uniamo al gruppo formato dai nostri compagni di classe, io prendo parte ai loro discorsi, lei non spreca fiato. Finalmente arrivano le otto meno cinque, o preferibilmente meno quattro, e noi due entriamo mentre gli altri restano fuori a crepare di freddo (o di caldo, ma nell’altra stagione) per un non ben specificato motivo.
Non siamo le uniche, tanti altri si sono uniti a noi o ci hanno preceduti nella nostra fantasy impresa di raggiungere le aule. Superato il bar, ci inoltriamo in un grande corridoio, più illuminato dell’atrio, e qui ci dividiamo: i ragazzi del Cardano, che sono molto più fighi dei nostri, prendono le scale per le torri C e D mentre noi del Gentileschi proseguiamo per un corridoio più stretto che ci porta alle torri A e B.
Fortunatamente quest’anno siamo al piano terra. Superiamo una classe del turistico e raggiungiamo la nostra 2° El, la E linguistico, dove non c’è ancora nessuno, le luci sono spente e c’è odore di chiuso e la lavagna bianca ha ancora gli appunti del giorno prima scritti con un pennarello in fin di vita. L’unica cosa che facciamo è accendere le luci. Prendiamo posto ai nostri banchi vicini e ci godiamo il restante quarto d’ora prima delle lezioni, con la Giulia che mi mostra foto sul suo cellulare e io che le racconto la mia nuova idea per una storia. Credo proprio che passerò l’intera ora di un prof distratto a sghignazzare con quelli davanti e scrivere, scrivere, scrivere…


SPAZIO AUTRICE:
Grazie di aver letto fin qui, la mia amica ne è stata entusiasta, spero lo sarete anche voi. Per favore, lasciate una recensioncina, anche piccola piccola.
Un bacio,
Kiyara
  
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