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Autore: Infinitefirefly    23/04/2007    11 recensioni
Era incredibilmente raro trovare una persona così patetica e privata di amore e qualsiasi tipo di affetto da ricorrere a qualcuno come lui per un po’ di conforto.(...)L’amore, realizzò Zetsu, e il desiderio egoistico dell’umanità di averlo, gli aveva conferito un senso di normalità.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta da me, ma dalle sapienti mani di un’autrice a parer mio bravissima, infinitefirefly, che mi ha dato il permesso di tradurla in italiano. Qualunque commento postiate, lo girerò all’autrice,che sarà immensamente grata di ricevere qualsiasi elogio o critica.

I personaggi principali sono due, di cui uno Zetsu, perciò la storia non poteva non piacermi a prescindere. Ho messo un rating alto per via delle tematiche abbastanza forti di morte e cannibalismo. So che è piuttosto lunga, ma spezzarla in più capitoli ne avrebbe rovinato l'essenza

Spero vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate.

Buona lettura!

 

 

Sundried Palaver

 

Una tiepida brezza scompigliava l’erba asciugata dal sole, persuadendo i denti di leoni tutt’intorno a rilasciare il loro polline e i sottili filamenti a disperdersi nell’aria.

Un aroma di terreno scavato da poco si mescolava con la fosca essenza di legno in fiamme, circondando la piccola recinzione riparata dal sole dove stava il ninja dell’Erba. Una grande quercia lo nascondeva agli occhi degli uomini come a quelli degli animali, le sua grandi foglie proiettavano ombre screziate sulla sua figura immobile.

Ondeggiando, l’erba solleticava le sue nocche.

Ogni respiro gli infondeva un vago senso di pace, di abbandono, nato dalla naturale fragranza del legno in decomposizione tinto da un debole profumo di iris e foglie di menta.

Laddove chiazze luminose di luce solare si facevano strada attraverso il fogliame e si riversavano sul suo viso, una specie di piacevole e allo stesso tempo doloroso calore si diffondeva sulla sua pelle, come tangibili baci soffiati dal sole.

Una cicala friniva rumorosamente in lontananza e le foglie sopra di lui ondeggiavano, cullate dalla brezza. Questo morbido agitarsi delle foglie fruscianti somigliava ad un sospiro di sollievo emesso dalla natura.

Il limitato estendersi delle ombre delle sue ciglia tremolava sulle sue guance e le palpebre si alzarono lentamente appena il bacio del sole scomparve dietro una nuvola candida. Un umido senso di frescura discese su di lui e sulle sue labbra di disegnò un accennato sorriso quando l’umidità della rugiada tardiva dell’alba incontrava la punta delle sue dita, raccolta in minuscole pozze al centro della corolla dei trifogli.

Era lontano mille miglia dalla sede dell’Akatsuki e da qualsiasi persona che lo conoscesse.

 

Il nome del posto in cui si trovava gli sfuggiva, benché ogni settimana sapesse ritrovarlo. Zetsu sapeva quali alberi oltrepassare e il corso di quali fiumi seguire per arrivare in quel luogo, uno dei pochi  posti che lo facevano sentire a suo agio, naturale.

Non c’era nulla di spettacolare nel punto dove aveva deciso di trascorrere le sue domeniche.

Era una piccola recinzione vicino al cortile di una famiglia piuttosto povera, giusto appena dietro la giungla di erbacce incolte che avevano inondato la proprietà.

C’era un misero orticello vicino alla casa, che offriva pomodori acerbi e cetrioli deformi, ora marciti sotto il sole, che regalavano il loro succoso interno alle formiche affamate.

Dove lui era seduto, comunque, la natura rimaneva incontaminata.

L’erba non era stata falciata o innaffiata, le foglie non erano state rastrellate e il terreno non era stato disturbato. In tutto la sua disordinata e incontrollata crescita, questa zona della madre terra era intatta e accogliente come una casa.

 

Zetsu non mangiava, di domenica.

Questa, aveva deciso, era l’unica ragione per cui la bambina che usciva a giocare in cortile ogni domenica era ancora viva.

Probabilmente aveva quattro o cinque anni. Avrebbe anche potuto essere più grande, ma la sua palese denutrizione non lasciava molto spazio alla crescita. In quel preciso istante, mentre lui era seduto dietro la piccola staccionata ad osservare lei si tuffava nell’erba incolta, tirando calci a una palla quasi completamente sgonfia mentre teneva i lembi del vestitino di cotone sporco con le piccole manine.

Non sembrava molto divertente, ciò che stava facendo.

Ma continuava nel suo gioco con una sorprendente intensità, i grandi occhi fissi sulla palla e sui suoi prevedibili itinerari nell’erba folta.

Zetsu notò che aveva i piedi scalzi. E chiuse gli occhi ancora una volta, appena il sole riemerse da dietro le nubi.

Zetsu era stato lì in totale sette volte e nonostante non avesse mai tentato di nascondersi, la piccola non l’aveva ancora notato.

E lui ne era sollevato, dato che prediligeva quel posto per nient’altro che la pace che sapeva offrirgli.

Una donna gridò da dentro la casa e l’istante successivo si udì il vagito di un neonato. Si udì un frastuono di pentolame caduto.

La cicala continuava a frinire e gli alberi sospiravano. La bambina calciò il suo pallone con più forza.

Gli occhi di Zetsu si aprirono improvvisamente quando l’erba asciutta vicino al suo ginocchio destro si piegò con un debole crepitio, disturbata dalla presenza di un intruso di gomma che luccicava opacamente alla luce del sole, il colore sbiadito bagnato dall’acqua fangosa delle pozzanghere.

Lo fissò, momentaneamente stordito dalla vista di qualcosa di sintetico ed innaturale imporsi nel suo santuario, prima che un’ombra oscurasse nuovamente il sole, immergendolo di nuovo nella frescura.

 

La ragazzina non gridò, quando lui alzò la testa ed incontrò il suo sguardo, e per un momento lui non disse assolutamente nulla, guardandola con lo stesso pacato silenzio che aveva adottato le settimane scorse. Continuò ad aspettare che i lineamenti del suo viso si contorcessero in un’espressione di orrore e disgusto, e che lei gridasse per lo spavento.

Quando ciò non accadde, arrivò alla conclusione che dovesse essere muta.

Questa constatazione fu immediatamente smentita.

- Ciao.- Gli disse.

La donna all’interno del casolare gridò ancora, e la bambina per un istante si voltò verso la casa. E di nuovo stava fissando lui, lo sguardo immobile e indagatore.

Quando realizzò che la ragazzina non avrebbe urlato, Zetsu inclinò leggermente la testa.

- Ciao.- rispose.

Il suo vestitino di cotone era normalissimo, con una stampa blu sbiadita sul davanti. Era alta poco più di (tre piedi) e i suoi capelli biondi erano legati in due trecce sottili e brillanti adagiate sulle sue fragili spalle ed incorniciavano un viso a cuore scavato dalla denutrizione.

Il suo labbro inferiore era gonfio e leggermente insanguinato.

E i suoi occhi erano grandi, così grandi che minacciavano di prendersi l’intero viso, innocente e timido come quello di un cerbiatto.

La bimba parlò di nuovo.

- Perché ti nascondi nella giungla?-

Zetsu la considerò in silenzio, in qualche modo divertito dal suo tono solenne e dalla sua totale mancanza di timore. Non trovando nessun motivo per non risponderle, si rivolse a lei con parole sussurrate morbidamente.

-È piacevole qui.-

Come se dubitasse della sua risposta, lei si sollevò in punta di piedi ad alzò la testa fino a riuscire a dare un’ampia occhiata alla quercia che torreggiava sopra di lui, e poi si guardò intorno per vedere cosa potesse essere minimamente “piacevole” in quel posticino così piccolo.

- Là ci sono insetti, signore.- disse lei aggrottando le sopracciglia.- Formiche e scarabei.-

- Non mi danno alcun fastidio.-

- Sei un clown, signore?-

- No.-

- Sembri un clown.- disse annuendo col capo, gli occhi che viaggiavano sulle due metà diversamente colorate del viso dell’altro.- E i tuoi capelli sono verdi. E…-

Si fermò,  tracciando il contorno delle appendici simili a una pianta carnivora ai lati della testa di Zetsu.

Lui rimase in silenzio.

La sua metà bianca, distaccata e contemplativa, continuava a darle retta, mentre la metà nera ribolliva di rabbia per la violazione del suo santuario da parte di questa piccola ranocchietta.

- Vuoi…- la piccola si fermò, sembrando in qualche modo esitante quando lui alzò gli occhi per guardarla.- Vuoi prendere il tè insieme a me?-

Zetsu sbattè le ciglia in un moto di stupore, sorpreso dalla proposta.

Dubitare della sua sanità mentale sembrava essere l’unica cosa logica da fare. Questa bambina aveva appena trovato una cosa estremamente bizzarra che assomigliava vagamente ad un uomo-pianta (era molto severo quando parlava di sé stesso) seduta nei cespugli vicino al suo cortile e lei voleva prendere il tè con lui.

Invece di rispondere alla sua domanda, replicò con un’altra domanda, e stavolta fu la sua metà nera a parlare.

Perché non ti sei mai accorta prima della mia presenza?”

La bambina lo guardò dritto negli occhi e si accorse che era strabica; dopodichè si strofinò l’occhio in questione e lui notò una sottilissima pellicola bianca sulle sue iridi traslucide che ricordavano la cataratta.

- Non ci vedo molto bene.- gli rispose, scusandosi.- Aspetta, torno subito.-

Zetsu la guardò correre via verso la casa, e le grida smorzate della madre irruppero nell’aria con una dura chiarezza quando la porta si aprì, soffocando il frinire della cicala.

La bimba tornò da lui un istante più tardi, con due tazze di carta e una brocca d’acqua.

Si avvicinò a lui quasi timidamente e sistemò la brocca prima di sedersi nell’erba di fronte a lui. A quel punto gli porse una tazzina. Zetsu la prese, non sapendo cosa fare, non sapendo se andarsene o restare, dato che la sua routine era stata interrotta.

La bimba si alzò per versargli il “tè”, stringendo la brocca con le mani sottili, apparentemente con ogni singola briciola della forza che possedeva.

Una volta che la sua tazza fu colma, si sedette e ne versò un po’ nella propria. Zetsu guardò nella sua tazza. Era piena di acqua di fiume.

Con riverenza, lei alzò la tazzina e sorseggiò elegantemente un po’ d’acqua, pigiando sul labbro gonfio e sobbalzando quando il flusso d’acqua accarezzò la carne insanguinata. Il bambino nella casa strillò di nuovo, il suono dei suoi potenti ed irritanti vagiti arrivava fino a dove loro erano seduti.

- Chi è?- chiese Zetsu, guardandola cogliere dei fili d’erba.

- Il mio fratellino.- mormorò.- La mamma non gli darà il latte.-

Zetsu non replicò, si limitò a strizzare debolmente gli occhi quando una soffice brezza gli accarezzò il volto. La risposta di lei non l’aveva affatto sorpreso, considerando che si trovava nella zona più povera del paese dell’Acqua.

Ma la sua solennità, aveva notato con vago interesse, era peculiare, anche per un’amareggiata bambina fin troppo consapevole della sua povertà.

Forse era stato il modo in cui le nuvole rosse sul suo mantello brillavano come seta sotto l’effetto della luce ciò che l’aveva trattenuta dal chiedergli come mai non aveva nemmeno toccato il suo tè. Forse pensava che qualcuno come lui, per quanto somigliasse così tanto a un clown, avesse potuto sentirsi offeso da quella ridicola domanda.

Qualunque cosa fosse, la trattenne dallo spingerlo a bere la sporca acqua del fiume.

Era un momento strano, pacifico e quasi clandestino, sotto l’ombra del fogliame. Dopo alcuni minuti di silenzio, Zetsu constatò che la presenza di lei non contaminava la ricchezza della brezza estiva, e nemmeno oscurava i suoi sensi nei confronti della natura. Lei sembrava anzi apprezzarla tanto quanto lui.

In qualche modo compiaciuto dal suo essere una creatura isolata, in quanto gli ricordava molto stesso, Zetsu riprese il discorso.

- È stata tua madre a farti questo?-

La bimba lo guardò, si toccò il labbro con la punta del minuscolo indice mentre lui fissava il sangue raggrumato.

- La mia mamma mi picchia, a volte.- ammise, senza la minima traccia di rancore.

La sua metà nera sorrise torva, e fece come per rispondere aspramente.

- Sei triste, per questo?- chiese invece la parte bianca.

Lei esitò, come se stesse seriamente contemplando la domanda, e quando rispose, scosse la testa ed usò un tono deciso.

- No.- silenzio.- Alla mamma non piace quando piango. Mi picchia di più.-

Zetsu la guardò in silenzio, prima di chiudere gli occhi per un istante, riaprendoli di nuovo per guardare da qualche parte in lontananza.

- Quando sei triste e solo…- iniziò con la sua metà bianca, fermandosi in modo che quella nera potesse concludere.“…tutto ciò su cui puoi fare affidamento è te stesso.”

La bambina non disse nulla, esattamente come lui si aspettava.

Non si aspettava nemmeno che capisse davvero cosa le stesse dicendo, tenendo conto di quanto fosse piccola, ma quella era l’unica verità di cui si era reso conto di non poter  imputare la colpa a nessuno nella vita.

L’umanità l’aveva disprezzato nonostante lui ne facesse parte, perché tutti erano intimoriti dal suo aspetto e da ciò che era in grado di fare.

La sua metà bianca l’aveva accettato; quella nera ne era ancora amareggiata.

Contento del silenzio di lei, lui proseguì nel suo.

Alcuni minuti più tardi, quando lei finalmente parlò, la sua voce era abbastanza leggera da perdersi tra lo stormire delle foglie.

- Sei triste, signore?-

L’accecante luce solare fece brillare i suoi occhi gialli, e sbattendo le palpebre per difendersi dall’attacco dei raggi, abbassò lo sguardo sulla testolina chinata di lei. Non si azzardava a sollevare lo sguardo e continuava a strappare i fili d’erba, intrecciando le strisce strappate in piccoli nodi. Le sue unghie erano sporche di terra.

Zetsu inspirò, annusando nuovamente l’aroma di deperimento naturale mischiato all’odore di legno bruciato.

Pensò a dov’era, a come si sentiva, e a chi lo aspettava al quartier generale.

Il pensiero di Tobi che lo accoglieva con un fin troppo esuberante “Zetsu-san!!!” formò un debole sorriso sul suo volto, e la sua metà nera rimase tranquilla, immersa nella profonda pace che aveva trovato nella natura circostante.

- Sono contento.- mormorò infine.

Dubitava che lei avesse anche solo lontanamente capito cosa intendesse dire, ma il tono con cui si era lasciato sfuggire quelle parole era più che sufficiente. Lei alzò con decisione i suoi occhi e lo fissò con le labbra leggermente dischiuse, quello inferiore leggermente penzolante sotto il peso del sangue raggrumato.

Con tutta probabilità, lei era la creatura più tiste che avesse mai visto.

- Tornerai?- gli chiese.

- No.- rispose lui pacatamente, senza esitare. E poi:- Tu invece lo vorresti?-

Lei sorrise, e lui notò che le mancava un dente.

- Mi piaci, signore.- ammise, ed immediatamente abbassò lo sguardo come vergognandosi del suo disperato bisogno di una parola gentile e di uno sguardo rassicurante.

Zetsu non ne sapeva molto, riguardo la gentilezza. Ma lui era un epitomo di tolleranza, ostentando costantemente l’unica qualità che non era riuscito a trovare nella gente che aveva incontrato nel corso cella sua vita. Lui tollerava chiunque, camminando, gli venisse incontro nella vita, e non vedeva perché non dovesse tollerare questa piccola ranocchietta quando apparentemente nessun altro ne aveva intenzione.

- Potrei…- disse lei improvvisamente, interrompendo il flusso dei suoi pensieri con la sua vocina esitante.- Potrei raccontarti una storia che mi ha detto una volta il mio papà…la prossima volta che vieni qui.-

Questo era forse il suo modo di offrirgli un incentivo che lo sollecitasse a tornare? Zetsu non vide nessun motivo per non accontentarla, considerando che sarebbe comunque tornato da quelle parti, la domenica successiva.

- D’accordo.- disse infine, ed osservò con distaccato divertimento come il piccolo viso di lei si sollevò improvvisamente come se fosse stato illuminato e le striscioline d’erba cadevano, ormai dimenticate, al suolo.

*************************

La tristezza era sintomo di necessità, un segnale per familiari e amici, una debole luce che segnalava un bisogno d’aiuto.

Questi segnali erano costituiti da lacrime e suoni di dolore, campanelli d’allarme dal tono malinconico. Che queste chiamate d’aiuto, questi segnali di SOS trovassero risposta o meno, dipendeva dagli altri.

Accettazione, conforto, amore: tutte queste cose venivano dispensate dagli altri.

Senza di loro, nessun aiuto arrivava in risposta alla chiamata, e nessun conforto a sedare la tristezza.

Le lacrime, gli occhi socchiusi nel buio: tutto sarebbe sparito da .

E i campanelli di allarme, rimasti inascoltati, si sarebbero infine acquietati. E tu e la tua tristezza sareste stati abbandonati a galleggiare in nessuna direzione, ingoiati dalla nebbia ed infine consumati da acque putride.

Non bisognava dipendere dagli altri, perché a volte gli altri potevano rifiutarsi di arrivare.

Zetsu non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse pianto. Dopo l’abbandono e l’indifferenza, aveva risposto da solo alle sue chiamate e si era asciugato le sue lacrime, e da allora era sempre stato così.

Lui era il suo unico amico, la sua unica famiglia.

Non aveva nessun altro appiglio.

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La domenica seguente portava con sé lo stesso tempo mite e soleggiato di quella precedente, con un tiepido venticello ed una luce del sole così intensa da far quasi male.

Zetsu emerse silenziosamente dal terreno, scoprendo che la sua nicchia era rimasta come l’aveva lasciata, trovando anche la stessa palla semisgonfia spezzare gli stessi fili d’erba asciutta. Si sedette al suo solito posto e si prese il tempo di assorbire tutto ciò che lo circondava.

L’odore delle foglie, della linfa e degli iris, miscelato con l’aroma del pasto cucinato dalla madre e nessun rumore proveniva dalla piccola casa, salvo il debole suono metallico di pentole e padelle.

Zetsu rimase seduto ad assorbire gli odori, i suoni e i sentimenti della natura per circa mezz’ora, lasciandosi cullare dalla miscela di sensazioni in uno stato di dormiveglia.

Quando arrivò la ragazzina, la sentì esitare nei pressi dell’erba asciutta, la percepì insicura alla vista dei suoi occhi chiusi. Quando li aprì, lentamente, lasciando che si abituassero gradualmente alla brillante luce del sole, la trovò che lo stava fissando con una traccia di preoccupazione sul suo visino.

- Stavi dormendo, signore?-

Indossava lo stesso vestitino dell’altra volta. Il suo labbro inferiore era tornato più o meno alle dimensioni normali.

- Stavo pensando.- rispose lui.

Lei annuì comprensiva, insolitamente seria non appena posò a terra la sua brocca d’acqua e le tazze di carta, spingendone una verso di lui.

- A volte penso anch’io.-

Zetsu sorrise debolmente, divertito dalla sua precocità.

- Che cos’avrà mai da pensare una piccola ragazzina come te?-

Lei piegò leggermente la testa su di un lato, osservando pensierosamente le foglie della grande quercia.

- Penso alle faccende domestiche…a che ora devo fare le cose…penso al cibo.- rispose, contando sulle dita.- Penso a cosa voglio fare quando diventerò grande.-

Zetsu non disse nulla, lasciando che il suo silenzio la spronasse a continuare.

- Quando sarò grande voglio essere una maestra.- dichiarò, prima di arrossire ed abbassare la testa.

La metà nera di Zetsu ghignò impercettibilmente.

- La paga è bassa.-

- I soldi, dici?- chiese, sembrando stupita.- Ma i maestri vivono in case tanto grandi!-

Beh, pensò Zetsu guardando la rovinosa baracca dietro di lei, qualunque casa potrebbe essere considerata grande, comparata a quel rudere.

- Dove vivi, signore?-

- Molto lontano.- replicò brevemente.

- In una tenda?-

-…No.-

- Mi piacerebbe vivere in una tenda.- mormorò.

Zetsu non aveva nessuna voglia di provare a capire cosa si nascondesse di razionale nel desiderio di una bambina di vivere in una casa fatta di tessuto, così rimase in silenzio.

- Hai amici, signore?-

Zetsu pensò immediatamente a Tobi.

- Sì.-

- Hai…- si fermò, come se stesse cercando le parole adatte.- Hai un lavoro?-

- Sì.-

- Il mio papà è un contadino. Sei un contadino?-

- No.-

- Ti diverti insieme ai tuoi amici, signore?-

- Divertirmi?- le fece eco Zetsu, inespressivo.

- Sì. Non avete giochi da grandi?- domandò curiosa.- Non mi sembra che i grandi si divertano molto.-

- Il divertimento è per i bambini.-

Lei sembrò quasi delusa dalla risposta, e diresse lo sguardo sui suoi piedini nudi.

- Allora non voglio diventare grande.-

Zetsu non poteva che essere divertito.

- Pensavo volessi diventare una maestra.-

Lei mise il broncio, e finalmente in quel modo sembrava dimostrare l’età che aveva. In qualche modo, era una scoperta rassicurante.

- Non voglio diventarlo, se non è divertente.-

Seguì un breve momento di silenzio, rotto solamente dall’acuto strillo del neonato e dalle conseguenti grida della madre. Zetsu notò l’ombra che per qualche istante offuscò il viso della bambina, ed era quasi con amarezza che abbassò i suoi occhi a guardare l’erba.

- Mamma non si diverte.- mormorò dopo un minuto.- Per questo si arrabbia. Si diverte soltanto quando mi picchia.-

Il labbro insanguinato apparve nella mente di Zetsu, il colore maturo e brillante come l’interno di una prugna, e la consistenza tenera come quest’ultima.

- Guarda.-  disse quasi compiacente, indicando il suo polpaccio destro.- Questo è il livido delle botte che ho preso ieri.-

Un lungo livido nero tracciava il contorno della sua gamba ossuta, insieme ad una crosta e una ferita. Mosse la gamba e guardò l’altra finché non trovò una scottatura sulla coscia. Le sue gambe erano magre quasi quanto i suoi polsi.

- Questa è grossa!- esclamò, quasi orgogliosa di aver affrontato l’ira della madre e di esservi in qualche modo sopravvissuta.

Zetsu si sentì quasi obbligato a mostrarle la cicatrice che si era guadagnato una volta quando era stato impalato su una lancia ma rinunciò, lasciandola mostrargli le varie prove della sua guerra. Per ogni cicatrice che gli esibiva, c’era una piccola storia che vi si accompagnava.

Dentro quella testolina c’era una grande immaginazione: gli raccontava le sue storielle farcendole di dettagli fantasiosi come lucertole giganti, gatti volanti e simili.

Finalmente, la bimba arrivò alla storia che aveva intenzione di raccontargli dall’ultima volta che lui le aveva fatto visita, e per dieci minuti lui rimase seduto ad ascoltarla parlare in un tono di voce appena sussurrato dello stregone che esorcizzava i demoni nel suo villaggio.

 

Il suo distaccato senso di divertimento cambiò bruscamente una volta che, esaurito il suo repertorio di favole, la bambina dichiarò improvvisamente, con una sicurezza disarmante:

- Mamma dice che morirò.-

Zetsu si limitò a fissarla, in qualche modo consapevole che non stava fingendo o raccontando altre storie, consapevole che, confidandogli questo suo grande segreto, l’aveva accettato come amico.

Quando lui non disse nulla, lei proseguì.

- Mamma dice che sono malata e che mangio tutto il loro cibo. Dice che morirò…- si fermò, guardando l’orizzonte con uno sguardo pensieroso.

- Penso che mamma voglia uccidermi, quando mi picchia.-

Prima di quell’istante, Zetsu non aveva preso in considerazione la possibilità che parole così profonde potessero uscire dalle labbra di una semplice bambina. Ma il modo solenne in cui le aveva pronunciate lo fece ricredere.

- Ho paura.- mormorò, guardando nuovamente i suoi piedi.- Ho paura quando mamma mi colpisce. Ho paura di morire.-

- Perché non scappi via?- domandò Zetsu fissandola, improvvisamente affascinato.

- Puoi contare solo su te stessa.-

Lei scosse la testa, la vocina ridotta a un mormorio quasi impercettibile.

- Non ho nessuno che si prenderebbe cura di me.-

- Non aspettare che qualcuno risponda alle tue chiamate o che asciughi le tue lacrime. Ci annegherai dentro.-

- Tuo padre.- disse Zetsu dopo un momento, guardandola intensamente.- È gentile con te?-

Il modo in cui lei lo guardò, facendosi indietro improvvisamente e quasi vergognandosi, stringendo convulsamente i bordi del suo vestitino di cotone ed evitando di rispondere, convinse Zetsu a lasciar cadere l’argomento. La paura sul suo viso era quasi tangibile.

- Papà mi vuole bene.- disse dolcemente, dopo qualche istante.- Lo dice sempre.-

Zetsu interruppe lì la conversazione.

Lei non lo invitò a tornare. Non direttamente, almeno. La speranza nei suoi occhi grandi parlava per lei.

*******************

Zetsu aveva capito che c’era una certa giustizia poetica, nel cibarsi delle sue vittime.

La gente prendeva il necessario dalla terra, saccheggiava le sue risorse ed inquinava le sue acque. Costantemente abbatteva i suoi alberi e ne uccideva gli abitanti.

Il loro passatempo giornaliero era un continuo stupro della madre terra.

Quando sentì il primo pezzo di carne ancora calda scivolare giù per la sua gola, sorrise con la consapevolezza che coloro che rubavano alla terra tornavano da lei, alla fine.

Tornavano nella polvere, dalla loro madre, nel terreno dal quale erano germogliati. Si sarebbero decomposti come piante e animali, i loro corpi avrebbero arricchito il suolo, restituendogli tutto ciò che avevano rubato.

E il sole avrebbe illuminato i loro cadaveri, lasciando baci caldi come quelli di un padre sulle ferite aperte, attirando le mosche e sviluppando i batteri, accelerando il collasso di carne ed ossa.

Sono una di queste creature, pensò Zetsu serenamente, sbattendo le palpebre pigramente nella luce del sole, mentre il sangue scorreva sul suo mento. Sono una di quelle creature che beneficiano del vostro cedimento. Io cresco grazie alla vostra rovina. C’è nuova vista nel vostro collasso.

Gettò uno sguardo al cadavere ai suoi piedi, il suo sorriso sereno si allargò appena le mosche iniziarono ad accumularsi intorno.

 

Collasso e rinascita.

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Lei non avrebbe restituito molto alla terra quando sarebbe morta, questo era sicuro. Non aveva preso quasi nulla fin dal principio.

Osservò i suoi arti ossuti e le guance scavate mentre lei gli versata acqua di fiume dalla brocca, osservando il modo in cui le manine tremavano nello sforzo di tenere sollevato l’oggetto.

Lui iniziò a sorseggiare il “tè”.

Lei sembrava incapace di alzare di nuovo la brocca.

 

Gli raccontò altre storie. Per la maggior parte del tempo, lui rimaneva seduto ad ascoltare, divertito dalla sua serietà e contento della soddisfazione sul viso della piccola dopo avergli narrato le sue avventure.

Non aveva mai menzionato lo strano aspetto di lui, sembrava convinta che nulla potesse essere paragonato alla pura depravazione dei suoi racconti.

Nuove ferite apparivano ad ogni visita, un accessorio che lo distraeva dallo stesso vestito che lei indossava ogni volta.

- Mamma mi ha picchiata ieri.- gli confidò, indicando una guancia.- Ha fatto cadere un dente che traballava. È stato divertente, dopo che ho smesso di piangere.-

Aprì la sua bocca e si chinò in avanti per dargli prova di ciò che aveva appena raccontato, mostrandogli orgogliosa lo spazio vuoto tra gli incisivi. Le sue tonsille erano di un rosa acceso, le uniche parti in salute nell’insieme del suo viso devastato. La rimozione del dente da latte aveva lasciato una brillante chiazza rossa tra i denti, che emanava un leggero odore di rame.

Zetsu inspirò.

La bambina odorava di ammoniaca e borotalco.

- Posso vedere i tuoi denti?- gli chiese.

Zetsu la guardò con cautela per un attimo, prima di spalancare la sua bocca, lasciandola scrutare i canini affilati che dominavano la parte superiore d inferiore delle sue mascelle. 

- Hai così tanti denti aguzzi.- disse lei, sembrando ammirata.- Io ne ho solo quattro!-

La sua metà nera trovò tutto questo molto divertente, ed allungò le sue labbra in un ghigno ferino, mostrando tutti i canini.

- Mangio molta carne.-

I suoi occhi si allargarono leggermene a quelle parole, le labbra si schiusero al suono della parole “carne.”

- È deliziosa.-

- Mi piace la carne.- affermò lei, con un tocco di malinconia.- L’ho mangiata solo una volta.-

- Non sai cosa ti perdi.-

-Lo so.-

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Zetsu tollerava molte cose.  Tollerava ignoranza, pregiudizi, e stronzate pretenziose. Tollerava i compagni di squadra disobbedienti  e il casino che facevano. Tollerava le urla che sentiva quotidianamente alla base.

Ma non tollerava lo spreco del cibo.

Lo trattava con riverenza, senza mai mancare di apprezzare la consistenza come di seta delle carni una volta private del pelo ruvido e della pelle dura.

C’era una donna ai suoi piedi, gli occhi chiusi e la bocca aperta. Sembrava addormentata nel suo kimono, coi suoi capelli sciolti e disordinati sul pavimento intriso di sangue.

Con gentilezza, afferrò il manico del coltello che usciva dal suo fianco e premette una mano contro le sue costole per tirarlo fuori, facendo attenzione a non mutilare ulteriormente il corpo.

I banditi che l’avevano uccisa erano scappati da tempo, lasciandola morta sul pavimento della sua camera da letto.

Il familiare odore di rame aveva catturato la sua attenzione mentre era di passaggio, e l’aveva seguito fino a trovarla.

Non conosceva la donna. Nemmeno conosceva il motivo di quel brutale attacco.

Tutto ciò che sapeva era che non voleva che andasse sprecata.

Appoggiando il coltello insanguinato sul pavimento accanto a lei, estrasse il suo kunai e si piegò in avanti, infilando la punta affilata sotto la stoffa del kimono, strattonando verso il basso. Il tessuto si tagliò come carta, e prima che la carne ancora calda sotto di esso fosse esposta, allungò il braccio verso la lampada sul comodino.

Un debole click spense la debole luce gialla nella stanza, lasciandole nella completa oscurità e nascondendo la nudità della donna quando l’abito venne rimosso e la carne scoperta.

Consumarla come pasto era parte del ciclo della natura.

Ma guardarla nuda sarebbe stata una violazione della sua ultima dignità.

Zetsu poteva anche essere un divoratore di carogne.

Ma era comunque un gentiluomo.

**************************************

 

- Posso mostrarti alla mamma?-

- No.-

Non gli chiese altro, e abbassò lo sguardo a terra. Il tempo si era fatto più caldo ad ogni sua visita, e gocce di sudore imperlavano la fronte pallida della bambina. Zetsu assorbì la luce del sole sul suo viso e si sentì rinascere, il morbido calore disegnava macchie arancio sulle sue palpebre chiuse.

Lunghi e duraturi silenzi costituivano gran parte delle loro conversazioni, e i loro piccoli discorsi consistevano in domande poste da lei e brevi risposte di lui.

- Come ti chiami?-

- Perché vuoi sapere il mio nome?-

Lei non disse nulla per un po’, e quando finalmente parò sembrava quasi intimidita.

- Non lo dirò a nessuno.-

Zetsu non disse nulla.

- Come ti chiamano i tuoi amici?-

Zetsu mantenne il suo silenzio.

- Sono tua amica?-

Le sue palpebre si sollevarono leggermente, le ciglia gettavano piccole ombre sottili come zampe di ragno sulle sue guance. L’angolo del suo labbro ebbe un sussulto, e la sua metà nera parlò un secondo dopo.

- Non ho bisogno di amici.-

- Non ti senti solo?-

- Ho me stesso…e questo è ciò che conta.-

- Non ti piacciono le persone?-

- Io non piaccio alle persone.-

-…….a me piaci.-

Zetsu aprì gli occhi.

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L’egoismo era ciò che governava il bisogno umano di amicizia.

Le persone avevano bisogno di gente come loro. Avevano bisogno di un viso familiare che le confortasse nel dolore, che le facesse i complimenti in caso di successo, che fosse d’accordo con loro nei dibattiti. L’amicizia era soltanto un abbellimento per la sicurezza di stessi attraverso un’altra entità.

Era una forma di dare e avere --- io accarezzo la tua schiena e tu accarezzi la mia.

Questa era la sua opinione, certo. Non si sentiva obbligato ad assicurare stesso di alcunché tramite un amico che fosse d’accordo con lui. Lui era d’accordo con stesso, ed era ciò che contava.

 

Tobi era diventato suo amico perché Tobi ne aveva bisogno. Aveva bisogno di incoraggiamento e di lode e aveva bisogno di compagnia per non impazzire.

Zetsu era un amico particolare, perché non aveva mai chiesto in cambio nessuna di queste cose.

Trovava conforto in stesso, trovava amore nel bui con le sue due metà che si scambiavano suppliche per essere toccate e per parlare. La sola sensazione delle sue dita che si toccavano le palpebre o la bocca era confortevole, e il suono della sua voce era cullante e curativo.

Segreti e ammissioni di colpa erano facili da confessare a stesso, facili da condividere perché sarebbero stati tenuti in stretta confidenza.

- Ho ucciso un uomo oggi.- sussurrò.

- Ti ha attaccato lui per primo.-

- Mi sono distratto dalla mia missione.-

- Nessuno è perfetto.-

- Ho dubitato di me stesso. Me ne vergogno.-

- Ti amo lo stesso.-

Sollevò le sue mani, seppellì gentilmente il suo viso nei suoi palmi e sorrise, colmo di gratitudine, contro la carne morbida delle sue dita.

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Zetsu era rimasto sorpreso quando lei gli aveva rivelato che aveva quasi otto anni.

- Domani è il mio compleanno.-

Sbatté pigramente le ciglia alla luce del sole estivo, gli occhi d’ambra brillavano nella chiara luce splendente.

- Papà mi da un dolce al mio compleanno.- aggiunse, e il suo sorriso si allargò leggermente.- Tornerà domani dal villaggio dell’Erba.-

Il più tenue tremolio di riconoscimento illuminò i suoi occhi nell’udire il nome del suo villaggio, la sua mente evocò vividi ricordi di vaste pianure verdi e di freschi e fragranti terreni.

- Puoi dirmi “buon compleanno”?-

Lui si girò ad incrociare lo sguardo della bambina, per nulla sorpreso dalla solennità nei suoi occhi traslucidi.

- Perché vuoi che lo faccia?-

Lei scrollò le spalle, ma i suoi occhi non sembrarono meno imploranti di prima.

Egoismo. Bisogno. Disperata rassicurazione. La condizione umana.

- È perché sei come tutti gli altri, se stai morendo di fame.- disse dolcemente.

Sembrava che non l’avesse nemmeno sentito, le orecchie imploranti aperte per le due parole che bramava udire, e per nient’altro.

Zetsu si addolcì, pietoso nei confronti di questa triste creatura che, come tutti gli altri, era incapace di garantirsi da sola amore e rassicurazione.

- Buon compleanno.-

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Era incredibilmente raro trovare una persona così patetica e privata di amore e qualsiasi tipo di affetto da ricorrere a qualcuno come lui per un po’ di conforto.

Quando le cose che costituivano la felicità e la realizzazione venivano a mancare, tutti i pregiudizi, le pretese e i metri di giudizio superficiali sparivano. Rivolgersi a lui, e guardare oltre il suo aspetto, il suo comportamento e il suo stato di doppia personalità, era la palese dimostrazione del bisogno di base dell’umanità.

L’amore, realizzò Zetsu, e il desiderio egoistico dell’umanità di averlo, gli aveva conferito un senso di normalità.

Lui era normale agli occhi di coloro che ne erano privati. Forse ai loro occhi era anche bello.

E nonostante fosse egoista da parte della gente avere bisogno di lui per soddisfare i loro desideri fondamentali, non poteva evitare di sentirsi compiaciuto.

Era contento di amare se stesso, ma l’idea che qualcuno avesse bisogno di lui alimentava un’euforia che aveva sperimentato solo una volta, da qualche altra parte.

Ormai non andava più in quel luogo solo per il santuario di pace che gli offriva, ci andava per crogiolarsi nell’euforia che arrivava con la consapevolezza che qualcuno aveva bisogno di lui, che qualcuno lo voleva lì.

Stava diventando come loro? Stava contando su un’altra persona per dargli una piena realizzazione?

- È soltanto temporaneo.- disse a stesso in un sussurro.- E comunque lei morirà presto.-  

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Il cielo era nuvoloso quando si incontrarono la volta successiva, e una piacevole frescura era scesa sull’erba bruciata dal sole, trattenendo l’evaporazione della rugiada della notte precedente.

La bambina faceva correre le sue mani sull’oceano di quadrifogli che aveva intorno, scrutando l’umidità dei suoi palmi luccicanti.

Zetsu guardò l’orizzonte, attraverso occhi semichiusi osservò attentamente la coperta di nuvole che nascondeva il sole. Si sentiva intorpidito dal sonno.

- Qual è il tuo colore preferito, signore?-

Lui pensò alla risposta, gli occhi vagavano sulla miriade di colori che li circondava.

- Non saprei.- rispose sinceramente, dopo un po’.

Lei lo guardò in silenzio per un istante, prima che i bordi delle sue labbra si sollevassero timidamente guardasse nuovamente il terreno.

- A me piace il verde.- sollevò lo sguardo su di lui e sorrise timida.- Mi ricorda te.-

Zetsu si limitò a fissarla.

Ho ucciso tre persone ieri, voleva dirle, e le ho mangiate. Ti piacerei ancora, dopo aver sentito questo?

Non è necessario che lo sappia.

Sono un criminale ricercato e il mio nome è su tutti gli albi.

Non è necessario che lo sappia.

Ti sto tollerando soltanto perché ottengo un egoistico senso di soddisfazione nel sapere che qualcuno ha bisogno di me, anche se è una patetica, piccola ranocchietta come te.

Non è necessario che lo sappia.

- Anche a me piace il verde.- rispose.

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La gentilezza è relativa.

L’amicizia è una forma di dare e avere.

Tutti gli uomini sono egoisti.

Gli uomini hanno bisogni di qualcuno, e hanno bisogno che qualcuno abbia bisogno di loro.

Sono così patetici.

Ed è una bella sensazione sentirsi come uno di loro.

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Alla fine venne un tempo, dopo la fine dell’estate, in cui Zetsu non poteva più tornare laggiù. L’organizzazione era in procinto di muoversi, e nel trambusto di trovare un nuovo covo e di non essere scoperti, il relax era qualcosa da lasciare in secondo piano.

Stava arrivando l’autunno, e il sola aveva iniziato ad affondare più velocemente, l’aria fredda e le nuvole solleticavano il cielo. La luce del sole divenne più debole e i colori più grigi. L’erba si piegava e le foglie iniziavano a cadere, e la rugiada non era più piacevole a contatto con la pelle. Lo faceva rabbrividire.

 

Quando le disse che non sarebbe più tornato, all’inizio di settembre, quando le prima foglie iniziarono a cadere, la reazione della bambina fu inaspettata.

Lanciò lontano la sua tazza di cartone piena d’acqua e balzò in piedi, gli occhi sgranati e il petto pesante.

Lui sbattè le palpebre in sorpresa allo sguardo sul suo visino, all’espressione di paura che le attraversò gli occhi quando un alito di vento freddo soffio sui soffici e lunghi capelli dietro di lei.

- Te ne vai per sempre?-

Anche in quel momento, non riuscì a fare a meno di essere divertito dalla sua drammaticità.

- Non so per quanto tempo starò via.-

La sua ambiguità lasciava molto a desiderare, e lei rimase a fissarlo implorante per diversi minuti, una magra e scarna figura che supplicava con fervore attraverso quello sguardo traslucido.

- Non tornerai?- domandò, la voce fragile e tremolante per la prima volta.

- No.- disse onestamente, il suo tono di voce dolce come al solito.- non tornerò.-

Era un momento teso, e Zetsu era lievemente irritato dal senso di disagio che aveva invaso la sua piccola nicchia. L’erba asciutta divenne tagliente e il freddo più intenso. Voleva andarsene.

- Io…- disse lei, improvvisamente sull’orlo del pianto.- Io ti piaccio ancora?-

Lui la guardò in silenzio, senza mutare espressione quando le lacrime che aveva trattenuto per settimane strariparono dai loro argini, scorrendo lungo le sue pallide guance scavate.

Egoista. Bisognosa. Umana.

- Non andare!- implorò, la voce rotta e le mani che stringevano i bordi del vestitino.- Ti prego…ti lascerò…potrai…-

Lui la fissò, improvvisamente senza parole quando lei sollevò con mani tremanti la gonna del vestito, rivelando le gambe fragili, le cosce magre quasi quanto i polsi e un paio di mutandine bianche.

- Se lo lascio…- continuò, piangendo apertamente ora.- Se lascio che papà…lui non se ne va. Non parte più. Puoi…se vuoi. Non andare via.-

Zetsu la fissò ancora, e quando finalmente respirò, annusò ammoniaca e borotalco. L’odore era inebriante.

Lei rimaneva lì, piangendo, tenendo sollevati i lembi del suo sporco vestito di cotone e sembrando gli occhi di Zetsu come la creatura più triste e sottomessa che avesse mai incontrato.

Una fredda goccia d’acqua atterrò sulla sua guancia.

Alzò gli occhi, strizzando le palpebre quando un’altra goccia atterrò sulla sua fronte, frantumandosi in minuscole goccioline ed effondendo una fragrante esplosione di ozono.

 

Gli uomini sono creature patetiche.

Tuo padre…è gentile con te?

È una bella sensazione sentirsi come uno di loro.

Papà mi vuole bene…lo dice sempre.

Non stavolta.

 

La pioggia penzolava dalle punte dei suoi capelli, correndo sulle sue labbra, fredda e dolce contro la furtiva comparsa della sua lingua. Penzolava dalle sue ciglia e le costringeva ad abbassarsi, ed abbassò lo sguardo sulla bambina che stava in piedi davanti a lui, ignorando la gelida pioggerella.

La pioggia sembrava un applauso disperso sul fogliame lì intorno, e le foglie della quercia si rompevano sotto il peso dell’acqua, coprendo il terreno della sua nicchia di un tappeto di foglie morte e marroncine. Le caviglie della bambina si trovarono sommerse dal fango, bianco pallido contro marrone putrido.

In qualche modo, Zetsu riusciva a distinguere la pioggia dalle lacrime sul suo viso, gli occhi gialli fissi su quelle fattezze logore e devastate.

Perché lei si aspettava che lui accettasse la sua offerta, andava oltre la sua comprensione. Forse credeva che i giochi degli adulti consistevano in questo, che se lei avesse preso parte dei loro nefasti passatempi non l’avrebbero abbandonata. Faceva male, ed era vergognoso, ma in quel modo qualcuno aveva bisogno di lei. E quindi andava bene.

 

Zetsu si sentì inspiegabilmente triste, sbattendo la palpebre per mandare via la pioggia dagli occhi mentre si avvicinava.

Non era sicuro del perché fosse triste. Forse aveva finito di provare pietà per la patetica creatura davanti a lui, ma ne dubitava fortemente.

La tristezza veniva dalla vergogna di sapere che, anche se per poco, aveva ottenuto gratificazione dall’essere accettato e desiderato al fianco di un altro essere umano.

La tristezza veniva dalla consapevolezza che aveva ragione. Non c’era orgoglio nel dipendere dagli altri, nell’avere bisogno degli altri. Specialmente quando le persone erano così prive di affetto come loro.

Tutto ciò di cui aveva bisogno era lui stesso. E avrebbe dovuto essere così fin dall’inizio.

Lei  lasciò gradualmente la presa sul vestito bagnato, la testa si abbassò leggermente sotto il peso della mano di Zetsu.

Aveva rinunciato a provare ad ottenere amore e conforto dagli altri molti anni prima.

Ma non aveva mai davvero smesso di cercare di darne.

Non aveva molta familiarità con la tenerezza. Tollerava ed empatizzava. Zetsu era un amico particolare.

- Quando sei sola,- le disse, la voce che si mescolava al suono della pioggia battente.- nessuno può farti del male.-

Rimosse la sua mano dalla testa della bimba.

E quando lei alzò lo sguardo, lui era sparito.

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- Sembri triste, Zetsu-san. È successo qualcosa?-

-………non è niente, Tobi.-

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Il cielo era ancora nuvoloso, quando tornò, e le foglie pendevano senza vita dai rami piegati della grande quercia. La palla semisgonfia giaceva dimenticata nel trascurato santuario di pace pieno di piante morte.

Aveva seguito l’odore di rame per miglia, e l’aveva condotto qui.

Stette la lungo sotto l’ombra della quercia, sapendo che la madre della bambina aveva fatto esattamente ciò che la figlia aveva predetto.

Senza parlare, entrò nel cortile e camminò fino alla porta della rovinosa baracca. Nessun neonato piangeva all’interno. Continuò a seguire l’odore del rame, finché questo non lo portò al fiume, a circa un miglio di distanza dalla casa.

Una donna mezza morta di fame era in ginocchio sulla riva vicino all’acqua, stava riempiendo di rocce un grande sacco. Accanto a lei giaceva il corpo della figlia.

Osservò in silenzio la donna per un po’,  senza guardare la bimba che ancora indossava il suo vestito di cotone e giaceva senza vita sull’erba avvizzita. Le rocce di cui era stato riempito il sacco erano molto pesanti, e quando la donna si girò per afferrare sua figlia si accorse di Zetsu.

Occhi vitrei e selvaggi guardarono verso di lui, la bocca si muoveva silenziosa mentre lui rimaneva impassibile. La donna sembrava completamente pazza.

Dopo pochi secondi, scappò in direzione della casa abbandonando il sacco pieno di rocce e il corpo di sua figlia.

 

Zetsu la guardò scomparire all’orizzonte, e allora mosse il suo sguardo sulla bambina riversa sulla riva del fiume. Si avvicinò, inclinando di lato la testa, esaminando il suo viso e i suoi occhi chiusi. A giudicare dall’aspetto, era morta da circa un’ora. Il sangue ancora colava da dietro la testa, dove sua madre doveva aver diretto il colpo fatale.

Spostò l’ingombrante sacco di pietre e si inginocchiò, prendendo tra le braccia il corpo apparentemente senza peso della bambina.

Lanciano un ultimo sguardo al circondario desolato e privo di colore, chiuse gli occhi e sprofondò attraverso l’erba avvizzita.

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La portò in un luogo dove gli iris erano in piena fioritura e le api ronzavano da un fiore all’altro. L’erba incontaminata si aggrovigliava in cespugli contro i lembi del suo mantello quando emerse in quella terra fertile. L’odore di linfa e di acqua fresca riempiva l’aria.

 

Zetsu non mangiava, di domenica.

Ma questo non significava che lei dovesse andare sprecata.

 

La portò in una piccola nicchia erbosa, appoggiandola a terra accanto a una macchia di trifogli. Ed iniziò a scavare. La luce del sole gli scaldava la schiena e proiettava l’illusione di un colore sul pallido viso di lei, aggiungendo splendore ai suoi capelli chiari e asciugando il sangue.

Le sue dita sanguinavano sotto le unghie quando finì di scavare, ma non gli importava. Una cicala friniva pacatamente in sottofondo mentre la appoggiava all’interno della fossa, e le farfalle  volavano serenamente sopra la tomba mentre lui la riempiva di terreno fertile.

Un vago sentore di conclusione scese su di lui quando pianeggiò la terra sulla superficie della tomba, facendo correre le sue dita sul suolo profumato. Non c’era né dolore o lutto per la perdita della bambina che gli aveva offerto un te all’acqua di fiume per gli ultimi tre mesi, solo sollievo.

Era così giovane e insignificante, che non aveva rubato praticamente nulla dalla terra che la seppelliva. Ma nella morte avrebbe servito all’alta causa di arricchirla. Il suo corpo sarebbe tornato alla natura e sarebbe diventato parte di un intero indissolubile. Non sarebbe più stata sola, non avrebbe più sofferto. La sua essenza si sarebbe mescolata e avrebbe abbellito la terra che avrebbe dato vita ai fiori, soffiando profumi deliziosi tra i loro petali.

Zetsu fissò lo sguardo ambrato sugli elastici  per capelli che aveva in mano, chiudendo le dita su di essi.

Non era riuscito ad essere suo amico, alla fine. Non era nemmeno stato in grado di cambiare la sua visione dell’umanità come una razza depravata di creature egoiste che imploravano per comprensione e amore.

Ma l’aveva portata in un luogo miglior e le aveva fornito uno scopo più elevato. Sarebbe diventata parte della natura che lui tanto amava, e in quell’aspetto soltanto avrebbe trovato affinità con lei.

Zetsu respirò profondamente. Chiudendo gli occhio, appoggiò la mano sul suolo soffice.

La possibilità di una nuova vita spinse, evanescente, con un calore confortevole contro il suo palmo bianco.

Sorrise.

Collasso e rinascita.

 

Owari

  
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