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Autore: Aelin_    12/10/2012    2 recensioni
Dean è un bambino straordinariamente intelligente per la sua età. Adora il fuoco, ama le storie degli angeli e sa che Dio non esiste.
Nella notte in cui Mary è morta, sono successe più cose di quanto lui riesca a ricordare.
Saalve! Pubblico e poi vado a dormire (nonostante io abbia ronfato tutto il pomeriggio).
Che dire? Mentre scrivevo questa cosetta (mi piace particolarmente, sono migliorata!!) mi sono commossa da sola. E' il fluff che fa quest'effetto.
Detto questo... passo e chiudo. Ovviamente, la tastiera non vi mangia le dita solo perché volete scrivere una recensione.
Perché voi volete scriverla, vero? D:
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Mary Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Fuoco.



Dean guardava il fuoco, terrorizzato. Immergeva lo sguardo in quelle fiammelle cremisi, gialle e blu, che si estendevano sul soffitto. A momenti, non si sarebbe più riuscito a distinguere dove finivano Loro e iniziava sua madre.
Non la guardava, comunque. Di lei rimanevano solo il viso, contorto in un urlo muto di orrore, e gli occhi azzurri, sgranati e ormai vuoti. Non li guardava, la mente sotto shock, che ancora non aveva capito, non voleva capire.
Preferiva guardare il fuoco. Sentiva il calore raggiungerlo fino a lì, sulla soglia della camera. Lo sentiva lambirgli la pelle, accarezzarlo, chiamarlo. Tentarlo.
Da quella notte, avrà sempre uno strano rapporto con il fuoco. Solo che non riuscirà a ricordarlo.
 



Fuoco.




C’era una sorta di volere divino, nel fuoco. Dean ne era sicuro. Non era mai stato un bambino credente, e, nonostante avesse solo quattro anni, era straordinariamente intelligente. Se fosse esistito Dio, non avrebbe permesso tutte le cattiverie che c’erano nel mondo. Le malattie, gli omicidi, la disperazione. Se fosse esistito, se fosse stato reale, la vita sarebbe stata fantastica, bellissima, colma di gioia e affetti.

Tuttavia amava gli angeli. Sua madre, ogni sera, mentre gli rimboccava le coperte fin sopra il naso e lo guardava con occhi colmi di affetto, gli raccontava delle storie. Storie di ali, di esseri talmente forti e gloriosi che la natura si inchinava al loro cospetto. Soldati di Dio, capaci di amare oltre ogni misura. Creature giuste e bellissime.
Se voleva credere negli angeli, doveva credere pure in Dio.
Dopo quella notte, Dean credette solo ai mostri.
 



Dean era un bambino intelligente. Nella saggezza dei suoi quattro anni, sapeva che non poteva esistere gioia senza dolore, come non poteva esistere la luce senza l’oscurità. Se il buio non esisteva, come avrebbe potuto definire luce quello che aveva davanti? Era impossibile.
Era cosciente del pericolo che si nascondeva in agguato. Ogni piccola decisione, poteva portare dolore. Ogni parola sbagliata, portava un litigio. I litigi portavano lacrime. Ne aveva viste tante, di discussioni finite in quel modo, tra i suoi genitori. Nascosto nella sua stanza, rannicchiato sul letto con le ginocchia strette al petto, ascoltava le urla. Sapeva che sarebbe finita sempre allo stesso modo. Suo padre, arrabbiato, sarebbe uscito di casa, sbattendo forte la porta d’ingresso. Dean non sapeva dove andava, ogni volta, ma quando tornava sembrava aver sbollito tutta l’ira. Sua madre, invece, restava con lui. Rimaneva a singhiozzare in salone, riversando tutto il suo dolore in calde lacrime. Quando si calmava, saliva in camera sua. Gli sorrideva (un sorriso triste, falso, un sorriso che vuole mostrare gioia e felicità quando tutto quello che si ha dentro era un sordo nulla) e dormiva con lui.
 




Dean era un bambino estremamente tattile. Sarà una cosa che si porterà per tutta la vita. Adorava essere sfiorato. Aveva bisogno del contatto fisico. Gli serviva a capire se una cosa era reale o meno. Quando Mary dormiva, distrutta, accanto a lui, Dean restava sveglio, un bambino di pochi anni con gli occhi aperti nel buio della notte. Le passava le manine tra i capelli biondi, la stringeva a se, le baciava le guance. Non sapeva se sarebbe servito a migliorare la situazione, ma l’indomani Mary si sarebbe svegliata con un sorriso sulle labbra, tutto per lui.
 



Fuoco.




Dean adorava il fuoco. Vi immergeva lo sguardo, si perdeva in quei guizzi cremisi, sanguigni, immaginandovi dentro delle cose, cercando la verità in quel calore che lo tentava, terribilmente. Poteva stare minuti interi a fissarlo. Poi gli occhi cominciavano a bruciargli e allora distoglieva lo sguardo, ricordando con rammarico che faceva male. Sua mamma diceva che il fuoco dominava l’Inferno, che era per i dannati, e allora Dean si chiedeva se per caso non fosse una persona cattiva. Lui, un bambino di quattro anni, che adorava il fuoco. Avrebbe voluto immergervisi dentro, dormire tre le fiamme.
 



Il fuoco non gli faceva paura. Aveva sempre avuto una sorta di ascendente su di lui.

È per questo che quella notte, mentre sua madre bruciava sul soffitto, non si mosse di un millimetro. Avrebbe dovuto piangere, tremare, urlare disperato e terrorizzato.
Dean era un bambino intelligente. Sapeva che quella era la reazione che ci si aspettava da lui. Ma gli era sempre piaciuto uscir fuori dagli schemi. È per questo che restò lì, un esile figurina in un pigiama blu con gli orsetti, immobile sulla soglia della porta.
 





Dean non era insensibile. Amava sua madre, l’amava profondamente, con tutte le sue forze. Adorava il suo profumo, un odore che sapeva così tanto di casa che spesso si addormentava sul suo grembo, respirando contro la sua pancia.
Ma non sentì dolore, quella notte. Non subito, almeno. Con la mente bloccata, fissava l’unica cosa che era in grado di tranquillizzarlo, che sembrava dirgli, erroneamente, che andava tutto bene. Il fuoco.
 





Sentiva suo padre che gli urlava di andarsene, di prendere Sammy e di uscire da lì. Ma non riusciva a muoversi.
Dean fissava il fuoco.
 





Quando distolse lo sguardo, fu perché si accorse di non essere più solo nella stanza. Un uomo era comparso, e si dirigeva verso la culla, incurante del calore bruciante del fuoco sul soffitto. Le fiamme lo illuminavano, imprimendo ogni dettaglio nella mente di Dean. Ovviamente, non poteva sapere che lo shock avrebbe cancellato quegli attimi.

Era di statura media, abbastanza magro, ma con un fisico prestante. Era vestito come quelli che suo padre chiamava ‘stupidi esattori delle tasse’. Indossava un trench. Dean si chiese vagamente come facesse a non sentire caldo.
Mentre l’uomo si chinava per prendere delicatamente Sammy dalla sua culla, riuscì a vedere solo una zazzera arruffata di capelli neri. Quando si voltò, annegò in due pozze blu, tempestose e colme di compassione.
L’uomo si avvicinò, e lo prese in braccio, uscendo dalla camera e scendendo le scale per uscire.
 





Dean odiava essere preso in braccio. Sembrava ricordargli che era solo un bambino di quattro anni. Certo, era intelligente, ma questo non cambiava le cose. Eppure, quella notte, si aggrappò con disperazione alla camicia di quell’uomo, affondando il viso nel suo petto e respirando il suo odore. Sapeva di incenso, quello che bruciavano nella chiesa del pastore Jim, dove sua mamma era solito portarlo ogni domenica.
 





L’aria fredda della notte lo accolse, facendolo rabbrividire per un istante. Ma il momento dopo sentì una calda presenza avvolgerlo, confortandolo e facendolo sentire al caldo.
 



Aveva sonno, Dean. Era stato troppo per lui. Sua madre, il fuoco. Non aveva ancora pianto, ma ci avrebbe pensato domani.
Aprì gli occhi verdi, appannati per il sonno e per un lievissimo strato di lacrime che non ne voleva sapere di scendere giù. L’uomo li aveva portati vicino la macchina di papà, e aveva adagiato Sammy sul sedile anteriore.
Si costrinse a scostare il viso dalla camicia del tizio, guardandolo dritto negli occhi blu. Gli sembrò di nuovo di annegare, si sentì risucchiato, mentre leggeva in quelle iridi una tristezza infinita, la solitudine, i tormenti di un’anima che ha visto troppi dolori e che vive da millenni.

“Chi sei?” chiese. Dean era un bambino intelligente, e sapeva che avrebbe dovuto essere spaventato. Quell’uomo era comparso dal nulla, in casa sua, mentre sua madre bruciava sul soffitto, e li aveva portati via. Ma non riusciva ad avere paura. Si sentiva protetto.

“Mi chiamo Castiel” rispose piano l’uomo, accennandogli un sorriso. Dean mormorò quel nome, a bassa voce, sentendolo rotolare dolcemente sulla lingua, e uscirgli in un lieve alito di voce. Gli piaceva. Castiel.

“Cass…” arrotondò, facendo subito dopo un lieve sorriso. Si appoggiò contro il suo collo, respirando quell’odore che cominciava già ad adorare. Incenso.
Aveva una domanda sulla punta della lingua. La fece, sapendo benissimo quanto potesse essere stupida. “Cass, sei un angelo?”

E Castiel sorrise, un sorriso sincero, che illuminò i suoi occhi blu di una dolcezza tale che Dean si sentì sciogliere. “Si” rispose, stringendolo a se dolcemente. “Ora dormi, Dean. Sei al sicuro. ”
 








Dean era un bambino intelligente. Adorava il fuoco. Gli piacevano da impazzire gli angeli, ma sapeva che non potevano esistere. Come, d’altronde, non esisteva Dio.
Quando chiuse gli occhi e respirò ancora quell’odore fantastico d’incenso, però, gli credette.
 





   
 
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