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Autore: Esca    10/10/2012    1 recensioni
She said
I know what it's like to be dead.
I know what it is to be sad.
La guardò negli occhi con dolcezza
-Non pensare più a lui ci sono qua io per te.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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She said, she said.

Capitolo 1: Io so che sono pronta a partire

- Vaffanculo!

La porta si chiuse rumorosamente e da quella casa non si sentì più una parola.

Era buio.

Una ragazza camminava sotto le stelle di una calda estate, aveva passo svelto e non si voltava indietro, camminava e basta.

Il vestito che portava svolazzava a ogni suo passo, si aggrappò alla ringhiera delle scale e con piccoli saltelli le scese tutte sino a un grande prato, gettò in preda al vento e a quell’enorme campo una collana leggera con piume attaccate. Si buttò a terra e portò i ginocchi al viso e iniziò a piangere, singhiozzava come una bambina. Calde lacrime le bagnavano il viso, i suoi occhi erano stanchi, li chiuse lentamente e si lasciò trasportare dal sonno.

I primi raggi di sole la svegliarono con tenerezza, aprì i suoi grandi occhi verde acqua, pieni di celeste con macchie di verde, che erano in grado di incantare chiunque.

Si mise a sedere e guardò l’orologio, le cinque e mezzo di mattina, era in tempo per andare a lavoro.
Si alzò in piedi a fatica e con le mani si strusciò le braccia. La rugiada si era posata anche su di lei.

Le piaceva la brezza che c’era la mattina, quel venticello che le carezzava il viso, il sole emetteva quella luce timida che la rassicurava e l’odore dell’erba umida che nel giorno si sarebbe sostituito a quello dell’asfalto che ribolle.
I suoi passi si mossero in direzione della lambretta bianca con una striscia verde sul davanti.

Prese dalla tasca del vestito le chiavi, le infilò nella toppa della lambretta, dalle chiavi penzolava una catenella con, in fondo una piccola chitarra rossa con scritto “rock” di nero e dietro una piccola incisione in corsivo: “Alla mia pazza, con affetto Gram Parsons”. Lo aveva conosciuto in un locale della sua città, lui stava suonando e lei le ballava davanti, scatenandosi, dopo l’esibizione Gram la volle conoscere, si misero seduti a un tavolo e iniziarono a parlare del più e del meno, dopo qualche birra di troppo i ricordi si appannano, ma la mattina si ritrovò distesa sulla sdraio vicino alla piscina vestita da qualcosa di indescrivibile, con il viso tutto disegnato pantaloncini luccicanti, corpetto di pizzo, boa di piume intorno alla vita e giacca cowboy.

Mise in moto la sua lambretta e percorse tutta la via di casa sua, i capelli le svolazzavano come il vestito, bloccato dal peso del sedere e chiuso dalle gambe.

Parcheggiò davanti a un grande albergo di lusso, scese con un piccolo salto e salì quella grande scalinata fino ad arrivare a una porta girevole di vetro, rifinita in oro. Spinse e si ritrovò in un bellissimo salone che non degnò neanche di uno sguardo, si diresse verso la reception e salutò con un bacio sulla guancia quella che c’era dall’altra parte del bancone, per arrivare alla sua guancia si arrampicò su di esso poggiando le ginocchia.

-Buongiorno Susan!

Salutò con un sorriso.

-Giorno piccola mia.

Rispose l’amica.

-Vai a cambiarti già che sei arrivata presto. Oggi sono arrivate anche le nuove divise!

Sorrise e le indicò lì scatoloni.

-Ma no! Me piacevano quelle vecchie.

Sbuffò e saltellò fino agli scatoloni, aprì quello con la taglia S e prese una divisa da donna, poi corse nello spogliatoio.
Pochi minuti dopo usci dal camerino tutta sistemata. I lunghi capelli neri erano raccolti da una pinza che li faceva spuntare da sopra la testa in modo disordinato, le meches rosse davano luce a quei morbidi capelli, un piccolo ciuffo scappato dalla pinza le cadeva sul viso. Un gilet rosso con tre bottoni doppi color oro le aderiva sulla terza di seno, sotto di esso una camicia bianca con maniche al gomito ma arrotolate per il troppo caldo, gonna sempre rossa con un piccolo spacco in fondo e infine una cravatta dello stesso colore della gonna.

Un ragazzo lì alla reception la fissava a bocca aperta mentre l’altro pagava, il primo diede una gomitata a quello accanto che si voltò con aria scocciata, ma che poi si accorse della ragazza. Susan li guardò e scoppiò a ridere.

-Susan mi sta un po’ tanto attillato, sto gilet, ma la M mi sta enorme!

Susan la guardò asciugandosi le lacrime dalle risate.

-Sei uno schianto piccola. Vero ragazzi!?

Diede una pacca sulla spalla a un ragazzo che perse l’equilibrio e barcollò un po’ più in la. Susan continuò a ridere di gusto.

-Vieni qua Grace!

Un ragazzo vestito da facchino l’abbracciò da dietro sorridente e le stampò un bacio sulla guancia. Grace sorrise si girò e si buttò su di lui urlando.

-ROG! Oddio sei tornato!

Lo scosse avanti e indietro.

-Perché non mi hai detto che tornavi brutto bastardo!

Roger rispose a tratti perché la sua voce rimbalzava essendo scosso.

-Peeerchèèè n-noon lo sa-pevo neee-anche iooooo. Orra p-erò moo-llami.

Grace fece una rumorosa risata.

-Scusa!

Le risate dei ragazzi furono interrotte da un uomo alto e distinto che era il proprietario dell’Hotel.

-Rgazzi un attimo di attenzione.

Grace aveva sempre avuto una grande ammirazione per quell’uomo che li trattava così bene e poi aveva anche un certo fascino.

-Questa settimana sarà molto impegnativa per noi, soprattutto oggi. Ci sarà molto caos e noi dobbiamo essere efficienti.

Fece per voltarsi ma Grace lo fermò.

-Aspetti, Signore! Non ci ha spiegato il motivo.

-Ahahah giusto.

L’uomo così distinto si trovò in imbarazzo per quel piccolo errore e si strusciò il dietro della nuca diventando un po’ rosso.

-Ecco... mi stavo per dimenticare ahaha. Non mi ricordo l’evento importante…

Tutti i ragazzi che erano li presenti si guardarono fra loro, iniziò un timido mormorio che venne  soffocato dall’esclamazione del capo.

-ECCO! Arrivano i Beatles...

Disse sbrigativo come se fosse cosa da poco e poi girò la schiena e sparì nell’ombra del corridoio.
Grace rimase a bocca aperta a pensare “Oh cazzo! I Beatles qui!”.
 
  
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