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Autore: frannn    11/10/2012    0 recensioni
Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il tuo Logos.
Eraclito.
Quello che resta di un uomo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il tuo Logos.
Eraclito.



La verità, mi chiedono, dove sta di casa? Rido ogni volta che grandi occhi speranzosi mi guardano, alla ricerca di risposte che, francamente, nemmeno Dio sa dove siano finite.
La verità dove sta di casa? Ma davvero? La gente è così stupida?
Una volta me ne stavo sul mio mezzo tronco, seduto tra gli alberi in fiore, le api ronzanti e l’odore di primavera sotto le narici. Il mondo reale era distante anni luce da me; ormai a distaccarmi dalla frenesia e dalla follia umana c’erano secoli e secoli di solitudine interiore.
Eremita? Volete chiamarmi eremita? Come preferite, ma io sono solo, molto più triste ma molto più vero.
Ebbene stavo lì. La mia fedele sacca accovacciata ai piedi, il Sole splendente, i capelli smossi dal vento: la mia immagine sembrava la perfetta protagonista di un quadro zeppo di allegorie. Tutto qui: un dipinto, potevo essere racchiuso tra le linee scure di una matita e tra due spennelate di colore. Ciò che mi rimaneva erano i pensieri frullanti e la natura paziente che mi accoglieva, ma agli altri di me non restava che il pettegolezzo, ciò che ancora si vociferava sul mio conto. Per qualcuno il dolore della perdita di mia moglie mi ha spinto alla follia, per altri ho ucciso mio padre mentre dormiva perché da piccolo mi picchiava, per altri ancora sono andato a buttarmi giù da un precipizio giusto per il gusto di spappolarmi il cranio sopra un masso. Cosa è vero di tutto ciò? Di sicuro non mi sono suicidato, per il resto credete a ciò che più vi piace, perché eccola, la verità: è nella vostra testa. In ogni testa del mondo c’è n’è una. Pensate quale enorme brodaglia ne viene fuori. E poi ci si chiede ancora scioccamente perché non riusciamo ad andare tutti d’amore e d’accordo, perché non ci sia giustizia, perché ingurgidiamo solo menzogne.
Non mi sarei mai aspettato di vedere una ragazzina zompettare tra l’erba baciata di rugiada, così lontana dalla famiglia, dalla casa, da ciò che era suo e a cui lei apparteneva.
Non era giusta, non andava bene vicino a me, c’era qualcosa che non tornava: disarmonizzò di colpo il mio quadro. Come una nota stonata in una bellissima canzone. Sbarrai gli occhi mentre inciampava nei suoi stessi piedi, precipitando goffamente con la faccia nel terreno umido.
- Au.
Storsi il naso a quel versetto improbabile, senza nemmeno assicurarmi che stesse bene. Non mi mossi neppure, nella mia consolante e cara insensibilità.
- Tu chi sei?
Me la ritrovai ad un palmo dal naso nella frazione di un secondo. Sussultai, digrignando i denti.
- No, tu chi sei?
- L’ho chiesto prima io, tu chi sei?
- Io sono più grande, quindi tu chi sei?
Non mi rispose, gonfiando le guance in un modo buffo. Mi gironzolò intorno per un po’, senza parlare, poi si illuminò folgorata da chissà quale rivelazione.
- Tu sei quello che vive nel bosco perché i folletti gli hanno mangiato la casa!
Senza volerlo scoppiai a ridere. Quella versione era decisamente più originale delle altre.
- Mi dispiace tanto per te!
Con stupore, notai i suoi piccoli occhietti azzurri riempirsi di lacrime, come se mi fosse capitata davvero la cosa più brutta e triste del mondo. Un moto di compassione mi pizzicò l’anima, ma lo trattenni.
- Cosa ci fai qui? Dove sono i tuoi genitori?
Lei scrollò le piccole spalle, facendo ondeggiare i capelli. Era un’altra come me. Una persa, la cui strada si è cancellata, sia verso il passato che verso il futuro.
- Scegli un posto.
Le suggerii. Avrebbe dovuto restarci per un po’ e da lì cercare di capire. Quella ragazzina era lì per scegliere una strada. Dal bosco le strade erano infinite, mille possibilità, mille dolci per un goloso su un bellissimo piatto d’argento. C’era solo da riflettere, pensare accuratamente per poi buttarsi, lanciarsi, tentare. Ero lì seduto in quella stessa posizione da sempre. I miei occhi non guardavano più in giro, non cercavano più la speranza. Non ero in grado di decidere, non ero in grado di salvarmi, ero un dormiente. Non mi conoscevo, per questo potevo soltanto distruggermi. Lento, come il tempo per chi non ha più sogni da scaldare.
 
   
 
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