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Autore: Lilith Hedwig    10/10/2012    2 recensioni
"Si passò le mani tra i capelli, che gocciolarono sulla sua schiena, sotto la maglietta.
Guardò il cielo.
Guardò la strada, bagnata, si guardò gli stivali.
E -tap, tap, tap- ricominciò a camminare."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Estranged

When you’re talking to yourself
And nobody’s home…

Per una sera era voluto uscire. Così, da solo, a piedi.
Camminava sulle strade di Los Angeles, nella parte meno in della città. Non c’era molta gente, era già l’imbrunire.
Solo qualche ragazzino era ancora in giro sulla BMX, o in un campo da basket, prima di tornare a casa per la cena.
Era autunno, faceva buio in fretta, e lui camminava da circa un’oretta.
Non sapeva perché avesse deciso di uscire. In genere stava in casa a suonare, a scrivere, o a guardare un po’ di tv. Invece, per una sera, aveva afferrato il giubbotto di pelle ed era voluto uscire.
E aveva lasciato che i suoi piedi lo guidassero fino a quelle strade, quei posti. Ormai si sentiva solo il cigolio delle altalene nel cortile della High School dove, lo sapeva perché gliel’aveva detto Slash, i quattordicenni si introducevano per fumare in pace, o solo per fare qualche percorso alternativo con la BMX o lo skate; e si vedevano già le luci accese attraverso le finestre delle grosse scatole dove le gente viveva. Una donna cantava, qualche isolato più in là, probabilmente preparando la cena. Ormai era praticamente buio, e si accendevano i lampioni.
C’era odore di pioggia nell’aria, e lui si strinse un po’ di più nel giubbotto. Avrebbe dovuto portarsi una pelliccia.
Camminava ascoltando il suono dei suoi passi sull’asfalto -tap, tap, tap, tap-, perso nei ricordi che quei luoghi gli evocavano.
Lì era cominciato tutto.
A non molti isolati di distanza c’era il vecchio magazzino dove provavano, e dove lui stava la notte, con Slash, perché non sapevano dove altro andare. Sulla Sunset c’erano i locali dove suonavano, ogni tanto, quando avevano i soldi e quando non si facevano sbattere fuori perché lui aveva picchiato qualcuno.
L’avrebbe rifatto.
Lì aveva scritto alcune delle più grandi canzoni di sempre, e con gli altri avevano trovato la musica giusta.
Lì Tom li aveva sentiti e aveva deciso che li voleva sotto contratto; probabilmente se ne era pentito mille volte.
Chissà se la Hell’s House era ancora in piedi, con tutti quei motociclisti…
Intanto, aveva iniziato a piovere, e le gocce d’acqua scivolavano sulla pelle dei pantaloni e della giacca, e altre gocce gli avevano prima inumidito e poi infradiciato i capelli, che gli si appiccicavano al collo e al viso, e andando a finire perfino in bocca, costringendolo a spostarli ogni qualche secondo.
Ma lui camminava. Era da tanto che non usciva per camminare, così, e si era dimenticato come fosse. Gli piaceva. Il rumore dei suoi stivali -tap, tap, tap, un po’ più veloce ora- e delle gocce di pioggia, sotto le luci non accecanti dei lampioni, un bel diversivo rispetto al solito, l’asfalto che bagnato sembrava più scuro, l’odore di pulizia che portava una pioggia scrosciante come quella, le gocce belle grosse, che quasi facevano male. Sì, gli piaceva.
Camminò fino a che non smise di piovere, un dieci minuti dopo: un po’ si fermava e guardava le luci, un po’ accelerava il passo.
Si accorse che poco lontano da dove si trovava c’era il posto in cui stava Stephanie. Non la vedeva da un paio di giorni; aveva composto. Voleva che l’abbracciasse e lo baciasse, e voleva un po’ del suo calore.
Dopo la pioggia, faceva freddo.
Era conscio per metà di ciò che faceva, quando si avviò verso casa sua.
Gli edifici cambiavano: non più grandi casermoni grigi, ma case certo più eleganti, pur non troppo lussuose. Cambiavano i parchi; c’era più erba e più verde, meno cicche per terra vicino alle reti dei campetti da basket.
Sotto casa da Stephanie c’era una cabina telefonica, illuminata da un lampione. Lui sorrise, tastandosi nelle tasche bagnate e trovando qualche cent.
Sotto il tettuccio della cabina si strizzò i capelli, gocciolanti, si inumidì le labbra sottili, si asciugò l’acqua dagli zigomi. Inserì le monete nell’apparecchio, e compose il numero dell’appartamento proprio sopra di lui, con le labbra increspate da un piccolo ghigno.
Dopo un paio di squilli a vuoto, dall’altra parte si sollevò la cornetta. C’era del brusio in sottofondo, come se la comunicazione fosse disturbata, ma nessuno parlava. E ancora, silenzio.
-Stephanie?- iniziava a preoccuparsi.
Silenzio, era cessato anche il brusio.
-Stephanie?- ripeté, alzando un po’ la voce in parte per coprire il rumore di un’auto solitaria che si avviava verso il centro città -Ci sei?-.
Finalmente, all’altro capo della cornetta rispose una voce femminile, leggermente affannata: -Axl?- dopo un istante di pausa, in cui Axl immaginò Stephanie sorridere, riprese: -Cosa c’è? Tutto bene?-
Axl si scostò i capelli bagnati dall’orecchio destro, e riavvicinò la cornetta.
-Certo, tesoro. Sono qui sotto.- stette un attimo in silenzio, ma Stephanie non disse niente –Se mi apri, salgo.-
Seguì qualche secondo senza repliche, in cui Axl sentì il rumore come di qualcosa che viene spostato, e qualche suono ovattato, indistinguibile.
Era come se ci fossero due voci che discutevano, ma non si riusciva a distinguere bene nulla, pareva un’interferenza.
Fece in tempo a sentire un pesante respiro, prima che Stephanie gli rispondesse: -Ora? …Certo, vengo ad aprirti… arrivo.-.
Axl chiuse gli occhi per qualche secondo. Li riaprì. Poi disse, alla cornetta, con voce impercettibilmente più gelida: -Lascia stare.- sospirò –Torna a farti quello che stavi facendo.-.
Poi aspettò, aspettò un poco, e riattaccò con delicatezza la cornetta.
Si passò le mani tra i capelli, che gocciolarono sulla sua schiena, sotto la maglietta.
Guardò il cielo.
Guardò la strada, bagnata, si guardò gli stivali.
E -tap, tap, tap- ricominciò a camminare.

You can fool yourself,
You came in this world alone
-alone.

 

N.d.A.


Buonasera a tutti. Finalmente riesco a scrivere di nuovo qualcosa, non sapete quanto ciò mi renda felice. Bisogna vedere a voi. xD
Beh, che dire? Spero si sia capito che è successo. L'idea non è mia, ma prende spunto da una leggenda metropolitana (a cui non penso di credere) che circola circa Axl e Stephanie, e November Rain. Suppongo la conosciate tutti, no?
Beh, la storia è stata scritta utilizzando due prompt della mia lista personale (ommioddio quanto fa figo dirlo xD) sul Circolo dei Recensori di Whte Pages, i prompt in questione sono pioggia e ricordi. Spero che ciò emerga, in ogni caso mi hanno ispirata molto. Anche "marciapiede", a dirla tutta, ma non lo conto dentro :)
Grazie a tutti per essere passati, grazie alla Somma et Perfettissima Alih che mi ha fornito la lista, e un grosso bacio a tutti.

Lasciatemi il vostro pensiero, se vi va :)

Lil.

   
 
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