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Autore: Lady Minorin Lovelace    10/10/2012    6 recensioni
E se… Kagome avesse tradito Inuyasha e il mezzo demone avesse deciso di abbandonare l’epoca Sengoku troppo piena di ricordi condivisi con lei?
Un Inuyasha ferito, che non si piange addosso, diventa un fatale seduttore, ma tre anni dopo…
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! 
Questa è una one-shot un po' vecchiotta...datazione? 2 anni!! Però mi sembrava abbastanza messa bene per essere pubblicata!
I personaggi non sono miei ma di quel genio di Rumiko Takahashi!! Buon compleanno, sensei! (eh, già oggi compie gli anni! ^_^)
Non vi trattengo oltre, buona lettura!

Lady Minorin Lovelace 

 

Senso inconfondibile

 

Il vento turbinava nell'aria di quel solito venerdì sera. Passeggiavo lungo un marciapiede circondato da una folla di sconosciuti che poco mi interessavano. Nemmeno loro erano interessati a me.

"Meglio così" Mi dissi.
A volte fa comodo vivere in una grande metropoli come Tokyo. Le persone sono prese dalla loro stessa esistenza, ignorano gli altri. Quando vivi in una città così grande, la gente è troppa anche per pensare di porre un minimo di attenzione a chi ti sta intorno.

Puoi star certo che in un'intera vita vissuta qui non rivedrai mai la stessa faccia.

Per questo avevo scelto di restare qui. Di vivere come un piccolo nulla in mezzo a una miriade di nullità.

Non volevo che nessuno mi ricordasse chi fossi o se stessi ancora effettivamente vivendo qualcosa. Provando qualcosa. O pensando davvero a qualcosa.

C'era qualcosa, una frase, che forse l'intuito mi aveva suggerito: dovevo dimenticare il passato. Così scelsi che ad affogare nell'oblio chi ero stato fosse l'immensa Tokyo.

A quel tempo non la conoscevo, questa ormai piccola Tokyo. Mi sembrò un mostro e come mio solito feci quello che avevo sempre fatto con i mostri: eliminarli.

Così dopo 3 anni non c'erano più segreti che mi nascondesse. Non avevo più nulla da temere dalle sue vie e dal oscurità dei suoi vicoli. Avevo sconfitto le sue minacce.

Era il mio habitat perfetto. Nessuno ti fa domande qui. Vai avanti con i tuoi affari e vivi da solo circondato da facce invisibili alla tua sensibilità.

Come potevo parlare di sensibilità io? Non mi si addiceva. Non con il carattere che mi ritrovavo.

Non ero solito provare mai qualcosa. Ammetto di essere un edonista, ma la ricerca del piacere non implica una vera e propria passione.

Il piacere era quello che stavo andando a procurarmi quella sera.

   Mentre camminavo per quel marciapiede mi venne in mente. Non si va mai a un appuntamento con una ragazza con un cappellino con la visiera.

Dovevo passare al mio appartamento a cambiarmi, ma non c'era tempo e non sarebbe stato galante arrivare in ritardo.

Mi fermai impalato in mezzo al passaggio delle altre persone. Mandai intorno a me un'occhiata fugace per capire dove fossi. Non mi stupii di trovarmi già nel quartiere del teatro. Il mio passo era veloce e anche se ero uscito dallo studio una mezz'oretta fa mi trovavo oltre metà strada dall'luogo dell'appuntamento.

Non c'era mezzo negozio di abbigliamento all'orizzonte. Che fastidio!

Ripresi a camminare più in fretta e mi infilai nella prima svolta a sinistra.

Il marciapiede qui era meno affollato. Diedi uno sguardo all'orologio e notai che mancava poco all'ora di chiusura dei negozi. Alzai gli occhi e cercai un posto adatto per comprare quel che cercavo.

A un centinaio di metri stavano per chiudere al pubblico lo store di una delle mie marche preferite. Con uno scatto attraversai il traffico e mi ci fiondai dentro.

"Buona sera, signore" mi sentii rivolgere da una vocina affettata. "Posso esserle utile?"

"Dove tenete i cappelli?" mi limitai a chiedere. Era inutile fare giri di parole o essere gentile con una commessa qualsiasi. Quello che avevo da fare stasera era decisamente più importante.

"L'accompagno. Mi segua da questa parte"

Ancheggiando mi condusse nell'angolo più remoto del reparto uomo dove un'intera parete mi mostrava un arsenale di copricapo di ogni sorta che sarebbe bastato per un guarnigione.

"Grazie" la congedai.

"Non vuole un aiuto per scegliere quello che le dona di più?"

"So già di cosa ho bisogno" la freddai e finalmente fui lasciato solo.

Davanti a me c'erano una serie di cappellini a visiera. Ne vidi un paio interessanti, ma non ero lì per loro. Feci qualche passo e raggiunsi la mensola dei berretti di lana.

Guardai com'ero vestito e ne afferrai tre che avrebbero potuto andare bene. Poi cercai il camerino e richiusi la porta dietro di me.

Dentro non era particolarmente angusto e nell'angolo di destra c'era una sedia dal design volutamente vintage. La spostai al centro del camerino e la rivolsi verso lo specchio per poi sedermi.

Osservai la mia immagine alle specchio. Avevo assunto una posizione volutamente virile quasi sdraiato sullo schienale come se fossi troppo stanco per stare dritto.

Dopo tre anni il mio fisico era rimasto asciutto anche se non facevo più tutto il movimento di una volta, mentre i miei muscoli erano stati scolpiti dalle ora passate in palestra. Erano evidenti ma non avevano più lo stesso vigore che mi permetteva di lottare.

Il volto. Quello, sì, che era drasticamente cambiato. Ora era più curato. Il mestiere che facevo mi imponeva di trattarlo con i prodotti per l'estesi più efficaci.

Non avrei mai pensato di fare il modello. Eppure era successo. Come era successo di vivere a Tokyo e come era successo di essere di nuovo da solo.

Non ero abituato al mio viso. Aveva dei lineamenti troppo simmetrici e regolari. Non li sentivo miei. Eppure proprio loro mi avevano permesso di diventare la persona che ero adesso. A loro dovevo la mia sopravvivenza ed ero certo che prima o poi sarei riuscito ad accettarli.

La faccia non era l'unica cosa ad essere drasticamente cambiata. Gli occhi non erano più stati loro. O meglio, non avevo permesso loro di essere ciò che erano in realtà: due pozzanghere d'ambra come fusa da raggi estivi. Era un colore troppo inusuale e non dovevo permettere a nessuno di farsi venire dei dubbi. Nessuno, nemmeno io stesso avrei dovuto sapere la verità sulla solo origine. Per questo li nascondevo anche ai miei ricordi indossando sempre lenti a contatto che ne sfalsassero il colore e se non le indossavo, non mi guardavo allo specchio e non giravo in pubblico.

Con loro avevo anche sabotato il colore naturale dei miei capelli. L'ultimo servizio fotografico aveva richiesto che me li tingessi di biondo, ma era semplicemente una mano sopra l'ennesima tintura. Sotto tutti quegli strati chimici di colore i miei capelli avrebbero brillato come l'argento con la vivacità di una farfalla e l'intensità della luna piena.

Quelli mi facevano ribrezzo. Non potevo sopportare di averli così. Era stata la prima cosa che avevo cambiato di me. Li avevo fatti tagliare corti, ma ricrescevano con una velocità disumana. Così mi toccava andare dal parrucchiere una volta a settimana.

Eppure queste non erano le uniche cose che dovevo falsificare del mio aspetto. La cosa peggiore di me erano le orecchie. Era per colpa loro se nel mio appartamento un armadio era riempito solo da cappelli. Non potevo neanche pensare di affacciarmi alla porta di casa senza la testa coperta.

Il mio primo stipendio era andato tutto speso per procurarmi tutti i copricapo possibili e ora potevo stare tranquillo di avere sempre quello giusto per l'occasione.

Non avevo le orecchie a sventola. Magari fossero state così! Avevo le orecchie di un cane. A punta con anche il pelo.

Un difetto genetico? Decisamente no. Il problema era che sono un mezzo demone cane e questo era uno dei tanti aspetti che dovevo cancellare del mio passato.

Odiavo anche solo pensare a che genere di persona fossi prima. Non ero malvagio. Probabilmente ero troppo buono.

Si potrebbe dire che ora la mia indole demonica si sentiva decisamente più realizzata di quando non nascondevo la mia vera identità, ma questo è un altro discorso.

Purtroppo, indole demoniaca o no, non esisteva più un modo per diventare umano e la chirurgia plastica non funziona. Tanto ricrescono quelle dannate orecchie!

Questo mi costringeva a indossare cappelli anche con i climi più impensabili.

Mi tolsi quello che indossavo e subito mi infilai uno dei berretti che mi ero portato dietro. Era di lana pesante, lavorato a maglia grossa. Decisamente fuori stagione anche se il colore richiamava quello scuro della camicia.

Provai il secondo, ma la forma mi ricordava troppo quella di un basco e con la giacca di pelle nera faceva a pugni.

M'infilai il terzo. Era di cotone lavorato a maglia stretta e di color carbone. Sembrava pensato apposta per essere indossato da me quella sera.

Così mi rimisi il mio cappellino e uscii per andare a pagare.

Chiesi alla cassiera di togliermi il cartellino, le porsi i soldi e tornai in camerino per fare il cambio.

Ringraziai le ragazze che mi avevano servito con il sorriso che mi veniva meglio e tornai sui miei passi per andare all'appuntamento che mi attendeva.

Sapevo di essere impeccabile con quei jeans avvolgenti, la camicia trasandata ma elegante e la giacca dal taglio sportivo.

Sapevo di essere il tipo di ragazzo che avrebbe mandato in tilt i pensieri di qualunque ragazza su cui avessi indugiato con lo sguardo quel tanto di più per essere guardato indietro con sbigottimento.

Sapevo che un aspetto così angelico era il miglior alibi per un'anima così oscura e perversa come lo era diventata la mia da tre anni ormai.

Sapevo più di ogni altra cosa che se quel anima fosse stata lasciata libera di agire come più l'aggradava non sarebbe passato molto tempo prima di venir invasa e corrosa dalla lussuria che la tentava ogni notte di più.

Questo ero diventato io, Inuyasha, dopo che Kagome Higurashi mi aveva tradito.

    Questa non era una serata qualunque. Questa era una delle serate prescelte, le sere delle notti dedite alla caccia del piacere. La sua vittima era già stata catturata e l'attesa che lo aveva pervaso per tutta la settimana non avrebbe mai eguagliato il preludio di una notte folle.

A me non interessava l'atto, ma l'aspettativa. Quella che mi perseguitava tutta la sera, il pensiero del dopo…

Godevo dell'armonia tra desiderio e contegno. Lo stallo che dovevo mantenere e la finzione che dovevo architettare.

Il dopo ci sarebbe sempre stato, era il presente che mi sarebbe sfuggito dalle dita. Non è il bacio che conta, ma pensare di baciare qualcuno. Questo ti fa perversamente sentire che qualcosa dentro c'è ancora. L'esperienza vanifica lo sforzo. La notte delude il giorno. Addentare un frutto non è come nutrirsi del sole che l'ha cresciuto.

Perciò mi stavo dirigendo a quel appuntamento, perfetto come può esserlo solo un pensiero, pericoloso come un canto troppo dolce, inarrestabile come solo un mezzo demone può essere.

Dovevo incontrarla davanti a un cinema, la mia preda.

Affrettai il passo, ma non scomposi l'eleganza della mia figura. Gli uomini non lo sanno ma il fascino che ammalia le donne sta tutto nell'atteggiamento e nella postura. Vedere un uomo che procede dritto comunica un senso di responsabilità che conquista la loro fiducia. Le incanta in un senso di innata sicurezza.

Non sapevo come ero arrivato a certe deduzioni. Forse mi era rimasto sempre qualcosa un più, come un'intuizione, dalle numerose donne che avevo incontrato. Tutte mi avevano insegnato qualcosa e ormai ero io a dover insegnare loro come esser donne.

Dovevo esser certo che se avessero ripensato a me avrebbero dovuto desiderare di essere più femminili.

Avevo incontrato ragazze che non conoscevano la loro stessa natura e uno dei piaceri più realizzanti era svelare loro le piccole nefandezze di cui ignoravano l'esistenza.

Ogni donna ha dei segreti della sua femminilità che non oserebbe mai pensare di possedere.

È notevole quello che una forte passione può portare a galla nel loro cuore.

Eppure io mi limito a sfiorare in contropelo le loro verità nascoste. È loro dovere decidere se continuare la loro ricerca.

Potrei aiutarle a svelare a loro stesse i sentimenti più brutali della loro psiche, ma questo non è contemplato dai miei doveri.

Il mio unico dovere verso me stesso è attendere il piacere e … dimenticare il passato.

   Portando avanti simili riflessioni arrivai davanti al cinema. Fiutai l'aria in cerca del suo odore.

Ormai era insolito che lo facessi. Prima quando ancora accettavo la mia natura non umana, spesso mi servivo dei miei sensi finemente sviluppati come quelli dei cani. Sentire tutti gli odori, anche i più fini, era come vivere in un mondo parallelo più luminoso e pieno.

Questa ragazza era una privilegiata. L'avevo scelta perché diversamente da altre non usava profumi e la sua pelle aveva il fascino della più ammaliante fragranza. Perciò fiutavo l'aria ad occhi chiusi in attesa della sua comparsa, intento in una ricerca eccitante e inaspettata.

La mia mente fu invasa da una confusione di sensazioni e man mano distinsi uno dall'altro ogni odore come un fiorista che dispone nel mazzo ogni singola corolla.

La strada era invasa da movimenti caotici e le sensazioni arrivavano e scomparivano repentine.

Poi il mio olfatto notò che nel turbine dei passanti solo un profumo era rimasto uguale a se stesso. Era il suo e mi stava attendendo al di là della via.

Aprii gli occhi per ammirare la mia conquista.

Era delicata come uno stelo ma il viso era pieno e felice di vedermi. Il sorriso che le si era acceso negli occhi scese e le allargò le labbra con enfasi.

Il suo bel viso di giovane donna mi indusse a sorriderle di rimando, ma rimasi serio. Con studiata flemma attraversai la carreggiata e la raggiunsi sul marciapiede, mi chinai su di lei e le sfiorai la fronte con le labbra.

Poi le sorrisi senza malizia, certo che quel gesto l'avesse messa in imbarazzo.

Con una donna ogni movimento deve essere misurato. Il gioco è un incessante alternanza tra ricercata fisicità e rispetto dignitoso.

"Buona sera, signorina" sussurrai con un tono di voce  più basso di quello naturale.

"Buona sera a te ,Inuyasha" disse dedicandomi l'ennesimo sorriso, questa volta teso.

"Hai già cenato?" chiesi per cortesia tornando al mio tono normale.

"Ehm… A dire la verità, no. Oggi mi hanno fatto uscire da lavoro a un orario assurdo" mi rispose mentre sembrava farsi più piccola. Evidentemente non voleva che pensassi stesse approfittando per scroccare una cena.

Aggrottai risentito le sopracciglia: "Non sta bene che una bella ragazza come te si trascuri così…" iniziai a dirle, ma mi interruppe.

"Fa niente! Non ho fame!"

"Non mi piace l'idea di uscire con una che invece di pensare al nostro appuntamento pensa al pasto saltato."

Era combattuta, ma poi per sicurezza mi chiese: "Sei sicuro, Inuyasha?"

"Certo!" dissi e aggiunsi mentalmente 'Voglio che tu sia bella energica per dopo' e nonostante il pensiero corrotto le sorrisi benevolo e suggerii: "Qui vicino c'è un posto dove potrebbero cucinare sashimi per gli dei. Ti va?"

Accettò di buon grado e la condussi al ristorante intrattenendola con una conversazione brillante che la mettesse a suo agio.

Quando ci fummo accomodati al nostro tavolo ebbi finalmente l'occasione di poterle parlare e guardala negli occhi. Un accorgimento che soddisfa molto alcune ragazze. Credono che gli occhi dicano tutto di una persona, ma non sanno quanto si sbagliano. Se fosse così, nessuna di quelle che ho conosciuto avrebbe mai accettato di uscire con me. Conoscendomi veramente, nessuna si sarebbe mai lasciata accarezzare da me. Invece tutte hanno finito per abbandonarsi alle mie spire avvolgenti. Quelle povere fanciulle che pensavano di aver trovato l'uomo perfetto e si sono trovate intrappolate dalle macchinazioni del principe della sensualità.

"Porti le lenti a contatto!" disse a un certo punto interrompendomi. La tentazione dei miei occhi l'aveva già tradita.

"Già" ammiccai verso un cameriere per le ordinazioni.

"Qual è il loro vero colore?" mi chiese insistendo sull'argomento. Questo era il genere di domanda che m'infastidiva, ma non sarei riuscito a cavarmela ignorandola. Il suo volto era determinato a sfilarmi via un segreto che non le apparteneva.

Così decisi di rispondere:"Del colore che vedi"

"Eppure è evidente che quelle che indossi sono lenti a contatto colorate. Dai, Inuyasha! Di che colore hai gli occhi?" finì con voce infantile e divertita.

Io non mi stavo divertendo e se avesse insistito avrei anche potuto comportarmi parecchio male.

C'era stato un tempo in cui sterminavo qualunque demone incontrassi sul mio cammino. Avrei eliminato chiunque avesse scoperto il mio segreto e lo avrei fatto brutalmente.

Ogni cosa va fatta con una precisa procedura. La mia procedura era il raggiungimento del piacere. L'avrei uccisa con una danza così sensuale che non se ne sarebbe neanche accorta e io avrei gustato il sotterfugio delle mie azioni. Tuttavia poteva ancora salvarsi da questo destino se solo avesse smesso di fare domande. Infine le risposi: "Forse un giorno lo scoprirai, ma te lo devi meritare!"

"Certo che lo scoprirò" mi sorrise giocosa. Almeno aveva smesso di interessarsi.

"Lasci che ordini io per te?"

"Sei tu che conosci il posto, è meglio di sì" concordò.

Intanto il ragazzo era arrivato e ci chiese cosa desideravamo.

"Per favore portaci il numero cinque e il numero otto dei piatti afrodisiaci" dissi lanciando un sguardo ammiccante alla ragazza. Lei arrossì di colpo, allora io sdrammatizzai con una leggera risata.

La cena procedette per il meglio. Il mio corteggiamento velato l'aveva stuzzicata per tutta la sera ed era arrivato per lei il momento di scoprire se era stato intenzionale o meno.

Eppure non potevo permettere che la serata finisse così presto. Io avevo recitato la mia parte in modo impeccabile e ora era il mio turno di divertirmi. Di attendere il dessert.

Così le proposi di andare a un party dove ci sarebbero stati i miei colleghi e un po' di gente famosa sui giornali di gossip. Lei non poteva rifiutasi.

Era tutto calcolato. La mia auto, un modello sportivo ma raffinato di suv, era parcheggiata poco lontano dal ristorante sushi. La festa era a metà strada tra il cinema e il mio appartamento.

Avevo previsto tutto. Avevo anche intuito come si sarebbe vestita per fare colpo su di me mostrando quel poco che bastava per farmi intuire le sue delicate forme.

Continuai a intrattenerla finché non fummo alla festa. Lì lasciai che si interessasse agli altri. Le presentai un po' di modelli famosi, fotografi e qualche personaggio di spicco. Era sbalordita dal attico che ci ospitava, mentre ogni sua mossa era viziata dal ritmo della musica. Avrei preferito spegnerla oppure direttamente rapire lei e portarla nel mio appartamento.

Questo era il mio momento di gloria. L'idillio dell'attesa sulla bramosia.

Mentre parlava con gli altri ospiti la osservavo annuire e fare osservazioni intelligenti, ma il mio unico pensiero era quello: impadronirmi di lei.

Sentivo vibrare il mio petto come le corde di un violino. Ne scaturiva una melodia di sensazioni violente e travolgenti. Il brivido di un istinto represso, nascosto a tutti.

Sorridevo e conversavo con il mio stile spiritoso e ammaliante, ma ogni fibra del mio corpo era tesa nello sforzo dell'autocontrollo.

Sentivo intorno a me il velo dell'incoscienza. Cercava di avvolgermi, di convincermi svelare ai presenti la mia reale indole. Perché dovevo aspettare per possedere una ragazza?

Ero cullato dal fascino che quella donna era riuscita a risvegliare in me.

L'attesa… la mia attesa. Le aspettative.

Decisi di stuzzicare me stesso. Mi chinai al suo orecchio e le sussurrai: "Mi concede questo ballo, signorina?"

La vidi annuire, le presi la mano e la condussi in un angolo della sala da ballo. Lì avrei potuto assaporare la nostra intimità.

La strinsi con sicurezza a me cingendole la vita in un gesto dall'esperienza ormai consumata.

Addolcii il mio corpo sul suo e la introdussi nei primi sinuosi movimenti della mia danza, rendendole quella melodia banale un suadente intreccio di musicali sensi.

La sentivo desiderabile. Percepivo i suoi impulsi, ma mi costrinsi a non assecondarli. La mia attesa non era ancora finita e l'avrei protratta fin tanto che i miei nervi avessero resistito al richiamo demoniaco del mio essere.

Sospinsi avanti e indietro le onde dei nostri corpi stretti in movenze ora innocenti ora pericolosamente ardite. Il suo odore mi annebbiava  l'intelletto. Bastava una frazione d'errore per rompere quel equilibrio di sospiri trattenuti.

Nell'istante dell'estasi sublime dell'intreccio degli eventi condotti della mia seducente maestria lei sì alzò sulle punte dei suoi piedini e con una leggera carezza mi donò il bacio di traguardo dei miei sforzi. Sancì così la fine del mio sfuggevole godimento. Ora lei voleva la sua parte e io non avrei mancato a ottemperare la sua timida richiesta.

Con gesto galante mi inchinai, le cinsi le mani e le chiesi con tono cordiale e divertito: "Vuole la signorina seguirmi nella mia dimora?"

Lei non mi rispose. Si diresse solo verso l'ingresso dell'attico. Recuperammo le nostre giacche e appena fummo liberi dalla musica martellante ripresi con la mia conversazione spigliata, questa volta però più intima.

La feci salire in macchina e partimmo.

Durante il tragitto capii di doverla far ridere. Percepivo la sua tensione. Non è saggio andare a casa di uno dopo il primo appuntamento.

In lei combattevano l'impressione che le avevo dato di me per tutta la serata, l'opportunità che le avevo dato di conoscere gente nuova e questo luogo comune del primo appuntamento.

Quando infine riuscii a farla ridere di gusto eravamo quasi arrivati, ma c'era ancora tempo per far scivolare nel suo orecchio qualche ingannevole complimento per completare l'opera.

Quando ormai avevo parcheggiato l'auto, i suoi dubbi si erano dissolti come neve al sole e andai ad aprirle la portiera.

Lei scese dal sedile con una grazia che apprezzai particolarmente. Avevo buon gusto quando puntavo le mie prede.

Prima di chiudere la macchina le accarezzai il volto in un intento romantico ma malinconico, un binomio che colpiva spesso la sensibilità delle mie vittime.

Il mio ego ululava di piacere nel pregustare il seguito della serata. Ormai lei era quasi in trappola nel mio regno e non sospettava minimamente quello che sarebbe successo.

Io, Inuyasha, l'avrei portata a perdersi in un vortice ignoto di sensazioni che avrebbe smarrito la sua anima come si era smarrita la mia.

"Prego" la feci entrare per prima con galanteria. Accesi le lui e mi crogiolai nel suo stupore alla vista del posto dove vivevo.

Il mio appartamento era una compenetrazione perfetta di arte tradizionale e modernità. Ogni angolo era stato studiato per essere armonico e di un'accoglienza intrigante.

Richiusi la porta e lasciai che si abituasse all'ambiente. Quando mi diede la giacca la misi via nel ripostiglio e poi feci accomodare la ragazza sul divano del salotto. Feci partire un sottofondo musicale, l'accompagnamento del flauto era perfetto per lei e per la sua personalità.

La raggiunsi sedendomi e per un secondo mi lasciai avvinghiare dall'intensità del suo profumo. Poi alzai lo sguardo su di lei e la vidi in attesa. Avrei voluto chiederle se l'aspettativa la facesse godere quanto me, ma non dovevo parlare delle mie inclinazioni con nessuno.

Mi avvicinai al suo corpicino con studiata lentezza per lasciare che fosse lei poi ad annullare la distanza.

Le donne devono credere di essere loro a scegliere se concedersi o meno. Non lo sapeva, ma avevo già scelto io per lei una settimana prima, eppure non potevo tradire le mie abilità.

La baciai prima con dolcezza. Solo poi aumentai l'insistenza per accrescere in lei quel adrenalina che ancora non le pulsava nelle vene.

La cinsi più stretta. Intensificai i miei sforzi di esserle gradito e infine sentii sussurrare: "Inuyasha…aspetta"

Aprii gli occhi per guardarla. Non ci potevo credere. Avevo sbagliato qualcosa e avevo vanificato tutto, ma nascosi quella piccola istanza di panico che si era insinuata dentro di me: "Dimmi…" Sussurrai dolcemente per non farle notare la mia irritazione.

"Inuyasha…spostiamoci sul letto. Se non ti dispiace." Mi sembrava strano che volesse tirarsi indietro, ma quelle parole furono come miele caldo per i miei pensieri.

Annuii e la presi in braccio, l'ennesimo tocco di classe della serata.

Quando fummo in camera la deposi con delicata accuratezza sul materasso dove affondò nel piumone.

Fui pervaso da uno strano istinto. Improvvisamente l'avvolsi tutta nella massa delle piume e iniziai a farla giocare con me.

Le sue risate si alzarono e invaserò la stanza con una sottile irruenza.

Era la prima volta che facevo ridere un donna prima di portarla a letto con me. Provai subito un non so che di straniante. Non era da me comportarmi così.

Poi la sua testa sbucò fuori dal piumino e mi raggiunse come un lampo. Fui investito da un bacio con una passione tale che da lei non avevo ancora percepito.

Mi sembrò una sensazione nuova. Ebbi paura. D'improvviso non volevo più completare l'opera che avevo intrapreso con questa donna, ma l'intuito mi sussurrò di non fermarmi lì.

Forse c'era ancora qualcosa che non sapevo sulle donne e questa ragazza me l'avrebbe insegnato.

Fu così che non rifiutai il suo primo bacio, né quello seguente, né quello dopo ancora.

Il suo comportamento era insolito. Mentre le altre con qui ero stato erano sempre andate al sodo, lei si divertiva a stare con me, a prolungare i momenti prima dell'amplesso.

Anche questa era un'attesa e mi venne il dubbio che anche lei fosse un esteta come me.

La sola ombra di questo pensiero mi travolse. Un vortice di desiderio inatteso mi pervase mente e corpo in un'insensata voglia di imprigionare nell'eternità questo momento.

La sovrastai con l'intenzione di porre fine all'oblio che mi ottenebrava, ma nel guardarla negli occhi non mi sentii sollevato dall'annebbiamento.

Avevo perso il controllo con una donna. Non era più successo da tre anni.

Non riuscivo a rifiutarmi di provare piacere. Eppure non volevo più godere.

"L'esperienza vanifica lo sforzo. La notte delude il giorno. Non è il bacio che conta, ma pensare di baciare qualcuno. Addentare un frutto non è come nutrirsi del sole che l'ha cresciuto."

Quello era il mio credo. L'aspettativa non deludeva mai. Era la realtà a deludere le aspettative e per me era così ormai da troppo tempo.

Eppure non riuscivo a dominare il mio raziocinio. Ogni singolo tocco della sua mano frantumava la mia volontà, eludeva le mie difese e liberava la mia anima.

Il fruscio dei vestiti che si perdevano nella stanza lasciandoci nudi ma entrambi coperti solo di noi stessi  inebriava l'aria sprigionando l'odore dell'eccitazione, mentre il sapore della sua pelle mi esplodeva sulle labbra e sulla lingua.

"Non permettere che mi fermi" mi trovai a implorarla nell'impeto della mia prima spinta.

"Non ti lascerò scappare da me" sussurrò contro il mio collo come una minaccia.

   Il brivido di piacere per l'intenso amplesso squarciò come un terremoto le membra del mio corpo mentre la mia virilità veniva soddisfatta nell'abbraccio caldo del corpo di Kagome.

"Kagome?" Il dubbio mi pervase nel singulto dell'orgasmo.

"Sì"

"Kagome…"

Ormai era troppo tardi per fermarsi. Io ero l'esteta, l'uomo in continua ricerca di nuovi piaceri e quello era il più intenso che avessi mai sperimentato.

Il mio corpo s'impossessò di quello di Kagome di nuovo.

L'avevo avuta tra le mie mani, era stata la mia vittima, ma ora ero io a essere preda di lei. Cosa poteva esserci di più piacevole che sentirsi intrappolati da uno stratega dell'ars amatoria?

Lasciai che fosse lei a dominarmi e guidarmi nelle terre della voluttuosità e della lussuria.

Quando ne ebbe a sufficienza, io non mi sentii soddisfatto e fu il mio turno di travolgerla con la mia bramosia e con i morsi della mancanza e della vendetta.

Non seppi fermarmi finché la mia furiosa natura non fu satolla della sua femminilità.

Fu allora che mi tolsi quel maledetto cappello e le lenti a contatto.

Ora volevo solo dormire. Dimenticare. Non me ne fregava nulla di quello che avrebbe fatto lei. Così risistemai il piumone e mi sdraiai per prendere sonno.

Ero stato nuovamente tradito, da me stesso questa volta.

La mia sfrenatezza mi aveva concesso a quella donna.

"Inuyasha…"

"Taci" e stette zitta. La sentii sdraiarsi di fianco a me, ma persi subito i sensi.

   Il mattino dopo l'impertinente luce dell'aurora illuminò l'immensa Tokyo con raggi rossi d'invidia.

Fu uno di loro a destarmi.

Non avevo dormito abbastanza ma l'idea di un sogno così tormentato da trasformarsi in incubo mi destò del tutto.

Era successo quello che mi stava suggerendo la memoria?

Temevo che potesse essere vero come anche fittizio.

Posticiparsi la verità sarebbe stato inutile. Prima o poi se inciampi in un arbusto devi cadere.

Questa volta non mi eccitava il pensiero di rinviare,di attendere che la verità si rivelasse ai miei sensi.

Volevo sapere.

Mi alzai a sedere e mi voltai verso di lei. Una chioma dall'aspetto scompigliato, ma decisamente morbido copriva il cuscino. Tuttavia il colore era troppo chiaro, più castano che moro.

Non era solo quello. Mi ricordavo il suo volto dalla sera prima.

Mi ricordavo come fosse lei e allo stesso tempo non lo fosse. Se era davvero lei, a quel volto era successo qualcosa. Decisi di chiederglielo quando si fosse svegliata.

Mi sembrava impossibile non averla riconosciuta, eppure era successo. Io…io, Inuyasha, non avevo riconosciuto Kagome.

Il suo odore. Mi era sempre stato inconfondibile. Possibile che solo perché non usavo il mio olfatto da tempo, questo mi potesse ingannare in questo modo?

Poi notai il respiro di Kagome cambiare, farsi più leggero. Si era finalmente risvegliata.

"Kagome"

Nessuna risposta.

"Kagome alzati!" l'intimai snervato.

Lei si rigirò nelle coperte verso di me, gli occhi ancora chiusi: "Che vuoi! Torna a dormire"

"Non posso"

"Mmmm"

"Ti devo parlare" confessai a lei e a me stesso.

Alla fine aprì gli occhi per guardarmi: "Veloce e indolore. Ho sonno"

Scorbutica. Non era una tattica che attaccava con me: "Che hai fatto alla tua faccia, Kagome?"

La vidi rabbuiarsi, poi mi diede le spalle.

"I segni degli errori."

Che risposta era? Com'era possibile fare degli sbagli  e cambiare così tanto?

Poi capii. Non erano suoi gli sbagli, né gli errori. Mi salì dallo stomaco una rabbia cocente.

"Quello stronzo…dove lo trovo? Vado a spaccargli la sua di faccia!"

Non mi rispose ma la vidi distintamente tremare. Non l'avevo perdonata per avermi tradito, né per avermi abbandonato a me stesso, ma se tocchi una donna meriti solo una cosa…che va oltre la vendetta. Quel essere non sarebbe durato a lungo con me in circolazione.

"Inuyasha" la sua voce rotta mi arrivò come il sussurro di un morente "Quel bastardo è in prigione."

Forse avrei dovuto aspettare per eliminarlo, ma non avevo fretta. Un mezzo demone di 200 anni ne può vivere tranquillamente altri 200.

"Perché sei venuta da me?" le chiesi con il tono meno brusco che mi riuscisse, ma sembrò che le abbaiassi addosso.

"Sono qui per scusarmi con te"

"Scusarsi? Forse dovevi pensarci prima, se proprio dovevi" ero deluso e irritato.

"Dovevo"

"Non cambia niente sentire le tue parole" ed era vero. Cosa potevano cambiare ormai delle scuse?

"Cambia per me. Avevo bisogno di dirtelo, Inuyasha. Sono qui per chiederti scusa e per ottenere il tuo perdono."

"Non sono cose di cui mi va di parlare" mi alzai, m'infilai i jeans della sera prima e andai in bagno.

Come si permetteva quella Kagome di farsi anche solo vedere per porgere delle semplici scuse? Ingannandomi, prendendosi gioco di me e sfruttandomi ancora una volta.

Alzai lo sguardo e vidi me stesso per la prima volta dopo tanto tempo riflesso allo specchio.

Gli occhi color dell'ambra fusa, le orecchie a punta da cane, gli artigli delle unghie erano ricresciuti e anche i canini troppo aguzzi che mi strappavo ormai tutti i giorni e usavo quelli finti per riempire i buchi.

Quello era il vero Inuyasha, a parte i capelli. Quello allo specchio era il mezzo demone gentile che aveva salvato la vita di diversi umani attaccati da demoni malvagi.
Quello e non l'immagine che avevo cercato di costruirmi negli anni.

Eppure io, Inuyasha, senza qualcosa da proteggere ero sempre io. Forse era meglio rimanere fedele al principio del piacere, la ricerca dell'attimo.

"Inuyasha" dissi allo specchio "Cosa farai ora?"

Inspirai forte, sentivo i profumi del bagno, dei prodotti e delle creme. Sentivo anche gli odori della casa, della cucina, il salotto, il letto…ma non quello di Kagome.

Inspirai ancora, ma nulla. Dov'era andata?

Mi fiondai fuori dal bagno, ma in casa non c'era più. Cos'avrei dovuto fare?

Le scelte erano limpide davanti ai miei occhi, ma come scegliere? Una cosa sembrava escludere l'altra, una verità falsificava l'altra. Non ero più sicuro di sapere quel che stavo cercando.

Poi mi tornò in mente la notte trascorsa. Era stata un turbinio di insensatezza. Kagome mi aveva trasmesso qualcosa quella notte ma non ero ancora riuscito a capire.

L'unica certezza era il profumo smisurato e incontemplabile delle sue labbra.

Piacere…edonismo…forse era quella la risposta. Perseguire il godimento più intenso. Con più impegno.

Aprii la finestra e guardai giù. In mezzo al marciapiede c'era Kagome e da infondo alla strada stava per arrivare un taxi.

"Kagome!" la chiamai dal quinto piano, ma mi ignorò.

Non avrei mai fatto in tempo a scendere le scale per raggiungerla, così scavalcai la balaustra e mi buttai giù.

L'aria mi sferzò il volto e la caduta mi fece venire mal di stomaco. Eppure mi ero dimenticato di quanto fosse liberatorio quello strano modo che avevo di volare. Nell'atterraggio fui un po' goffo, d'altronde erano tre anni che non mi muovevo.

"Kagome, stupida!" le dissi prima di abbracciarla.

"Inu…yasha"

"Non andartene…" sperai. Sperai che volesse condividere ancora qualcosa con me, che non fosse tornata solo per se stessa. Per ottenere delle banali parole di perdono.

"Inuyasha…" gli occhi spalancati.

Mi sorrise felice come quando mi aveva sorriso la sera prima dall'altra parte del marciapiede con quel suo nuovo e tuttavia familiare viso: "Non permettere che io di nuovo…"

"Non lo permetterò. Ti proteggerò ancora…anche da te stessa." Le cinsi una mano guardandola con delicato calore. Il taxi passò oltre e io le offrii il mio primo sorriso sincero.

Era stato l'attimo che sfugge ad avermi schiavizzato nel fascino incontenibile di un trascorre ribelle.

Fu un attimo, quello che mi permise di farlo. Di scegliere.

Volli qualcosa, di nuovo.

Definitivamente.

   
 
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