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Autore: Marti Lestrange    08/10/2012    3 recensioni
Prima shot su Hunger Games. Si tratta di una Finnick/Annie, non particolarmente lunga. Spero vi piaccia.
LA SHOT PARTECIPA ALLA CHALLENGE "UN PROMPT AL MESE".
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Even the sea feels lonely at times*
 


A Cat, perchè questo è il suo OTP,  e perchè le voglio bene;
e a tutte voi, che avete amato Finnick dal primo momento.






La prima volta in cui mi hai baciata era il solstizio d’estate: tu stavi in riva al mare, chino sulla battigia, i tuoi pantaloni leggeri arrotolati sopra le caviglie e la schiena nuda illuminata dal sole al tramonto. Raccoglievi conchiglie per farne bracciali, quelle piccole conchiglie bianche e lisce che si trovavano soltanto in quel posto, accanto alla piccola Cala Rosa, dove durante il giorno ti guardavo sempre nuotare. Amavo stare ad osservarti, i tuoi muscoli tesi, i tuoi capelli biondi umidi e arruffati, il tuo sorriso solare e d’incanto, la tua risata leggera. 
A volte ripenso a noi due da piccoli, ai giorni trascorsi a scuola tra giochi e musi lunghi, quando litigavamo e poi ci cercavamo, perché tu non potevi vivere senza la tua amica Annie. Correvamo in bicicletta, con il vento di settembre che, caldo e sottile, ci scompigliava i capelli e ci faceva volare. Ricordo ancora il giorno dell’Aurora Boreale, il ventuno dicembre, quando il cielo invernale si tinge di verde e le stelle brillano più vicine. Ogni anno, il ventuno dicembre tu bussavi alla mia porta durante la notte, piantavamo la tendina sulle dune sopra la spiaggia e stavamo ad aspettare l’alba, stretti nei nostri maglioni sformati, le tue braccia intorno alle mie spalle, a cingere “la tua piccola Annie”. Sei sempre stato una presenza imperitura per me, Finnick. Ci sei sempre stato, e non riesco nemmeno ad immaginare un futuro senza di te. 
Ti ho raggiunto sulla spiaggia, le orme dei miei piedi sulla sabbia già umida, il mare che, con il suo quieto sciabordio, era come una ninna nanna per bambini sonnolenti, un richiamo troppo forte per chi, come te, era nato da quelle acque. Ricordo di averti pensato per tutto il giorno, in attesa di vederti. Sovente immaginavo le tue mani forti, il tuo sorriso quando combinavo qualcosa di buffo, la mia risata che “è quella di una bimba”, le tue dita ad accarezzare la mia guancia arrossata dal sole, le nostre nuotate di prima mattina e i pranzi sulla spiaggia.
Tu ti sei girato a guardarmi e il tuo volto serio e concentrato si è aperto in un sorriso abbagliante e talmente bello e vivo che penso di essermi innamorata di te proprio allora. O forse lo sono sempre stata, Finnick. E’ questa la verità. 
“Che cosa fai?”, ti ho chiesto.
“Scelgo le conchiglie più belle, per te”, mi hai risposto, con quella tua semplicità così disarmante che ogni volta che dici cose così belle in un modo così straordinariamente normale il mio cuore fa una capriola, si ferma per un secondo e poi riprende a battere furiosamente.
Io non ho detto niente, ma mi sono seduta sulla spiaggia, le braccia a cingermi le ginocchia, e ti osservavo, attenta, gli occhi e il cuore pieni di te, strabordanti gioia e amore e felicità. Non c’è niente che io ami di più che stare a guardarti, ed ogni volta è come se non ti avessi mai guardato veramente. Scopro sempre cose nuove di te, come quel neo dietro l’orecchio sinistro, o quella piccola cicatrice proprio sotto il ginocchio, o le pagliuzze dorate che ogni tanto compaiono nei tuoi incredibili occhi verde acqua, specialmente quando sei felice. 
“A volte anche il mare si sente solo, sai?”, ho sussurrato, non so nemmeno a chi, se a te, a me stessa o a quella natura bellissima e perfetta.
Tu mi hai guardata e poi ti sei seduto accanto a me, in silenzio. I tuoi silenzi sanno di molte cose. E vorrebbero dirne altrettante. Però ti limiti a sorridere, come se in verità conoscessi tutte le risposte.
“A volte dici cose come queste”, hai detto. “Le dici con una tale semplicità e sei così disarmante… E’ anche per questo motivo che ti amo, lo sai?”.
Ed eccola di nuovo, quella semplicità con cui a volte le tue labbra pronunciano parole talmente straordinarie che nemmeno ti accorgi dell’effetto che mi fai. Io ti ho guardato, e tu mi hai semplicemente sorriso, con quel misto di maliziosità e ironia che ti contraddistingue. Hai guardato le mie mani e ne hai stretta una nella tua, carezzando le mie dita una ad una, piano, quasi come se la mia pelle fosse troppo delicata per essere anche solo sfiorata. 
“Ho trovato questa…”, hai detto, girandoti e frugando nella piccola borsa dove hai messo le conchiglie raccolte.
Nel palmo della tua mano stava una piccola perla rosa, lucente e perfettamente liscia. Perfetta. 
“Ma è la Perla Rosa…”, ho sussurrato io.
I tuoi occhi mi hanno invitata a prenderla, a toccare con mano un piccolo tesoro che, da quasi cento anni, nessuno aveva mai più visto, lì in quella spiaggia. Le vecchie storie parlavano della Perla Rosa come di un potente amuleto, un segno del destino, un oggetto intriso di magia. Nessuno conosceva la sua origine. Si sapeva solo che la cala doveva il suo nome alla Perla, e forse la Perla doveva il suo nome a quella caratteristica colorazione dell’alba che sorgeva su quella spiaggia nascosta.
“Si dice che se trovi la Perla Rosa e decidi di restituirla alle acque del mare, il suo potere ti proteggerà”, ho detto io titubante e ancora ammaliata. 
“E se la ritrovi, vuol dire che sarai destinata ad amarmi per sempre, Annie Cresta”, hai risposto tu, lasciandomi completamente disarmata.
Io mi sono alzata e mi sono avvicinata al mare. Le calde acque estive mi solleticavano i piedi nudi e un piccolo granchio aveva deciso di scappare via, per andarsi a nascondere sotto uno scoglio. Tu mi hai seguita e ti se fermato accanto a me. Un tuo sguardo mi ha dato il coraggio necessario per lasciare che la Perla tornasse al mare. 
Ti ho preso per mano, le nostre dita intrecciate, strette e salde, baluardo contro il mondo. Poi ti ho guardato e niente ha avuto più importanza. Mi hai baciata con delicatezza, come se le mie labbra non potessero sopportare troppa invadenza. Le tue erano calde, e morbide, e sapevano di buono. Il tuo buon profumo mi ha invaso l’anima, e avrei dato volentieri tutta la mia vita per te, per quel momento, per quel bacio. Il cuore mi scoppiava di felicità, e di un sentimento troppo forte e potente per essere raccontato. Ci siamo baciati a lungo, mai sazi l’uno dell’altra, in quell’istante senza fine che è stata quella sera, o quel minuto, o quella vita. Forse ho passato tutta la sera sulle tue labbra, stretta al tuo corpo, e tu perso nel mio, oppure è durato tutto un misero istante, ma il tempo perde importanza, quando siamo insieme. Tutto diviene relativo e senza logica. Quel caos primordiale si impossessa di me ed è un’altra Annie quella che ne emerge, un’Annie diversa ma che, dentro di lei, è sempre la stessa.
“Il nostro amore non è come gli altri”, ti ho detto io quella sera, quando mi hai lasciata davanti al cancello di casa mia. 
“Lo so”, mi hai risposto. “Non ha confini, né ostacoli. E’ come il mare”.
Ti ho baciato ancora una volta.
“Ti amo, Finnick”, ti ho sussurrato.
L’ho sussurrato anche alle stelle, quella sera, davanti alla mia finestra aperta. Da lì vedevo casa tua, lontana oltre il villaggio, leggermente rialzata sulla collina. Ho preso un po’ di polvere di stelle, quella fine sabbia formata da residui di conchiglie e pietroline bianche, e ho sussurrato il tuo nome alla luna, lasciando che si perdesse nel vento.
 
 
* * *
 
 
La Cala Rosa conserva ancora tutto il suo fascino, nonostante il passare del tempo e il trascorrere della storia l’abbiano profondamente cambiata. Entro nella mia vecchia casa sulla spiaggia, proprio accanto al grande pino verde e contorto vecchio di secoli, e mi sembra di tornare indietro nel tempo. Lì dentro, nulla è veramente cambiato. Tutto è ricoperto da un fitto strato di polvere e ragnatele e giorni di dimenticanza, ma ritrovo la mia casa, il mio nido, e i miei ricordi. I miei genitori ancora vagano tra queste stanze, leggeri come fantasmi pallidi, ma consistenti nelle loro immagini sfocate. Stanno seduti in poltrona, la sera, davanti a un fuoco leggero. Preparano pesce in cucina, e l’odore si sente dal giardino ben curato. Ridono di alcuni vecchi aneddoti da villaggio, dove tutti sanno tutto di tutti gli altri e niente è mai vero a quello che si sente in giro. Mi sorridono ancora, quando la mattina esco per andare a scuola, o quando rientro nel pomeriggio, le ginocchia sbucciate e le trecce sfatte. E mi preparano la merenda, pane con la marmellata di arance; e ceniamo sotto il portico, con l’aria di mare che scompiglia i rami degli alberi in giardino e inebria le nostre anime.
Torno al presente, a questa giornata pallida, in cui anche il sole fa fatica a brillare. Tutto intorno è grigio di polvere, e qualche ragno solitario tesse la sua ragnatela indisturbato. Il vecchio specchio in ingresso mi restituisce la mia immagine, un volto tirato e magro, dei capelli spettinati, un maglione rosso e un antico bagliore di speranza nei grandi occhi nocciola. Mi sento tirare per una manica e abbasso lo sguardo.
“Mammina”, dice mio figlio. “Dove siamo?”.
Mi guardo intorno per un secondo, chiedendomi anche io la stessa cosa: dove sei, Annie?, e non trovando risposta. Dove sono? In un luogo sospeso nel tempo, in una casa desolata e abbandonata, dove anche i muri piangono per l’angoscia di tanti giorni vuoti. Non c’è niente per me qui, niente che mi restituisca un barlume della speranza che cerco, un appiglio per ricominciare a respirare, un mattone sul quale costruire una famiglia.
“Adesso ce ne andiamo, Ben”, sussurro.
Mio figlio continua a guardarmi, ma tiene stretta la mia mano, e questo mi basta per sapere di avere il suo incondizionato appoggio. 
Usciamo fuori e ci dirigiamo alla spiaggia, camminando lentamente nella sabbia fine. Il mare è l’unica cosa che è rimasta immutata, e che non cambierà mai, nella sua eternità e bellezza. Ci sediamo su una duna, e io abbraccio Benjamin, cingendogli le spalle e aspirando il buon odore dei suoi capelli biondi. 
“Mammina”, comincia lui. La sua voce è il suono più bello che io abbia mai sentito e non mi abituerò mai alla sua purezza, alla sua vibrazione che la rende così simile a quella di Finnick. “Quanto è grande il mare?”.
Io rimango un attimo in silenzio, soppesando la sua domanda.
“E’ davvero grande, Ben”, rispondo. “Non possiamo vederne la fine ma, da qualche parte laggiù all’orizzonte, c’è un bambino che si chiede quanto grande sia il mare, cercando di vederne la fine, proprio come te”.
“E’ bellissimo”, commenta solo lui piano.
“E la sai una cosa?”, aggiungo io. 
Mio figlio alza gli occhi e mi guarda con interesse.
“Nonostante il mare sia grandissimo, a volte anche lui si sente solo”, dico, proprio come avevo detto a Finnick, lì su quella spiaggia, quel giorno del Solstizio che mi era sembrato infinito.
Ben apre leggermente la bocca, stupito.
“Come noi?”, chiede. 
“Noi siamo insieme”, rispondo. “E staremo insieme sempre. Te lo prometto”.
Benjamin annuisce e poi, dopo qualche minuto di attenta riflessione, dice: “Posso andare a sentire l’acqua?”.
“Sì, ma sta’ attento, va bene?”.
“Lo prometto”.
Lo guardo avvicinarsi alla riva, i suoi piedini che procedono sulla sabbia compatta, prima titubante e poi più sicuro. Lo osservo imparare a conoscere l’acqua, a sentirla sulla sua pelle. Si china a raccogliere una piccola conchiglia bianca, perfetta e liscia. 
“Mammina, vieni”, mi chiama a gran voce agitando una manina.
Io mi alzo sorridendo e lo raggiungo. Tiene in mano quattro conchiglie e mi sorride.
“Sono bellissime, posso tenerle?”, mi chiede sorridendomi.
“Ma certo”, rispondo. 
Mi chino e comincio a raccogliere qualche piccola pietra lucida. Poi, un’onda coraggiosa mi lambisce le caviglie e si ritira lentamente, tornando al mare, ma lasciandosi dietro qualcosa, un piccolo tesoro emerso dagli abissi senza tempo di quella vastità.
Abbasso lo sguardo. Una piccola perla è proprio accanto al mio piede destro, liscia e levigata. Risplende alla luce del tramonto, e io mi chino a raccoglierla. E’ rosa, una bellissima e perfetta Perla Rosa.
La fisso, senza parole. Sento lo sguardo di Benjamin su di me, e poi la sua voce: “Cosa hai trovato, mammina?”.
Mi tira per la gonna, e io non so cosa dire, e tanto meno cosa fare. Me ne sto lì, ferma e zitta, quasi come se un qualche segno divino debba indicarmi la via. 
“Si dice che se trovi la Perla Rosa e decidi di restituirla alle acque del mare, il suo potere ti proteggerà”. 
“E se la ritrovi, vuol dire che sarai destinata ad amarmi per sempre, Annie Cresta”.
Alzo gli occhi al mare, a quell’orizzonte perfetto e piatto, dietro il quale il sole piano piano si sarebbe nascosto, per lasciare spazio alla luna. 
Abbasso il braccio e la perla mi sfugge di mano, cadendo sulla sabbia. Ben si china a raccoglierla e la osserva, incuriosito.
“Mammina…”, comincia.
“Questa è una Perla Rosa”, intervengo io, chinandomi all’altezza di mio figlio e guardandolo negli occhi. “Se la restituisci al mare, il suo potere ti proteggerà per sempre. La rimettiamo in acqua? Che ne dici?”.
Ben annuisce, deciso. Così ci avviciniamo ancora di più. L’acqua ora ci cinge per bene le caviglie. Guardo mio figlio e lui ricambia la mia occhiata. Poi, si gira verso il mare e lancia la perla lontano, nell’acqua più profonda, restituendola all’oceano. 
Dopo aver osservato ancora il mare, ci giriamo e ci incamminiamo verso le dune. Da lì si vede il villaggio e la casa sulla collina non c’è più, ormai. Alzo gli occhi al cielo, alle nuvole rosate che il venticello sospinge via, alla Stella del Nord che brilla più luminosa, in attesa della notte.
Mi giro ancora un attimo verso il mare, a quella spiaggia che conserverà per sempre il mio ricordo, la mia vita, e tutta me stessa. Quella spiaggia che sarà per sempre testimone del mio cuore palpitante, e di un bambino dai capelli biondi e arruffati, che gioca con una bimba a rincorrersi sulla battigia, e che intreccia braccialetti con le conchiglie; sarà testimone di un bambino per mano a sua madre, e di vecchie leggende perdute nel mare del tempo e dei ricordi.
Ti amo, Finnick.



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LA SHOT PARTECIPA ALLA CHALLENGE "UN PROMPT AL MESE"  INDETTA SU FACEBOOK (https://www.facebook.com/groups/456685631043406/) . HO UTILIZZATO IL PROMPT NUMERO DUE DEL MESE DI OTTOBRE.



Marti's Corner
Bene, in verità non ho molto da dire su questa shot... Il titolo è tratto da una frase/citazione letta su tumblr, non so di chi sia, chi l'abbia scritta o detta, per cui, se qualcuno dovesse sapere qualcosa, sarei lieta di specificarlo. Il nome "Benjamin" è stato scelto da me o, per meglio dire, da mia sorella Alice, che lo trovava perfetto per il figlio di Finnick e Annie. Thanks, fucking genius ;))) La leggenda della Perla Rosa è stata invece inventata da me, così come l'omonima Cala.
Che dire... spero vi sia piaciuta. La parte prima degli asterischi si riferisce a un periodo relativamente tranquillo per Finnick e Annie. Dopo gli asterischi, ho immaginato una Annie senza Finnick che ritorna a casa con suo figlio, ma non trova nulla, lì, per lei, ma solo tristi ricordi. 
   
 
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