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Autore: Thilwen    23/04/2007    20 recensioni
“Ci sarebbe stato tempo, forse, un giorno, per raccontarci tutto ciò che non eravamo mai riusciti a dirci.
Un giorno. Ma non 'quel' giorno.
Quando, ed adesso lo so, è iniziato tutto. O forse dovrei dire è finito.
Quel giorno è finita la nostra attesa.
Ed è iniziata la mia veglia.”
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Harry Potter e, soprattutto, Ron Weasley ed Hermione Granger, appartengono a J.K. Rowling e a tutti coloro che ne detengono i diritti.
Io non scrivo a scopo lucro, il mio è solo un modo per esercitarmi e liberare la mia anima. Amen.

Beta-reader: mise_keith
Capitoli: unico
POV: Ron Weasley

Note:
Allora, ho scritto questa fanfiction in una serata di solitudine nella mia casa di villeggiatura, masticando chewing-gum, rincorrendo pensieri raminghi e ascoltando la colona sonora de “Il favoloso mondo di Ameliè” (film che consiglio a tutti, fra le altre cose).
Un anno fa. Una vita fa.
Ho impiegato tantissimo tempo prima di decidermi di postarla, perché intessuta di emozioni che adesso non mi appartengono più.
Ora, diciamo, sono guarita e posso pubblicarla. Adesso non mi fa più male, è diventata innocua. Solo una fanfiction sentimentale. Molto, molto sentimentale. Vergognosamente sentimentale.
Ero in uno dei miei peggiori -e per fortuna anche estremamente rari!- momenti romantici, in un periodo particolare della mia vita e la colonna sonora che ne ha accompagnato la stesura non deve aver certo aiutato.
Alla fine ho deciso di pubblicarla perché, in fondo, mi piace e potrebbe essere anche l’ultima su questa serie. Sono riuscita di nuovo a scrivere ma ho cambiato registro; le mie prossime storie non saranno su Harry Potter.
Spero che qualcuno possa gradire questa fanfiction e recensirla.

Ringraziamenti e dediche:
Durante questo periodo buio della mia vita, molte persone mi sono rimaste vicine e hanno fatto in modo che io potessi riprendermi e pubblicare questa fanfiction.
Ma due mi hanno aiutata più di tutti.
Ringrazio Chiara, perché ha saputo misurare pazienza e affetto, ha saputo dare il giusto peso al silenzio e ha scelto il momento giusto per schiaffeggiarmi e rendermi nuovamente alla vita. Perché non mi ha mai lasciata sola ed è stata al mio fianco, qualunque scelta facessi.
E Rosario, che ha saputo ascoltarmi, consolarmi, rendersi presente, con comprensione gentilezza e affetto.
Grazie. Dedico questo lavoro a voi due.

E alla mia pesciolina pluriomicida.



La lunga veglia di Ronald Weasley



Veglio il suo sonno.
Così, dolcemente, nel silenzio della notte. Ascolto il suo respiro, ne sento una pavida carezza sulle labbra.
Non riesco a dormire, non posso.
Perché dovrei dormire quando posso guardarla?
No, resterò così, il mio braccio sotto il suo corpo nudo coperto dai suoi riccioli castani, stretto a lei, il mio naso a un fiato dal suo e dalla sua bocca socchiusa.
I miei occhi aperti sulle sue palpebre chiuse.
Resterò così, a guardarla dormire, forse anche ad attendere che si svegli, per poi fare l’amore con lei.
Di nuovo.
Per poter poi continuare a fare l’amore con lei per tutta la vita.
O solo per restare fermo a proteggerla, dal mondo e da tutto quello che potrebbe perturbare il suo riposo sereno.
Adesso lei è mia, unicamente mia, e nessuno potrà più farle del male.
Devo essere sincero. È stato strano quando è cominciato tutto davvero.
Un po’ irreale, un po’ sconvolgente.
Un po’ troppo bello per rendermene conto subito.
In verità temo che l’avessimo tirata per le lunghe.
O, più semplicemente, ce la tiravamo da troppo tempo.
Dopo essermi lasciato con Lavanda credevo che ormai fosse tutto apposto.
Insomma, quel gran putiferio che c’era stato aveva cambiato un bel po’ di cose. Sarebbe stato inutile continuare a prendersi in giro, fare finta di nulla; tra di noi c’era qualcosa, era chiaro. I tempi, e noi con loro, erano finalmente maturi.
Inizialmente mi ero detto che avrei dovuto solo lasciare Lavanda, poi si sarebbe sistemato tutto. Sarebbe stato naturale.
Perché, cosa ci avrebbe divisi a quel punto, quando tutto era fatto, quando non c’erano più parole da dire, ma bastava solo allungare la mano e prendersi?
Avevamo avuto tanto tempo, dopo, soprattutto quando Harry si era messo con mia sorella e noi due restavamo soli così a lungo…
Soli, io e lei, in Sala Comune, per i corridoi, nel parco, da Hagrid, a pranzo, cena e colazione.
Ma passavamo settimane intere a comportarci come se non ci fosse nulla di diverso, a continuare con la nostra routine di buoni amici, intessendo però su qualcosa di vecchio un nuovo rapporto di complicità assoluta, costruendo un nuovo mondo fatto solo di noi, parlando e parlando, o restando in silenzio, a guastare l’uno la presenza dell’altra, eludendo la verità.
E tante volte, avendola vicina, avrei voluto rompere quei mille argini che ci separavano, stringerla, baciarla, in un impeto che, purtroppo, riuscivo fin troppo bene a contenere.
Ci sfioravamo per caso, restavamo più vicini possibile.
E ci distruggevamo lentamente dentro, incapaci di fare altro.
«Ron,» era solita chiedermi osservando il mio profilo inquieto, «a cosa stai pensando?»
«Io?» rispondevo «a nulla».
Ritornavano i nostri silenzi macerati di delusione, oppure parlavamo d’altro, senza neppure sapere cosa ci stessimo dicendo.
In quel periodo sono giunto ad una conclusione.
Pensare: “Ecco, adesso, finalmente, si sistemerà tutto”, prima di avere la certezza in pugno porta enormemente sfiga.
Ve lo sconsiglio; cantar vittoria troppo presto è controproducente, in primo luogo perché porta ad annientare le vostre difese, poi perché rendersi conto che non è vero è estremamente doloroso.
Ecco perché mi sono ritrovato in quella cosa.
Cosa… in quella situazione.
Io e lei. Lei ed io.
Insomma, noi. Quel noi che tentavamo di diventare.
Quel noi che non riuscivamo a diventare.
Quel noi che, forse, non potevamo diventare.
E non pensavo questo per eccessivo pessimismo, che, no, non fa proprio parte della mia indole. Lo pensavo come sofferta constatazione profonda.
Perché c’erano dei problemi che si paravano fra me e lei creando mura fumose e accecanti.
In primo luogo io e lei come persone; testarde, orgogliose, incoerentemente introverse, esageratamente permalose, tendenzialmente arroganti. Stavamo là, muso contro muso, a giocare a braccio di ferro ad aspettare chi si arrendesse prima.
Poi io e lei come rapporto; insomma, guardateci! Eravamo due che si erano presi in giro per anni, che avevano travestito d’amicizia qualcosa di incredibilmente diverso, che avevano combattuto contro i loro stessi sentimenti, che avevano beatamente fatto finto di nulla impostando un gioco di pura finzione ed inganno.
Avevamo iniziato mentendo a noi stessi. Poi avevamo continuato gettando sabbia negli gli occhi l’uno all’altra. Infine c’eravamo anche feriti un bel po’, non misurando la lunghezza del braccio con quella della spada.
Poi… ecco, poi.
Cosa succede quando si abbassano le armi, ci si guarda negli occhi e ci si rende conto della propria stupidità?
A questo punto la gente come noi inizia a crearsi problemi.
Io ed Hermione ci creavamo un sacco di problemi. Li inventavamo noi, per non affrontarci, per non scoprirci.
Forse, addirittura, per paura di assaggiare una felicità più grande di noi, un sentimento troppo coinvolgente.
Per non metterci in gioco. Stavamo ad aspettare che l’uno facesse il passo decisivo al posto dell’altra.
Ecco perché non ricordo il primo bacio che ci siamo dati.
Posso sforzarmi, ripensare alla situazione, tentare di immergermi nuovamente, visualizzare alcuni dettagli, ma le sensazioni, quelle, no, mi sfuggono.
Sia quelle fisiche che non.
Sì, io sono io, non c’è da stupirsi. Ma non è questo il punto.
L’avevo immaginato così tante volte e l’avevo desiderato con così tanta forza che, quando ho sentito la sua bocca sulla mia, mi sono annullato. Ogni mia facoltà si è annullata.
Sono solo stato capace di ricambiare il bacio e stringerla fra le mie braccia con gli occhi chiusi dalla paura di veder svanire un sogno.
La prima cosa di cui, parecchi secondi dopo, ho avuto consapevolezza, è stato il battito estatico del mio cuore.
Poi ho scoperto il calore delle sue labbra e sono andato a cercare il sapore della sua bocca accarezzandola con la lingua, incerto, socchiudendo gli occhi per accertarmi della sua presenza mentre il mondo fuori dal nostro abbraccio vorticava attorno nei suoi colori.
Ma quel momento, quello del primo contatto, non posso stare qui a descriverlo; l’ho perso in una marea di sensazioni che, improvvisamente, sono diventate vuoto.
Improvvisamente , nell’attimo in cui lei, smettendo di pensare, smettendo di giocare questa guerra senza sangue, si è alzata in punta dei piedi e mi ha afferrato la nuca.
È stato un gesto repentino, spaventato, come chi teme di bloccarsi e ripensarci.
Come ci era già successo altre volte quando finivamo per guardarci negli occhi, a lungo, per poi scostarci sconfitti e delusi.
Non so di preciso quando ho avuto la certezza che tutto quello fosse vero. Stringendola fra le braccia, dopo, in silenzio, credevo ancora di sognare.
Dovevo solo baciarla, di nuovo, di nuovo…
E poi stringerla e accarezzarla. Leggere la mia verità attraverso i suoi occhi.
Ci sarebbe stato tempo, forse, un giorno, per raccontarsi tutto ciò che non eravamo mai riusciti a dirci.
Un giorno. Ma non quel giorno.
Quando, ed adesso lo so, è iniziato tutto. O forse dovrei dire è finito.
Quel giorno è finita la nostra attesa.
Ed è iniziata la mia veglia.
Sapete, vegliare il suo sonno è raccogliere i dettagli del suo inconscio.
Aspirare la sua anima attraverso la sua pelle trasparente.
Giocare con le ombre della notte sul suo corpo nudo.
Accarezzarla con la mente dove nessuno potrà mai giungere.
Vedere la sua vera bellezza e oltre.
Vegliare il suo sonno è ripeterle in silenzio quanto io possa amarla.
Ripercorro con la mente le immagini della nostra intimità.
Il brivido che ci ha colti la prima volta che abbiamo fatto l’amore, mentre ci sfilavamo i vestiti guardandoci negli occhi. I baci con i quali ho scoperto la sua pelle, latte e miele, le mie dita goffe che indugiavano sui suoi capezzoli indurti, sul vello morbido del suo pube. Il suo sapore.
Il movimento dei nostri fianchi, i nostri corpi incastrati, i suoi occhi stretti d’improvviso, come la sua presa alle mie spalle.
«Ti ho fatto male?», le ho mormorato bloccando i miei movimenti dentro al suo corpo.
«No,» ha mentito sorridendo. «Continua, Ron».
Guidavo il movimento dei suoi fianchi con le mani, goffamente, un po’ rudemente, non prestando troppa attenzione ai singoli dettagli del piacere, troppo preso da tutto il resto.
C’era l’istinto a guidare l’inesperienza, mentre noi bruciavamo in fretta tutte le nostre voglie, senza quasi rendercene conto, restando infine a cullarci di dolcezza.
«Ti amo».
«Anche io ti amo».
Il corpo di Hermione sembra disegnato per rivestire la solitudine del mio.
I suoi seni riempiono le mie mani, la sua pelle riscalda la mia, suo tocco sembra guidato dalla mia volontà, le sue gambe si schiudono per intrecciarsi alla mia vita, i suoi fianchi scivolano sui miei instancabili.
La sua bocca che bacia e mangia, la sua lingua che accarezza e scrive.
I suoi occhi nel fondo dei quali ritrovo me stesso.
La sua testa riccioluta che riempie lo spazio fra il mio collo ed il cuore e lì si posa e riposa, spossata dall’orgasmo, spossata dalla vita.
Stringo il suo corpo un po’ più stretto al mio, posandole un bacio leggero sulle sue labbra.
«Ti amo.» le dico, piano, pianissimo.
Tiro su il lenzuolo per coprire i nostri corpi intrecciati insieme.
Resto con gli occhi aperti ancora un po’.
Quando li chiudo ho ancora davanti il suo volto addormentato.
Ed allora continuo a vigilare il suo sonno dai miei sogni.
Perché tutta la mia vita sarà una lunga veglia dedicata a lei.
  
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