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Autore: Gaia Bessie    08/10/2012    7 recensioni
Loro ti hanno fatto male, troppe volte per contarle tutte. Eri nell’abisso e loro erano con te, non potevi scappare. Ti trovavi in un labirinto e tutte le vie portavano al mostro. Non c’era modo di fuggire, lo ricordi bene. Eppure, non avevi fatto male a nessuno, mai.
Non sapevi, Annie, che tutti gli uomini sanno comportarsi da mostri.
Stringi fra le mani un vecchio pezzo di stoffa, recuperato da un vecchio cassetto, a casa. Stoffa candida che ha conservato il profumo di Finnick, una vecchia “F” ricamata in blu, in un angolo. Dicono che sia utile annodare i fazzoletti, per non dimenticare pensieri importanti. Un nodo per un pensiero.
Non riesci più a decifrare i tuoi pensieri come una volta: sono troppo veloci per riuscire ad interpretarli, per essere qualcosa di più di quella massa confusa che si offusca, col passare del tempo. Un altro nodo. Due pensieri.
Te lo sei meritato, Annie. Ti hanno spinta giù nell’abisso con le loro risate e tu non sei riuscita ad opporti.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Johanna Mason
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A Fera, per il suo anniversario Efpiano.
A Gin, per lo stesso motivo.
Anche se con un po' di ritardo.





September.

Le senti bene, le voci. Attorno a te, che ti ossessionano con la loro perfidia mal celata, con quella parola familiare. Pazza, ti chiamano così.
Ti portano dei ninnoli, regalini che tu ignori, ogni volta. Non compensano quel perenne senso di vuoto che ti avvolge, la condanna eterna che devi sopportare. Perché l’hai perso e nessuno potrà più portarti da lui.
Ti chiamano pazza. Lo faranno per sempre.
Siedi di fronte alla finestra, tranquilla come una bambina, le mani abbandonate sul tessuto azzurro del vestito che indossi. Canticchi una vecchia nenia che ti aveva insegnato Peeta, una volta. Tempi che a stento ricordi, sepolti come sono in quella foschia che t’impedisce di vedere chiaramente.
Credevi che sarebbe andato tutto bene, doveva andare tutto bene. Ti avevano portata da lui, da Finnick. Avevi tutto, non potevi tornare nel baratro. Non di nuovo. Ripetevi queste due parole come una strana filastrocca, un ritornello che ti permetteva di andare avanti. Senza mai voltarti indietro, perché era l’unica cosa giusta da fare: non precipitare di nuovo, in quell’abisso dove era fin troppo facile perdersi.
E poi sei rimasta sola, senza di lui. Ad ascoltare parole che suonano forzate perfino alle tue orecchie innocenti, ad aspettare che il tempo scorresse più velocemente.
Odi il tempo. Scorre e non ti permette di fermarti, a ricordare cosa c’era, nell’abisso dove ti avevano portata. Dove eri caduta, quando eri troppo debole anche solo per comprendere.
Adesso come sei, Annie? Sei pazza?
Eri stesa sul pavimento, tornare a guardare il cielo era diventato uno sforzo enorme. Adesso, guardare il mare è quasi impossibile, quando assume quella tonalità che era nei suoi occhi. Cosa t’impedisce di tornare nell’abisso, Annie?
Un movimento impecertibile, dentro di te. Un cuore che batte all’unisono con il tuo, il motivo che ti fa allontanare dall’abisso. Che t’impedisce di andartene, una volta per tutte.
Sorridi quasi, quando lo senti. Vostro figlio.
Guardi fuori dalla finestra, cosa che fai raramente. Echi di risate di bambini. Tra poco ci sarà anche tuo figlio a giocare lì, con la sabbia. Ancora pochi mesi, Annie, solo pochi mesi.
Ti perdi a guardare la luna che illumina il mare. Una nave scivola sulle onde di metallo.



September (again)

Il rumore della pioggia ti calma, distende i tuoi nervi troppo tesi. Sobbalzi ancora ad ogni rumore, come se qualcosa potesse farti male, all’improvviso. Loro ti hanno fatto male, troppe volte per contarle tutte. Eri nell’abisso e loro erano con te, non potevi scappare. Ti trovavi in un labirinto e tutte le vie portavano al mostro. Non c’era modo di fuggire, lo ricordi bene. Eppure, non avevi fatto male a nessuno, mai.
Non sapevi, Annie, che tutti gli uomini sanno comportarsi da mostri.
Stringi fra le mani un vecchio pezzo di stoffa, recuperato da un vecchio cassetto, a casa. Stoffa candida che ha conservato il profumo di Finnick, una vecchia “F” ricamata in blu, in un angolo. Dicono che sia utile annodare i fazzoletti, per non dimenticare pensieri importanti. Un nodo per un pensiero. Le tue mani si muovono lente. Hai paura, Annie?
Non riesci più a decifrare i tuoi pensieri come una volta: sono troppo veloci per riuscire ad interpretarli, per essere qualcosa di più di quella massa confusa che si offusca, col passare del tempo.
Un nodo. Un pensiero.
È una strana canzone, la pioggia. Una ninna nanna che porta ricordi, non tutti sono piacevoli. Gocce che lavano via il dolore, piano, poco alla volta. Pioveva, quando ti portarono da lui, per la prima volta.
Lì fuori, le onde rischiano di divorare la spiaggia, centimetro per centimetro. Non ci sono barche, oggi, i pescatori sono rimasti tutti a casa. Settembre sta finendo, Annie.
Un altro nodo. Due pensieri.
Settembre vola via come le farfalle che ti piacciono tanto. Quelle che le guardi e sono la cosa più bella al mondo. Ti giri e muoiono.
Non riesci a comprendere il lento, inesorabile scorrere degli eventi. Non riesci a comprenderlo. È qualcosa di oscuro e misterioso, ai tuoi occhi. Ti svegli di notte e non capisci cosa stia succedendo e cerchi Finnick, accanto a te. Non lo trovi mai.
E sei costretta ad accendere la luce e stringere in mano il fazzoletto di Finnick, rannicchiata su te stessa come una bambina bisognosa di conforto. E la nebbia diventa meno fitta, ti permettere di rivivere quegli attimi che ti ossessionano. Che ti trascinano sull’orlo del baratro, a pochi passi dall’abisso.
Pioveva, quando ti portarono via da lui.


Pioggia. Pioggia ovunque, che cancellava tutto, annullava i sensi. Camminavi con le braccia aperte, come per abbracciare il vuoto, i palmi delle mani rivolti verso il cielo. Amavi la pioggia. L’acqua che accarezzava la pelle, che ti calmava. Ancora non la associavi ai brutti ricordi.
Eri come una bambina che muoveva i primi passi, fiera di quei piccoli progressi. Barcollavi ancora, Annie: sarebbe bastata una spintarella per farti cadere nell’abisso. Nessuno, guardandoti, avrebbe potuto pensare che avevi già visto l’abisso.
Ma tu sapevi bene com’era fatto, eri precipitata lì, durante i giochi. Quando eri sola e le urla ti graffiavano la gola, l’acqua entrava nei polmoni e non riuscivi a respirare.
Urlavi, Annie. Non volevi morire nell’abisso: c’era troppo sangue ed il corpo di Freid mutilato dagli Ibridi. L’acqua ti aveva aiutata, quella volta.
Pensavi che l’acqua ti avrebbe salvata di nuovo, quando loro vennero a prenderti. Povera Annie, eri così ingenua…
Pioveva e cantavi come un fringuello, quando arrivarono. Li guardavi senza capire, cercando di mettere insieme un pensiero coerente. Non capivi.
Ti presero di peso, senza dire una sola parola. Non ti diedero nemmeno il tempo di urlare, di chiamare Finnick.
Ancora non era successo niente, Annie. Ti trovavi sulla soglia dell’inferno e non lo sapevi. Chiamavi Finnick e nessuno ti rispondeva, lacrime salate lasciavano il segno del loro passaggio sulla tua pelle.
Le lacrime somigliavano alla pioggia, ma facevano male. Graffiavano la tua pelle troppo chiara, Annie.
Te lo ricordi?
Hai urlato e pianto, li hai implorati di lasciarti andare. Ti sei coperta le orecchie con le mani, quando hanno riso di te. Ti hanno chiamata pazza, anche loro.
Te lo sei meritato, Annie. Ti hanno spinta giù nell’abisso con le loro risate e tu non sei riuscita ad  opporti.


Trasalisci e sciogli un nodo fatto sul fazzoletto: certe cose è meglio dimenticarle, lasciarle chiuse in un cassetto e sciogliere i nodi dai fazzoletti. È una delle cose da fare per non morire nell’abisso.
Se chiudi gli occhi li senti, mentre ridono di te e ti chiamano pazza. E sei costretta a coprire le orecchie con le mani, per non sentirli più. Non sempre funziona: chiudi gli occhi e sono lì, che ti guardano. E ridono di te e ti chiamano pazza.
Te lo meriti, Annie. Lo sai anche tu.
Ti fermi per un momento, cercando di decifrare uno strano pensiero. Riesci raramente a comprendere ciò che pensi, da quando ti sei persa. E Finnick non è più qui, per aiutarti ad andare avanti.
Ogni tanto, ci pensi davvero. A come sarebbe morire nell’abisso, arrendersi per davvero.
Ogni volta fai un nodo al tuo fazzoletto e ritorni sui tuoi passi: non puoi restare nell’abisso, senza di lui. Ti ricordi, Annie?
Finnick ti aveva detto che sarebbe andato tutto bene: un sussurro che avrebbe dovuto perdersi nella notte, che era giunto comunque alle tue orecchie. Sarebbe andato tutto bene. E ci credevi davvero, Annie, quando lui lo ripeteva, con la stessa enfasi di chi cerca di convincere un bambino a non avere paura dei mostri sotto il letto.
Sei stata una sciocca, perché credevi davvero che sarebbe andato tutto bene. Che Finnick sarebbe tornato.
Le tue mani si fermano sul bordo del fazzoletto, di fronte all’ennesimo nodo.
Un nodo per un pensiero, Annie. Non dimenticarlo.
Finnick passava ore ad intrecciare un vecchio pezzo di corda, un nodo per ogni pensiero che lo ossessionava. E ricordi bene com’erano rosse le dita di Finnick, quando il sole moriva dietro il mare. Troppi pensieri.
Non gli chiedevi mai cosa lo ossessionasse, spinengodolo ad annodare continuamente quella corda. Guardavi il mare e ti perdevi dietro i tuoi ricordi, affacciandoti oltre la foschia che li avvolgeva.
Adesso hai paura di guardare indietro, di far aprire di nuovo quelle vecchie ferite. Stringi forte il fazzoletto, dando forma all’ennessimo nodo.
È settembre ed il tempo scorre troppo lentamente, quasi a darti l’occasione di guardare indietro. Anche per pochi secondi, solo per soffrire ancora.
Guardi ancora fuori dalla finestra, un’immagine conservata dal tempo. I ricordi sopravvivono sempre alla memoria comune, non vengono intaccati da polvere o dai pettegolezzi della gente. La gente parla sempre di ciò che non conosce, delle persone che non tutti comprendono. Ti hanno chiamata “pazza”, Annie, non dimenticarlo.
Sospiri.
Un nodo. Un altro pensiero che ti confonde la mente. Sei sempre stata fragile, Annie.
È da settembre che aspetti che succeda qualcosa. Che arrivi un segno, che Finnick torni anche se sai che non può tornare. È da settembre che non succede più niente: i giorni hanno lasciato il loro posto ad una massa indefinita di tempo, che sembra non passare mai.
Ogni giorno ti ritrovi seduta sul letto, lo sguardo perso nel vuoto. È troppo vuota, la casa, da quando Finnick se n’è andato. Troppe volte ti sei trovata a vagare per le stanza vuote, come se ti aspettassi veramente di trovarlo. Ogni volta hai capito troppo tardi che Finnick non poteva essere lì. Ed ogni volta hai pianto, Annie, come una sciocca. Le mani hanno coperto le orecchie e nessuno ha cercato di calmarti. Nemmeno una volta, Annie: ti hanno lasciata sola, il resto del mondo è morto con Finnick.
Un altro nodo. Troppi pensieri, Annie.
La pioggia smette di cadere, piano. Non te ne accorgi, Annie. Non è importante, nessun nodo sul fazzoletto. Sospiri e distogli lo sguardo dal mare del vostro Distretto.
È colpa tua, Annie, se Finnick se n’è andato.
Un nodo. Un rimpianto.
Smetti di pensare, Annie.



October

È da un po’ di tempo che hai preso l’abitudine di canticchiare vecchie canzoncine che ti avevano insegnato le tue cugine, quando ancora giocavate insieme. Giocavate a fingervi sirene, con l’innocenza tipica della vostra età. Cantavate per attirare i marinai, spiegavate. Speri che Finnick torni da te?
Non illuderti, Annie.
Siedi davanti alla finestra, fra le mani un vecchio orologio. Non ha ancora iniziato a piovere, te ne sei accorta?
Le lancette si muovono più velocemente del solito, seguno un ritmo più veloce del tuo lento respiro. È già ottobre, Annie. Il tempo sta passando troppo in fretta, adesso.
Ti sei svegliata, questa mattina, e sei andata a trovarlo. Hai camminato piano, le gambe leggermente divaricate per sopportare meglio il peso di vostro figlio. Hai ignorato gli sguardi pieni di pietà degli altri abitanti del Distretto. Il tempo scorreva veloce e tu dovevi correre più veloce del tempo.
Ti sei fermata solo davanti a lui. Non hai voluto che lo seppellissero accanto a tutti gli altri caduti di guerra. Hai pianto, Annie, hai protestato. Katniss ha detto che avevi ragione, Finnick meritava di essere ricordato. Ti sei fermata davanti a quella pietra troppo fredda. Hai parlato, gli hai raccontato tutto quello che si era perso.
Parecchie persone sono passate di lì, camminando fra le lapidi, fermandosi per gettare qualche fiore in quegli orribili vasi di vetro. Ti hanno guardata, tutti quanti. Qualcuno ti ha indicata con il dito, un bambino ti ha sorriso. Tu non l’hai nemmeno visto, Annie.
Nessuno ti ha chiamata pazza. Non questa volta. Nessuno ha avuto il coraggio di spingerti verso l’abisso, proprio davanti a tuo marito.
Sei rimasta lì per tanto tempo, Annie. Finché non è venuta Johanna a prenderti: con te è quasi dolce. Non censura i suoi pensieri, non lo fa mai. Però non ti lascia sola, sull’orlo di quel baratro che tanto odi. Ogni tanto sembra perfino in grado di capire. Finge di non vedere tutti quei nodi sul fazzoleto, siede placidamente accanto a te. Parla raramente e, quando lo fa, dice qualcosa di pungente, come si confà al suo  carattere. L’hai vista rivolgerti qualche occhiataccia, di tanto in tanto. Non le hai mai chiesto il perché: sai quanto le costa vivere qui, così vicina all’acqua.
Eppure lo sai bene, riesci a leggere quella frase incisa sulla sua pelle. Ha perso qualcuno, in quell’abisso dove vi hanno gettate.
Adesso siede accanto a te, la tua attenzione catturata dal mare che si agita. Lo fissa con una strana ombra nel volto. Sembra assorta. In realtà, Johanna ha ancora paura del mare.
-Chiedimelo, avanti- sbotta, irritata. Fissa il tuo ventre arrotondato quasi con astio. –So che muori dalla voglia di chiedermelo-
Sospiri, Annie. –Chi hai perso?- domandi. Già temi la sua risposta. In realtà la conosci, ma non le hai mai chiesto di pronunciare quel nome ad alta voce. Perché renderebbe tutto più reale, i tuoi sospetti più che fondati diventerebbero la verità.
Johanna ride, un velo di malinconia le offusca lo sguardo. Non smette di guardarti nemmeno per un secondo, un sorriso soddisfatto sul volto.
-Credo che tu lo sappia, Annie- osserva, divertita da quel gioco.
Una lacrima cade sul tuo vestito. Un nome viene urlato nella tua testa, da un coro di centinaia di voci. L’abisso si apre davanti a te, oscuro e bellissimo: una soluzione troppo semplice da scegliere. Eppure, un’alternativa da considerare.
-Finnick- mormori, le lacrime che cadono come una pioggerella estiva. Finnick le era stato amico. Forse l’aveva amata. Non te ne sei mai accorta.
Un altro nodo per il tuo fazzoletto, Annie.
Johanna ti sorride, con aria angelica. Eccola qui: la donna capace di uccidere a sangue  freddo. Quella capace di ribellarsi a Snow, quella sempre sola. Torturata fino a farle odiare qualcosa di così bello come l’acqua. Quella che Finnick  potrebbe avere amato, quando tu non potevi accorgertene. Eppure la conosci bene: c’è stato quel periodo in cui le vostre urla diventavano un solo grido. E nessuno veniva mai ad alleviare le vostre sofferenze.
-Non è come pensi- osserva Johanna, il sorriso che inizia a svanire. –Non avrebbe mai scelto me-
Lo dice con un’amarezza tale che le credi.
Un nodo, Annie. Una scoperta che non avresti voluto fare.
Una fitta al cuore che ti toglie il respiro, solo per pochi attimi. E poi sorridi, Annie, una mano si posa sopra la pancia. Lui è lì. E’ vivo.
Il tuo sorriso non se ne và, a differenza di quello di Johanna. Potresti sorridere per sempre, Annie.
Poi torni ad affacciarti nell’abisso, quello dove hai vissuto per troppo tempo. Lì non c’è Finnick, non c’è nessuno. Le urla tornano ad esplodere nella tua testa, un coro che detesti.
Ottobre vola via, Annie, in un coro di urla che sembra provenire dal tuo stesso cuore. Ottobre viene via, Annie, ed il tuo sorriso si cancella.
Ottobre sta volando via troppo in fretta, Annie.



December

Lo stringi fra le braccia, quel corpicino caldo che non è con te da nemmeno due mesi. Canticchi una vecchia ninna nanna, hai occhi solo per lui.
È bellissimo, il tuo bambino, bellissimo. Lo ripeti piano, quando piange disperato. È bellissimo, vero Annie?
Johanna non l’ha voluto prendere in braccio nemmeno una volta. Lo guarda con espressione assorta, quasi ostile, volta la testa ogni volta che il bambino apre gli occhi.
Lo sai, il perché. E’ quella consapevolezza che pesa sulle tue spalle troppo fragili, che non ti fa dormire. Che ti spinge quasi a chiudere gli occhi, ogni volta che tuo figlio si sveglia.
-Vuoi tenerlo?- domandi piano, quando la sorprendi a guardarlo, sovrappensiero.
Il bambino ha gli occhi del padre. Dello stesso colore del mare.
-No- risponde lei, secca. Siede rigida, come se dovessi attaccarla da un momento all’altro. Torna a tormentare un angolo della camicetta e tu non sai più cosa dire. Non riesci a capirla. Non ci riuscirai mai.
A Johanna manca Finnick.
-Perché?- domandi, più a te stessa che a lei. Non la guardi negli occhi: il suo dolore silenzioso ed inespresso fa male. Perché riflette perfettamente il tuo, lo sai bene. E non vuoi vedere il riflesso del Finnick che ha conosciuto anche lei, che ha amato anche lei. Non vuoi odiarla, Annie.
-Perché ha scelto te e non me?- domanda, alzando le spalle. Lei ti odia, Annie, ne sei sicura.
Il pianto del tuo bambino squarcia l’aria, lacrime grosse come bilie cadono sul visino. Johanna non lo ascolta nemmeno, guarda fuori dalla finestra, quel mare che odia. Una barca scivola fra le onde tinte di rosso.
-Non ha scelto me perché non ero quella giusta- mormora Johanna, con fare rassegnato. È strano vederla così, fragile come quando l’hanno spinta ad odiare l’acqua.
Sospiri. È dicembre, Annie. I ricordi iniziano a sbiadire sempre di più, le parole si disperdono nell’aria.
Non c’è verso di fare smettere di piangere il tuo piccolo dagli occhi verde mare. Non ti piacciono le lacrime, ti ricordano tutte quelle che hai dovuto versare. Tutte le volte in cui ti hanno dato della pazza.
Le mani vanno a coprire le orecchie. Non vuoi sentire, Annie, fa troppo male.
Guardi fuori dalla finestra, titubante. Dicembre vola via, Annie.


Non eri veramente lì, Annie, quando accadde. Però lo ricordi, come se fosse successo a qualcun altro. Come se tu fossi stata una semplice spettatrice, che osservava spaventata quello spettacolo grottesco.
Eri lì, invece. E sentivi ogni scossa di puro dolore, dentro di te.
 Non hai pianto, Annie. Nemmeno una volta.
Eppure le tue urla le ricordi ancora, superavano i loro borbotii. Rompevano la barriera che ti separava dall’abisso.
Credi di non aver pianto
. In realtà, non hai mai smesso.
Lo sentivi chiaramente, l’uomo sopra di te. Che rideva e ti chiamava pazza, anche lui.
Hai urlato e pianto, lacrime che cadevano sul pavimento e si mescolavano al liquido bianco. Faceva male, te lo ricordi?
Faceva male perché lui non era Finnick, nessuno ti diceva che sarebbe andato tutto bene. Eppure, tu ci credevi.
Ridevano ti te, Annie. E, di notte, le tue urla si univano a quelle di Peeta e Johanna. Loro non ti chiamavano pazza.
  Forze perché, pazzi, lo erano anche loro.
Di notte, chiamavi Finnick. Nessuno rispondeva.
-Non verrà a salvarti- aveva mormorato Johanna, una notte. Piena di risentimento, stanca e tremante. Spaventata come te, ma in grado di nasconderlo. Tu non riuscivi a smettere di piangere e cercare di isolare i suoni. Di allontanarti da quell’abisso.
Eri all’inferno, Annie, e non te ne eri resa conto. Non potevi saperlo.
“Non verrà a salvarti” aveva detto Johanna. Tu non le avevi creduto, nemmeno per un secondo: Finnick doveva venire a salvarti. Non poteva lasciarti lì, da sola.
Dove perfino respirare diventava difficile, perché faceva troppo male. Ma tu non piangevi mai. O, almeno, credevi che fosse così. Quelle sul tuo viso non erano lacrime.
Tenevi sempre gli occhi chiusi, cercando di focalizzarti sui ricordi piacevoli. Che non esistevanno più, in quel labirinto di dolore che avevi nella testa. Ogni tanto lo ricordi, vero Annie?
Non sapevi ancora di essere persa per sempre. Credevi che saresti riuscita a tornare indietro. Avevi davvero un posto in cui tornare?
Finnick. Finnick era il tuo posto.
Non li ascoltavi mai, gli uomini vestiti di bianco, quando ti dicevano cose come “Allora, dov’è il tuo Odair?”. Incassavi e credevi di non piangere. Ed invece piangevi ed aspettavi che Finnick tornasse da te. Ci credevi davvero, Annie. Credevi che sarebbe venuto a salvarti, perfino nell’inferno in cui ti trovavi.
Le lacrime erano i secondi che passavi senza d lui. Non erano lacrime.

Ci credevi davvero.


Ti sei calmata, Annie. Un bel respiro, sorridi al tuo bambino. Somiglia a suo padre, porta il suo nome. Una condanna per il tuo povero cuore.
Sorridi Annie e non piangi mai. Il tempo corre più veloce di te, dicembre vola via. Il tuo cuore tace, aspettando che il tempo costringa le ferite a richiudersi. Ci credi davvero, Annie.
Johanna sbuffa, irritata. Ha sempre qualcosa da nascondere, qualche ricordo che la tormenta. Tu non riesci a capirla.
-Dammelo- tende le braccia, per accogliere il tuo bambino.
Sospiri e le sistemi il piccolo Finn fra le braccia. Braccia di madre che accolgono il vuoto, adesso che il figlio non è più lì. Hai paura, Annie. Hai paura di quello che Johanna potrebbe dire.
Dicembre non ti piace, Annie. La neve cade sul mare.
-Assomiglia a lui- mormora Johanna, quasi stupita.
Sorrridi, Annie, perché Johanna ha ragione. Cerchi il tuo fazzoletto, sepolto in una tasca del vestito.
Un nodo per un momento da ricordare.
-E’ bellissimo- mormora Johanna. E tu sai che sta parlando di Finnick, di tuo marito. Quello che sarebbe dovuto venire a salvarti, di nuovo.
Perché lui tornerà, lo sai. Ci credi, Annie, ci credi davvero.


Era bellissimo, stare lì. Al sicuro fra le sue braccia. Nessuno avrebbe potuto portarti via da lui, da Finnick che  era lì per te.
Dicembre doveva ancora venire e spazzare via tutto. Non era importante, c’eravate solo voi. Quella notte avevi singhiozzato sulla spalla di Finnick, prima di addormentarti. E quelle erano vere lacrime, che valeevano più di una spiegazione.
-Mai più, Annie. Mai più, amore mio- aveva sussurrato, accarezzandoti i capelli. E tu gli avevi creduto, ti eri abbandonata alle sue mani con la fiducia cieca di un cucciolo.
Ci credevi davvero.
Non gli avevi raccontanto cosa ti avevano fatto. Quanto male ti faceva il suo sguardo che si soffermava sui lividi scoloriti, sulle tue spalle.
Chiudevi gli occhi e cercavi di sparire, finché Finnick non cercava di riportarti indietro. Da lui.
Quella sera, Finnick era crollato, davanti ai tuoi occhi. Le sue lacrime erano finite fra i tuoi capelli, le tue erano rimaste sul fondo degli occhi.
-Mi dispiace, Annie, mi dispiace- aveva mormorato. Ogni volta che ti toccava, ogni volta che ti baciava. Ogni volta. Ti chiedeva scusa con lo sguardo, con la voce. Si attribuiva colpe che, secondo te, non gli appartenevano.
Poi, pronunciò quelle parole così false. –E’ colpa mia-. Sapevi che non poteva avere ragione. Ci credevi davvero, Annie.
Era stato difficile, per te, non scoppiare a piangere davanti a Finnick. Ma lui era lì e bastava per ricacciare indietro le lacrime.
-No- avevi mormorato, piano. –Finnick…-
-Mi dispiace, Annie- aveva ripetuto lui, di nuovo. –Volevo solo che tu fossi al sicuro-
Non avevi risposto. Credevi a tutto quello che ti diceva, Annie. Ci credevi davvero.
-Non lascerò che ti prendano di nuovo- aveva promesso. –Non un’altra volta, Annie-

Ti eri fidata di lui, come ogni volta.


Stringi forte il tuo fazzoletto, Annie. Finnick non è con te. Se n’è andato come il mese di novembre, silenziosamente. Lasciandoti sola a sopportare il peso del tempo che rallentava la sua corsa, solo per farti sentire quel maledetto dolore.
Non te lo meriti, Annie.
Sospiri, la mano che sfiora il polso sottile, una vecchia cicatrice dimenticata anche dal tempo. Tu non l’hai mai dimenticata, non è vero?
Sono stati loro a portarlo via da te.
Johanna che fa le moine al  tuo bambino. Quasi hai paura di non vederlo più tornare, felice com’è fra le braccia di quella donna con cui non hai niente in comune. Niente, solo perché lui ha scelto te.
Anche lei ha contribuito a portare Finnick via da te, dovrebbe pagare.
Johanna che quasi sorride, davanti a quegli occhi che le sono così familiari. Che hai amato con tutta te stessa, sicura di essere l’unica.
Novembre è volato via, senza dirti una parola, lasciandoti sola. Non dire niente, Annie: sei stata una sciocca e te lo sei meritata, lo sai bene.
Sei tu che paghi per quello che ti hanno fatto.
-Assomigli al tuo papà-
È l’unica cosa che puoi fare, Annie. Pagare per errori non tuoi, adesso che il tuo errore non riesci più a comprenderlo bene.
Credevi davvero di essere amata. Sei stata una sciocca, Annie, te lo meriti tutto questo dolore.



January

Natale è arrivato e passato e tu non te ne sei quasi accorta. La cosa non ti ha stupita in maniera particolare, Annie, ancora non riesci a comprendere il bizzarro scorrere degli eventi.
Quest’ anno non riesci a sorridere, davanti alle candele rosse. Quest’anno non hai ancora avuto il tempo di sorridere, Annie.
È colpa tua.
È arrivato un regalo dal Distretto 12, da Katniss e Peeta. Un gattino in una cesta, un biglietto scritto a mano e decorato dalle dita abili di Peeta. Uno dei cuccioli di Ranuncolo, ti hanno spiegato. Per aiutarti a trovare la serenità.
Hai riso, Annie. Nemmeno tu sapevi il perché.
Johanna non ha detto niente, quella volta. Sedeva in un angolo, il piccolo Finn fra le braccia, la sua attenzione catalizzata su di lui. Non eri riuscita a dire nulla, Annie. Il gatto era scivolato sul tuo vestito, con fare sinuoso, strusciandosi sul dorso della tua mano.
È ancora qui, Annie. Il suo pelo morbido contro le tue mani fragili, che ti dona una scheggia di quella serenità che ti viene ancora negata. Non è il tuo bambino, Annie.
Ogni tanto ti fermi a riflettere su quanto sia stato crudele sottrarre questo gattino ai suoi genitori, proprio come Johanna sta cercando di allontanare da te tuo figlio. Il bambino con gli occhi verdemare che forse non ti chiamerà mai “mamma”. Che, forse, non sarà mai come suo padre.
C’è stato un momento, quando quest’anno stava per finire, in cui ti sei chiesta per davvero se l’abisso non fosse stato un’alternatuva migliore, per te. Ci hai pensato veramente, piangendo sul tuo fazzoletto annodato, il pelo del piccolo Seaweed a contatto con le tue mani. Ti sei detta che non sarebbe cambiato poi molto, per tuo figlio: è troppo piccolo per ricordare la presenza evanescente che sei per lui, la madre che lo ama con tutta sé stessa.
Eri pronta ad andartene, Annie. Sapevi di meritartela, una fine indolore. Almeno quella.
È stata Johanna a fermarti, con una delle sue famose occhiatacce. È bastato un “non pensarci nemmeno” ed hai detto addio all’abisso. Non ha fatto male.
Ti chiedi, Annie, perché l’abbia fatto. Perché ti abbia fermato mentre ti tuffavi nell’abisso, in una maniera così diversa dall’ultima volta. Eri pronta ad andarci di tua spontanea volontà e lei ti ha fermata.
Hai pianto, Annie, senza saperne il perché.
Non ti ha consolata, Johanna non ama le lacrime. Acqua salata che lei detesta, che le hanno fatto temere, nell’abisso dove vi avevano gettate. Adesso ti chiedi se non ci fosse stato un modo per evitare tutto quel dolore. Niente ti spaventa più di quell’abisso.
Seaweed miagola, pretende la tua attenzione. Johanna fa una smorfia, indirizzata al tuo gattino: lei e Seaweed non vanno molto d’accordo. Le unghie del gattino hanno più volte incontrato la pelle di Johanna, facendoti quasi sorridere. È come se lui volesse difenderti, come faceva Finnick, un tempo. Ti difende dalla durezza di Johanna facendosi forte del suo vantaggio: le unghie. Una volta hai quasi riso, quando Seaweed ha fatto a pezzi una camicia di Johanna. A Finnick sarebbe piaciuto, il tuo gattino. Solo perché  a Finnick piaceva tutto quello che ti rendeva  felice.
Non sopporti che si allontani da te, hai paura di vederlo sparire nel nulla. Di vederlo cadere in un abisso simile al tuo.
-Seaweed- lo chiami, appena lui tenta di allontanarsi. –Vieni qui, Seaweed-
Non ti piace rimanere sola. Di notte ti alzi, la camicia da notte che fruscia attorno alle caviglie e guardi il tuo bambino che dorme.
Ogni notte senti quel vuoto, nel cuore, il peso invisibile fra le braccia. Lo sai bene, come ci si sente a far finta che vada tutto bene. Quando, invece, il mondo sta per crollare e tu cammini spedita verso l’abisso.


Iniziò ad avere paura per te, cercando di tenerti al sicuro come si fa con i bambini piccoli. A settembre hai conosciuto l’abisso, senza di lui. Hai conosciuto il dolore bruciante di un amore violento, che amore poi non era. Hai conosciuto le lacrime che non erano lacrime e le urla di chi non poteva parlare. Hai conosciuto la disperazione che ti aveva invasa, quando l’attesa si era prolungata eccessivamente. Eppure non venne mai a meno la tua unica certezza: Finnick sarebbe tornato. Solo per te.
 Ottobre era quasi finito, quando ti riportarono da lui. L’aria ti riempì i polmoni, improvvisamente. Mani delicate che curavano i graffi sul braccio. Nemmeno una volta ti passò per  la testa di parlare con loro di quel che ti avevano fatto. Guardi il niente ed aspettavi di vedere Finnick, il tuo Finnick, correre verso di te.
Ottobre era quasi finito ed ancora la tua speranza non era venuta a meno. Infatti vennero a prenderti, alla fine. Ti portarono da lui mentre eri ancora come un cucciolo spaventato, avvolta in un lenzuolo candido. Hai urlato il suo nome, felice di aver saputo attemdere.
Novembre era appena iniziato quando la tua vita prese una svolta che non ti saresti mai aspettata. Di notte ti permetteva di dormire con lui. Era lui stesso a volerlo, da quando ti aveva sentita singhiozzare sul cuscino. Odiavi i tuoi incubi, quel dolore bruciante che ti ossessionava. Era l’abisso che ti reclamava, Annie, l’hai capito solo ora.
Appoggiavi la testa sul suo petto, le braccia attorno al suo corpo solido, concreto. Smettevi di piangere immediatamente, l’abisso che svaniva davanti ai tuoi occhi.
-Non lasciarmi- mormoravi, con voce tremante. –Ti prego-
E lui non ti lasciava mai. Ti permetteva di aggrapparti a lui come se quella  fosse davvero l’ultima notte. Se lo era davvero, non potevate saperlo.
Lui posava le labbra sui tuoi capelli, quando il sonno iniziava a pesare sulle palpebre. Ti stringeva forte per non farti andare via, non di nuovo. Te l’aveva promesso, Annie.
E ti sussurrava un “Buonanotte, amore mio” che tu non sentivi mai. E tu lo amavi, in silenzio, senza dirglielo ad alta voce. Lo sapeva già, ne eri sicura.
-Finnick- l’avevi chiamato, un giorno, angosciata. Ti eri svegliata per colpa di un incubo. Ed il dolore fra le gambe, acuto e bruciante, sembrava quasi reale. –Finnick-
Lui si era svegliato subito, preoccupato. Ti aveva cercata con lo sguardo, per assicurarsi che andasse tutto bene.
-Annie- aveva mormorato, la preoccupazione che traspariva dalla sua voce. E tu eri scoppiata a piangere, come una bambina. –Cosa ti hanno fatto, Annie?- aveva mormorato Finnick, preoccupato.
Non avevi risposto. Facevi fatica a respirare, con quel dolore che ti pesava sul cuore. Le lacrime ti graffiavano il viso e si mescolavano con il sangue.
-Finnick- avevi mormorato, la voce che ti tremava. –Aiutami, ti prego-
Il tuo sguardo si era fermato sulla vecchia cicatrice sul polso, la ferita non ancora guarita del tutto. era scivolato su un livido scolorito sul braccio, dove ti avevano toccato dita troppo crudeli per essere innocue. Finnick aveva seguito il tuo sguardo, trasalendo di fronte ai segni di quella crudeltà.
Ti eri nascosta fra le sue braccia, cercando di trattenere le lacrime imminenti.
-Mi dispiace, Annie- aveva mormorato, senza toccarti. Come se avesse avuto paura di farti male. –Non meriti tutto questo-
Avevi alzato lo sguardo, titubante ed avevi posato le tue labbra sulle sue. Non faceva male.
-Shh- avevi mormorato, piano.
Novembre era appena iniziato e tu amavi Finnick, con tutto il cuore. Dicembre doveva ancora arrivare, Annie.

Non lo sapevi.


Guardi fuori dalla finestra, in silenzio. Fiocchi di neve t’impediscono di vedere. Tieni tuo figlio fra le braccia, Seaweed si struscia contro le tue caviglie.
Johanna non c’è. E presto e non si è ancora svegliata. Culli il tuo bambino, il piccolo Finn, aspettando che si svegli per farti ammirare i suoi occhi. Il riflesso di quelli del padre, che non potrai più vedere.
È per questi occhi che non cadi nell’abisso. Per lui, il tuo Finnick.
Passi veloci, che appartengono ad una persona che non sopporti. Lo sguardo di Johanna ti brucia la schiena. Stringi forte il tuo bambino, temi che lei te lo porti via.
-Sei sveglia- osserva, scivolando su  una poltroncina. Seaweed soffia, irritato. A lui Johanna non è mai piaciuta. –Anche quel dannato gatto-
Sorridi leggermente, Annie, e ti fermi davanti alla finestra a guardare la neve. Non ti piace, la neve, annulla il mare. E tu hai sempre amato il mare.
-Mangia qualcosa- sussurri, sperando di riuscire a mandarla via, per  restare un altro po’ con tuo figlio. Prima che lei te lo porti via, inevitabilmente.
Tende le braccia, senza rispondere alla tua domanda. –Dammelo- dice, semplicemente.
-No- mormori, con fare protettivo. –E’ mio figlio-
Johanna non batte ciglio. Ti guarda come per dire “e tu saresti mai una buona madre per lui?”. E senti di nuovo quei sussurri che detesti, quellla parola riferita a te. Quella che fai finta di non sentire, ogni volta.
Pazza. Sei pazza, Annie.
Lo sguardo di Johanna sembra confermarlo. Ti sta dando della pazza, vuole portare via il tuo bambino. L’unica cosa che ti resta di Finnick.
Anche Johanna ha amato Finnick, Annie, non dimenticarlo.
Sospiri e cedi, la vedi sorridere mentre prende fra le braccia il piccolo Finn. Un sorriso trionfante sul volto e ti fa male, Annie. Non è giusto.
Seaweed miagola, come per confortarti. Cosa direbbe Finnick, se ti vedesse adesso?
Johanna inclina al testa, tuo figlio fra le braccia.
-Ricorda- dice, piano. –Che lui ha scelto te-
E si allontana, lasciandoti sola. Senza tuo figlio. Solo perché Finnick ha scelto te.


Era dicembre e pioveva sempre, ancora la neve non era arrivata. Passavi tutto il tuo tempo seduta in un angolo a pensare. E Finnick sedeva accanto a te, come quando eravate solo dei ragazzi. Non parlavate mai, aspettavate solo che il freddo allentasse la sua morsa.
Posavi la testa sulla sua spalla ed ascoltavi il lento, placido battito dei vostri cuori. La domanda uscì dalla tua bocca prima che tu riuscissi a fermarla.
-Mi ami, Finnick?- un sussurro appena udibile, una frase che avresti dovuto solo pensare. Che rimase sospesa nel vuoto, in attesa di una risposta che, così credevi, non sarebbe mai arrivata.
Non avresti dovuto dirlo, ne eri certa. Quella frase risuonava nella tua testa, un coro simile a quei “pazza” che odiavi già.
Aveva risposto quasi subito, senza un minimo  d’incertezza. –Ti amo- aveva sussurrato sui tuoi capelli. –Ti amo-
E ti eri fidata di lui, totalmente e completamente. Perché anche tu lo amavi.
Ti aveva stretta a sé, con delicatezza, per non farti male. Mai più, aveva detto. E tu non eri più stata male, perché lui te l’aveva promesso.
Si era allontanato presto, come ogni volta. Aveva quasi paura di ferirti.
-No- aveva mormorato. –Non posso farti male-
E tu eri tornata fra le sue braccia, attirata da una forza miseriosa. Non potevi tollerare di restare lontana da lui, non di nuovo.
-Ti prego- avevi mormorato tu, piano. E lui ti aveva avvolta nel suo abbraccio di velluto, per proteggerti.
Avevi guardato il suo viso serio, gli occhi dello stesso colore del mare. Ed avevi pronunciato quelle due parole che nessuno dovrebbe mai dire, perché fa troppo male. Il sangue scorre al suono di quelle parole maledette, i mostri sotto il letto tornano in superfice per spaventare i bambini. E tu, ingenua più di una bambina, non potevi saperlo.
-Ti amo anche io- avevi mormorato, cacciando indietro delle lacrime. E lui non era riuscito a trattenere un sorriso, davanti alla tua sincerità disarmante.
Avevi chiuso gli occhi, come un bambino piccolo di fronte ad i suoi mostri. I bambini hanno paura dei mostri perché non conoscono altro. E tu eri ancora una bambina, innamorata del principe azzurro e che teme i mostri più di altra cosa.
-Non permetterò che ti facciano ancora del male- aveva detto Finnick, quando avevi iniziato a tremare fra le sue braccia. –No, no Annie- aveva detto, quando ti eri coperta le orecchie con le mani. Con delicatezza di aveva convinta ad abbassare le mani. –Va tutto bene-
E ti eri fidata di lui, perché lo amavi.
Solo lui, nessun altro.


Il piccolo Finn non piange mai. O, forse, sei tu che non riesci a sentirlo. Di notte dorme e non piange, di giorno è al sicuro fra le braccia di Johanna. È tuo figlio eppure non lo è.
Di notte lo guardi dormire e permetti alle ombre scure di stabilirsi sotto i tuoi occhi. Sei stanca, Annie. Lo fai solo per il tuo bambino, perché abbia una madre.
Il tuo corpo esile diventa sempre più sottile, le ossa sporgono attraverso la pelle chiara. Sei malata, Annie. Non importa, finché avrai la forza di guardare tuo figlio.
La mente continua a viaggiare, esplora mondi sconosciuti. Viaggi e scappi via da questo posto pieno di ricordi, vai da Finnick. Sei pazza, Annie, lo sai anche tu.
Sospiri pesantemente e guardi tuo figlio, fra le braccia di Johanna. Tu non lo puoi tenere a lungo che lei giunge a sottrartelo.
Tendi le braccia, come fa lei. –Dammelo- mormori, piano.
Lei ti lancia un’occhiata divertita, come quando una bambina tenta di raccontare una bugia a sua madre e quella non riesce a non trovarla spassosa.
Fa un gesto con la mano, come per scacciare via un tafano. –Non essere sciocca- risponde, semplicemente.
Non essere sciocca, Annie. Non puoi tenere tuo figlio, è troppo fragile per le tue mani da pazza. Sei debole, Annie, sei pazza. Non puoi toccarlo.
Solo Seaweed ti è di conforto, miagola per riportarti sulla terra, lontano dall’abisso.
-Per favore- la supplichi, le braccia protese per prendere il bambino. La supplichi perché non puoi fare altro. Sei sola, Annie, completamente sola.
Johanna sorride con fare amabile, quasi fa le fusa come Seaweed. La sua voce è salda e dura mentre pronuncia quella sola parola.
-No- dice, rigida, il tuo bambino fra le braccia. Un bagliore strano nei suoi occhi, ne hai paura. Ammettilo Annie, Johanna ti spaventa. –Non puoi-
Il tuo cuore si spezza, lentamente. Non era quello che Finnick  voleva per te.
-Ma…- mormori, la voce che tradisce le lacrime imminenti. –Finnick…-
Johanna sbuffa, fa così ogni volta che mormori il nome di tuo marito. Perché lui non ha scelto lei e tu, con la tua presenza, non fai altro che ricordarglielo.
-Non parlare di lui- ti ammonisce Johanna, rigida. –Non parlare mai di lui. Il fatto che lui abbia scelto te… non significa niente. Niente-
Una lacrima cade sul tuo vestito. Ma è una sola, non ce ne sono altre.
Un sorriso amarosi forma sulla bocca di Johanna. –Non ho mai capito- mormora. –Perché abbia scelto te. Cos’hai tu che io non ho?-
La domanda cade nel vuoto. Scuoti la testa, Annie, non lo sai nemmeno tu. E le tue braccia rimangono vuote, il piccolo Finn dormicchia sulla spalla di Johanna.
Non è giusto, Annie.
Guardi fuori dalla finestra, la neve che cade. Il mare è vuoto, non c’è più nessuna barca.



March

A marzo c’è il disgelo. Non fa più così freddo, le navi cominciano a solcare le acque del Distretto. Non nevica più. L’altro giorno sei uscita di casa ed hai iniziato a camminare sulla spiaggia, la sabbia fredda che s’inisuava fin dentro le scarpe. Sei uscita con un vecchio scialle sulle spalle, le mani arrossate per colpa dell’aria fredda del mattino.
A marzo iniziano a crescere i fiori. Siedi sulla sabbia come facevi un tempo, da ragazza. Quando ti eri persa da poco tempo ed era ancora difficile, andare avanti. C’era Finnick, con te. Adesso non c’è più.
Canticchi una vecchia canzoncina e le tue mani stropicciano la gonna. Avresti voluto portare Seaweed con te, ma non hai avuto il cuore di svegliarlo così presto.
Il sole si appresta a sorgere e non fa troppo freddo, non hai intenzione di tornare a casa. Non per vedere tuo figlio che ti viene portato via da Johanna.  Non per soffrire  ancora.
Sospiri e guardi il sole sorgere, il mare che bagna leggermente la sabbia. Gli occhi di tuo marito erano dello stesso colore del mare.
Sorridi mentre il vento ti accarezza i capelli, come una mano invisibile che ti rassicura. Tutti amavano gli occhi di Finnick. Solo che lui ha scelto te.
Non sei nata a marzo, Annie. Non sei un fiore che nasce dalla neve ormai sciolta. Che muore, se il gelo torna per tormentarlo.
Odore di alge, le seaweed da cui il tuo gattino prende il nome. Onde che producono una strana musica. Passi veloci, di una  donna che ha fretta. Di Johanna che ha paura del mare.
Siede accanto a te, delicatamente, con il tuo bambino fra le braccia. È cresciuto, Finn, assomiglia sempre di più a suo padre.
-Cosa ci fai qui?- domandi, piano.
Le sbuffa, irritata e sistema il piccolo Finn fra le tue braccia. Il bambino emette un suono che somiglia ad una risata e si accoccola fra le tue braccia. Ti piace.
-Tienilo- dice Johanna, semplicemente.
Apri la bocca, come per dire qualcosa, ma lei ti blocca con un gesto per la mano. –Non farmi cabiare idea- dice, prima di alzarsi. –Solo… Finnick non avrebbe permesso che andasse così-
Abbassi lo sguardo sul tuo bambino, felice di averlo di nuovo fra le braccia.
-Inizio a capire perché lui ha scelto te-


Ogni giorno ti alzavi e sedevi sulla spiaggia. Erano tempi così lontani che adesso fatichi a ricordarli. Eri tornata a casa da poco tempo, come Vincitrice.
Guardavi il mare mentre i fantasmi dei morti nei giochi ti ossessionavano. Urlavano nella tua testa e ti costringevano a tapparti le orecchie per non sentirli più.
E Finnick sedeva accanto a te, in silenzio. Intrecciava una rete che non finiva mai, non ti chiedeva mai niente: sapeva che tu non amavi parlare.
Ed intrecciava la sua rete, Finnick e sembrava non finire mai. Non ti lasciava sola, nemmeno per un istante. Sapeva bene che se l’avesse fatto, saresti morta per mano dei tuoi fantasmi.
Aspettava che ti decidessi a dire qualcosa, persa com’eri fra i tuoi fantasmi. Nell’orrore che ti circondava, faticavi quasi a respirare.
Ogni tanto ti prendeva la mano e ti chiedeva scusa. E tu quasi sorridevi, ricordando il bambino dai capelli ramati che ti aveva insegnato a nuotare.
Non dicevi mai niente.
Ed il tempo passava. Albe troppo brevi lasciavano il posto a giornate infinite. E tu ti perdevi, lentamente, in quei ricordi insopportabili
Era facile vedere il  tempo che scorreva, lentamente. La neve che cadeva, seguita dalla pioggia e dal sole di marzo.
Era marzo, quando le parole iniziarono a fuggire dalla tua bocca. Finnick si era alzato, quando il mare era diventato dello stesso colore del sangue.
-Non andartene- avevi mormorato, piano. E Finnick era scivolato accanto a te, sulla sabbia.
-No, non me ne vado- aveva risposto, un sorriso sul bel volto. –Promesso-
Ti eri fidata di lui, Annie. Fidarsi di Finnick era fin troppo facile.



Johanna è nata a marzo, lo sai bene. La vedi che guarda fuori dalla finestra, bisbigliando numeri a bassa voce. I giorni che ha vissuto.
Dita che si muovo velocemente. I giorni che ha perso.
Un sospiro. I giorni senza  Finnick.
Quelli che tu condividi, nonostante tutto.
Con marzo finisce la speranza di Johanna: è passato altro tempo. Un’infinita massa di giorni tutti uguali. Senza Finnick. Sai anche tu cosa significa, Annie, non dimenticarlo.





Bessie' s Corner:

Non ci credo. L'ho fatto. Ho scritto la mia seconda Fannie, nonostante la mia ben nota incapacità di scrivere sul Pairing. Sul serio, mi sto ancora chiedendo cosa diamine mi sia preso.
*momento di riflessione*
Ok, stavo dicendo. La storia. Sì, dunque. E' una mini long e mi sembra giusto dirlo. Sono ben tre capitoli, di tredici pagine ciascuno. Il secondo è già stato scritto, il terzo lo sto scrivendo ora.
Eh, che dire? E' Angst. Come la maggior parte dei miei lavori. Non so perché *ironia mode: on* ma Annie m'ispira un sacco di Angst. Un sacchissimo (?). Anyway, chiarisco qualche punto, così:
- Gli abusi. Non so da dove sia nata quest'idea. Ma io ci credo veramente. Mi sembra strano che nessuno l'abbia toccata, durante la prigionia. Chiamatemi pazza e sadica.
- AnnieFinnickJohanna. Da dove è venuto fuori, questo triangolo? Sinceramente, non lo so. All'inizio dovevano esserci accenni di JohannaDarius. Poi (come al solito), i pg si sono ribellati ed è uscita questa cosa. Mea culpa. Credo.
- La storia dei nodi. Non so da voi, ma da me si dice abbastanza spesso. Ok, questo punto è potenzialmente inutile xD
- Johanna. Mi sembra vagamente OOC. Non so che farci.
- Seaweed. Alga marina. Cme avrete modo di constatare anche nel prossimo capitolo, ho una (ehm...) grande fantasia. Quindi partorisco questi splendidi nomi per gatti. Vi dico subito che questo è il meno peggio. Preparatevi.
Ok, ho finito con i punti. Finisco con l'ultimissima cosa.
Allora, mi piacerebbe moltissimo ricevere qualche  recensione. Non per aumentare il mio gigantesco ego, ma perché sono secoli che lavoro a questa storia. E mi sono perfino impegnata, pensate un po' xD
Comunque, sorvolando su questa penosa richiesta di recensione, ci terrei a ringraziare un po' di persone. In primis Sara, Emma, Mari, Anna, Cat e Charlie. Queste sante donneH hanno assistito ai miei scleri. *costruisce monumento*
Ovviamente va tutto il mio ammmore ai mebri dell'Emmagono e del "Well, tell them how I love fangirling".
Direi che ho finito, esultate pure :3
Ci vediamo al più presto (non oltre lunedì prossimo) con il cap 2.
Bess
P.S. Questa ff è stata scritta per l'OTP Challenge del gruppo "Well, tell them how I love fangirling (HG)".
   
 
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