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Autore: Jo Scrive    08/10/2012    1 recensioni
Johanna è una ragazza come tante altre...
O forse no.
Genere: Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VVVVVVV

Non sono mai stata più felice di quando sono morta. Ma partiamo dal principio.

Mi chiamo Johanna e sono un fantasma, ma non un fantasma qualunque. Il fantasma più sexy che possa vagare sulla faccia della Terra in eterno, e l’unico che varrebbe la pena di vedere, a causa della mia stravagante storia.

Per capirla meglio dovete sapere che sono… o meglio, che ero una viaggiatrice nel tempo. Mi succedeva spesso, di saltare da un’epoca all’altra. Tutto d’un tratto mi trovavo a camminare in epoche che nemmeno sapevo definire e dopo qualche ora tornavo indietro. All’inizio era divertente, salutare la gente che passava, stare in jeans e canottiera nel secolo passato, combinare guai e poi tornare indietro, sparendo dalla vista di chiunque mi inseguisse al momento (sì, finiva sempre così). Potevo andare avanti per sempre, perché non capitavo mai nella stessa epoca per due volte.

Vi chiederete cosa ne pensavano i miei genitori di tutto questo. Beh, era quello il bello di tutta questa storia. Mia madre era sempre in giro per lavoro e mio padre viveva dall’altra parte del mondo, probabilmente si era persino dimenticato della mia esistenza. Vivevo nella casa di mia madre, il più delle volte da sola. Non c’era mai, per cui non poteva accorgersi che viaggiavo nel tempo. Casa mia era lontana da qualsiasi altra città lontana dell’Irlanda e nessuno si sarebbe accorto di niente. 

Il divertimento finì quando viaggiare nel tempo diventò il mio mestiere. Una sera, mi trovavo ad un ballo. Ero ubriaca fradicia, tracannavo bicchieri di vino come fosse acqua. Me la stavo spassando. Ad un certo punto mi si avvicinò un tipo, moro, alto con gli occhi azzurri. Mi chiese come mi chiamavo e dove abitavo. Ero troppo ubriaca per mandarlo a quel paese, per cui gli dissi tutto, e poi tornai nel presente.

Il ragazzo si chiamava Jonathan, e diventò il mio migliore amico, nonché compagno di viaggio. Avevamo scoperto questa società segreta, la A.V.T. ed eravamo diventate delle spie. Il nostro compito era quello di scovare gli “aspiranti dittatori” e i loro scagnozzi e di fermarli in qualche modo, per cercare di cambiare il corso della storia. Non ci ho mai capito niente di questo lavoro,  so solo che entravamo in una cabina insieme e ci trovavamo nel passato. Stavamo via massimo due o tre ore e viaggiavamo tutti i giorni. Nei nostri viaggi conversavamo principalmente con Lord famosi (anche se io non ne avevo mai sentito parlare) per cercare informazioni utili sulla nostra missione, e ci facevamo tanti nemici. Il compito di conversare lo lasciavo principalmente a Jonathan, che ne capiva molto di più di me.

La mia serie di morti iniziò un giorno, quando stavamo parlando con un re di non mi ricordo quale stato nel 1800, credo. Stavamo parlando del tipo di governo, e di cose da re, delle quali persi il filo più o meno dopo un minuto. Mi alzai dalla poltrona, salutai il re con una riverenza e mi allontanai dalla sala.

Appena uscita dalla sala, mi sentii osservata. Mi guardai furtiva intorno, ma non vidi nessuno. Mi convinsi che non era vero e andai avanti. Poco dopo sentii un rumore di passi alle mie spalle. Ma non di qualcuno che non voleva farsi sentire, piuttosto il contrario. Non era abbastanza inquietante il rumore di passi, infatti c’era anche uno stridore di lama sul pavimento. Sentii il sangue gelarmi nelle vene.

– John, non è divertente– dissi girandomi, ma non vidi nessuno. Mi rigirai e l’unica cosa che vidi, per un nanosecondo fu una lama, che mi si conficcò tra gli occhi.

Non ci crederete, ma non so quanto tempo dopo mi risvegliai, a casa mia, nel presente. Jonathan aveva la faccia rigata di lacrime e mi teneva la mano. Aprii gli occhi.

– Jo, per l’amor di Dio, mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fossi morta! – disse preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo

– Lo credevo anch’io!

La sua preoccupazione si trasformò in un sorriso –Comunque, l’importante è che sei viva. Ma non farlo mai più!

Non era stato uno scherzo. Io ero morta, avevo sentito la vita andarsene dal mio corpo ed ero stata avvolta dal nulla. Ma come potevo essere viva? Avevo avuto una grande fortuna, questa era la verità.

La mia vita ricominciò daccapo. Ero ancora una spia, viaggiavo ancora nel tempo, ma ero stata uccisa. A parte questo, cambiò solo una cosa: dalla maggior parte dei viaggi che facevo tornavo morta, e mi risvegliavo come se niente fosse.
Col tempo, mi abituai e ogni volta mi divertivo a comportarmi e a reagire in modo diverso. Sono stata uccisa con ogni modo possibile e immaginabile: mi hanno avvelenato, mi hanno pugnalato, mi hanno torturato, mi hanno picchiato a sangue…
Ora, non pensate che, essendo successo tante volte, non abbia sentito dolore. Ho sofferto come chiunque, e sono morta infatti. Ma avevo sempre quella grandissima fortuna di fare il salto di ritorno in tempo per non morire, e dopo poco mi riprendevo. Dopo un po’ era diventato snervante. Non ne potevo più.

La mia fonte di fortuna si esaurì quel giorno. Me lo ricordo bene, oh, si se me lo ricordo.

Stavamo avendo un colloquio con Luigi XIV, o meglio, Jonathan lo stava avendo. Io guardavo la stanza in cui eravamo con grande interesse, e mi specchiavo continuamente, anche perché gli specchi erano OVUNQUE.
Mentre mi perdevo nella contemplazione di me stessa, Jonathan stava cercando, come al solito di scoprire se il re fosse in pericolo di vita. Certo, il Re Sole era in pericolo di vita, sempre e comunque, da quanto sapevo di storia. Ma eravamo stati affidati a lui, e quello dovevamo fare. Ora stavano parlando delle parrucche. Che cosa c’entra dico io.
In quel periodo io Jonathan non andavamo molto d’accordo, poiché era convinto che il mio comportamento fosse uno scherzo di cattivo gusto. Io tutte le volte gli spiegavo che non era vero, e che era il salto di ritorno a salvarmi la vita, ma lui non ci credeva.

Quella volta rimasi nella sala del colloquio fino alla fine. Se mai vi dovesse capitare, è una noia mortale. Uscimmo insieme e John mi fece tanti complimenti sul fatto che non gli avevo fatto fare tutto da solo, che ero stata brava e tra vari baci e abbracci credevo che avessimo fatto pace, ma non fu affatto così.

– Jo, devo andare al bagno…  – disse lui

– Che informazione di vitale importanza.

– Dai, non scherzare. Ogni volta che vado al bagno tu mi fai quegli scherzi. Non è divertente.

– Ma ti ho detto che non sono scherzi! Te l’ho detto che muoio veramente!

– Lo sai che non me la bevo, Jo.

– Mettila come vuoi. Comunque, dato che manca ancora molto al salto, quando esci dal bagno possiamo andare nei giardini… ti va?

– Sarebbe bellissimo!

– Okay, allora io ti aspetto qui. – Gli sorrisi e lui si avviò verso un corridoio. Rimasi lì immobile. Le probabilità che qualcuno volesse uccidermi erano alte, perché ero sempre io che scoprivo le spie e le facevo finire sulla forca. Ecco perché ammazzavano sempre me, e mai Jonathan. Mancava ancora tanto al salto e per ora non mi sentivo osservata.
Passò un po’ di tempo e John tornò dal bagno soddisfatto.

– Ce l’hai fatta alla fine! – Gli urlai

– Tu non hai i tuoi tempi per queste cose?

– Beh, sì, ma non come te!

Ridemmo insieme e ci dirigemmo verso i giardini. Era una splendida giornata di sole, non c’era nemmeno una nuvola al palazzo di Versailles.
Io e John stavamo parlando tranquillamente quando sentii un sibilo all’orecchio. Poco dopo realizzai che avevo e una freccia nella spalla. Mi contorsi e cercai di toglierla ma non ci riuscii.

– John! Aiutami! – gli urlai disperata

– Dai, Jo, lo so che fingi. Non prendermi in giro ancora.

– Ti dico che sono seria!

– Non ci credo!

– Non scherzo dannazione!

Iniziai a piangere disperatamente, sia dal dolore che dalla rabbia. Avevo una freccia nella spalla e John continuava a credere che fingessi. Come poteva dubitare di me!

– Quanto manca al salto di ritorno? – Chiesi

– Non lo so… credo un’ora.

 “Troppo maledizione! “ Pensai. Cercai con tutte le forze di togliermi la freccia, ma erano sforzi inutili. Sapevo che se mi avessero uccisa prima del salto, sarebbe stata davvero la fine.

Dalla boscaglia uscirono due uomini armati di sciabole, che si dirigevano verso di me. Si avvicinavano sempre di più. Sentii un dialogo, ma il dolore mi distraeva da ogni altro pensiero. Uno dei due uomini mi si avvicinò più dell’altro e, senza pensarci troppo, fece penetrare la sua lama nel mio petto.

Il dolore arrivò con un secondo di ritardo. Sentii una fitta alla ferita, e il sangue macchiava la mia maglia
preferita. Chiusi gli occhi, sentii John urlare il mio nome e fui inghiottita da un grande nulla.

Ero morta. Ero finalmente morta davvero.
  
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