Morii sentendo che le forze mi abbandonavano a poco a poco. Morii scoprendo che non era vero dolore quello che provavo, bensì  un piacevole soffocamento, un gradevole affanno, una dolce soppressione. Morii senza pensare a nulla, com’era il nulla che m’avvolgeva. Solo, sotto un tetto sul quale piovevano dolori e solitudine. Morii con la fievole brama di chiudere gli occhi, per sempre. Morii con la disperata trepidazione di incatenare finalmente la mia libertà. Morii festosamente, con un sommesso scoppio di ilarità, ragionando su quello che mi sarebbe potuto accadere. Mentre la pioggia scrosciante si sbriciolava sui vetri delle finestre, partiva il mio vecchio 45 giri. La canzone era “Stand by me”, di Ben King. Così, mi alzai fiaccamente dalla poltrona grigia. La musica incalzava pacatamente mentre io ridevo a crepapelle, aspettando il mio eterno tramonto. “Stand by me”, “Resta con me” diceva la canzone. Tutt’altro avrei voluto fare che aggrapparmi a false speranze. Mancava un minuto al termine della complicata canzone della mia vita. Aprii la porta della terrazza, laddove le goccioline d’acqua avrebbero potuto graffiare il mio viso. Spalancai le braccia alle stelle e serrai le palpebre, per paura dell’ignoto. “Stand by me” ripeteva; ma cominciai a volare, assaporando l’ingorda sensazione del vento che percuoteva il mio corpo. “Stand by me”, “Resta con me”. Ma io morii festosamente: ridendo a perdifiato e volando sotto un curioso cielo che mi scrutava. “Stand by me”, ma io osservai frettolosamente la città, che, insieme a me, gioiva e soffriva.