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Autore: giambo    10/10/2012    2 recensioni
One-shot strana e (probabilmente) priva di senso ambientata in una moderna metropoli del mondo reale su una 18/Crilin piuttosto particolare.
Estratto:
La prima volta che Crilin l'aveva vista aveva capito subito di essersene innamorato.
La prima volta che aveva capito chi era veramente comprese immediatamente che il suo era solo un sogno irrealizzabile.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Non so come mi sia venuta in mente sta cosa, fatto sta che ho avuto l'ispirazione e l'ho scritta praticamente di getto tra ieri e oggi. Non so cosa ne sia venuto fuori e, francamente, temo di aver fatto i personaggi tremendamente OOC. Inoltre ho il dubbio che il rating sia troppo basso. Comunque sia, qualunque consiglio, recensione o critica vogliate farmi sarà ben accetta.

Un saluto! E buona lettura!

 

SE MI PROVOCHI TI DISTRUGGO

 

 

La prima volta che Crilin l'aveva vista aveva capito subito di essersene innamorato.

La prima volta che aveva capito chi era veramente comprese immediatamente che il suo era solo un sogno irrealizzabile.

Era accaduto tutto una sera di fine febbraio.

Crilin era appena tornato alla stazione di polizia del quartiere mediorientale, dopo un turno massacrante e distruttivo. Quel pomeriggio c'era stata l'ennesima protesta studentesca nei confronti del governo, protesta che, come tutte le precedenti, si era tramutata in uno scontro contro la polizia senza esclusione di colpi.

Fu così che, alle sette di sera, stanco, indolenzito, dolorante e voglioso solo di andare a casa, Crilin entrò di malavoglia alla stazione dove era distaccato per fare rapporto.

E fu allora che la vide.

Davanti alla porta del commissario c'era una piccola coda di persone che dovevano essere schedate o interrogate. La maggior parte di loro erano ragazzi che erano stati fermati quel pomeriggio, ma tra tutti spiccava soprattutto la figura di lei.

Non era la classica bellezza femminile ma, nonostante ciò, quella ragazza possedeva una sensualità che stregava. Era alta e magra, di una magrezza nervosa, scattante, una condizione fisica caratteristica di quel genere di persone che vivevano continuamente in mezzo all'eccitazione ed all'adrenalina. Un tipo di persona che non conosceva, e disprezzava, la parola tranquillità.

Il suo volto era particolare. Nonostante fosse una maschera sanguinante e violacea, a causa delle manganellate dei poliziotti, si poteva notare, sotto quello strato di sangue rappreso e morto, una grande bellezza. I tratti del suo volto era squadrati, decisi; conferendole così un'aria perennemente torva. I suoi occhi era azzurri. Di un azzurro così intenso da incarnare l'essenza stessa di quel colore. Un paio di zaffiri pieni di sicurezza ed arroganza che, in quel momento, osservavano il mondo attorno a loro con una punta di commiserazione e macabro divertimento.

Appena la vide, Crilin dimenticò totalmente il motivo per cui era venuto in stazione. L'unica cosa che gli importava al momento era parlare con lei. Non sapeva neanche lui il perché di quel suo assurdo desiderio, tuttavia, l'uomo aveva la certezza che, se non le avesse parlato, lo avrebbe rimpianto per sempre.

Bastò qualche parola con il suo superiore. Successivamente, Crilin condusse la ragazza, ancora ammanettata, verso il suo ufficio di capitano e capo della squadra antidroga del quartiere mediorientale. Un compito difficile ed ingrato, ma che l'uomo affrontava con entusiasmo ed amore per il proprio lavoro.

Mentre camminava in direzione del suo ufficio, percorrendo gli spartani corridoi della stazione, Crilin cercò velocemente di pensare ai punti che aveva a suo vantaggio. Non erano molti. Ma, in tutta onestà, il poliziotto poteva ammettere che non era proprio un brutto uomo. Crilin era sulla trentina, piuttosto basso, ma con un fisico atletico ed asciutto che si poteva anche notare dall'uniforme nera che indossava ed un colorito ambrato della pelle che compensavano la sua scarsa altezza. Una zazzera nera, perennemente scompigliata, incorniciava un volto piacevole dai tratti semplici. Un paio di occhi neri come il carbone ed un carattere sempre allegro e solidale completavano la sua figura.

Contro di lui, oltre al fatto che non era proprio irresistibile, c'era solo un problema, ma grosso come una casa: era uno sbirro.

I suoi peggiori timore vennero confermati quando lesse le informazioni di lei. Più i suoi occhi scorrevano le righe della scheda della bionda, più l'uomo capiva di avere tra le mani una vera e propria bomba umana.

Si chiamava Helena Mathersaut. Era nata in Germania, ma aveva abbandonato il proprio paese natale all'età di dieci anni quando i propri genitori erano morti, trasferendosi in Inghilterra con il fratello da alcuni parenti. All'età di sedici anni aveva abbandonato gli studi e il Regno Unito, cominciando a viaggiare per l'Europa. Per mantenersi aveva fatto i lavori più disparati e umili, dimostrando un istinto di sopravvivenza ed una inventiva fuori dal comune. A diciotto anni si era iscritta ad un'associazione anarchica clandestina e, come rito di iniziazione, avrebbe dovuto uccidere una persona che occupava un ruolo di potere all'interno di un qualunque stato. Per tutta risposta, lei aveva fatto esplodere una bomba all'interno del Senato francese, uccidendo più di diciotto persone tra cui tre ministri. La notizia fece il giro del mondo, scatenando un'ondata di stupore ed indignazione tra l'opinione pubblica occidentale. Tuttavia, nonostante lei avesse confessato candidamente la propria colpevolezza quando era stata arrestata, era stata rilasciata attraverso una procedura macchinosa e mai del tutto chiarita. Prova evidente che era stata coperta da alcuni pezzi grossi, forse addirittura da qualche capo anarchico mondiale.

Da allora Helena Mathersaut era diventata un mito tra i giovani di tutto il mondo. Subito dopo essere stata rilasciata, la ragazza aveva abbandonato la Francia. Da allora erano passati sette anni, durante i quali aveva viaggiato in tutta Europa sostenendo apertamente, e mettendosi sempre in prima fila, le proteste studentesche, neo-comuniste ed anarchiche. Era stata arrestata e schedata in oltre otto paesi europei, dalla Germania alla Spagna. Ma era stata rilasciata sempre per mancanza di prove, dimostrando scaltrezza e furbizia in dosi massicce. Dopo la strage che aveva commesso in Francia si era scelta un nome di guerra al limite del provocatorio: C18. Diciotto come le vittime dell'attentato che l'aveva resa famosa in tutto il mondo. Le ultime notizie che si avevano di lei erano che si era mischiata ad alcuni gruppi studenteschi neo-comunisti in quel paese, causando continui disordini e proteste.

Ed adesso lei era lì. Davanti ad un uomo simpatico ed altruista che amava il proprio lavoro ed il proprio paese.

Non avrebbe potuto scegliere persona più sbagliata di cui innamorarsi.

Dopo aver messo da parte le informazioni di lei, Crilin cominciò ad osservarla. Per tutta risposta, C18 piantò con arroganza e sicurezza le sue iridi chiari in faccia al poliziotto. Sembrava tranquilla e rilassata nonostante avesse il volto coperto di lividi e sangue secco, gli abiti laceri, macchiati e sporchi.

“Allora...” esordì l'uomo, cercando di mantenere un tono sicuro della voce. “Potrei sapere intanto come devo chiamarti? Helena o C18?”.

Davanti a quella domanda, la bionda sorrise. Mostrando una serie di denti bianchissimi e regolari.

“Il mio nome non ha importanza.” esordì con una pronuncia perfetta della lingua. Crilin rimase stregato dalla dolcezza del suo timbro di voce. Gli pareva impossibile che una voce così angelica appartenesse a quel demonio umano. “Ciò che conta è la lotta. La vittoria. La distruzione del capitalismo e la restituzione della libertà agli individui. Allora, quando tutto ciò sarà accaduto, non serviranno più i nomi, cognomi e tutte queste stronzate che ci mettete per schedarci e controllarci. Quando saremo liberi non esisteranno più.”

“Sbaglio o queste cose erano di moda circa un secolo fa?” domandò provocatorio il poliziotto. Dentro di lui, l'uomo provava una gran pena per le utopie vecchie di secoli che animavano lo spirito battagliero di quella ragazza.

“Ciò non impedirà che il capitalismo venga distrutto. Il solo fatto che venne predetto secoli fa non cambia la sostanza. Prima o poi, voi verrete sconfitti, e la lotta per la libertà e per il popolo trionferanno.”

“Intanto però, mentre i tuoi capi si riempono la bocca di parole così nobili, tu vai in carcere!”

Il sorriso di C18 si allargò sentendo le parole dell'altro.

“Tu vuoi fingere di essere forte, di essere un soldatino coraggioso e fedele alla patria. Ma in realtà tu sei solo un debole. Non provocarmi perché, se solo io lo volessi, ti distruggerei.”

A quelle parole Crilin le rivolse un sorriso di derisione. Non immaginando neanche lontanamente la veridicità di quelle parole.

 

La mattina dopo la loro prima notte passata assieme, Crilin le chiese di vedersi di nuovo. Lei rispose che non era abituata a frequentare 'sbirri di merda'. Dopo più di un mese che passavano praticamente tutte le notti assieme, lui le chiese di venire a vivere con lui. Lei rispose che doveva andare a farsi fottere. Due mesi dopo che lei si era trasferita da lui, Crilin le chiese di sposarlo. C18 gli rispose con un dolce e delicato 'vaffanculo sbirro di merda'.

Si sposarono in una soleggiata giornata di fine giugno. Gli invitati furono pochi, soprattutto amici di Crilin visto che entrambi non avevano parenti. Tuttavia, verso sera, arrivò al ristorante dove si stavano tenendo i festeggiamenti un ragazzo che si presentò come il gemello di Helena. All'inizio Crilin rimase sorpreso che sua moglie avesse un gemello. Infatti Lucas, così si chiamava il ragazzo, aveva dei lucenti capelli neri, ed un carattere calmo e serafico che si distanziava totalmente dal carattere brusco e scortese della sorella. Tuttavia, dopo una più attenta osservazione, il poliziotto notò una serie incredibile di somiglianze: stesso taglio e colore degli occhi, stessi tratti del volto, stessa corporatura, stesso gusto inquietante per le cose macabre.

All'inizio Crilin parlò poco con il nuovo arrivato, Lucas infatti rivolse la parola praticamente a nessuno, parlando solo un po' con la sorella. C18, dal canto suo, sembrava sorpresa dell'arrivo del gemello, che non vedeva da quando aveva abbandonato il Regno Unito più di nove anni prima. Anche lei sapeva poco di lui. Sapeva solo che aveva completato gli studi in Inghilterra, e che ora viveva una tranquilla vita da scapolo a Londra, ben lontano dall'esistenza inquieta e errabonda della sorella.

Tuttavia, verso la fine della serata, Lucas decise, inspiegabilmente, di rivolgere la parola a Crilin.

“E così tu sei il marito di mia sorella.” esordì con tono sommesso. Aveva un timbro di voce incredibilmente giovanile. Una voce che sarebbe stata più adatta addosso ad un diciottenne che ad un uomo.

“Sì, è esatto.” rispose educatamente Crilin.

“Posso darti un consiglio? Non affezionarti troppo a lei.”

All'inizio il moro credette di aver alzato troppo il gomito quella sera e di non aver sentito bene.

“Come?”

“Hai capito benissimo.” rispose con tono indifferente l'altro. “Conosco mia sorella meglio di chiunque altro nonostante non la vedo da parecchio tempo. Ed è per questo che ti avverto: non affezionarti troppo a lei, o ti distruggerà.”

Crilin non rispose. Mentre Lucas si congedava da lui rinnovandogli gli auguri per il matrimonio, il moro sentì una morsa gelida artigliargli il cuore.

 

L'estate dopo il matrimonio fu il periodo più felice della vita di Crilin. La vita con C18 era affascinante, piena di vitalità, imprevedibile. In una parola: unica.

In quei mesi Crilin andava al lavoro con uno spirito nuovo, una vitalità che gli faceva incassare con un sorriso anche i problemi e gli impresti più seccanti e complicati. In quei mesi il poliziotto cominciò a pensare che doveva mettere il massimo impegno in quello che faceva, per far capire a sua moglie che si sbagliava sulla società in cui vivevano.

Era riuscito anche a far smettere a C18 di viaggiare per l'Europa. Ormai la bionda si era iscritta ad un partito di stampo anarchico-comunista in città, e partecipava con il massimo impegno a quella nuova attività. Quando era a casa riempiva la testa a suo marito con discorsi anticapitalistici e rivoluzionari, richiamando il pensiero di quello o di quell'altro filosofo semisconosciuto. Era incredibile che una come lei, anarchica e rivoluzionaria convinta, potesse vivere con un poliziotto. Eppure era così.

Crilin amava tutto di sua moglie. Amava il suo modo di fare brusco e scortese, il suo isolamento totale verso qualunque altro legame che non fosse quello con suo marito. L'unica cosa che le importava era il suo pensiero, le sue idee ed il modo di come mandarle avanti. Anche i suoi compagni di partito per lei non erano nulla. Erano solo degli alleati che usava per far avanzare le sue idee rivoluzionarie.

Mentre le belle giornata passavano dolcemente una dopo l'altra, Crilin e C18 ebbero modo di approfondire il proprio legame, e la propria conoscenza. Nonostante lei continuasse a chiamarlo 'sbirro di merda', l'uomo credeva di notare un sincero affetto da parte di sua moglie nei suoi confronti, rafforzato dalle bollenti e passionali notti d'amore che passavano insieme. Cominciò a fantasticare, a vagheggiare di una vecchiaia passata serenamente accanto alla donna che amava. Di una vita tranquilla e pacifica con C18 al suo fianco.

A fine settembre C18 annunciò al marito di essere incinta. La notizia lasciò Crilin sorpreso, ma anche molto felice. Tuttavia, con l'avanzare dell'inverno e della gravidanza della moglie, l'uomo cominciò a preoccuparsi. Il rapporto con sua moglie si era raffreddato, la complicità che li aveva uniti fino a qualche mese prima sembrava scomparsa. Ormai al poliziotto gli sembrava che fossero diventati due sconosciuti. Non si rivolgevano quasi più la parola, e le ore passate in casa insieme era tristi, tese e silenziose.

Questo clima di freddezza si accentuò con l'avvicinarsi della nascita. Tanto che la venuta al mondo della loro bambina fu accolta da entrambi con un'incredibile indifferenza. Crilin si sentiva dentro di se distrutto, sconvolto. L'atteggiamento che sua moglie aveva mostrato nei suoi confronti in quei ultimi nove mesi lo avevano confuso. Nonostante avesse tentato in tutti i modi di ricucire quel rapporto aveva fallito. Le sue speranze poi che, con la nascita della bambina, la loro vecchia complicità ritornasse, vennero infrante. Tanto che Crilin cominciò ad odiare sua figlia. Quella piccola creatura che aveva distrutto il suo splendido, ma fragile, equilibrio con la moglie.

Alla fine, una sera, non potendo più sopportare quella freddezza e quel disprezzo da parte di C18, l'uomo le fece la fatidica domanda.

“Mi ami?”

“No.” fu la secca risposta di lei.

“C'è qualche modo perché tu possa amarmi?”

“No, nessuno.”

Allora Crilin, raccogliendo tutto il coraggio che gli rimaneva, fece la domanda che più lo ossessionava.

“Mi hai mai amato?”

“No, mai.”

 

I mesi successivi furono strani. Crilin si sentiva svuotato, e gli sembrava che la primavera scorresse veloce come un treno. Non combatté più. Si limitò ad accettare tutto quello che lei gli chiedeva. Il divorzio, l'affido della bambina, gli alimenti. Crilin non provò a combattere su nulla. Non ne aveva più la forza né, francamente, gliene fregava qualcosa.

Solo in quei momenti comprese quello che C18 gli aveva fatto, quello che lei aveva deciso di fare fin da subito. Aveva giocato con i suoi sentimenti, lo aveva sfruttato. Poi, una volta ottenuto quello che voleva, si era liberata di lui.

Eppure, nonostante tutta la sua crudeltà, Crilin non riusciva ad odiarla. Ad odiare quella donna fredda, materialistica e cinica. Anche ora che aveva capito cosa a lei interessava veramente di lui, non riusciva a detestarla. Anzi, sotto un certo aspetto, l'ammirava. Ammirava il materialismo freddo di lei. C18 aveva voluto una figlia, e se l'era fatta. Di lui le era interessato fin dall'inizio solamente il suo seme.

L'estate dopo il divorzio fu il punto più basso che avesse mai raggiunto durante la sua esistenza. Mentre solamente un anno prima andava a lavoro con gioia e speranze per il futuro, ora a lavorare non ci andava praticamente più. Trascurò pesantemente il proprio dovere, mischiandosi con i drogati, le puttane e i barboni. Passava le giornate a farsi di eroina e hashish, a trastullarsi con le prostitute di colore, a bere e a fumare cannoni con i peggiori elementi della città. I suoi superiori compresero il suo dolore e la sua disperazione, e lo coprirono finché poterono. Poi, vedendo che Crilin non sembrava intenzionato ad abbandonare i quartieri malfamati, lo degradarono, minacciandolo di licenziarlo se non avesse cambiato subito stile di vita.

Tutto questo a Crilin non fregava assolutamente nulla. Si abbandonava alle droghe ed all'alcool perché affrontare la realtà era troppo devastante per lui. Solo in quei momenti, mentre si iniettava nelle vene pesanti dosi di eroina, comprendeva le parole di Lucas. C18 lo aveva distrutto, gli aveva succhiato tutta la linfa vitale che c'era in lui. Trasformandolo in un fantoccio vuoto e privo di volontà.

Poi, dopo circa due anni di questa esistenza sregolata, riuscì a ritornare alla vita.

Fu sua figlia a farlo guarire dallo stato depressivo in cui era caduto. Un suo conoscente era riuscito a convincerlo a fargli sfruttare i periodi in cui poteva andare a trovare la figlia. Fino a quel momento il moro si era rifiutato di vederla. Si vergognava. Non voleva che C18 osservasse fin dove era riuscita a portarlo, né che sua figlia, anche se era ancora molto piccola, lo vedesse nel pietoso stato in cui trascorreva tutti i giorni.

Le prime volte furono una noia mortale. Fiere, parchi giochi, giardini pubblici. Tuttavia, con il passare del tempo, Crilin notò che Marron, era questo il suo nome, era una creatura speciale. Vedeva dentro di lei uno spirito libero e selvaggio come quello di sua madre, ma anche la dolcezza e l'altruismo che lo avevano sempre caratterizzato nella sua vita.

Fisicamente era tutta sua madre. Una massa di capelli dorati, raccolti in due trecce, che incorniciavano un visetto paffuto e due occhi cerulei. Tuttavia, la forma degli occhi era la sua. Così come erano suoi i tratti semplici del viso e la dolcezza spontanea che possedeva Marron.

Con il passare del tempo, i periodi che passava con sua figlia divennero più frequenti. Crilin tornò alla vita. Si disintossicò dalle droghe e dall'alcool. Dimagrì. Ritornò ad occuparsi del suo lavoro con passione ed energia triple rispetto al passato. Riuscì a farsi trasferire nella sezione AntiCrimine della polizia dove, nel giro di un anno, ottenne il titolo di capitano. E la fama di uomo giusto, coraggioso e gentile.

Tutto questo, tutti questi sforzi, gli faceva per lei. Per sua figlia. Perché un giorno Marron potesse essere orgogliosa di suo padre e perché potesse vivere in una società nuova. Libera. Sicura.

Una società migliore di quella in cui vivevano.

Fu proprio allora che Crilin comprese il motivo per cui si era innamorato di C18. Perché entrambi volevano cambiare il mondo. Un mondo ingiusto e dispotico. Un mondo che dava troppo a troppe poche persone. Un mondo marcio e sbagliato che bisognava rifondare.

Un mondo dove la loro unica figlia potesse essere felice.

 

 

FINE

 

  
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