Questa fanfic la dedico ad una persona che probabilmente non la leggerà. Questa persona è stata il mio Remus. Questa persona è ancora il mio Remus, anche se io ormai non sono più il suo Sirius. Questa è per te. Se la troverai e saprai ancora leggere dentro di me come un tempo facevi... Forse capirai.
Era difficile camminare. Alzarsi ogni mattina e mettere un piede davanti all'altro.
Barcollare. Arrancare. Lo sapeva bene. Sapeva esattamente quanto fosse difficile. La sua
schiena negli ultimi anni si era curvata appena, facendolo apparire un po' più basso di
quanto si ricordasse, ma non si aspettava niente di diverso.
Era difficile essere lì. Salire le scale impolverate da anni di silenzio e trascuratezza.
Assomigliavano vagamente alla sua anima. E per non guardare meglio ci metteva sopra i
piedi. Ogni tanto inciampava nel cappotto che non era mai stato molto bello nemmeno quando
era nuovo.
Era stupido aver paura di ciò che avrebbe trovato aprendo quella porta. Di chi avrebbe
trovato aprendo la porta.
Un fantasma può avere paura di qualcosa? Se lo chiedeva spesso. Era una delle domande che
continuavano a girargli in testa anche ora. Anche ora che urlava a sé stesso di fare
silenzio. Di non interrompere il rumore del proprio respiro.
Sì. Un fantasma può avere paura. Non paura della morte, del freddo, di tutto ciò che la
gente comune di solito teme.
Paura dei Ricordi.
Salito l'ultimo gradino si fermò davanti alla porta. Sollevò una mano ossuta e piena di
cicatrici e la posò sul legno tarlato. Avrebbe potuto guardare attraverso le fessure tra
un'asse e l'altra della porta, ma preferì affrontare sé stesso di getto. Non era mai stato
un tipo riflessivo o calmo. L'impulsività l'aveva sempre guidato fin da quando era
giovane. Si sorprese di non aver buttato giù la porta cigolante e traballante dai cardini:
non aveva spinto con così tanta forza, ma ormai da quella casa si aspettava di tutto.
Un pianoforte con vari tasti mancanti, magari suonava ancora. Se ci fosse stato Moony lì,
in quel momento, probabilmente l'avrebbe invitato a suonargli qualcosa, giusto per il
gusto di vederlo arrossire.
Merlino. Non aveva ancora messo piede in quella stanza e già i ricordi lo assalivano.
Era difficile stabilire cosa fosse reale e cosa no. A volte la sua mente folle gli giocava
qualche brutto scherzo facendogli vedere cose che in realtà non esistevano per nulla.
O persone che vorresti avere davanti ma che in realtà ora ti odiano. Gli suggerì
una vocina. Sogghignò mostrando alla polvere i denti sporchi e scosse il capo facendo il
primo passo all'interno.
L'orma del suo stivale si stampò sullo spesso strato di polvere.
Gli sembrò di affondare un poco di più nella propria miseria mentre il piede destro
raggiungeva il gemello. Era rimasto agile. Almeno questo se lo concedeva. Non sarebbe
riuscito a correre via, altrimenti. Era stato Padfoot a salvarlo dall'annullamento fisico
totale. Padfoot aiutava il corpo. Moony aiutava la mente.
«D'accordo. Sono qui.» Si schiarì la voce. Dodici anni di urla e di silenzio non avevano
sortito un bell'effetto sulle sue corde vocali, ma nonostante la voce fosse roca riuscì
comunque a parlare.
Continuò poco dopo, facendo un altro passo verso la mobilia rotta e accatastata agli
angoli della stanza.
«Non avrei mai pensato che ci sarei tornato da solo. Senza nemmeno uno di voi. È... Dico,
avete idea di quanto sia folle il mio essere qui? Tu diresti che io sono folle ed io ti
direi che tu sai tutto sulla follia interiore. Tu invece... Tu semplicemente saresti qui
con me se non ci fosse quel piccolo problema chiamato morte.» Non avrebbe mai
pensato che sarebbe stato così facile continuare a parlare una volta iniziato. Aveva
sempre farneticato molto, su stelle, pietre, molecole... Ma aveva sempre avuto qualcuno
ad ascoltarlo. Parlare ai mobili era troppo anche per il suo Padfoot interiore che ancora
manteneva stabile l'equilibrio tra il fantasma e la follia.
«La prima volta che abbiamo messo piede qui eravamo insieme. D'accordo, il passaggio era
stato creato per Moony, ma chi non l'avrebbe seguito? Lo so che sto calcolando solo noi
tre nel discorso. Non credo riuscirò mai più ad immaginarci in quattro ormai. Dicevo.
Eravamo insieme. Non era la prima volta per Remus, ma per me e te sì. Era tutto più
semplice muoverci in branco. Eravamo disequilibrati, eravamo stupidi, eravamo folli, ma
stavamo bene. Ci proteggevamo. Ci capivamo. Forse non ci ascoltavamo abbastanza, ma non
abbiamo mai avuto bisogno di parlare molto per capirci.»
Si sedette per terra a pochi passi dalla porta. Era quello stupido bisogno di tenersi una
via di fuga pronta il più vicino possibile che lo spingeva a non allontanarsi mai troppo
dalle porte. Le parole uscivano dalle sue labbra screpolate come un fiume in piena. Forse
il mare che non può che arrendersi alla volontà della Luna era una metafora
migliore, ma il fiume in piena rendeva le cose più travolgenti nella sua mente.
«Non posso riavvolgere dodici anni. Ci potrei provare, eh... Non che io non sia abbastanza
folle da provarci, ma non credo ci riuscirei. È troppo tempo. I ricordi svaniscono e i
pensieri abbondano. Saresti orgoglioso di me a sentirmi usare questi paroloni. Finora mi
sembra di non aver sbagliato nessun verbo, no? Mentalmente sto anche mettendo le virgole
in questo discorso. Sono diventato abbastanza bravo? Sono cresciuto abbastanza bene? Tu
non sai. Non lo immagini. Non immagini che io non c'entro nulla. Non sai che è stata colpa
mia ma non è stata colpa mia. Lui crede ancora che sia io il colpevole. E so che
sei a poche centinaia di metri di distanza da qui, ma non voglio metterti in mezzo. L'ho
visto, sai? L'ho visto sul giornale. È per questo che sono scappato ed ora tutti mi stanno
dando la caccia ed io sono bloccato qui e tu mi odi perché credi che io sia scappato per
cercare Harry e dovresti sapere che non lo farei mai. Ma non lo sai. James, l'ho visto. Ho
visto com'è cresciuto e l'ho riconosciuto subito. È uguale a te. A parte gli occhi. Sono
come quelli di Lily. Non capisco cosa ci faceva in mezzo alla strada a notte fonda, ma
avrà avuto le sue buone ragioni e non sono mai stato bravo a fare le paternali, quindi non
gliene farò anche se dovessi scoprire che era lì per uno stupido motivo come
un'intossicazione da cioccolata.»
Al pensiero gli sfuggì una risata, ma non fu allegra, né tantomeno vera. Era solo uno
sprizzo di Follia che ogni tanto saltava fuori da lui proprio nel bel mezzo di un discorso
importante con i suoi due migliori amici. Niente di serio, comunque.
«Credo di aver combinato un bel casino, sapete? Cioè... Non che io sia mai stato razionale
o cose assurde di quel genere, ma credo davvero di aver combinato un bel casino, sapete?
No, quello l'ho già detto. Forse dovevo andare subito da Silente. Forse dovrei andarci
ora. Forse sto delirando e se tu fossi qui mi diresti qualcosa tipo “Pads, ma scherzi?
Silente ti strangolerebbe con la sua lunga barba bianca.” In fondo non sarebbe la prima
volta che minaccia di farlo. Ho paura. Paura di rivederlo, Prongs. Paura di scoprire che
davvero mi ha odiato per dodici anni mentre io cercavo di tenermi stretto i ricordi di
Noi. Paura di sapere che non mi ama più. E no, non sono diventato una donnetta in amore.
Mi sto semplicemente abbandonando ai ricordi. Non posso farlo nemmeno con me? Oh, ma che
cavolo dici? Anche tu ti comportavi così quando litigavi con Lily. L'unica differenza è
che io con Remus non ci ho mai litigato.»
Interruppe il proprio blaterare solo per qualche istante. Aveva sentito un rumore dal
piano di sotto, ma dopo qualche attimo di silenzio non se ne preoccupò più di tanto. Era
stato il vento. Doveva riabituarsi agli scricchiolii della Stamberga. Era talmente vecchia
che quando l'aveva rivista poche ore prima si era meravigliato che fosse ancora in piedi.
Si grattò la barba ispida con le dita scarne e poi posò lo sguardo su un angolo buio della
stanza. Ricordava cos'era nascosto lì in fondo.
«Dici che il nostro album di fotografie-porno-non-troppo-porno è ancora lì? Che poi una
cosa che mi sono sempre chiesto è... Ma una fotografia, se tenuta male, dopo un po' smette
di muoversi? Non andrò a vedere se c'è ancora. Non voglio rivedere la tua faccia
sorridente mentre abbracci Lily. Evidentemente dodici anni sono abbastanza per covare una
vendetta atroce, sono abbastanza per non disinnamorarmi, ma non sono abbastanza per
smettere di provare dolore. Moony non potrebbe mai fare come facevamo noi, sai? Cioè, lo
so da molto tempo, ma ora lo so ancora di più. Non riuscirebbe mai a parlare a vanvera al
vuoto per ore ed ore ed ore. Io sì. Tu sì. Lui no. Forse è per questo che mi sono
innamorato di lui. Perché avevo bisogno di qualcuno che non parlasse quanto me. Ti è
andata bene solo per questo, credo.»
Di nuovo uno scricchiolio. Fu difficile mantenere il flusso di coscienza che usciva dalle
sue labbra. Sempre che di coscienza si parlasse.
«La coscienza è come un aquilone. Se perdi il filo riprenderlo è difficile. Devi riuscire
a saltare abbastanza in alto da riuscire a raggiungerlo prima che il vento se lo porti
via. Io invece sono diventata la puttana dei ricordi. Arrivano da me a notte fonda, mi
scopano per un po', mi danno quel senso di appagamento per qualche minuto e poi mi
lasciano da solo a rivestirmi al freddo. Ma quanto è patetica quest'immagine? La verità,
Prongs, è che io l'ho sempre amato. Da quando l'ho visto per la prima volta sull'espresso
per Hogwarts il primo anno. Era così piccolo... Non faceva tenerezza anche a te? Credevo
sarebbe crollato da un minuto all'altro sotto il peso del libro che stava leggendo.
Qualcosa che aveva a che fare con ventimila seghe sotto i mari, penso. E se fosse qui non
so cosa gli direi. Forse gli direi che è stata colpa mia. Che ti ho convinto io a dare a
quel piccolo, sudicio, infame, lurido, putrido escremento di ratto quell'incarico. Era
troppo scontato darlo a me. Ma tu lo sai che sarei morto piuttosto che tradirti. Pensavo
fosse così anche per lui. Magari io e Moony saremmo andati a vivere insieme in una villa
su una collina. Circondati da gatti da poter rincorrere e bastoncini da poter mordicchiare
e da calzini da poter appallottolare in coppia. Vorrei tanto poter prendere con me Harry,
sai? E' stupido a dirsi ma è così. In fondo è sempre stato un po' anche figlio mio. O
almeno io l'ho sempre immaginato come tale.»
Un raggio di Luna, quasi al culmine del suo splendore, entrò dalle fessure tra le assi che
barricavano la finestra. Si perse per un attimo ad osservare la luce argentea, poi si
riscosse scrollando le spalle ed inspirò profondamente, buttando fuori tutta l'aria
raccolta in un unico rapido soffio.
«Sai cosa mi manca? Quelle torte al cioccolato che faceva tua madre. Non ne abbiamo più
mangiate di così buone. Ricordo quell'estate in cui Remus è venuto a stare a casa tua, con
noi, ne ha mangiate così tante che credevo di vederlo scoppiare da un momento all'altro.»
Improvvisamente picchiò un pugno forte sul pavimento, sollevando una nuvola di polvere
stantia. Chinò il capo, sembrando più vecchio di quanto non fosse in realtà, mantenendo il
pugno chiuso sulle assi malconcie.
«Vorrei chiederti di prendermi a pugni, ma l'ultima volta che l'hai fatto ero più forte e
mi hai preso a cornate più che a pugni, quindi non lo farò. A volte dimentico che sei
morto e che Lily è morta e che hanno dato la colpa a me e che non vedo Moony da dodici
anni e che sono diventato vecchio nelle ossa e che non lo so. A volte mi piace ricordare
Noi. A diciassette anni. Con i nostri casini. Con i nostri scherzi stupidi. Con il tuo
pavoneggiarti di fronte alla Evans ed il mio voler vedere se Pitocchio si era cambiato le
mutande meno di una settimana prima. Tu lo sapevi di me e Remus. L'hai sempre saputo.
Nessuno dei due ti ha mai detto nulla -o almeno, io non l'ho mai fatto-, ma tu lo sapevi.
Sapevi che lo amavo. L'hai capito da come lo guardavo, da come lo proteggevo... Che non
era lo stesso modo in cui guardavo te o proteggevo te. Era lo stesso modo in cui tu
guardavi e proteggevi Lily.»
Risollevò il capo lentamente, troppo stanco per alzarlo di scatto. Sentiva un odore
familiare, come di bosco e di cane che però non era un cane ma qualcosa di più grande.
Sorrise appena. Un sorriso amaro, di quelli che ti spuntano sulle labbra quando pensi a
qualcosa che non vuoi dirti ad alta voce perché sarebbe troppo doloroso scoprire che non
c'è più.
«E sento anche cose che non ci sono. Come l'odore di Remus qui. Forse e' rimasto impresso
nel legno di questa stanza per così tanto tempo e la casa lo rilascia di tanto in
tanto.»
«O forse basterebbe che tu la smettessi di parlare, come stai facendo da un'ora a questa
parte, e ti voltassi.»
Sirius si alzò di scatto dal pavimento impolverato e si voltò per ritrovarsi davanti
Remus. Era malandato. Il suo viso era più pallido e più magro. Era più alto di lui, come
sempre, ma questa volta era più alto ancora.
Sgranò semplicemente gli occhi, senza più muoversi.
La Follia gioca brutti scherzi, ricordò a sè stesso.
Inclinò il capo lateralmente. Strano come Remus si ricordasse di ogni suo minimo tic. Quel
gesto lo faceva sempre anche quando era Padfoot. Poco prima di saltargli addosso e
sbatterlo al suolo ed iniziare a leccargli la faccia lui inclinava il capo di lato.
«Non stai per saltarmi addosso, vero?» Chiese Remus colto da quel pensiero.
Sirius non parlò ancora. Remus era riuscito a zittirlo come un tempo riusciva solo con i
baci. Vederlo lì, all'improvviso, senza sapere quanto avesse ascoltato, senza sapere
quanto a lungo fosse rimasto ad osservarlo in silenzio.
Cose da ricordare su Remus:
128. Remus sgattaiola.
Avrebbe dovuto sfogliare meglio la lista mentale.
Remus avanzò verso Sirius fino ad arrivare ad un passo di distanza da lui, poi s'arrestò,
guardandolo dritto negli occhi.
Gli occhi non cambiano. Pensò Sirius. Erano gli stessi occhi ambrati di quando era
più giovane. Racchiudevano semplicemente più dolore, più esperienze, più mancanze.
«Da quanto sei lì?» Domandò infine, abbassando lo sguardo. Non era da lui abbassare lo
sguardo. Non era da lui parlare con quella voce tremante. Non era da lui chinare il
capo.
«Abbastanza.» Rispose Remus. In preda ai ricordi si era incamminato verso il Salice
mentre passeggiava nel cortile di Hogwarts. Già a metà del cunicolo che conduceva alla
Stamberga aveva percepito la sua voce. Aveva percepito il suo Odore. Quell'odore di cane
bagnato e di polvere e nebbia. Quanto può odorare un fantasma? Voleva ucciderlo. Voleva
prenderlo e trascinarlo fuori e rinchiuderlo fino alla prossima Luna Piena e poi
torturarlo e trucidarlo e vedere il suo sangue sui propri artigli. Ma quello era il Lupo a
parlare. Poi aveva ascoltato ciò che diceva mentre si avvicinava lentamente alla stanza al
piano superiore. Aveva ascoltato ed i ricordi di Sirius erano diventati i Suoi ricordi. I
deliri di Sirius erano diventati i Suoi deliri.
Sirius si voltò dandogli le spalle. Non sopportava di essere fissato. Non fraintendiamo.
Gli piaceva essere osservato e guardato ed idolatrato, ma non fissato. E Remus lo stava
fissando.
«Smettila.» Ordinò.
«Di fare cosa?» Chiese Remus di rimando. Domanda legittima. Non tutti erano in grado di
leggere nella mente di Sirius, soprattutto di Quel Sirius.
«Di Fissarmi come se volessi baciarmi.» Lo disse con talmente tanta rabbia che quasi si
spaventò da solo. Non sapeva se fosse dovuta al fatto che sapeva che Remus non l'avrebbe
mai baciato o che invece sapeva che l'avrebbe fatto. Chi mai può aver voglia di baciare un
Fantasma?
Sentì un movimento dietro le proprie spalle ma non si girò. Era fortemente intenzionato a
mantenere i propri occhi lontani da quelli di Remus perché, da sempre, la Nebbia
nell'Ambra si scioglie.
Poi un calore sulla propria schiena. Sentì il corpo di Remus appoggiato al proprio. Non
tanto da essere un peso, semplicemente appoggiato. Sentì le sue braccia cingergli la vita,
il capo posarsi sulla sua spalla e la fronte sfiorargli il collo. Trattenne il respiro per
qualche istante. Erano anni che non veniva abbracciato. Erano anni che non sentiva il
proprio corpo così vicino a quello di un'altra persona. A quello di Remus. S'irrigidì
lievemente e mantenne le braccia ferme lungo il corpo. Quel calore non sarebbe durato. Lo
sapeva benissimo. Ne era consapevole.
«Resta Con Me.» Nulla più di un sussurro arrivò dalle labbra di Remus quando si accorse
che Sirius si sarebbe allontanato. Lo strinse a sé più forte notando quanto gli stessero
larghi i vestiti. Non gli importava dei vestiti. Non gli importava della barba lunga. Non
gli importava del mondo che, fuori di lì, cercava il Sirius che tutti credevano essere un
assassino.
Semplicemente rimase lì, senza muoversi, fino a quando Sirius sollevò le braccia e posò le
sue mani su quelle di Remus. Chinò appena il capo all'indietro appoggiandolo a sua volta
sulla spalla del licantropo e chiuse gli occhi, espirando una lunga boccata d'aria che non
si era accorto di aver trattenuto.
C'è una vecchia casa, circondata da un recinto di pali e fil di ferro ormai mezzo caduto.
Questa vecchia casa è stregata. È piena di erbacce e polvere. Alle finestre ci sono delle
assi per bloccarne l'entrata e la porta è sprangata.
C'è questa vecchia casa che contiene tanti ricordi e tanti Segreti.
In questa vecchia casa due persone si stanno ritrovando.
In questa vecchia casa due Fantasmi stanno tornando in vita.
In questa vecchia casa un Lupo ed un Cane non smetteranno mai di essere ciò che sono nati
per essere: Uniti.
***Fine***
E alla fine vanno i ringraziamenti, giusto?
Allora iniziamo:
Un Grazie a Fiorediloto, Ery e Veronica per avermi fatto da beta
(Anche se l'unica vera beta e' stata Fiore, ma questo alle altre due non lo diciamo
XD)
Ops...
Un grazie a voi che avete letto e che (spero per voi XD) avete commentato.
Non ringraziero' quella vecchiaccia della Rowling per avermi ucciso Sirius (u___u° me
offesa), pero' i personaggi sono suoi, quindi almeno questo lo devo dire.
E infine un grazie al mio cervello che una volta tanto ha deciso di
collaborare.
Grazie cervello mio!
.Eledh.