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Autore: LiquidScience    07/10/2012    3 recensioni
[Supercar]
KITT, appena tornato da una missione, guarda con angoscia il cumolo di circuiti che Bonnie sta riparando.
Erano resti, resti di un fantasma del passato che lasciava dietro di sé caos e distruzione.
KITT e KARR, Il bene e il male, il bianco e il nero: due facce della stessa medaglia.
Ma questa volta è destinata andare diversamente...
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’aria serale scuoteva le foglie degli alberi posti a distanza regolare lungo il marciapiede che costeggiava la strada, mentre nel parcheggio quattro passanti (tra cui una donna) camminavano stretti nel loro cappotto. C’erano solamente tre auto ferme, una Dodge charger blu, una Ford Mustang gialla e una Pontiac Firebird nera, parcheggiate come le caselle nere di una scacchiera.
Chi sono io? No, non sono l’uomo con in mano la busta colma di spesa e nemmeno quello che sta fumando un sigaro davanti a una lavanderia. Io sono quella Firebird nera parcheggiata.
Sembra incredibile che una macchina possa parlare, eh? Tipico di voi umani.
Io sono la voce del supercomputer Knight Industries Two Thousand, il mio numero di serie è Alpha-Delta-227529 e sono stato programmato per preservare la vita umana.
Ma potete semplicemente chiamarmi KITT.
Lavoro, insieme al mio pilota Michael Knight, per la Fondazione per la Legge e il Governo, per fare un esempio di facile comprensione siamo dei paladini della giustizia: combattiamo il crimine e difendiamo i deboli e gli oppressi. Molti di voi non mi conosceranno, cosa alquanto probabile. Sono l’auto più tecnologicamente avanzata, non un fenomeno da baraccone.
Dalla porta di un negozio uscì un uomo alto, capelli castani e ricci e occhi azzurri, indossava un giubbotto in pelle nera, una camicia rosso vivo e un paio di jeans grigio-nero.
“KITT, vieni a prendermi” disse alzando l’orologio da polso all’altezza della bocca.
Io mi metto in moto e lo raggiungo. Ecco un’altra delle mie funzioni: l’Auto cruise, il pilota automatico.
Non appena mi fermo, apro la portiera e il mio pilota entra, prendendo i comandi.
“Bene, amico, anche questa missione è fatta” annunciò Michael come se avesse appena terminato un compito in classe.
“Hai già programmato qualcosa?” chiesi. Avevo in memoria qualcosa da fare, ma volevo prima verificare i suoi piani.
“Beh, veramente no. Pensavo di chiedere a Bonnie di uscire”
Bonnie è il mio tecnico, controlla e ricalibra minuziosamente i miei sensori dopo ogni missione.
“Michael, lo sai benissimo che declinerà. Perché voi umani insistete così tanto anche se sapete già di ottenere un rifiuto? È fatica sprecata”
“Forse per voi computer sì ma per noi umani no. Tentar non nuoce”
“Avrei qualcosa da dire a riguardo. Per esempio…”
“KITT”
“Sì, Michael?”
“Sta’ zitto”
Michael era molto simpatico e gentile, ma era anche molto, molto testardo.
Ma gli voglio molto bene anche per questo: lavorando con gli esseri umani ho capito che non sono solo i pregi, ma anche i difetti che li rendono unici e speciali.
“Come vuoi, Michael”
Seguirono dieci minuti di completo silenzio, fatta eccezione per il rumore delle ruote contro l’asfalto e qualche raro “bip” dei sensori.
Il mio pilota allungò la mano per accendere la radio.
“Ehi, come mai non funziona la radio?”
Io non risposi. Mi aveva ordinato di stare zitto.
“Puoi anche rispondere, adesso”
“Costringendomi a tirare fuori dal fossato quella jeep hai danneggiato il mio circuito Alpha, a cui è connessa la radio”
Quelli, insieme ad altri, è stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita.
Michael emise un lamento e portò per un attimo gli occhi al cielo.
“Ah, sei robusto, indistruttibile, salti oltre 40 piedi da terra e ti danneggi per quelle piccolezze?”
“Michael, io sono solo una macchina, non un carro attrezzi”
“KITT, tu sei unico” disse mutando improvvisamente da un’espressione scocciata a una sorridente.
Non capivo il motivo di tale cambiamento. Ah, gli umani!
Dopo tre minuti e mezzo, giungemmo in vista di un camion nero che correva ad andatura sostenuta, la Base Mobile. Il portellone del rimorchio si abbassò in corsa, permettendoci di entrare.
Spento il motore, Michael scese.
“Ehi, ciao Bonnie!”
“Ciao Michael”
Era talmente concentrata a lavorare su un gruzzolo di vecchi circuiti da salutare frettolosamente, seduta dietro un tavolino all’interno del camion e reggendo in mano un piccolo saldatore e un paio di pinze.
“Cosa stai facendo?” chiese Michael.
“Niente che ti riguardi” rispose freddamente Bonnie.
“Verresti fuori con me questa sera, quando hai finito?” le sussurrò.
“No, Michael. Ho del lavoro da fare, a differenza di qualcuno” disse il tecnico scocciata e agitando pericolosamente in aria un cacciavite a stella.
“Nemmeno solo per questa sera?”
“Nemmeno solo per questa sera”
Sconfitto, Michael probabilmente decise di abbandonare. Ma sono sicuro che ci proverà ancora.
“Buonanotte Bonnie, Buonanotte KITT” disse, varcando la porta che portava a un’altra sezione del rimorchio con delle brandine.
“Buonanotte Michael” dissi io.
“Buonanotte Michael” mi fece eco Bonnie.
Bonnie lavorò ai circuiti fino a mezzanotte. Confrontai l’ammasso con tutti i modelli della mia banca dati, uno ad uno, circuito dopo circuito, per capire di cosa si trattasse e anche per ingannare il tempo.
Il tecnico lottava disperatamente di tenere gli occhi aperti e per rimanere sveglia.
“Bonnie, i miei sensori rivelano una tua instabilità dovuta alla stanchezza”
“No, KITT. Ce la faccio”
“Ti consiglio di andare a dormire. Domani sarai più fresca e riposata, una mente lucida lavora meglio”
“Già, hai ragione. Buonanotte”
“Buonanotte, Bonnie”
Dopo che anche lei se ne fu andata, rimasi da solo insieme alle mie ricerche.
All’una e venti di notte, trovai una risposta. Il circuito che Bonnie stava riparando era molto sofisticato, corrispondente per il 94,3% a un solo tipo nella mia ricca banca dati:
Il mio.
  
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