Non sono
mai stata più felice di quando sono morta. Ma partiamo dal principio.
Mi chiamo
Johanna e sono un fantasma, ma non un fantasma qualunque. Il fantasma più sexy che
possa vagare sulla faccia della Terra in eterno, e l’unico che varrebbe la pena
di vedere, a causa della mia stravagante storia.
Per capirla
meglio dovete sapere che sono… o meglio, che ero una viaggiatrice nel tempo. Mi succedeva spesso, di saltare da
un’epoca all’altra. Tutto d’un tratto mi trovavo a camminare in epoche che
nemmeno sapevo definire e dopo qualche ora tornavo indietro. All’inizio era
divertente, salutare la gente che passava, stare in jeans e canottiera nel
secolo passato, combinare guai e poi tornare indietro, sparendo dalla vista di
chiunque mi inseguisse al momento (sì, finiva sempre così). Potevo andare
avanti per sempre, perché non capitavo mai nella stessa epoca per due volte.
Vi
chiederete cosa ne pensavano i miei genitori di tutto questo. Beh, era quello
il bello di tutta questa storia. Mia madre era sempre in giro per lavoro e mio
padre viveva dall’altra parte del mondo, probabilmente si era persino
dimenticato della mia esistenza. Vivevo nella casa di mia madre, il più delle
volte da sola. Non c’era mai, per cui non poteva accorgersi che viaggiavo nel
tempo. Casa mia era lontana da qualsiasi altra città lontana dell’Irlanda e
nessuno si sarebbe accorto di niente.
Il
divertimento finì quando viaggiare nel tempo diventò il mio mestiere. Una sera,
mi trovavo ad un ballo. Ero ubriaca fradicia, tracannavo bicchieri di vino come
fosse acqua. Me la stavo spassando. Ad un certo punto mi si avvicinò un tipo,
moro, alto con gli occhi azzurri. Mi chiese come mi chiamavo e dove abitavo.
Ero troppo ubriaca per mandarlo a quel paese, per cui gli dissi tutto, e poi
tornai nel presente.
Il
ragazzo si chiamava Jonathan, e diventò il mio migliore amico, nonché compagno
di viaggio. Avevamo scoperto questa società segreta, la A.V.T. ed eravamo
diventate delle spie. Il nostro compito era quello di scovare gli “aspiranti
dittatori” e i loro scagnozzi e di fermarli in qualche modo, per cercare di
cambiare il corso della storia. Non ci ho mai capito niente di questo lavoro, so solo che entravamo in una cabina insieme e
ci trovavamo nel passato. Stavamo via massimo due o tre ore e viaggiavamo tutti
i giorni. Nei nostri viaggi conversavamo principalmente con Lord famosi (anche
se io non ne avevo mai sentito parlare) per cercare informazioni utili sulla
nostra missione, e ci facevamo tanti nemici. Il compito di conversare lo
lasciavo principalmente a Jonathan, che ne capiva molto di più di me.
La mia
serie di morti iniziò un giorno, quando stavamo parlando con un re di non mi
ricordo quale stato nel 1800, credo. Stavamo parlando del tipo di governo, e di
cose da re, delle quali persi il filo più o meno dopo un minuto. Mi alzai dalla
poltrona, salutai il re con una riverenza e mi allontanai dalla sala.
Appena
uscita dalla sala, mi sentii osservata. Mi guardai furtiva intorno, ma non vidi
nessuno. Mi convinsi che non era vero e andai avanti. Poco dopo sentii un
rumore di passi alle mie spalle. Ma non di qualcuno che non voleva farsi
sentire, piuttosto il contrario. Non era abbastanza inquietante il rumore di
passi, infatti c’era anche uno stridore di lama sul pavimento. Sentii il sangue
gelarmi nelle vene.
– John,
non è divertente– dissi girandomi, ma non vidi nessuno. Mi rigirai e l’unica
cosa che vidi, per un nanosecondo fu una lama, che mi si conficcò tra gli
occhi.
Non ci
crederete, ma non so quanto tempo dopo mi risvegliai, a casa mia, nel presente.
Jonathan aveva la faccia rigata di lacrime e mi teneva la mano. Aprii gli
occhi.
– Jo,
per l’amor di Dio, mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fossi morta! – disse
preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo
– Lo credevo
anch’io!
La sua
preoccupazione si trasformò in un sorriso –Comunque, l’importante è che sei
viva. Ma non farlo mai più!
Non era
stato uno scherzo. Io ero morta, avevo sentito la vita andarsene dal mio corpo
ed ero stata avvolta dal nulla. Ma come potevo essere viva? Avevo avuto una
grande fortuna, questa era la verità.
La mia
vita ricominciò daccapo. Ero ancora una spia, viaggiavo ancora nel tempo, ma
ero stata uccisa. A parte questo, cambiò solo una cosa: dalla maggior parte dei
viaggi che facevo tornavo morta, e mi risvegliavo come se niente fosse.
Col tempo, mi abituai e ogni volta mi divertivo a comportarmi e a reagire in
modo diverso. Sono stata uccisa con ogni modo possibile e immaginabile: mi
hanno avvelenato, mi hanno pugnalato, mi hanno torturato, mi hanno picchiato a
sangue…
Ora, non pensate che, essendo successo tante volte, non abbia sentito dolore.
Ho sofferto come chiunque, e sono morta infatti. Ma avevo sempre quella grandissima
fortuna di fare il salto di ritorno in tempo per non morire, e dopo poco mi
riprendevo. Dopo un po’ era diventato snervante. Non ne potevo più.
La mia
fonte di fortuna si esaurì quel giorno. Me lo ricordo bene, oh, si se me lo
ricordo.
Stavamo
avendo un colloquio con Luigi XIV, o meglio, Jonathan lo stava avendo. Io guardavo
la stanza in cui eravamo con grande interesse, e mi specchiavo continuamente,
anche perché gli specchi erano OVUNQUE.
Mentre mi perdevo nella contemplazione di me stessa, Jonathan stava cercando,
come al solito di scoprire se il re fosse in pericolo di vita. Certo, il Re
Sole era in pericolo di vita, sempre
e comunque, da quanto sapevo di storia. Ma eravamo stati affidati a lui, e
quello dovevamo fare. Ora stavano parlando delle parrucche. Che cosa c’entra
dico io.
In quel periodo io Jonathan non andavamo molto d’accordo, poiché era convinto
che il mio comportamento fosse uno scherzo di cattivo gusto. Io tutte le volte
gli spiegavo che non era vero, e che era il salto di ritorno a salvarmi la
vita, ma lui non ci credeva.
Quella
volta rimasi nella sala del colloquio fino alla fine. Se mai vi dovesse
capitare, è una noia mortale. Uscimmo insieme e John mi fece tanti complimenti
sul fatto che non gli avevo fatto fare tutto da solo, che ero stata brava e tra
vari baci e abbracci credevo che avessimo fatto pace, ma non fu affatto così.
– Jo,
devo andare al bagno… – disse lui
– Che
informazione di vitale importanza.
– Dai,
non scherzare. Ogni volta che vado al bagno tu mi fai quegli scherzi. Non è
divertente.
– Ma ti
ho detto che non sono scherzi! Te l’ho detto che muoio veramente!
– Lo sai
che non me la bevo, Jo.
–
Mettila come vuoi. Comunque, dato che manca ancora molto al salto, quando esci
dal bagno possiamo andare nei giardini… ti va?
–
Sarebbe bellissimo!
– Okay,
allora io ti aspetto qui. – Gli sorrisi e lui si avviò verso un corridoio. Rimasi
lì immobile. Le probabilità che qualcuno volesse uccidermi erano alte, perché
ero sempre io che scoprivo le spie e le facevo finire sulla forca. Ecco perché
ammazzavano sempre me, e mai Jonathan. Mancava ancora tanto al salto e per ora
non mi sentivo osservata.
Passò un po’ di tempo e John tornò dal bagno soddisfatto.
– Ce
l’hai fatta alla fine! – Gli urlai
– Tu non
hai i tuoi tempi per queste cose?
– Beh,
sì, ma non come te!
Ridemmo
insieme e ci dirigemmo verso i giardini. Era una splendida giornata di sole,
non c’era nemmeno una nuvola al palazzo di Versailles.
Io e John stavamo parlando tranquillamente quando sentii un sibilo
all’orecchio. Poco dopo realizzai che avevo e una freccia nella spalla. Mi
contorsi e cercai di toglierla ma non ci riuscii.
– John!
Aiutami! – gli urlai disperata
– Dai,
Jo, lo so che fingi. Non prendermi in giro ancora.
– Ti
dico che sono seria!
– Non ci
credo!
– Non scherzo
dannazione!
Iniziai
a piangere disperatamente, sia dal dolore che dalla rabbia. Avevo una freccia
nella spalla e John continuava a credere che fingessi. Come poteva dubitare di
me!
– Quanto
manca al salto di ritorno? – Chiesi
– Non lo
so… credo un’ora.
“Troppo maledizione! “ Pensai. Cercai con tutte le forze
di togliermi la freccia, ma erano sforzi inutili. Sapevo che se mi avessero
uccisa prima del salto, sarebbe stata davvero la fine.
Dalla
boscaglia uscirono due uomini armati di sciabole, che si dirigevano verso di
me. Si avvicinavano sempre di più. Sentii un dialogo, ma il dolore mi distraeva
da ogni altro pensiero. Uno dei due uomini mi si avvicinò più dell’altro e,
senza pensarci troppo, fece penetrare la sua lama nel mio petto.
Il
dolore arrivò con un secondo di ritardo. Sentii una fitta alla ferita, e il
sangue macchiava la mia maglia
preferita. Chiusi gli occhi, sentii John urlare il mio nome e fui inghiottita
da un grande nulla.