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Autore: MrsBlack4    10/10/2012    2 recensioni
La notte in cui Sirius disse addio ai Black, sbattendosi alle spalle la porta di Grimmauld Place n.12.
I suoi pensieri, il rapporto controverso con la sua famiglia e l'odio viscerale per quella casa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Era una gelida notte di Dicembre, mancavano pochi giorni alla fine dell’anno e Sirius guardava la neve cadere fuori dalla finestra della sua stanza a Grimmauld Place n.12. Stava fumando l’ennesima sigaretta babbana. Aveva iniziato a fumare solo perché avrebbe fatto infuriare sua madre ma non aveva più smesso. Ripensava alla loro ultima, furiosa litigata. Quella sarebbe stata l’ultima, ne era certo, perché prima dell’alba avrebbe lasciato quella maledetta casa per sempre.

Odiava tutto di quel luogo, dall’arredo e la tappezzeria alle persone che la abitavano. Odiava ogni singolo componente di quella casa. Odiava ogni singolo, stupido cucchiaio da minestra con inciso il maledetto stemma dei Black. Odiava anche il fatto che tutto ciò che era di loro proprietà dovesse recare il loro marchio, dava ai Black la convinzione che avevano il diritto di poterlo fare anche al di fuori di quelle mura, come se anche il mondo fosse marchiato con il loro stemma. Odiava i candelabri arrivati da chissà quale remoto angolo della Terra. Odiava l’argenteria più pregiata del mondo magico. Odiava tutti i ridicoli tesori che i Black si tramandavano da generazioni insieme alle loro bigotte ed insensate tradizioni. Odiava tutti gli oggetti oscuri disseminati per la casa. Odiava quei ritratti agghiaccianti dei suoi antenati che permettevano ai Black di criticare il prossimo anche da morti. Odiava quelle orride teste, appese sulle scale, che appartenevano a dei poveri elfi domestici che avevano sciaguratamente sbagliato a servire il thè. Odiava anche il loro elfo domestico, Kreacher, la più ripugnante delle creature. E ovviamente, odiava la sua famiglia, o meglio, il gruppo formato da quegli ignobili individui con cui aveva avuto la sfortuna di condividere quel sangue maledetto.

Quella che odiava di più era senz’altro sua madre, Walburga, la donna più spregevole mai generata. Un curatissimo ed elegantissimo agglomerato di idee bigotte, razziste, fanatiche, folli e assolutamente ipocrite. Sirius era certo che non avesse un cuore e che la sua vita fosse alimentata da un muscolo che pulsava solo grazie alla smodata quantità di odio che quella orrida donna era capace di provare.
Suo padre, Orion, era ugualmente razzista e fanatico ma descrivibile con un solo aggettivo: impassibile. Uno di loro, gli sarebbe potuto morire davanti, senza procurargli la ben che minima reazione. Sembrava incapace di provare alcuna emozione, così Sirius aveva ipotizzato che all’origine fosse solo un manico di scopa che Walburga aveva trasfigurato in un uomo con uno dei suoi incantesimi oscuri. Solo qualcuno creato direttamente da lei, avrebbe potuto sposarla. James aveva riso per una settimana.

 Suo fratello Regulus era l’unico idiota che poteva credere alle farneticazioni dei loro genitori, tanto ottuso da preferire la loro approvazione a suo fratello e ingenuamente convinto che non ci fosse altra vita se non quella falsa, amara e pesantemente ritoccata a cui il loro cognome li aveva destinati.

Poi c’erano i suoi zii, Cygnus e Druella, tanto presenti nella sua vita quanto lo shampoo lo era in quella di Mocciosus. Sua cugina Bellatrix, macabra e spietata, quella stupida oca vanesia di Narcissa e suo zio Alphard, l’unico a cui era affezionato ma che indubbiamente non poteva controbilanciare una famiglia di pazzi. Prima che scappasse, poteva fare affidamento su Andromeda, la sua cugina preferita, ma ormai di lei non era rimasto che il piccolo foro bruciacchiato, dove un tempo c’era stato il suo nome.

La sua famiglia finiva lì ma la sua vita non poteva finire nello stesso modo. I Black avevano una mentalità assurda e contorta, venivano educati a reprimere le proprie emozioni, a sentirsi superiori a chiunque, a disprezzare gli altri e a compiacere la famiglia, facendola prosperare sulla linea del sangue puro, ossia, mantenendola Toujous Pur, come recitava il loro detestabile motto.

La sigaretta si era ormai spenta, la cenere ricopriva il pavimento della sua vecchia stanza, così come ricopriva la sua vecchia vita, quella che aveva appena passato in rassegna, quella che si accingeva a lasciarsi alle spalle.

Tutte le decisioni che aveva preso fino a quel momento erano sempre state dettate dall’impulsività, eppure, questa fuga non era la conseguenza a una sfuriata. Era qualcosa che aveva sempre saputo di dover fare, un desiderio che accarezzava spesso e che si portava dentro come un talismano. Tutte le critiche di sua madre, tutti gli elogi dei suoi genitori per Regulus, il figlio perfetto, gli scivolavano addosso perché lui sapeva che prima o poi se ne sarebbe andato, abbandonando quella casa infernale con tutti i suoi abitanti.

Finalmente, quel momento era arrivato, aveva riempito il baule con foga ed era ormai prossimo a cedere al suo desiderio. La sua mente era d’accordo con il suo cuore, non restava che andare via.

Raccolse i bagagli e si sbattè la porta alle spalle, pensando all’espressione di Walburga quando avrebbe scoperto che lui non c’era più e a quanti minuti avrebbe fatto passare prima di cancellarlo dall’arazzo di famiglia.

Tutte le volte che aveva idealizzato la sua fuga, l’aveva immaginata come un evento plateale, ricco di colpi di scena. Una fuga notturna non era di certo nel suo stile ma quando sentì i fiocchi di neve che gli si adagiavano sulla pelle e il gelido vento invernale che gli sferzava il viso, restituendogli quella libertà che tanto agognava, si rese conto che non c’era bisogno di un gran baccano per lasciare quella casa, perché il suo cuore aveva abbandonato Grimmauld Place n.12 già da parecchio tempo.

Si rigirò un’ultima volta, pregando di non dover rivedere mai più quella che era stata la soglia di casa sua, l’origine di tutte le sue sofferenze.

 

 

 

Ma con il senno di poi, sappiamo che il suo volere non venne rispettato e che Grimmauld Place n. 12, ritornò a essere la sua prigione fino alle fine dei suoi giorni.

 

 

  
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