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Autore: Fitz and the Tantrums    12/10/2012    3 recensioni
Una ragazza. I suoi amici stravaganti. Un bell' italo-giapponese. Tutto questo miscuglio di personaggi bislacchi in questa one shot scritta un po' così, durante uno scatto di folle pazzia descrittiva. Enjoy it!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sai, secondo me staresti bene con Alex”  “Alex?”  “Già, esattamente. Lui è un pazzoide che suona la tromba, tu sei una pazzoide che suona la tromba, insomma sareste in sintonia. Sai che strombazzate insieme, altro che orchestra…”  “FITZ!!”  “Ehi era una semplice affermazione priva di doppi sensi che TU sempre e comunque trovi perché sei malata.”  “Si certo..vorrei ricordarti che qui la depravata è una e non sono né io, né Anna.”  “Pf, donnaccia! E tu, amore, prendi le mie difese, sei sempre lì a darle corda. Dai, passerotto..." “Come mi hai chiamata?! Amore?”.

Va bene, sono assolutamente consapevole che l’inizio può sembrare alquanto confusionale, d’altronde i miei discorsi con quei due ragazzi non hanno mai un senso logico. Ma è meglio partire dall’inizio e spiegare il tutto. Quel giorno a scuola c’era un certo trambusto, non so di preciso perché, ma ovunque mi girassi vedevo professori che correvano impazziti con mille fotocopie in mano, ragazzi che, con cartelle pesanti come mattoni, parlavano affannati su lezioni, verifiche e voti e bidelle che, sempre più isteriche, armeggiavano a destra e manca libretti e avvisi. Non che fosse una cosa poi così strana, diamine, è una scuola, ma quel giorno era tutto molto più dinamico e questo mi innervosiva. La mattina non riuscivo mai ad essere scattante e svelta, tutto per me era immerso in una lentezza immutabile sino più o meno alla ricreazione, quando risvegliavo i miei sensi grazie al generoso spuntino offerto dal supremo Capo, che per informazione è mia madre. Ad ogni modo, l’unica cosa rimasta qual era nella normalità erano i miei amici che non perdevano mai quel sottile filo d’ironia delle loro parole, spesso beffarde e piuttosto taglienti. Fitz soprattutto. Abbastanza alto, biondino e ricciolo, occhi verdi e fisico sottile. In una parola, un putto. Se non fosse che i putti sono, o almeno si presume, graziosi. Così, senza mai averlo realmente visto di persona si poteva definire bellissimo ma al primo sguardo tutto si volatilizzava nell’arco di mezzo secondo: il suo viso lungo e fin troppo magro e il suo mento sproporzionato facevano a cazzotti con la massa di ricciolini angelici, per poi non parlare dei grandi occhi tondi e spalancati, guardigni e simili a quelli di un gufo nel buio della notte. Ed il suo fisico! Così magro da poter scomparire nella folla mescolato e stretto tra un insieme colorato ed eterogeneo di persone. Insomma, senza farla lunga, non è che fosse un vero sex symbol, ma spendendo una lancia a suo favore devo dire che a qualcuno piaceva. Qualcuno cioè uno, o meglio una. Anna arrivava quasi alle spalle di Fitz e quindi si poteva definire una ragazza tutto sommato alta. Non che non ci fossero delle difficoltà tecniche tra i due eh, nonostante la buona altezza per baciarlo doveva allungarsi giusto un poco sulle punte, come una ballerina. In carne e forte come un soldato, poteva girare nuda per la Siberia ballando il mambo, tanto comunque non prendeva nemmeno un leggero raffreddore. I capelli rossi di sovente le conferivano un’aria ilare e buffa, che veniva smentita dal suo sguardo osservatore e alle volte ghiacciato che assumeva quando qualcuno la irritava. Riassumendola, una bella bacchettona con qualche lentiggine sotto gli occhi di un nocciola profondo, che sapevano anche essere comprensivi. Lei e Fitz erano una coppia davvero strana, ma nella diversità perfetta a modo suo. Si amavano tanto, nonostante i continui battibecchi alla Sandra e Raimondo, la spudoratezza del primo e la spiccata acidità della seconda. Erano davvero comici quando confabulavano tra di loro, ma nulla lo era di più di Roxanne. Pacifista fino alla punta dei capelli, diceva di avere un nome degno di un  fenomeno del Burlesque, di una battona di proporzioni bibliche e per questo odiava sua madre, che glielo aveva messo secondo lei per due ipotetici motivi: per il suo amore incondizionato per i Police o perché si aspettava di far nascere una bambina che sarebbe diventata famosa niente meno che nelle più affollate tangenziali/case di piacere d’Italia. Nel dubbio, optava sicuramente per la prima. Il suo motto era “viva le maglie di due taglie più grandi” che indossava costantemente per nascondere tutto ciò che poteva minare il pudore o che poteva “profanare” la sua cauta e vergine persona. In realtà il suo problema era la timidezza, nonostante la personalità eccessivamente esuberante che mostrava a tutti, era vergognosa, soprattutto del suo corpo che non dispiaceva affatto: slanciato e pieno di curve, contornato da capelli castani che probabilmente avevano una loro vita perché erano sempre ovunque, ma mai al loro posto pettinati. Ma torniamo ai fatti salienti. Quel famigerato giorno di confusione Roxi non c’era, probabilmente era a casa con la sua perenne allergia a non si sa ancora cosa e alla ricreazione mi ritrovavo in una delle tante rampe di scale della scuola e chiacchierare con gli altri due. Per mia sfortuna quel mercoledì si erano messi in testa di trovarmi un ragazzo, probabilmente stanchi di passare le ricreazioni assieme a me e bisognosi di un po’ di privacy (che poi gliela concedevo sempre, in realtà…), così dopo aver elencato schematicamente il nome di uno o due candidati alla mia mano (letteralmente, già si pensava ad un matrimonio) da parte di Anna, Fitz se ne uscì con quel biascicato “Sai, secondo me staresti bene con Alex” che poi mi frantumò il cervello in mille pezzetti. Il resto lo sapete già, ma fatto sta che dopo quel rapido battibecco io ed Anna ci scambiammo uno sguardo. Il mio inizialmente pensieroso per poi passare a attonito, il suo dubbioso e un po’ complice. Lei (e anche Roxi) sapeva che io avevo sempre provato un certo interesse per Alex e che lo trovavo tra l’altro un bel ragazzo. Anch’egli alto quanto Fitz, aveva mamma giapponese e padre italiano, quindi era un miscuglio di etnie riuscito perfettamente: l’occhio un po’ allungato e nero corvino dava un tocco di unicità al suo viso assolutamente mediterraneo e i capelli altrettanto corvini gli cadevano lisci e setosi nella nuca da cui iniziava un collo lungo da giraffa. La carnagione era chiara, diafana e la pelle priva di imperfezioni. Amava suonare un po’ tutto, se capitava trasformava in percussione anche il posteriore di sua madre, ma la sua più grande passione era la tromba. In realtà, nonostante la sua bellezza particolare e il suo magnetismo di musicista, non era popolarissimo fra il gentil sesso ma nonostante questo le sue pretendenti le aveva e Anna era consapevole che io ero tra una di queste, era certamente convinta dell’affermazione del fidanzato e voleva, ovviamente con la collaborazione di quest’ultimo, che provassi ad uscire con quel povero sventurato approfittando del fatto che Fitz lo conosceva benissimo, essendo amici da tanto tempo e compagni di liceo. Io, dal canto mio, non sapevo se si stessero burlando di me o se dicessero il vero, ma dal repentino mutamento di sguardo della mia amica da dubbioso a serio dedussi che nessuno mi stava prendendo per i fondelli. Mi sentii strana in quel momento, una scossa percorse la schiena, non so esattamente per quale motivo, forse per la gioia di questa nuova possibilità o forse per paura dell’ennesimo fallimento, perché non ero un gran che in amore, anzi, diciamo che ero alquanto catastrofica e incapace. Avevo iniziato a sperare in questa possibilità, d’altronde non c’era nulla di male nel provare, e sentivo che quella strana giornata di trambusto che scuoteva impetuosa la mia placidità mattutina era un po’ una introduzione, una prefazione al vero trambusto che mi avrebbe aspettato poi.

 

  
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