Ciao
a
tutti! :3
Non so bene
cosa sia questa shot: non è legata ad un particolare momento
del fumetto (si
riferisce a qualcosa che ancora non è accaduto, ovvero la
fine della guerra) né
a qualcos’altro che ho scritto, quindi prendetela
come… Un momento così. XD
Non so,
naturalmente come le cose andranno a finire.
Mi piace
pensare che possano finire così, ovvero bene in termini
assoluti, ma non con un
happy ending scontato e completamente felice (che troverei
inverosimile), bensì
con i problemi legati alle perdite e alle ferite che, sono sicura,
rimarranno,
e con i nostri beniamini che pian piano si adoperano per risolvere le
cose. :)
Ringrazio
Emmevi che si sorbisce sempre i miei momenti di pazzia. Bacino.
<3
E spero che
questa piccola cosa vi piaccia.
Buona
lettura! ^^
Responsibility
Sakura
è
timorosa, perché sta per entrare in quella nella stanza.
Le sue
colleghe le hanno descritto lo stato del paziente quindi sa
già perfettamente
cosa aspettarsi, ma non sa come reagire.
O meglio, saprebbe anche come dovrebbe reagire un medico, e
cioè con professionalità e sicurezza,
ma conosce troppo bene se stessa per non essere sicura, ancora prima di
vederlo, che non andrà così.
Decide che
non è il
caso di starci a pensare troppo
– non cambierebbe niente – ma anzi è
meglio darsi una mossa ed entrare, farsi
del male subito e poi terminare il suo turno e riprendersi.
Così prende
un sospiro profondo, si sistema una piega inesistente del camice e si
stropiccia gli occhi – cerca di prendere tempo con ogni
minima azione – poi
finalmente la sua mano esangue e fredda raggiunge la maniglia di ferro
ancora
più fredda e la abbassa.
All’interno
la luce invernale di novembre riverbera sul pavimento chiaro passando
attraverso i vetri smerigliati della finestra.
Non
permettono di vedere fuori, ma in ogni caso il paziente al momento non
potrebbe
farlo comunque.
Sakura entra
senza dire niente, cammina osservandosi le punte dei piedi per
ritardare quanto
più può il momento in cui dovrà alzare
gli occhi e in qualche modo prendere
atto della realtà.
Arriva fino
al letto, sempre muta, sempre timorosa e tremante – non di lui, della propria reazione –
ma alla fine pensa che è
sopravvissuta ad una guerra, è diventata un ottimo medico,
è riuscita a
diventare una donna dalla ragazzina piagnona che era prima e che
davvero, non
può più permettersi di avere tanta paura di
vederlo.
Allora alza
il viso e con un piccolo scatto del capo scaccia le ciocche rosa dalla
fronte e
da davanti agli occhi, e lo guarda.
Sasuke è lì
davanti a lei, e le pare quasi irreale dopo tanto tempo passato a
cercarlo,
averlo così vicino da poterlo toccare – e tra poco
lo toccherà, dato che lo
deve visitare.
Sasuke è lì
davanti a lei, ma per quello che dà a vedere di provare
potrebbe trovarsi lì o
in qualunque altro posto al mondo, e per lui non farebbe differenza
alcuna.
Il suo
sguardo è vacuo, e non è solo perché
gli hanno bloccato i nervi ottici per
evitare degenerazioni dopo un uso così smodato dello
Sharingan, è perché manca
qualcos’altro, più a fondo, una qualunque
scintilla che indichi che Uchiha
Sasuke in quel momento è un essere vivente.
Manca la
vivacità che l’ha caratterizzato da bambino,
mancano il rancore e la rabbia che
l’hanno smosso da ragazzino, mancano la voglia di rivalsa e
il senso di
solitudine infinito che l’hanno ossessionato da giovane uomo.
Di tutto
questo non c’è più niente, e quindi non
c’è più niente nemmeno del Sasuke che
ha conosciuto lei.
Dal momento
che lui non dà segno di averla sentita entrare –
non emette suono da dopo la
battaglia, in effetti, né compie movimento alcuno di propria
iniziativa, esattamente
come un guscio vuoto – lei decide che la visita
può anche avere inizio, perché
non ha senso aspettarsi assensi o rifiuti di ogni tipo.
Si rimbocca
le maniche del camice e della maglia che porta sotto e comincia a
tastare il
corpo di lui, soffermandosi sulle fasciature, sulle abrasioni, sulle
ingessature per controllare come procede la guarigione, sforzandosi di
essere
obiettiva e impersonale come il suo ruolo le impone.
Non dura
nemmeno cinque minuti.
Appena i
suoi polpastrelli toccano la pelle di lui, le sue mani cominciano,
quasi di
loro spontanea volontà ad indugiare in carezze leggere che
sì, saggiano la sua
salute ma cercano di arrivare più a fondo
dell’epidermide che toccano.
Inutile dire
che Sasuke rimane la statua che è stato fino a quel momento.
Non muove un
muscolo, non proferisce parola, come se non avvertisse nulla di quello
che gli
sta intorno, nonostante Tsunade lo abbia visitato accuratamente e abbia
decretato che in lui non c’è nulla che non va,
occhi a parte.
Lui sente,
lui avverte. Il suo straniamento
dal
mondo, dalle persone, dalla realtà – da lei
– è una scelta esclusivamente sua.
Troppa cattiveria in lui, oramai, le
dice la sua parte obiettiva.
Troppo dolore per una persona sola, le suggerisce invece la
dodicenne ancora
innamorata che nonostante tutto si sforza di giustificare il suo amore.
Certo è che,
nonostante sia abituata a silenzi e distanza da parte di Sasuke,
quell’atmosfera rischia di ucciderla.
Perché non reagisci?
Perché non ti rialzi,
razza di stupido? urla la sua coscienza, dal profondo.
E tu, perché non ti arrendi con lui?
le
sussurra la sua razionalità, dal suo angolino di cervello.
Le sue mani
tremano mentre cambiano una benda, e con un respiro profondo Sakura si
impone
di riprendere il controllo, o finirà per fargli male.
Mentre
osserva ancora una volta Sasuke nella sua apatia più totale,
si rende conto che
non sa nemmeno se lui sia a conoscenza del fatto che lo stia visitando
proprio
lei.
Forse può
averla riconosciuta dai passi, o dal modo di muoversi, o da quel
piccolo colpo
di tosse che le è sfuggito prima di iniziare, ma se anche
così è stato, lui non
l’ha dato a vedere.
Ci pensa per
tutto il resto della visita, protraendola forse più del
necessario, per
evitare, nonostante tutto, di separarsi da lui troppo presto.
Quando ormai
ha terminato e non può più intervenire da nessuna
parte, posa gli strumenti e
leva i guanti di lattice.
“La visita è
terminata, puoi rimetterti giù.” gli dice, con la
deliberata intenzione di
rendersi riconoscibile e strappargli una reazione che non arriva.
Mentre lui
rimane fermo e muto, si allontana in silenzio dal letto ed esce dalla
stanza.
Fa
appena in
tempo a sedersi sulla panca nella stanzetta riservata ai medici in
pausa.
Le lacrime
cadono, infide, e lei comincia a singhiozzare a dirotto senza poter
smettere.
Odiandosi, naturalmente.
Con le dita
che ancora le tremano estrae un fazzoletto dalla tasca del camice e si
asciuga
il viso, cercando in ogni modo di calmarsi.
Sussulta
quando la porta si apre all’improvviso, ma è solo
Tsunade che entra come al suo
solito di gran carriera.
Quando la
scorge, seduta sull’angolino del panchetto, il suo sguardo
cambia e assume una
sfumatura indefinita, come se non sapesse se precipitarsi ad
abbracciarla o
pigliarla a schiaffi.
Sakura se ne
accorge e triplica i suoi sforzi per smettere di singhiozzare,
raddrizza le
spalle e solleva il viso.
“Ti cercavo”
le dice la sua maestra avvicinandosi e sedendosi di fianco a lei.
“Lo
immaginavo”, le risponde con voce ancora un po’
tremula.
Tsunade
sembra essere un po’ in difficoltà, ma infine le
posa una mano sull’avambraccio
e lo stringe di una stretta che significa che sì, la
capisce, ma che non deve
più lasciarsi andare.
Quella
stretta salda e dolorosa fa bene all’animo di Sakura, che
trova la forza di
calmarsi definitivamente.
“Volevo
sapere com’è andata.” continua Tsunade.
“…All’incirca,
bene. Si riprende, lentamente ma con costanza. Guarirà.
Fisicamente, almeno.”
precisa. “Ma non parla” continua, e qui sente la
voce soffocarlesi in gola e
deve fare una pausa.
“Non parla”
riprende, stavolta con fermezza. “Non fa… Niente.
Capisco che non veda, ma non
necessariamente un cieco finge che il resto del mondo non esista. Non
vedere
non equivale a non percepire. Lui poi percepisce benissimo, ma si
rifiuta di rendersi
partecipe.”
Fa una pausa
per soffiarsi il naso.
“Non che mi
aspettassi che tornasse e ci abbracciasse tutti come fratelli, va da
sé. Sarò
anche stupida ma non fino a questo punto. Ma, dopo quattro mesi, un
miglioramento avrei voluto vederlo. Invece continua a comportarsi come
se il
mondo non ci fosse, o come se lui stesso non esistesse.
Non ho mai
pensato che le cose sarebbero tornate come un tempo, ma ora
so… Che non ci
saranno mai miglioramenti.”
Tsunade la
osserva con i suoi penetranti occhi castani.
“…Ti ricordi
quando eri appena diventata mia allieva?”
Sakura
scuote la testa, a dire che ovviamente sì, si ricorda.
“Nei momenti
no, quando eri sconfortata, dicevi sempre che non sarebbe mai tornato,
che non
l’avremmo più avuto qui a Konoha. Ci sono voluti
quasi cinque anni tra una cosa
e l’altra, ma Uchiha Sasuke è in una stanza qui a
fianco, e ho buone ragioni
per credere che ora non se ne andrà.”
Sakura sente
una piccola bolla di conforto che si gonfia tra lo sterno e lo stomaco.
“Potranno
volerci altri mesi, e conoscendo il soggetto addirittura anni. E non lo
riavrai
come lo avevi conosciuto, questo è sicuro, ma… Se
siamo arrivati a questo
punto, non vedo perché mai scoraggiarsi.
Non fare
caso ai suoi silenzi e alla sua indifferenza. Continua a vivere come
hai
vissuto sinora.
Qualcosa si
smuoverà.”
Sakura
annuisce e il fantasma di un sorriso spunta sulle sue labbra pallide.
“Ha ragione,
Maestra.”
Tsunade le
stringe il braccio un’ultima volta, poi le mette davanti al
naso la cartelletta
che aveva tenuto nell’altra mano fino a quel momento.
“Dottoressa
Haruno, per poter progredire con i molti pazienti che seguiamo in
questo
momento dobbiamo tenerli perennemente monitorati aggiornando in modo
costante
le loro cartelle. Mi aspetto il tuo rapporto sulle condizioni di Uchiha
Sasuke
entro domani mattina.”
Il sorriso
di Sakura diventa una sorta di ghigno, mentre le assicura che il suo
rapporto
sarà pronto per l’indomani.
La Maestra
non cambierà mai.
Sakura
sbuffa mentre termina di sistemare le provette ognuna al suo posto.
Le ore di
laboratorio sono quelle che la spossano di più,
perché molto spesso impongono
un silenzio perfetto che le pesa e azioni ripetitive fino alla nausea.
Per fortuna con questo ho terminato,
pensa con sollievo mentre si toglie gli occhiali protettivi, scioglie i
capelli
e si libera dei guanti.
Spegne le
luci e mentre chiude la porta a chiave vede una collega venirle in
contro dal
fondo del corridoio.
“Sakura!”
“Ciao,
Megumi” la saluta con un sorriso. Poi, notando la cartella
che ha sotto il
braccio, ha un moto di sconforto. “Spero che quelle non siano
ore straordinarie
per me qui in laboratorio.” azzarda con una smorfia stanca.
“Oh, no” la
tranquillizza Megumi con una risata. “È solo una
lista voluta dal direttore del
reparto. Dopo la guerra i pazienti sono veramente tanti, e
perché possano
essere seguiti al meglio e non avere cure saltuarie è stato
deciso che ogni
medico si faccia carico di un certo numero di loro così da
seguirli a
trecentosessanta gradi.”
Le passa la
cartella, aprendola al foglio giusto.
“Ecco qui,
ci sono dei nominativi di pazienti che non sono stati ancora presi in
cura da
un medico in particolare. Considerato quanti siamo in questo momento,
il
direttore dice che ognuno di noi dovrebbe prendersi la
responsabilità per,
diciamo, una trentina di pazienti.”
Sakura
scorre la lista, concentrata, osservando i nomi e controllando le
patologie.
Ci mette
relativamente poco a compilare il proprio elenco, e ben presto le manca
solo un
nome.
Volta
l’ultima pagina del fascicolo consegnatole da Megumi che
ancora è in piedi
accanto a lei che l’aspetta, e un nome la colpisce come uno
schiaffo in pieno
viso, sotto la lettera u.
Uchiha Sasuke. Ovviamente.
Sakura si
blocca, con un istintivo moto di panico dettato
dall’indecisione.
Pensa alle
parole di Tsunade, e cerca di capire se sarebbe in grado di rendersi
impermeabile al suo atteggiamento indifferente.
Forse la
cosa migliore sarebbe lasciare che un altro medico, meno coinvolto, si
occupi
di lui.
Sarebbe
meglio per la salute fisica di Sas’ke e mentale di lei.
Ma sa
benissimo che non sopporterebbe di vederlo assegnato ad un altro mentre
avrebbe
potuto occuparsene di persona, e conoscendosi sa anche che
probabilmente
correrebbe ogni giorno a ficcanasare nella sua cartella clinica.
La penna
trema leggermente mentre scrive il proprio nome accanto a quello di
Sasuke,
segnando la propria salvezza o la propria condanna, chissà.
Vero è,
però, che mentre riconsegna la cartella a Megumi con il suo
elenco compilato,
sente un enorme peso che le scivola via di dosso.
Forse era
per questo la sua tristezza, per la paura di essere inadeguata ancora
una
volta, per il timore di non poter fare niente di serio per lui, per la
sensazione di continuare ad essere una frignona inutile.
Adesso,
invece, lui è sua responsabilità.
Un lieve
moto d’ansia le trema nel petto all’idea, ma lo
scaccia.
Mentre Megumi
si allontana per cercare altri medici, chiude a chiave la porta del
laboratorio
per terminare definitivamente il suo turno e andare a cambiarsi.
Ci penso io a te, ora, Sas’ke. Non
mi
interessa se ci vorrà un anno o una vita. Vedrai se non
faccio sul serio.
**********
As
usual,
tanti grazie a chi si prenderà la briga di leggere e un
bacino extra a chi
addirittura commenterà. ^^
Alla
prossima! :D
Panda