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Autore: Sorella Grimm    09/10/2012    3 recensioni
Signore e Signori, Madame e Monsieur siate coraggiosi e varcate i cancelli del più pauroso e fantastico dei parchi giochi.
Salite sulle giostre più mozzafiato, urlate e spettinatevi quanto volete preparandovi ai nostri mirabolanti funamboli che nel nostro circo notturno vi terranno con il fiato sospeso rischiando il tutto per tutto solo per il vostro divertimento. Sospirate con il fantastico Borromè, infiammatevi con Anuar il Mangiafuoco e urlate con Arseniy il Matto e la sua splendida assistente U'na l'indomita.
Con lei scoprirete cosa davvero è il coraggio in ogni sua forma, perché ci si accorge di possederlo davvero solo quando si pensa di non possederlo affatto.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il coraggio ai giorni nostri viene spesso sottovalutato, non che sia un espressione umana lasciata da parte o denigrata ma solo la si reputa talmente rara nella sua autenticità quasi da passare inosservata quando la si vede.
E' stato quello però che mi ha stregato la vita quando ho conosciuto Arseniy il Matto, così si faceva chiamare nell'ambito del Park Zero, la sua casa, il suo mondo, un Luna Park di giorno, un Circo di notte.
Ci siamo incrociati alla fine dello spettacolo a cui mi avevano portato i miei genitori dopo una giornata di divertimento sulle giostre, nella città di Dingle, Irlanda, il mio paese natale. Una cittadina portuale per metà peschereccia per metà turistica, ma molto viva e attiva nella sua tranquillità, situata nella parte più settentrionale delle tre grandi lingue di terra della Contea di Kerry che si protendono sull'Oceano Atlantico. Ho sempre amato la mia città con le sue spiagge infinite di sabbia dorata, con le sue alte scogliere rocciose e i suoi boschi selvaggi dove il mondo fatato sembra realmente incontrare il nostro, amavo i turisti che affollavano i pub e il gaelico che ancora tutti parlano come secoli prima. Quelle case di pietra di cui posso ricordare ancora il fresco e solido vivere al tatto delle mie dita infantili, il muschio fresco che respirava sotto la mia schiena di bambina mentre rimanevo sdraiata sul tetto a fissare le stelle chiedendomi chi le stesse guardando con me e non sapendo che Arseniy era colui che lo stava facendo.
Il Luna Park apparteneva a suo padre Bogdan ed era stato allestito sulle scogliere di Slea Head, il punto più occidentale della terraferma irlandese. Un luogo suggestivo già senza quell'enorme tendone trasportato chissà come per la tortuosa strada panoramica affiancato dai carri ricchi di animali e attrezzature per lo spettacolo che solo oggi riesco ad elencare nella loro completezza ma che all'epoca erano solo strane e magiche cose agli occhi di una bambina. Per non parlare delle decine di giostre che avevano invaso lo spiazzo semi boschivo rendendolo ancora più stravagante.
La sera era calata da molto e lo spettacolo mi aveva infiammato il cuore con le evoluzioni degli acrobati, i clown, i trucchi dello straordinario Borromè, di cui ancora oggi non conosco il vero nome, la bellezza della donna che aveva condotto le tigri come cuccioli fedeli alla sua mano. Ma soprattutto l'esercizio eseguito da padre e figlio, un bambino allampanato sui dieci anni, truccato e vestito di pizzi con una giacca lunga con le code e un cilindro rattoppato ma lucente di strass e un uomo barbuto e corpulento ma dall'insperata agilità che aveva condotto il figlio in una serie di mirabolanti evoluzioni fisiche sia aeree che a dorso di una quadriglia di splendidi pezzati.
Il loro numero era stato pericoloso ed eccitante come quello successivo del mangiafuoco e di una donna che aveva ballato con dei nastri a cui aveva appese delle lucenti spade tanto da farmi vibrare come una corda per l'impellente desiderio di scendere e cimentarmi con loro in quelle eccitanti discipline. Le strutture esterne, la ruota panoramica, l'ottovolante, i percorsi dell'orrore, le giostrine musicali e una serie di giochi che ti frullano in ogni tua parte non erano riusciti mai a spaventarmi anche se ero solo che una bimba e su molti ancora non mi era nemmeno permesso salire.
Volevo provarli tutti.
Volevo diventare un acrobata come quello strano gruppo di gestori di giostre funamboli.
Lo avevo subito detto a mia madre che ridendo mi aveva presa un po' in giro promettendomi che mi avrebbe iscritta in palestra non appena avessi compiuto sette anni seguita da una risata roboante di mio padre non appena avevo suggerito, tutta eccitata, che potevo chiedere agli acrobati del circo di farmi provare e che magari potevamo tutti partire con loro e diventare delle star mondiali, inventare nuovi giochi mirabolanti e diventare super ricchi.
Sogni da bambina li avevano etichettati ma mentre mio padre mi lasciava gironzolare nella zona antistante il tendone, sniffando lo zucchero filato, Arseniy era spuntato da un lato del tendone  togliendosi il cilindro con un ghigno sul viso e una macchia di polvere sul naso.
Credo che anche a sei anni lo amai al primo sguardo. amai quegli occhi furbi e allegri, amai quello sporco, quei vestiti, i suoi modi e la faccia tosta con cui mi si avvicinò gongolante chiedendomi se mi era piaciuto il suo numero. Con il senno di poi mi accorgo di essere stata quasi troppo eccitata e prolissa nell'elencare tutte le cose stupende che mi avevano colpito e quanto fosse stato bravo nel saltare a testa in giù sul dorso dello stallone più scuro di tutti. Lui però non mi interruppe mai sorridendo e gonfiandosi di boria infantile ma senza darmelo troppo ad intendere e subito dopo mi trascinò dentro con la promessa di farmi vedere da vicino dove si era esibito, gli attrezzi e di presentarmi il mangiafuoco che tanto avevo osannato.
Anuar fu in effetti molto munifico nei miei confronti spiegandomi e mostrandomi l'armamentario dei suoi spettacoli quasi rivelandomi troppo ma non riuscendo a far cadere la mia meraviglia. Arseniy intanto mi guardava e mi trascinava per tutto il tendone e tra le giostre, completamente dimentica dei miei genitori, del mondo, dell'ora, del tempo, dello spazio.
Eravamo solo io e lui in un luogo da favola in cui decisi, in quell'istante, che avrei dovuto vivere.
Lo so, non feci un atto rispettoso verso i miei genitori ma mi feci promettere da quel ragazzino che mi avrebbe nascosta e che tre giorni dopo sarei partita e sarei diventata una di loro.
Lui lo fece.
Lo fece splendidamente spacciandosi da preoccupato ricercatore con i miei genitori, vagando per il parco con loro e facendogli cercare in ogni dove, fantastico con suo padre che subito si convinse che la mia presenza con loro sarebbe stata di grande utilità e che tranquillizzò i miei genitori dicendo che se mi avessero visto li avrebbe subito chiamati.
Fu' decisamente strano che non si preoccupò del dolore per i miei o della possibilità che sarei stata un peso ma, come scoprii poi, quell'uomo era convinto di poter allevare nella genialità ogni figlio di Dio e che se proprio non fossi servita a null,a di giorno sarei stata una splendida mascotte e poi presentatrice delle varie giostre del parco.
Gli anni iniziali non furono per niente duri, i miei genitori e la mia casa mi mancarono a volte ma il turbinio di quel mondo era talmente ipnotico da farmi dimenticare che avevo avuto una vita diversa.
Cambiai nome che da Bàyne O'Cennedi divenni U'na l'idomita.
Mi procurai questo soprannome per la mia spregiudicata frenesia nello studiare le discipline più estreme del mondo circense e renderle ancora peggio completamente appoggiata dal Matto che continuava a farmi da spalla. Eravamo due anime gemelle e anche ora guardandolo da sopra l'otto volante mi rendo conto che lasciarlo sarebbe l'unica cosa di cui avrei paura.
Con lui ho studiato l'acrobazia in ogni sua forma, con lui ho usato le spade e i pugnali di Gisela ,la ballerina delle lame, per farci diventare una magica coppia di lanciatori di coltelli e procurandomi non poche cicatrici.
E' con lui che ho scoperto il piacere di amare qualcuno e di provare quel brivido caldo che ti accende il corpo mentre rotei sottosopra sulla nuova giostra progettata da quel piccolo genio diventato negli anni un magnifico ingegnere.
Pare strano, lo so che un luna park abbia con se una così munifica compagnia circense ma per loro il brivido, il magico e lo spettacolare erano parte integrante di entrambi i mondi.
Mi accorsi che qualcosa non andava solo dopo quello strano lunedì.
Il Matto amava particolarmente l'Otto volante, forse per la semplicità del suo funzionamento o per un retaggio infantile e non permetteva mai ad altri se non suo padre di fare manutenzione. Come ogni giorno di chiusura era il momento in cui si sistemavano gli eventuali guasti, si controllava come anche tutte le mattine che fosse tutto in ordine e si faceva pulizia.
Io badavo alla casa stregata ,alle montagne russe per bambini e agli autoscontri. Spesso anche alle giostre dei cavalli ma solo quando Gisela si ammalava. Quel giorno avevo già sistemato gli autoscontri e pulito l'intera casa stregata ritrovandomi a dover cacciare una coppietta che chissà come si era infilata proprio lì per amoreggiare. Avevo sistemato il manichino della mummia che spesso perdeva un braccio e mi trovavo in cima alla struttura delle mini montagne russe a riavvitare un bullone ballerino notato qualche ora prima al giro di prova.
Il sole era alto e qualche goccia mi scendeva tra i seni nell'ampia scollatura della canottiera azzurra che tanto bene si accostava al nero dei mie capelli. Sbirciavo a tratti Arseniy che poco sopra stava lucidando le cabine del otto volante.
Il sole faceva risaltare i suoi capelli schiariti all'attaccatura legati dietro alla nuca con uno dei miei elastici fucsia che non si vergognava mai di mettere, lo avevo sentito urlare con suo padre anche pochi minuti prima sulla solita questione dei soldi e in quel momento speravo che quel lavoro lo calmasse visto che la settimana prima per la rabbia, alla sera, durante il nostro numero con i coltelli, aveva sbagliato infilzandomi una gamba.
Era già successo all'inizio ma mai avevo visto la rabbia sul suo viso, solo deconcentrazione, un attimo di ansia, uno spettatore rumoroso a disturbarlo ma mai la rabbia velargli gli occhi scuri.
Sapevo che era diventato avido.
Sapevo che aveva debiti con molti di noi per via del gioco.
Sapevo che desiderava prendere in mano il parco e la compagnia in modo da gestire lui i suoi guadagni e non essere più un semplice artista come lo voleva lasciare suo padre, ma diventare il padrone. Io sapevo tutto e avevo cercato di farlo ragionare, che con il tempo sarebbe arrivato quel momento e che intanto doveva ribellarsi a quel desiderio che le carte e i dadi riuscivano ad ispirargli.
Lui rideva e mi baciava facendomi dimenticare tutto e infuriare con me stessa dopo che avevamo fatto l'amore. Io lo amavo troppo ma per quanto gli parlassi non ero mai riuscita a modificare il suo essere come lui aveva plasmato il mio.
Ed ora vedevo quello che stava facendo.
Lo colsi in una delle occhiate che gli lanciavo distraendomi un poco dal lavoro per un dolce sorriso, ma in quell'attimo non fu un sorriso a spuntarmi sul volto, quanto una smorfia tra il sorpreso e il disperato.
Non capii subito perché lo facesse ma tremai in bilico su quella struttura di ferro che tante volte avevo visto montare afferrandomi con forza alle barre per non cadere, seppur imbragata, nel vuoto sottostante. L'avvitatore stava svitando alcuni bulloni senza una ragione apparente e senza che poi fossero risistemati, una serie di cavi vennero recisi dalla consolle che poi era stata risistemata a dovere e riavvitata come sempre per poi essere pulita.
E io avevo visto tutto ma non appena lo vidi guardarsi attorno scostai gli occhi continuando a vagliare le viti e ingrassando la struttura come ogni volta.
Lui fischiò nell'aria per richiamarmi e alzai gli occhi illuminandomi nel vederlo, come sempre, nascondendo il dolore che mi serrava il cuore dietro un sorriso ben studiato da anni di esibizioni e rapporto con il pubblico, che a distanza dovette risultare alquanto convincente vista la sua risata e l'invito a scendere.
Gli feci segno di aspettarmi finendo gli ultimi controlli e calandomi tra le sue braccia per stringermi a lui senza avere il coraggio di dirgli nulla.
Solo quella sera capii realmente.
Lo sentii di nuovo gridare contro Bogdan che infuriato gli lanciò contro le solite banconote di elemosina e finendo con la sua roboante risata di scherno prima di avviarsi fuori dal nostro carro.
Mi si accostò come sempre, la sua barba ormai ingrigita e quegli occhi bonari, una mano enorme che calò sul mio viso strattonandomi la gota in quel buffetto affettuoso che amava riservarmi anche quando lui lo aveva insultato a lungo. Gli sorrisi stringendogli la mano e accompagnando la sua richiesta di far ragionare il ragazzo con il solito ci proverò di rito. Avanzai avvicinandomi alla porta semi aperta e irrompendo nella stanza che mi presentava l'immagine di un ragazzo mai visto prima.
La testa tra le mani, seduto sul divano e con le dita spasmodicamente chiuse attorno al viso. Le lacrime colanti sul mento irsuto di barba che subito accolsi tra le mie dita inginocchiandomi tra le sue gambe.
Io lo uccido.
Queste furono le sue uniche parole prima che un flusso delle mie lo investisse pieno di sciocchezze per calmarlo. Lo cullavo e gli parlavo di come sarebbe andato tutto bene perché eravamo assieme e i soldi non contavano nulla. I suoi debiti li avremo saldati, il gioco sarebbe diventato solo il nostro scherzare con il pubblico e non quelle maledette carte.
Lui ascoltava passando dal pianto ai sospiri e dai sospiri ad una calma apparente che mi spezzò il cuore.
Non ebbi il coraggio.
Lo ammetto, io, colei che amava buttarsi tra i leoni, nel fuoco, ingoiare spade, farsi lanciare addosso i coltelli, sfidare la velocità massima delle montagne russe, quella del otto volante e lasciare la sua famiglia per un sogno.
Io non avevo il coraggio di dire nulla su quello che avevo visto.
Sapevo che il giorno dopo non avremo aperto, lo avevo sentito a cena, poco prima, per permettere agli animali e ad alcuni di noi di fare una vera e propria vacanza. Non temevo per il pubblico ma temevo per quello che poteva succedere.
Eppure non parlavo.
Non parlavo perché le parole sarebbero state troppo dure, perché avrebbero distorto la realtà che mi ero creata di quel ragazzo vestito di un luccicante cilindro di strass.
La mente è un arma a doppio taglio quando crea qualcosa, ci si lega ma poi capisce, negandolo, che è solo una creazione. Come una scultrice troppo impegnata nel delineare i dettagli per captare l'insieme sproporzionato, mi alzai sorridendogli con tutta la mia gioia di vivere e scrollando le spalle e le ciocche scure iniziai a programmare la giornata successiva.
Io domandavo, lui non mi rispondeva. Ma io andavo avanti.
Il mare, il sole, noi due sulla spiaggia, nessuna preoccupazione, nessuna tristezza, nessuna avarizia. Il mio sogno dorato.
E lui solo alla fine mi prese per le spalle facendomi voltare dolcemente ma con fermezza, muovendo i pollici sulla pelle nuda delle mie braccia e fissando i suoi occhi scuri nei miei.
- Domani e per sempre, realizzerò ogni tuo sogno
Le sue parole mi sciolsero il cuore. E come poteva essere altrimenti?
Il suo viso era davanti al mio, illuminato dalla luce della luna e dalle lampade subito fuori la finestra, striandoglielo di ombre scure per le persiane semi abbassate. Era lì, davanti a me, e anche se quei bulloni erano stati tolti quelli del mio cuore li aveva stretti personalmente, uno a uno, legandomi a lui con l'indissolubilità dell'universo intero.
Lo guardai inerte aspettando che muovesse i miei fili come il burattinaio che era e lui lo fece, suonando le mie corde di una sinfonia d'amore e desiderio tanto da lasciarmi sfinita e ansante tra le sue braccia ad agognare ancora e ancora che lui mi legasse a se.
Le dita accarezzarono la mia pelle che si alzava in brividi sotto la sua, le sue labbra sfioravano le mie già schiuse tentandomi e respingendomi allo stesso tempo appena reagivo cercando di serrargliele contro.
Le dita aperte pettinavano i miei capelli costringendomi a dondolare all'indietro con la testa ad ogni passata scossa da quei brividi che mi stavano bruciando la mente, ipnotizzandomi. Le spalline si abbassavano lasciandomi scoperto il petto ansante, gli occhi chiusi che non vedevano, persi nelle sensazioni che mi riportavano a casa, in un passato, in un futuro.
Il letto sotto la schiena solo una morbida presenza prima che il caldo di un petto nudo mi scaldasse il seno tendendolo in cerca di carezze che subito arrivavano. Le gambe nude facevano crepitare i peli delle sue mentre lo cingevano, in quella danza così naturale da essere parte di qualcosa di più grande, qualcosa che mi colmava la testa svuotandola, ogni volta.
La sua forza contro la mia debolezza in un moto perpetuo che attivava ogni mia cellula facendomi vedere ogni cosa. Sentire ogni cosa.
Tutte le altre volte che aveva avuto luogo, tutte le ore trascorse assieme, quei fiori bagnati di rugiada nel vaso sulla finestra raccolti per il mio compleanno, per ogni compleanno, le lame sulla mia pelle, la cura nello stringere quei nodi attorno ai miei polsi e alle mie caviglie prima di ogni numero.
E ancora la musica dell'armonica a bocca suonata solo per vedermi ballare, i disegni dei suoi progetti tecnici, il rumore della carta smossa nel silenzio notturno prima di un esame, i brindisi, il primo bacio, i primi debiti, le risate trillanti sotto le coperte, le urla contro Bogdan.
Vecchio, tiranno, odio, morte, soldi, possesso, amore, stolto, avido, ignorante, stupido.
Alzai le palpebre a quella luce che mi inondava facendomi inarcare la schiena contro di lui, facendomi percepire il suo fiato ansante nella mia bocca aperta in quel gemito che non era gioia.
Lui mi lasciò, scivolando al mio fianco e abbracciandomi da dietro mentre voltavo la testa altrove per non fargli vedere le lacrime che mi inondavano il viso piegandomi ad una nuova consapevolezza. I suoi muscoli rilassati sui miei mentre il sonno lo prendeva, il respiro lento sulla testa.
La sua presenza accanto a me che induriva la mia fermezza ad allontanarmi da quel letto buttando le gambe a terra.
Lasciandolo solo per la prima volta.


 

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Tutto questo è quello che mi torna alla mente in una frazione di secondo mentre guardo il sole sorgere ancora una volta seduta dentro il vagoncino verde acceso striato di fiamme.
Il primo della fila, quello dei più coraggiosi.
Quello che aveva tante volte ospitato noi due da piccoli, e meno piccoli, colmandosi dei nostri strilli. Le dita strette sul tubo freddo dalla notte coprono una scritta a pennarello indelebile.
V & B 4ever.
Nascondendola alla risolutezza riscoperta poche ore prima di montare sopra la sua giostra preferita, proprio questo martedì di luglio.
Il martedì di vacanza.
Il caldo del sole non so se sia mai stato così bello ma dopo una notte seduta nel fresco dell'abitacolo d'acciaio credo sia una delle sensazioni più belle che io abbia mai provato. Con una mano mi riavvio i capelli riabbassandola a stringere la barra costringendomi a non guardare nulla se non quella splendida alba solo ai bordi del cielo striata di nuvole. Piccole macchie bianche ad incorniciare il mare già bagnato di sole sempre più chiaro ad ogni grado acquistato nei lenti minuti scanditi dal mio cuore che batte.
Un battito, due battiti.
Un battito, due battiti.
Un cigolio lontano.
Volgo il viso verso la distesa di carri e roulotte scorgendo presto la nostra porta aperta e una figura chesi gira a destra e sinistra cercando evidentemente qualcosa.
Cercando me.
Lo vedo correre dentro la tenda, sparirvi per alcuni attimi e poi uscire e correre a bussare alla porta di Bogdan.
Una pausa.
Il vento mi porta una voce ma non capisco le parole prima di vedere anche quel corpulento figuro dondolarsi fuori dalla porta con un espressione corrucciata prima di alzare gli occhi e sbirciare il parco nella mia direzione.
Non mi muovo.
Non voglio rendere tutto più facile.
Lui però sembra vedermi e gesticolare indicandomi con un sorriso.
Lo vedo.
I baffi e la pancia gli tremano, sta ridendo dando qualche pacca sulla spalla di Arseniy, immobile a guardare la sua giostra preferita.
Sento le mie labbra inclinarsi in alto in un sorriso automatico quando il solito brivido caldo mi sfiora assieme al suo sguardo e un sospiro mi fa vibrare il petto di un dubbio che mi ritrovo a combattere scuotendo la testa. Li seguo con gli occhi mentre si avvicinano, uno correndo come prima di un salto in alto, l'altro dondolando come suo solito in una serie di lunghi passi ritmati
Ehi piccola ma cosa fai lì sopra? Mi sono spaventato quando non ti ho vista a letto -
Il sorriso gli inclina le labbra in un fare dolce , quasi divertito dalla cosa e apparentemente tranquillo.
- Non ho mai fatto un giro all'alba
Quelle parole mi scivolano dalle labbra con una naturalezza e un allegria che non mi sento ma l'attrazione oggi sono solo io e devo essere perfetta
Che pazza che sei, potevi dirmelo e aspettarmi a letto invece che prendere freddo. Su scendi, ci beviamo un caffè e magari domani organizziamo per il giro albeggiante! -
Il tono è proprio il suo solito, sfrontato, velato di comando, sicuro che io scenda subito scattando tra le sue braccia come se mi servisse ossigeno. Ma sono proprio le sue certezze oggi a ravvivare la mia fiamma.
- No Matto, azionalo dai... un giro e poi ci prendiamo anche una brioche al cioccolato -
Il suo sorriso trema lievemente e io mi rendo conto di notarlo solo perchè stavo aspettando una conferma. Poi eccolo piegare la testa e buttare fuori un labbro con fare piagnucoloso
- Cattiva, non mi concedi il caffè mattiniero prima del lavoro -
dietro di lui la voce roboante del padre
- U'na, bambina, non dovresti essere cresciuta da quando ti trovavo sulle giostre ancora prima dell'apertura ? -
Anche lui ride e scherza e un sorriso si apre anche sul viso del Matto sentendosi sostenuto dal padre
- Dai scendi piccola, ti prende il tuo matto e ti porta nel mondo delle favole e dei dolciumi, sul... -
la mia voce che si unisce alla sua d'istinto
– ...monte delle meraviglie, nel bosco della paura con in mano un cilindro, sulle labbra un sorriso e la magia sulla punta delle dita -
La sento scendere dal mio viso.
E' calda, e umida.
Mi cola sulla guancia senza che io le impedisca il passaggio rilucendo alla luce e portandolo a far scemare quella faccia tosta che mi aveva conquistata in un espressione sorpresa e poi spaventata al mio scuotere la testa
No piccola ora tu scendi! -
Mi incita ancora con fare imperioso muovendo un dito verso il basso di scatto
- E lasciale fare un giro Arseniy, non morirà mica! -
Imperioso e bonario allo stesso tempo il grande Bogdan, senza sapere il perche una risata stridula mi esce dalle labbra. Vedendo il figlio immobile, interdetto, pallido ma probabilmente senza notarlo davvero, allunga la mano verso la leva della consolle muovendola di scatto in giù prima che un grido si levi dalle labbra del figlio
NO!! -


 

 

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L'ottovolante più mirabolante che abbiate mai visto!  
La sua struttura è rilucente, i suoi vagoni brillanti come il sole e infiammati di terrore.
Un giro è come scoprire un nuovo mondo, appassionante, imperdibile, unico.
Signori e signore, salite sul EightZero e la vostra vita non sarà più la stessa!



Le parole che gli sentivo dire sempre si mischiano alla consapevolezza dell'aria sul viso, della sua voce che grida tentando di tirare giù la leva che lui stesso si era assicurato non potesse più risollevarsi, guardando disperato quello che aveva voluto vedere ma con il protagonista sbagliato.
Io.
Non suo padre.
La perdita, non il guadagno.
Mi scappò una risata mentre vedevo quella sua espressione di puro terrore, di disperazione, di consapevolezza della sua follia ora reale e non solo decantata.
E' isteria. Lo percepisco nella stretta che mi prende lo stomaco, ma è anche la solita euforia che mi colpisce quando quella macchina parte sui binari prendendo velocità prima di affrontare il giro della morte.
Lo stesso che fra un attimo sarebbe diventato così realistico da superare ogni mia aspettativa di emozione.
Il vagone ruota.
Le mani stringono la barra scoprendo quella scritta ma non la guardo nemmeno presa dal momento con consapevolezza e spensieratezza assieme.
Io, l'indomita U'na, nella sua sfida finale rossa in viso per l'emozione anche mentre il vagone perde presa staccandosi di netto dal binario. Cadendo.
A testa in giù in un mare di colori.
L'adrenalina a mille.
Una lacrima gocciola dal viso striando la fronte.
Poi più nulla.


 

 

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