I’ll
Be Your
Tenant
Avvertenze:
nonnine inglesi, sassy Sebastian Smythe e indigestione
di fluff – come al solito ;)
In seguito
Kurt si chiese parecchie volte come avesse fatto a non essersene
accorto.
Forse era
esausto dopo un doppio allenamento di danza. Forse rivedere Mercedes
dopo quasi
quattro mesi di lontananza l’aveva distratto –
quando l’aveva portata al
ristorante non si era nemmeno accorto che la cheesecake che stavano
mangiando
era più acida del solito. O forse aveva finalmente imparato
a ignorare del
tutto il suo irritante compagno di stanza.
Fatto sta
che quel sabato notte rientrò nella sua stanza molto
più tardi del solito:
saltò a piè pari il rituale di idratazione serale
e si concesse solo qualche
minuto per mettere via con cura i propri vestiti – lanciando
appena un’occhiata
alla sagoma rannicchiata sotto le coperte nel letto
dall’altra parte della
stanza per accertarsi che fosse effettivamente lì e non a
festini alcoolici
chissà dove. Poi si buttò sul letto,
addormentandosi all’istante.
Si
svegliò
poche ore dopo, con una familiare sensazione alla bocca dello stomaco.
Scalciò
via le coperte e spalancò la porta del bagno, chinandosi sul
lavandino e
iniziando a vomitare l’anima.
Non stava
così male da quando era bambino, e si era completamente
dimenticato del
bruciore alla gola, o delle lacrime che scendevano involontariamente
lungo le
guance.
Disgustoso,
davvero.
Fortunatamente
una mano si posò sulla sua fronte, tirando indietro il
ciuffo di capelli che
ondeggiava pericolosamente vicino alla sua bocca. Kurt
ringraziò quell’anima misericordiosa
che aveva avuto il coraggio di avvicinarsi, almeno finché si
rese conto che non
poteva essere altri che il suo compagno di stanza, e decisamente
non voleva che quel ragazzo gli si avvicinasse più
dello stretto necessario.
Tossì
un
paio di volte, mentre delle dita fresche iniziavano ad accarezzargli
piano una
spalla. Odiava doverlo dire perché la sensazione era davvero
fantastica, ma…
«Toglimi
le
mani di dosso, Sebastian», gracchiò, cercando di
suonare abbastanza
convincente.
«Emh…
veramente non sono Sebastian», gli rispose una voce
sconosciuta da sopra di
lui.
“Che
diavolo?”.
Kurt
girò
piano la testa. Nella sua camera, nel suo bagno,
c’era un ragazzo riccio che lo guardava con aria di scuse e
no, decisamente non
era Sebastian. Quindi…
«Chi
cavolo
sei?».
Non fece in
tempo a sentire la risposta: un altro
conato lo costrinse a piegarsi di nuovo sopra il
lavandino, sopraffatto
dal senso di nausea.
Quando la
gola smise di contrarsi in quel modo orribile si accorse che lo
sconosciuto era
ancora lì, e che le sue mani erano ancora su di lui: anzi
ora lo stava
spingendo gentilmente verso la tavoletta del water, facendolo sedere
sopra di
essa.
Normalmente
Kurt avrebbe protestato, ma in quel momento era davvero stremato, e
voleva solo
tornare a dormire e dimenticarsi di tutta quell’assurda
situazione.
«Tieni».
Un
bicchiere d’acqua si materializzò nel suo campo
visivo. Kurt lo prese e bevve
in piccoli sorsi cauti, sospirando di sollievo quando l’acqua
scivolò nel suo
stomaco senza provocare altri conati.
Lasciò
andare la testa contro le piastrelle del bagno – fredde, gelide, grazie a Dio – e
guardò di sottecchi il ragazzo nel suo
bagno, impegnato a sciacquare il bicchiere che gli aveva appena
restituito.
Un po’
basso, forse, ma quei muscoli non erano niente male e – il
suo sguardo scivolò
più in basso – oh mio Dio,
quel
sedere… se era così stupendo con i pantaloni del
pigiama chissà com’era in un
paio di jeans attillati.
Il ragazzo
si voltò, totalmente ignaro delle sue attenzioni, gli
passò un braccio attorno
alla vita e lo aiutò a mettersi a letto, sistemando le
coperte che aveva
scalciato via qualche minuto prima.
Una volta
sotto le lenzuola, Kurt lasciò andare un sospiro. New York
era una città famosa
per molte cose, ma di certo non per la gentilezza dei suoi abitanti.
Soprattutto verso degli sconosciuti…
«Come
ti
chiami?», riuscì a chiedere con voce roca, un
attimo prima di addormentarsi.
Il ragazzo
si girò e lo guardò dall’altro lato
della stanza. «Mi chiamo Blaine».
«Kurt».
Fece
appena in tempo a sentire Blaine ripetere distrattamente il suo nome
che
scivolò in un sonno profondo.
Il mattino
dopo si svegliò lentamente, sentendo la gola secca e ruvida
come carta vetrata
e annusando un profumo di… limone? Aggrottò le
sopracciglia.
Non
c’era
mai profumo di limone in camera loro… casomai odore di sesso
quando Sebastian
portava lì le sue conquiste, ma quella era
un’altra storia…
Sbatté
le
palpebre e si guardò attorno: nella sua stanza
c’era uno sconosciuto. Uno
sconosciuto che aveva in mano il suo bollitore elettrico e una bustina
di tè.
No, un
attimo. Quello non era uno sconosciuto, era Blaine. Quella specie di
angelo
moro che l’aveva aiutato la sera prima. Che si era avvicinato
a lui mentre
vomitava come un dannato.
“Dio
benedica lui e i suoi riccioli”.
Nemmeno
l’avesse chiamato, Blaine si girò verso di lui. Oh
no. Portava gli occhiali. Ed era
così stupidamente carino.
“Non
correre, Kurt Hummel. Conoscendo la tua fortuna con i ragazzi
sarà etero di
sicuro…”.
Blaine,
ignaro dei suoi pensieri, sfoderò un sorriso a trentadue
denti. «Buongiorno!».
…
cavolo.
Non solo era carino. Era adorabile.
«Buongiorno».
Kurt si tirò su con cautela, strofinandosi gli occhi e
sedendosi contro la
testata del letto.
«Sei
stato
tu a…?». Indicò il bollitore con un
gesto incerto.
«Già».
Il
ragazzo prese dalla scrivania una tazza fumante e si sedette ai piedi
del suo
letto.
«Tieni».
Gli
porse la tazza. «Tè caldo al limone. Il rimedio di
nonna Anderson».
Kurt
accettò
la tazza, cercando di non scottarsi le dita e nel frattempo di non
gettare
all’aria tutto e di baciarlo. «Anderson?».
«Il
mio
cognome», precisò il ragazzo. «Blaine
Anderson. E tu sei Kurt Hummel, se non
sbaglio».
«Umh,
prima
compari nella mia stanza a notte fonda, dopo sai il mio nome senza che
te
l’abbia detto… devo preoccuparmi? Per caso mi hai
fissato mentre dormivo?».
Blaine rise,
indicando la porta. «Il tuo nome l’ho letto sulla
lavagnetta fuori dalla porta,
e per inciso, sono qua da ieri pomeriggio. Quanto alla questione del
dormire…».
Si passò una mano fra i capelli, con aria leggermente
imbarazzata. «Potrei aver
dato un’occhiata questa
mattina per assicurarmi che fossi vivo. Ieri sera sei stato piuttosto
di
merda».
Kurt
soffiò
sul tè per farlo raffreddare. «Credo sia stata la
cheesecake… la mia debolezza».
Bevve un sorso di tè. Era delizioso. «In ogni
caso, non vorrei essere scortese…
ma potresti dirmi che ci fai qua?».
«Nessuna
offesa. Trovare un affascinante sconosciuto nella propria camera deve
essere
uno shock terribile», commentò, mantenendo
un’espressione seria anche quando
Kurt iniziò a ridere. «Anche io sarei
shockato».
L’altro
cercò di comporre il suo viso in un’espressione
scettica. «Affascinante…».
Blaine
portò
una mano al petto, come se l’idea che qualcuno potesse
trovarlo meno di
affascinante lo offendesse oltre ogni dire. Poi riprese a parlare
seriamente.
«Mi
sono
iscritto al corso di Musica e Composizione della NYU, e sto
considerando se trasferirmi
nei dormitori l’anno prossimo. E visto che Sebastian doveva
andare via per una
settimana mi ha proposto di venire a fare un periodo di prova, prima
delle
vacanze estive». Lanciò un’occhiata
divertita a Kurt. «E… suppongo non ti abbia
avvertito».
L’altro
alzò
un sopracciglio. «Non parliamo tanto, solitamente».
“Ed
è un
eufemismo”. Dopo un anno di convivenza non si parlavano
nemmeno più, limitandosi alle battutine acide e ai
commenti maligni. «Diciamo che ci stiamo sull’anima
a vicenda». “Eee anche questo
è un eufemismo”. Lui detestava
Sebastian Smythe. «E dov’è
andato?».
«Ad
Oxford».
Kurt alzò un sopracciglio. «Per visitare la sua
famiglia», precisò Blaine.
«Stanno
in
Inghilterra?», chiese Kurt, sorpreso. «Credevo
fosse nato a Boston».
«Già,
ma da
parte di madre è inglese». Il ragazzo sorrise.
«Sua nonna è imparentata con i
Lancaster».
Kurt
mandò
di traverso il sorso di tè che aveva appena bevuto.
«Che cosa? Sua nonna è una
nobile?».
«Una
vera
lady. Ma quando arriva il suo nipotino si trasforma in
un’adorabile vecchietta
che lo riempie di coccole e lo rimpinza di biscotti. Ma non dirgli che
te l’ho
detto. E ora bevi quel tè, prima che si raffreddi.
L’ho fatto con tanto amore».
Gli fece l’occhiolino prima di allontanarsi verso il bagno.
Stordito
dalla luce dal suo sorriso e dalle nuove rivelazioni, Kurt fece una
delle cose
che di solito non faceva mai: stette zitto ed eseguì.
Fu solo dopo
aver finito di bere il tè che a Kurt venne in mente di
controllare l’orologio.
Quando vide che erano le undici e mezza di mattina gli venne quasi un
attacco
isterico: se avesse saltato il corso di dizione le professoressa lo
avrebbe ammazzato –
continuava a insistere che
la sua pronuncia era troppo midwest,
anche se le aveva spiegato più di una volta che veniva
dall’Ohio. Si era già
catapultato fuori dal letto, afferrando il primo paio di jeans che era
riuscito
a trovare, prima di ricordarsi che era sabato e non doveva andare a
lezione.
Decisamente
più calmo, si fece una lunga doccia calda e
chiamò Mercedes – che era appena
atterrata a Columbus e aveva vomitato per tutto il viaggio, grazie
tante.
Dopo aver
terminato la chiamata, lo sguardo gli cadde su Blaine. Stava
controllando le
mail dal suo portatile, aggrottando leggermente le sopracciglia dietro
agli
occhiali. Decise immediatamente che sarebbe stato davvero uno spreco
farlo
rimanere in camera per una settimana intera.
«Ti va
di
uscire?».
«Umh?».
«Voglio
farti vedere uno dei miei posti preferiti a New York».
«E
quale
sarebbe?».
Un quarto
d’ora più tardi passeggiavano per i viali alberati
di Central Park, cercando di
avvicinare gli scoiattoli – Blaine – e criticando
gli outfit delle tredicenni
in libera uscita – Kurt.
Dopo aver
fatto il giro del lago si sedettero in una delle panchine, sotto i rami
di un
pioppo che filtrava i raggi del sole facendoli oscillare attorno a loro.
«Posso
chiederti una cosa?».
Blaine si
girò verso di lui, la cannuccia del succo
d’arancia fra le labbra e gli occhi
quasi verdi sotto la luce del sole. «Certo».
«Tu…
sei
amico d Sebastian?».
«Mh-Mh.
Dalle superiori».
Kurt rimase
in silenzio per qualche istante. Riusciva a sento ad immaginare una
persona
così gentile come Blaine andare a braccetto con
quell’irritante essere umano che
era Sebastian Smythe.
«Ma…
come?
Ho visto Biancaneve. I cerbiatti con gli occhioni non sono amici della
regina
cattiva».
Blaine
masticò piano l’estremità della
cannuccia, guardandolo con aria seria. «Seb non
è una regina cattiva. Al massimo potrebbe essere il
cacciatore sexy», scherzò
con un occhiolino.
«Ma
onestamente… So che Seb di solito è
molto-». Si bloccò, indeciso sulle parole
da usare.
«Mi ha
detto
di salire a bordo del treno Smythe, e non sapevo nemmeno come si
chiamasse»,
commentò Kurt, con voce atona. «Credevo scherzasse
prima che si mettesse a
palparmi il sedere».
Lo sforzo
che fece Blaine per non mettersi a ridere fu davvero ammirevole.
«Sì, è sempre
stato così. Quando avevo sedici anni e stavo di merda mi
offriva servizietti
“senza obbligo di restituzione”»,
mimò le virgolette con le dita, facendo
ridere l’altro.
In
realtà
Kurt sentì un’ondata di adrenalina percorrere il
suo corpo a quell’affermazione.
“Oh mio Dio… vuoi vedere che è
gay?”.
«E…
emh…
avete mai…?».
«No.
All’epoca ero cotto di un commesso di GAP». Blaine
sorrise fra sé e sé mentre
Kurt cercava di non esultare di trionfo. «Non ha funzionato
con lui, e Sebastian
mi è stato a sentire più di una volta. Ci provava
spudoratamente fra una chiacchierata
e l’altra, ma mi ha aiutato moltissimo».
Sospirò, mentre il suo sguardo si
rabbuiava. «Avevo fatto coming out da poco, e…
beh, l’Ohio non è famoso per la
mentalità aperta dei suoi abitanti».
Kurt
sussultò a quell’affermazione. «Ohio? Io
sono di Lima».
Blaine
alzò
un sopracciglio, sorridendo. «Westerville».
«Westerville?
A scuola con Sebastian Smythe?». Kurt si portò una
mano alla fronte, in un
gesto drammatico. «Credo di avere il piacere di trovarmi
davanti ad uno dei
famosi Warblers…».
«Colpevole»,
ammise Blaine, sistemandosi il nodo di un’immaginaria
cravatta.
«No,
no, no.
Non nominare le vostre divise, per favore».
«Che
c’è che
non va con la divisa?».
Kurt gli
lanciò un’occhiata impietosita. «Oh,
tesoro. Lascia che ti spieghi cosa c’era
di sbagliato in quei blazer».
Per tutta la
giornata Blaine si comportò come un perfetto gentleman:
gli aprì le porte, lo aiutò a salire sulla
metropolitana,
lo stette a sentire senza fare una piega – anzi scoprirono
che condividevano
parecchi interessi e parlarono per quasi venti minuti di quanto fosse
stata favolosa l’ottava
stagione di Project Runway. Kurt
quasi si aspettava
che rubasse uno di quei cavalli della polizia e lo facesse montare
all’amazzone,
per poi cavalcare verso il tramonto come un perfetto principe azzurro.
Certo
non potevano andare a vivere in un palazzo reale, a New York, ma il
Chrysler
Building andava più che bene.
Entro sera
–
dopo che si erano seduti sul suo letto per guardare Rent,
ovviamente cantando ogni canzone – Kurt si stava
già
chiedendo dove diavolo fosse stato nascosto Blaine Anderson per i suoi
diciannove anni di vita.
Presto Kurt
si trovò a desiderare che quella settimana non finisse mai.
Oltre ad
essere il ragazzo perfetto – Rachel e Tina
l’avevano adorato e portava i papillon,
per l’amor del cielo – Blaine
era anche il coinquilino perfetto: ordinato, gentile, e silenzioso
quando si
trattava di svegliarsi prima di Kurt.
E le sue
previsioni si erano rivelate veritiere: domenica sera l’aveva
trascinato in uno
dei locali del campus per conoscere il suo gruppo di amici, e quel
sedere nel
paio di Levi’s che aveva indossato… beh, aveva
fatto girare molti sguardi.
A volte
– se
non avesse saputo che con gli uomini era cronicamente sfortunato
– avrebbe
giurato che anche Blaine fosse interessato a lui: lunedì ad
esempio l’aveva
sorpreso a fissargli le lunghe gambe mentre stava uscendo per andare a
lezione
– no, non aveva messo quei leggins apposta… oh, e
va bene, l’aveva fatto.
Martedì
Kurt
sfilò un fiore – una rosa gialla – dal
mazzo di fiori che aveva comprato per il
compleanno di Rachel e glielo offrì con un sorriso scherzoso.
Mercoledì,
mentre vedevano Colazione da Tiffany
in uno dei tanti cinema vintage di Chelsea, le loro mani si scontrarono
per caso sopra al barattolo di
pop-corn,
e non si divisero per tutta la durata del film.
Ci
impiegarono fino a giovedì perché Blaine gli
sollevasse delicatamente il viso e
lo baciasse, e altri cinque minuti perché si trovassero
stesi sul letto a
pomiciare.
Blaine si
puntellò su un gomito, cercando di non schiacciarlo con il
suo peso, e fece
scivolare una mano sotto la maglietta di Kurt.
«Aspetta»,
lo
interruppe quest’ultimo. Blaine si allontanò suo
malgrado dalle labbra del
ragazzo. Aveva le guancie arrossate e gli occhiali storti, e Kurt si
perse ad
osservare il suo viso.
«Troppo
veloce?», chiese Blaine con una punta di preoccupazione nella
voce
«N-No,
anzi!
Cioè…». Kurt si schiarì la
voce. «Questa non è una cosa da una botta e via
per
me, Blaine. Non faccio questo tipo di cose e… e tu mi piaci
molto».
Blaine
sorrise, improvvisamente senza fiato. «Nemmeno io! No! Voglio
dire», si
corresse in fretta. «Nemmeno io sono un tipo da una notte e
via. E sì, mi piaci
molto anche tu, Kurt».
Gli
passò
una mano fra i capelli mentre il ragazzo lo guardava con espressione
sorpresa.
«Davvero?».
«Per favore», sbuffò
Blaine. «Conosci a
memoria le ultime cento copertine di Vogue
e le canzoni di tutti i musical di Webber, sai come legare un nodo
Windsor, sei
gentile, simpatico… e sei davvero stupendo», si
chinò a baciarlo sulle labbra. «E
oltre ad essere un uomo perfetto, sei anche un coinquilino
perfetto».
Kurt
sorrise, allacciandogli le braccia al collo e baciandolo più
a lungo.
«Mi
avevi
convinto a Webber», sussurrò contro le sue labbra.
Blaine
sorrise e fece per alzargli la T-shirt, quando fu interrotto dal rumore
della
porta d’entrata che si apriva.
«Hummel?
Blaine?!».
In un anno
di convivenza Kurt non aveva mai visto un’espressione del
genere sulla faccia
di Sebastian. Sentì un’ondata di calore farsi
strada sulle sue guancie. Oh,
fantastico…
Blaine, da
parte sua, si limitò a lanciare un’occhiataccia al
nuovo arrivato.
«Seb.
Che ci
fai qui? Non dovresti essere in Inghilterra a farti coccolare dalla
nonnina
fino a sabato prossimo?».
Per tutta
risposta
Sebastian mollò la valigia nel corridoio e si
appoggiò allo stipite della
porta.
«Bene,
bene,
bene. Ti avevo preso per uno che fa il difficile Hummel. Che
sorpre-». Fu
interrotto dall’impatto del cuscino di Blaine contro la sua
faccia.
«Vai
via e non
tornare prima di un’ora, capito?».
«Va
bene, va
bene! Dio!». Fece
dietrofront,
sbattendo la porta dietro di sé.
«Rompicoglioni…», lo sentirono
borbottare dal
corridoio.
Blaine
guardò il ragazzo steso sotto di lui, togliendosi gli
occhiali e poggiandoli
sul comodino.
«Dove
eravamo rimasti, prima della spiacevole interruzione?».
Kurt
sorrise, ancora imbarazzato. «Credo stessimo parlando di
Webber».
Blaine
sbuffò, alzando un sopracciglio. «Certo»,
replicò, la voce piena di sarcasmo, prima di chinarsi su di
lui e baciarlo di
nuovo.
A/N:
Eeeeeeeeeed
ecco la mia entry per il prompt Roomate Klaine della Klaine Week! :)
Ovviamente
doveva essere lunga una pagina di Word e poi… sì,
sì, sempre la stessa storia.
Avviso per
gli interessati: domani non pubblicherò nessuna one-shot per
il prompt Heroes Klaine,
ma tornerò per il Day 4 con una Skank/Nerd ;)
Per il
titolo ero indecisa fra questo e “Brand New Roomate”,
che mi aveva consigliato
la mia socia yu-gin,
ma alla fine ha vinto questo, che per inciso è preso da
una delle canzoni più famose del musical Rent,
“I’ll cover you”, e se non
l’avete mai sentita, ecco qua,
andatevela ad
ascoltare e piangete dalla perfezione.
Chi di voi
ha un headcanon nel quale Seb ha una dolce nonnina inglese che lo
rimpinza di
apple pie e di scones? Eh? Non è un’immagine
adorabile? <3
E ora vado a
fare il pieno di one-shot!
Yay
per la Klaine Week!
MM