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Autore: Sbrecks    09/10/2012    2 recensioni
Solo qualche parola un po' personale per ringraziare John Lennon, nel giorno del suo 72esimo compleanno "mancato": una persona che -disgraziatamente- non ho mai conosciuto ma grazie alla quale, invece, sono riuscita di nuovo a riconoscermi.
Rest in Peace.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Lennon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sai John, lo so anche io che cosa si prova, a vedersi rivoltare contro il mondo : un Mondo percepito come sinceramente ostile. Ci tenevo a dirti questo.

Lo so perchè, quando gli altri bambini potevano ancora giocare a me, viceversa, la vita aveva già imposto di darmi una mossa a crescere; non c’è niente che mi facesse sentire, sul serio, più disperatamente sola.
Io, una mamma ce l’ho, certo: alle volte un po’ autoritaria( come la dolce Mimi Smith, d’altronde) e che non vede certo di buon occhio il mio impeto artistico e la mia distrazione a causa della quale finisco spesso per trascurare, inseguendo vaghi quanto indeterminati obiettivi, il lato concreto delle cose, combinando degli autentici casini.
Ma in fondo, nessuno è perfetto, no?

Mio padre, invece, se n’è andato quando io avevo solo undici anni.  Portato via da un male che, anche solo a nominarlo, fa paura: il giorno successivo alla sua morte avrebbe compiuto quarant’anni, come quaranta ne avevi tu.  Ci sono stati momenti in cui avrei voluto urlare e distruggere tutto quello che avevo intorno, per dare sfogo alla rabbia che covavo dentro, sai? Non sono neppure riuscita a dirgli addio...
Era così imbarazzante, quando mi domandavano di lui. Quando mi appioppavano le pacche sulle spalle. Detestavo quei  tremendi momenti in cui, con sguardo compassionevole, il mio prossimo pronunciava a mezza bocca uno straziante “povera cara!”.
Chi gliel’aveva mai chiesta, si poteva sapere, la compassione del cazzo? Non di certo “Io”.

Me ne sto spesso per conto mio a scrivere, da allora. Sono cresciuta con la penna tra le dita. Scarabocchio anche i fogli di giornale, se necessario. Quando l’ispirazione ti travolge, non bisogna porre limiti al processo creativo...
...sempre se così si può chiamare, realmente, la fiumana di stronzate che sono solita sciorinare. Ma non importa, questo. Quel che importa è che ora sono qui, ancora una volta. A scrivere a te.

 

Leggermente discutibile, forse, che io mi permetta di rivolgermi ad un “mostro sacro” come TE, per pontificare di stupide idiozie inerenti all’esperienza di vita (per quanto scarsa) di “una come ME”. Una ragazza come tutte le altre, insomma. O quasi. Una ragazza con gli anfibi, il muso lungo ed un dolore gigantesco dentro al cuore, che non si riesce a dire. Una ragazza che detesta essere toccata da mani maschili, che la fanno sentire sporca: che odia e si odia e che, per questo, al suo corpo ha fatto di tutto, compreso denutrirlo e tagliuzzarlo alla meno peggio per riuscire a piacersi, per smetterla di vedersi “troppo”, o “troppo poco” di tutto.

Ti penso spesso, Johnny. Penso a come fossi pieno di talento e ciò nonostante, alle volte, così spaventosamente insicuro di te; e questo,lo sai, mi conforta. Mi conforta perchè, ogni qual volta mi ritrovo a girovagare per il Campus della mia Università coi libri stretti al petto,sentendomi addosso il peso di un futuro che non so come vivere,mi ripeto che le persone come te hanno offerto, invece, a noi giovani una speranza a cui aggrapparsi, al di là delle poco rosee prospettive che questo discutibilissimo mondo sembra, sfortunatamente, riserbarci.

Mi diverto a immaginarti, ovunque tu sia. Spero proprio insieme a George e, magari, con mio padre. Era serio come lui e, allo stesso tempo, divertente come te. Diceva sempre che il giorno della mia festa di laurea sarebbe stato gravido d’orgoglio ed avrebbe fatto il tifo per me, dall’ultima fila di banchi.
Ma questo sarò il mio ultimo anno, in Uni: e lui, in quel giorno speciale, a prescindere dal mese in cui il tanto “sudato” traguardo sarà destinato ad essere varcato, invece, non ci sarà. Come non c’è stato quando ho iniziato il liceo o compiuto diciotto anni, d’altra parte. Quando ho stretto nella mano il mio diploma di maturità, o pianto per la prima volta su ciò che restava del mio cuore spezzato. Non c’era mentre salivo sulla bilancia cinque volte al giorno, ripentendomi alienata che non ero abbastanza magra, che ancora “potevo migliorare”: e non c’era nel momento in cui avrei avuto bisogno, disperatamente, anche solo di un suo schiaffo, di un suo rimprovero.

A cosa servirebbe starsene qui, a dirti che so cosa si prova quando si soffre, dolce John? A nulla. Perchè non cambierebbe una virgola del tuo passato o del mio, né aggiungerebbe alcuna novità a quello che, ne sono certa, sicuramente già conosci.

Però volevo ringraziarti, ecco tutto. Ringraziarti perchè io e te ci siamo incontrati nel momento in cui ero più sola e più disperata: ed anche se sembra una sciocchezza, nessuno potrà mai capire quanto tu e gli altri tre di Liverpool mi abbiate aiutata realmente. Ricordo ancora i giorni orribili della mia “malattia”: me ne stavo stravaccata sul divano senza forza di uscire di casa, senza più la voglia di frequentare l’Università che tanto avevo sognato durante gli anni del liceo e con un macigno pesantissimo sopra il cuore. Ai miei amici non rispondevo. Il mio ragazzo si disinteressava totalmente di me. Mia madre doveva letteralmente imboccarmi per convincermi a mangiare qualcosa, mentre piangevo come una fontana.

Uno strazio. UN VERO STRAZIO.


Mio padre diceva che tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa, perchè fa bene alla vita. Fosse anche nei motori: ed era questa, probabilmente, la sua fede più sincera, visto che era stato un pilota.
In un momento in cui non credevo più “a niente” mi sono imbattuta nella tua enigmatica figura. E di colpo, tutto è stato diverso.
Di colpo, ho iniziato a crederTI del “TUTTO”.

Ce l’ho anche io un “Paul”, sai, Johnny? Un’amica con la quale intrattengo un rapporto di odio e di amore, di sorellanza e di competizione, di forti sentimenti e sibilanti gelosie. Ringo ancora mi manca, ma confido pur sempre di trovarlo, magari. Un bel ragazzo spiritoso dagli occhi azzurri, forse, che finalmente dimostri di sapere ragionare con quel che ha sulle spalle, e non dentro alle mutande. Ed ho anche un George , invece, se è per questo: mia sorella più piccola che è sempre con me, con il suo ottimismo ed il suo buon cuore inossidabile. Mia sorella che sa essere comprensiva a fronte dei miei scatti di rabbia che mi portano a ribaltare il mondo salvo poi, due secondi dopo, farmi mettere dal mondo stesso in ginocchio. Mia sorella che, al termine di ogni mio exploit di cinismo imbarazzante o di esasperata fragilità osserva, scuotendo la testa, che siamo "terribilmente uguali".

Non ho certo la presunzione di somigliare ad un genio come te, mio caro John. Però vorrei avere quella di poterti abbracciare forte perchè, sì. Ti sono grata.

Perchè è dopo aver ascoltato “Mother” che ho deciso di prendere il coraggio: e me ne sono andata al cimitero a trovare il mio babbo, che non avevo mai avuto la forza di vedere così com’è raffigurato da quel marmo freddo, rifiutando l’idea che realmente, quella lastra di pietra, fosse tutto ciò che mi era rimasto di lui.

Perchè ho pianto, John. Ho pianto tanto tra le braccia del(la) mio(a) “Paul”, che mi diceva che non avevo bisogno di essere “così magra, per essere bella”, mentre i fiocchi di neve ci cadevano addosso.
Ho pianto cullata dall’abbraccio di Mia mamma -Mimi: che nonostante i suoi frequenti rimbrotti trova sempre, però, il buon cuore di dirmi, con tanto affetto che“nella vita sarò tutto quello che voglio essere, che ce la farò.”.

Ed ora, dopo un anno di grandi difficoltà e di sofferenze a volte inimmaginabili, sono di nuovo libera, mio caro amico. Libera: grazie a te che hai saputo tirarmi su, con i tuoi incredibili brani uno dopo l’altro,  più di quanto un analista  in carne ed ossa avrebbe mai potuto fare. La gente non ci crede, quando lo dico: ma solo io so, dentro al mio cuore, quanto la musica possa fare realmente per un cuore un po’ ammaccato....

Oggi è un giorno speciale, John.  Avresti avuto 72 anni, perchè sì: era il tuo compleanno, naturalmente, ma non solo. E’ anche il mio compleanno, sebbene la cosa sia decisamente meno importante( me ne rendo conto) agli occhi della comunità internazionale. Sono nata il nove ottobre di ventun’anni fa ed oggi, finalmente, sorrido, passeggio, saltello con leggerezza. Sono a mio agio con me stessa (anche se non sono più, purtroppo o per fortuna, un asse da stiro) e voglio confidarti due piccoli segreti, dolcezza. 

Forse, è proprio per questo che, d’altra parte, ti ho scritto. Non volermene se ti ho tediato inutilmente.

Il numero uno è che, dopo un anno, finalmente, non piango più, amico mio. Non piango più perchè il nostro sorriso è messaggero di speranza: e sei stato proprio tu a insegnarci che, quel sostantivo prezioso, non va mai lasciato cadere nel dimenticatoio. Ed allora, sorrido.

..Ma il numero due consiste nell’ammettere invece che, a capo chino oggi, spero non me ne vorrai, un paio di lacrimucce mi sono sfuggite. Guardavo la torre del Duomo colle sue guglie bianche bombardate dal sole svettare dritta verso il cielo, durante il quarto d’ora accademico, e pensavo.

Pensavo alla torre “Imagine Peace”, che Yoko ha fatto costruire per ricordare il vostro grande amore e a mio padre mentre, guarda caso, le cuffie sulle mie orecchie riproducevano, neppure a farlo apposta, “Imagine”.
Quella canzone la suonai per la prima volta con il flauto in prima media, John, e la detestai. Mio padre era appena morto e quelle parole di speranza a me, che di speranza non ne avevo proprio più, non potevano proprio che spezzare il cuore.

Oggi, invece, a distanza di nove anni (che caso anche questo, eh?) qualcosa è cambiato: ed è proprio per questo che ho pianto. Ho pensato di nuovo al tuo auspicio per un mondo senza inferno o Paradiso, senza santi né demoni, al tuo sforzo di visualizzare una porzione del nostro piccolo globo terrestre laddove, sopra le nostre teste, veleggiasse soltanto un azzurro sconfinato.

Un terso cielo immenso nel quale, io ed il mio papà che mi ha lasciato, non saremmo più stati tanto lontani. In altre parole,. “Above us, only sky”.
E sai qual è la novità, dear Johnny?
Oggi, per la prima volta, ce l’ho fatta. Te lo giuro.

Sono riuscita ad immaginarmelo davvero.

 



A Te che ci hai lasciati senza che noi lasciassimo mai Te, con affetto
sentitamente tua Amica
R.



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Ok. Scusatemi se il tono di questa pseudo lettera è decisamente personale: non è mia intenzione né farvi vomitare né suscitare attacchi di diabete compulsivo, quanto più rivolgere un pensiero con tutto il cuore che mi resta al mio idolo più sincero, che anche se inconsapevolmente ha fatto tanto per me. Auguri Johnny, ovunque tu sia. Questo nove ottobre in cui siamo nati, lo viviamo anche per te.


Peace. 

  
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