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Autore: MeMedesima    09/10/2012    2 recensioni
«Toglimi le mani di dosso, Sebastian», gracchiò, cercando di suonare abbastanza convincente.
«Emh… veramente non sono Sebastian», gli rispose una voce sconosciuta da sopra di lui.
“Che diavolo?”.
Kurt girò piano la testa. Nella sua camera, nel suo bagno, c’era uno sconosciuto che lo guardava con aria di scuse e no, decisamente non era Sebastian. Quindi…
«Chi cavolo sei?».
[Scritta per la Klaine Week, Day 2: Roomates Klaine]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I’ll Be Your Tenant

Avvertenze: nonnine inglesi, sassy Sebastian Smythe e indigestione di fluff – come al solito ;)

 

In seguito Kurt si chiese parecchie volte come avesse fatto a non essersene accorto.

Forse era esausto dopo un doppio allenamento di danza. Forse rivedere Mercedes dopo quasi quattro mesi di lontananza l’aveva distratto – quando l’aveva portata al ristorante non si era nemmeno accorto che la cheesecake che stavano mangiando era più acida del solito. O forse aveva finalmente imparato a ignorare del tutto il suo irritante compagno di stanza.

Fatto sta che quel sabato notte rientrò nella sua stanza molto più tardi del solito: saltò a piè pari il rituale di idratazione serale e si concesse solo qualche minuto per mettere via con cura i propri vestiti – lanciando appena un’occhiata alla sagoma rannicchiata sotto le coperte nel letto dall’altra parte della stanza per accertarsi che fosse effettivamente lì e non a festini alcoolici chissà dove. Poi si buttò sul letto, addormentandosi all’istante.

 

Si svegliò poche ore dopo, con una familiare sensazione alla bocca dello stomaco. Scalciò via le coperte e spalancò la porta del bagno, chinandosi sul lavandino e iniziando a vomitare l’anima.

Non stava così male da quando era bambino, e si era completamente dimenticato del bruciore alla gola, o delle lacrime che scendevano involontariamente lungo le guance.

Disgustoso, davvero.

Fortunatamente una mano si posò sulla sua fronte, tirando indietro il ciuffo di capelli che ondeggiava pericolosamente vicino alla sua bocca. Kurt ringraziò quell’anima misericordiosa che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi, almeno finché si rese conto che non poteva essere altri che il suo compagno di stanza, e decisamente non voleva che quel ragazzo gli si avvicinasse più dello stretto necessario.

Tossì un paio di volte, mentre delle dita fresche iniziavano ad accarezzargli piano una spalla. Odiava doverlo dire perché la sensazione era davvero fantastica, ma…

«Toglimi le mani di dosso, Sebastian», gracchiò, cercando di suonare abbastanza convincente.

«Emh… veramente non sono Sebastian», gli rispose una voce sconosciuta da sopra di lui.

“Che diavolo?”.

Kurt girò piano la testa. Nella sua camera, nel suo bagno, c’era un ragazzo riccio che lo guardava con aria di scuse e no, decisamente non era Sebastian. Quindi…

«Chi cavolo sei?».

Non fece in tempo a sentire la risposta: un altro  conato lo costrinse a piegarsi di nuovo sopra il lavandino, sopraffatto dal senso di nausea.

Quando la gola smise di contrarsi in quel modo orribile si accorse che lo sconosciuto era ancora lì, e che le sue mani erano ancora su di lui: anzi ora lo stava spingendo gentilmente verso la tavoletta del water, facendolo sedere sopra di essa.

Normalmente Kurt avrebbe protestato, ma in quel momento era davvero stremato, e voleva solo tornare a dormire e dimenticarsi di tutta quell’assurda situazione.

«Tieni». Un bicchiere d’acqua si materializzò nel suo campo visivo. Kurt lo prese e bevve in piccoli sorsi cauti, sospirando di sollievo quando l’acqua scivolò nel suo stomaco senza provocare altri conati.

Lasciò andare la testa contro le piastrelle del bagno – fredde, gelide, grazie a Dio – e guardò di sottecchi il ragazzo nel suo bagno, impegnato a sciacquare il bicchiere che gli aveva appena restituito.

Un po’ basso, forse, ma quei muscoli non erano niente male e – il suo sguardo scivolò più in basso – oh mio Dio, quel sedere… se era così stupendo con i pantaloni del pigiama chissà com’era in un paio di jeans attillati.

Il ragazzo si voltò, totalmente ignaro delle sue attenzioni, gli passò un braccio attorno alla vita e lo aiutò a mettersi a letto, sistemando le coperte che aveva scalciato via qualche minuto prima.

Una volta sotto le lenzuola, Kurt lasciò andare un sospiro. New York era una città famosa per molte cose, ma di certo non per la gentilezza dei suoi abitanti. Soprattutto verso degli sconosciuti…

«Come ti chiami?», riuscì a chiedere con voce roca, un attimo prima di addormentarsi.

Il ragazzo si girò e lo guardò dall’altro lato della stanza. «Mi chiamo Blaine».

«Kurt». Fece appena in tempo a sentire Blaine ripetere distrattamente il suo nome che scivolò in un sonno profondo.

 

Il mattino dopo si svegliò lentamente, sentendo la gola secca e ruvida come carta vetrata e annusando un profumo di… limone? Aggrottò le sopracciglia.

Non c’era mai profumo di limone in camera loro… casomai odore di sesso quando Sebastian portava lì le sue conquiste, ma quella era un’altra storia…

Sbatté le palpebre e si guardò attorno: nella sua stanza c’era uno sconosciuto. Uno sconosciuto che aveva in mano il suo bollitore elettrico e una bustina di tè.

No, un attimo. Quello non era uno sconosciuto, era Blaine. Quella specie di angelo moro che l’aveva aiutato la sera prima. Che si era avvicinato a lui mentre vomitava come un dannato.

“Dio benedica lui e i suoi riccioli”.

Nemmeno l’avesse chiamato, Blaine si girò verso di lui. Oh no. Portava gli occhiali. Ed era così stupidamente carino.

“Non correre, Kurt Hummel. Conoscendo la tua fortuna con i ragazzi sarà etero di sicuro…”.

Blaine, ignaro dei suoi pensieri, sfoderò un sorriso a trentadue denti. «Buongiorno!».

… cavolo. Non solo era carino. Era adorabile.

«Buongiorno». Kurt si tirò su con cautela, strofinandosi gli occhi e sedendosi contro la testata del letto.

«Sei stato tu a…?». Indicò il bollitore con un gesto incerto.

«Già». Il ragazzo prese dalla scrivania una tazza fumante e si sedette ai piedi del suo letto.

«Tieni». Gli porse la tazza. «Tè caldo al limone. Il rimedio di nonna Anderson».

Kurt accettò la tazza, cercando di non scottarsi le dita e nel frattempo di non gettare all’aria tutto e di baciarlo. «Anderson?».

«Il mio cognome», precisò il ragazzo. «Blaine Anderson. E tu sei Kurt Hummel, se non sbaglio».

«Umh, prima compari nella mia stanza a notte fonda, dopo sai il mio nome senza che te l’abbia detto… devo preoccuparmi? Per caso mi hai fissato mentre dormivo?».

Blaine rise, indicando la porta. «Il tuo nome l’ho letto sulla lavagnetta fuori dalla porta, e per inciso, sono qua da ieri pomeriggio. Quanto alla questione del dormire…». Si passò una mano fra i capelli, con aria leggermente imbarazzata. «Potrei aver dato un’occhiata questa mattina per assicurarmi che fossi vivo. Ieri sera sei stato piuttosto di merda».

Kurt soffiò sul tè per farlo raffreddare. «Credo sia stata la cheesecake… la mia debolezza». Bevve un sorso di tè. Era delizioso. «In ogni caso, non vorrei essere scortese… ma potresti dirmi che ci fai qua?».

«Nessuna offesa. Trovare un affascinante sconosciuto nella propria camera deve essere uno shock terribile», commentò, mantenendo un’espressione seria anche quando Kurt iniziò a ridere. «Anche io sarei shockato».

L’altro cercò di comporre il suo viso in un’espressione scettica. «Affascinante…».

Blaine portò una mano al petto, come se l’idea che qualcuno potesse trovarlo meno di affascinante lo offendesse oltre ogni dire. Poi riprese a parlare seriamente.

«Mi sono iscritto al corso di Musica e Composizione della NYU, e sto considerando se trasferirmi nei dormitori l’anno prossimo. E visto che Sebastian doveva andare via per una settimana mi ha proposto di venire a fare un periodo di prova, prima delle vacanze estive». Lanciò un’occhiata divertita a Kurt. «E… suppongo non ti abbia avvertito».

L’altro alzò un sopracciglio. «Non parliamo tanto, solitamente».

“Ed è un eufemismo”. Dopo un anno di convivenza non si parlavano nemmeno più, limitandosi alle battutine acide e ai commenti maligni. «Diciamo che ci stiamo sull’anima a vicenda». “Eee anche questo è un eufemismo”. Lui detestava Sebastian Smythe. «E dov’è andato?».

«Ad Oxford». Kurt alzò un sopracciglio. «Per visitare la sua famiglia», precisò Blaine.

«Stanno in Inghilterra?», chiese Kurt, sorpreso. «Credevo fosse nato a Boston».

«Già, ma da parte di madre è inglese». Il ragazzo sorrise. «Sua nonna è imparentata con i Lancaster».

Kurt mandò di traverso il sorso di tè che aveva appena bevuto. «Che cosa? Sua nonna è una nobile?».

«Una vera lady. Ma quando arriva il suo nipotino si trasforma in un’adorabile vecchietta che lo riempie di coccole e lo rimpinza di biscotti. Ma non dirgli che te l’ho detto. E ora bevi quel tè, prima che si raffreddi. L’ho fatto con tanto amore». Gli fece l’occhiolino prima di allontanarsi verso il bagno.

Stordito dalla luce dal suo sorriso e dalle nuove rivelazioni, Kurt fece una delle cose che di solito non faceva mai: stette zitto ed eseguì.

 

Fu solo dopo aver finito di bere il tè che a Kurt venne in mente di controllare l’orologio. Quando vide che erano le undici e mezza di mattina gli venne quasi un attacco isterico: se avesse saltato il corso di dizione le professoressa lo avrebbe ammazzato – continuava a insistere che la sua pronuncia era troppo midwest, anche se le aveva spiegato più di una volta che veniva dall’Ohio. Si era già catapultato fuori dal letto, afferrando il primo paio di jeans che era riuscito a trovare, prima di ricordarsi che era sabato e non doveva andare a lezione.

Decisamente più calmo, si fece una lunga doccia calda e chiamò Mercedes – che era appena atterrata a Columbus e aveva vomitato per tutto il viaggio, grazie tante.

Dopo aver terminato la chiamata, lo sguardo gli cadde su Blaine. Stava controllando le mail dal suo portatile, aggrottando leggermente le sopracciglia dietro agli occhiali. Decise immediatamente che sarebbe stato davvero uno spreco farlo rimanere in camera per una settimana intera.

«Ti va di uscire?».

«Umh?».

«Voglio farti vedere uno dei miei posti preferiti a New York».

«E quale sarebbe?».

Un quarto d’ora più tardi passeggiavano per i viali alberati di Central Park, cercando di avvicinare gli scoiattoli – Blaine – e criticando gli outfit delle tredicenni in libera uscita – Kurt.

Dopo aver fatto il giro del lago si sedettero in una delle panchine, sotto i rami di un pioppo che filtrava i raggi del sole facendoli oscillare attorno a loro.

«Posso chiederti una cosa?».

Blaine si girò verso di lui, la cannuccia del succo d’arancia fra le labbra e gli occhi quasi verdi sotto la luce del sole. «Certo».

«Tu… sei amico d Sebastian?».

«Mh-Mh. Dalle superiori».

Kurt rimase in silenzio per qualche istante. Riusciva a sento ad immaginare una persona così gentile come Blaine andare a braccetto con quell’irritante essere umano che era Sebastian Smythe.

«Ma… come? Ho visto Biancaneve. I cerbiatti con gli occhioni non sono amici della regina cattiva».

Blaine masticò piano l’estremità della cannuccia, guardandolo con aria seria. «Seb non è una regina cattiva. Al massimo potrebbe essere il cacciatore sexy», scherzò con un occhiolino.

«Ma onestamente… So che Seb di solito è molto-». Si bloccò, indeciso sulle parole da usare.

«Mi ha detto di salire a bordo del treno Smythe, e non sapevo nemmeno come si chiamasse», commentò Kurt, con voce atona. «Credevo scherzasse prima che si mettesse a palparmi il sedere».

Lo sforzo che fece Blaine per non mettersi a ridere fu davvero ammirevole. «Sì, è sempre stato così. Quando avevo sedici anni e stavo di merda mi offriva servizietti “senza obbligo di restituzione”», mimò le virgolette con le dita, facendo ridere l’altro.

In realtà Kurt sentì un’ondata di adrenalina percorrere il suo corpo a quell’affermazione. “Oh mio Dio… vuoi vedere che è gay?”.

«E… emh… avete mai…?».

«No. All’epoca ero cotto di un commesso di GAP». Blaine sorrise fra sé e sé mentre Kurt cercava di non esultare di trionfo. «Non ha funzionato con lui, e Sebastian mi è stato a sentire più di una volta. Ci provava spudoratamente fra una chiacchierata e l’altra, ma mi ha aiutato moltissimo». Sospirò, mentre il suo sguardo si rabbuiava. «Avevo fatto coming out da poco, e… beh, l’Ohio non è famoso per la mentalità aperta dei suoi abitanti».

Kurt sussultò a quell’affermazione. «Ohio? Io sono di Lima».

Blaine alzò un sopracciglio, sorridendo. «Westerville».

«Westerville? A scuola con Sebastian Smythe?». Kurt si portò una mano alla fronte, in un gesto drammatico. «Credo di avere il piacere di trovarmi davanti ad uno dei famosi Warblers…».

«Colpevole», ammise Blaine, sistemandosi il nodo di un’immaginaria cravatta.

«No, no, no. Non nominare le vostre divise, per favore».

«Che c’è che non va con la divisa?».

Kurt gli lanciò un’occhiata impietosita. «Oh, tesoro. Lascia che ti spieghi cosa c’era di sbagliato in quei blazer».

Per tutta la giornata Blaine si comportò come un perfetto gentleman: gli aprì le porte, lo aiutò a salire sulla metropolitana, lo stette a sentire senza fare una piega – anzi scoprirono che condividevano parecchi interessi e parlarono per quasi venti minuti di quanto fosse stata favolosa l’ottava stagione di Project Runway. Kurt quasi si aspettava che rubasse uno di quei cavalli della polizia e lo facesse montare all’amazzone, per poi cavalcare verso il tramonto come un perfetto principe azzurro. Certo non potevano andare a vivere in un palazzo reale, a New York, ma il Chrysler Building andava più che bene.

Entro sera – dopo che si erano seduti sul suo letto per guardare Rent, ovviamente cantando ogni canzone – Kurt si stava già chiedendo dove diavolo fosse stato nascosto Blaine Anderson per i suoi diciannove anni di vita.

 

Presto Kurt si trovò a desiderare che quella settimana non finisse mai.

Oltre ad essere il ragazzo perfetto – Rachel e Tina l’avevano adorato e portava i papillon, per l’amor del cielo – Blaine era anche il coinquilino perfetto: ordinato, gentile, e silenzioso quando si trattava di svegliarsi prima di Kurt.

E le sue previsioni si erano rivelate veritiere: domenica sera l’aveva trascinato in uno dei locali del campus per conoscere il suo gruppo di amici, e quel sedere nel paio di Levi’s che aveva indossato… beh, aveva fatto girare molti sguardi.

A volte – se non avesse saputo che con gli uomini era cronicamente sfortunato – avrebbe giurato che anche Blaine fosse interessato a lui: lunedì ad esempio l’aveva sorpreso a fissargli le lunghe gambe mentre stava uscendo per andare a lezione – no, non aveva messo quei leggins apposta… oh, e va bene, l’aveva fatto.

Martedì Kurt sfilò un fiore – una rosa gialla – dal mazzo di fiori che aveva comprato per il compleanno di Rachel e glielo offrì con un sorriso scherzoso.

Mercoledì, mentre vedevano Colazione da Tiffany in uno dei tanti cinema vintage di Chelsea, le loro mani si scontrarono per caso sopra al barattolo di pop-corn, e non si divisero per tutta la durata del film.

Ci impiegarono fino a giovedì perché Blaine gli sollevasse delicatamente il viso e lo baciasse, e altri cinque minuti perché si trovassero stesi sul letto a pomiciare.

Blaine si puntellò su un gomito, cercando di non schiacciarlo con il suo peso, e fece scivolare una mano sotto la maglietta di Kurt.

«Aspetta», lo interruppe quest’ultimo. Blaine si allontanò suo malgrado dalle labbra del ragazzo. Aveva le guancie arrossate e gli occhiali storti, e Kurt si perse ad osservare il suo viso.

«Troppo veloce?», chiese Blaine con una punta di preoccupazione nella voce

«N-No, anzi! Cioè…». Kurt si schiarì la voce. «Questa non è una cosa da una botta e via per me, Blaine. Non faccio questo tipo di cose e… e tu mi piaci molto».

Blaine sorrise, improvvisamente senza fiato. «Nemmeno io! No! Voglio dire», si corresse in fretta. «Nemmeno io sono un tipo da una notte e via. E sì, mi piaci molto anche tu, Kurt».

Gli passò una mano fra i capelli mentre il ragazzo lo guardava con espressione sorpresa.

«Davvero?».

«Per favore», sbuffò Blaine. «Conosci a memoria le ultime cento copertine di Vogue e le canzoni di tutti i musical di Webber, sai come legare un nodo Windsor, sei gentile, simpatico… e sei davvero stupendo», si chinò a baciarlo sulle labbra. «E oltre ad essere un uomo perfetto, sei anche un coinquilino perfetto».

Kurt sorrise, allacciandogli le braccia al collo e baciandolo più a lungo.

«Mi avevi convinto a Webber», sussurrò contro le sue labbra.

Blaine sorrise e fece per alzargli la T-shirt, quando fu interrotto dal rumore della porta d’entrata che si apriva.

«Hummel? Blaine?!».

In un anno di convivenza Kurt non aveva mai visto un’espressione del genere sulla faccia di Sebastian. Sentì un’ondata di calore farsi strada sulle sue guancie. Oh, fantastico…

Blaine, da parte sua, si limitò a lanciare un’occhiataccia al nuovo arrivato.

«Seb. Che ci fai qui? Non dovresti essere in Inghilterra a farti coccolare dalla nonnina fino a sabato prossimo?».

Per tutta risposta Sebastian mollò la valigia nel corridoio e si appoggiò allo stipite della porta.

«Bene, bene, bene. Ti avevo preso per uno che fa il difficile Hummel. Che sorpre-». Fu interrotto dall’impatto del cuscino di Blaine contro la sua faccia.

«Vai via e non tornare prima di un’ora, capito?».

«Va bene, va bene! Dio!». Fece dietrofront, sbattendo la porta dietro di sé. «Rompicoglioni…», lo sentirono borbottare dal corridoio.

Blaine guardò il ragazzo steso sotto di lui, togliendosi gli occhiali e poggiandoli sul comodino.

«Dove eravamo rimasti, prima della spiacevole interruzione?».

Kurt sorrise, ancora imbarazzato. «Credo stessimo parlando di Webber».

Blaine sbuffò, alzando un sopracciglio. «Certo», replicò, la voce piena di sarcasmo, prima di chinarsi su di lui e baciarlo di nuovo.

 

A/N:

Eeeeeeeeeed ecco la mia entry per il prompt Roomate Klaine della Klaine Week! :)

Ovviamente doveva essere lunga una pagina di Word e poi… sì, sì, sempre la stessa storia.

Avviso per gli interessati: domani non pubblicherò nessuna one-shot per il prompt Heroes Klaine, ma tornerò per il Day 4 con una Skank/Nerd ;)

Per il titolo ero indecisa fra questo e “Brand New Roomate”, che mi aveva consigliato la mia socia yu-gin, ma alla fine ha vinto questo, che per inciso è preso da una delle canzoni più famose del musical Rent, “I’ll cover you”, e se non l’avete mai sentita, ecco qua, andatevela ad ascoltare e piangete dalla perfezione.

Chi di voi ha un headcanon nel quale Seb ha una dolce nonnina inglese che lo rimpinza di apple pie e di scones? Eh? Non è un’immagine adorabile? <3

E ora vado a fare il pieno di one-shot!

Yay per la Klaine Week!

MM

 

  
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