la mia migliore amica, il mio cuore, la parte migliore di me.
-I have loved you for a thousand years..
..I'll love you for a thousand more.-
“You
are my
angel”
Si sentiva
intontito
mentre usciva dalla stanza, lasciando dietro di sé sua
sorella esanime sul
pavimento.
Non credeva di poter mai arrivare a tanto. Aveva appena avuto un
vero scontro con Rebekah e non riusciva a capire come ciò
fosse potuto
accadere. I suoi comportamenti negli ultimi tempi erano apparsi strani
perfino
a lui.
Era come se non si riconoscesse più, non si sentiva
più se stesso e la
colpa era da attribuire a.. a cosa? Non ne aveva idea.
Da quando, alcune
settimane prima, aveva messo gli occhi su Caroline Forbes, tutto gli
era
sembrato diverso. Aveva letteralmente cambiato le sue
priorità, ponendo al
primo posto qualcuno che non lo amava e declassando quella stessa
ragazza che
adesso era riversa a terra.
Si fermò poco distante dalla stanza ormai
silenziosa dalla quale proveniva l’odore forte del sangue
ormai inutilizzabile
della doppelganger. Klaus, scosso per ciò che aveva appena
fatto, chiuse gli
occhi e si accostò con la schiena alla parete, rilassando le
spalle mentre un
respiro spezzato fuoriusciva dalle labbra schiuse. I suoi occhi, quando
li
riaprì, fissarono vacui un punto qualsiasi di fronte a
sé senza in realtà
riuscire a vedere.
«Cos’ho fatto?» si domandò a
voce bassa, rotta da quelle
lacrime che –passata l’ira- arrivarono a
inumidirgli gli occhi. Non era pentito
di ciò che aveva fatto. O forse lo era, ma in quel momento
non riusciva a
capacitarsene. Era stato accecato dalla rabbia, dal pensiero che la
fine era
ormai arrivata. Con la doppelganger ormai inutilizzabile, quelle sacche
erano
l’unico mezzo per la creazione di nuovi ibridi e adesso tutto
era finito. Non
avrebbe potuto crearne di nuovi e così sarebbe
definitivamente rimasto solo.
Non aveva però messo in conto che solo non sarebbe mai
rimasto perché avrebbe
sempre avuto con sé l’unica persona che mai, in
mille anni della loro
esistenza, lo aveva abbandonato. Passata la rabbia e scemata
quell’adrenalina
che l’aveva portato a stringere il collo della sorella con
forza, si rese conto
di quanto avesse realmente perso. Non aveva perso i suoi ibridi o il
prezioso
sangue della doppelganger.
Ciò che con i suoi gesti crudeli e impulsivi aveva
perso quella sera era molto più importante di tutto.
Aveva perso la sua unica
famiglia.
Aveva appena perso Rebekah e la sua più grande paura era
appena
diventata realtà.
Strinse le labbra e digrignò i denti, chinando il capo in
avanti e imprecando
sommessamente contro la sua totale e irrazionale incapacità
di fare la cosa
giusta.
Quella giornata era stata strana, in un corpo non suo, totalmente solo.
Nessuno sapeva che era ancora vivo, fatta eccezione della strega.
E poi era
arrivata la telefonata di quella donna tanto inquietante quanto
apprensiva. Il
sindaco Lockwood gli aveva dato una notizia che, stranamente, non lo
aveva
sorpreso più di tanto. Quella ragazza, Caroline, aveva
l’assurda capacità di
trovare guai anche laddove non ce ne fossero. E, per qualche strana
ragione, si
era assunto il compito di andare a salvarla. E poi, aperto il
portellone
posteriore di quel furgone, l’aveva vista accanto alla
giovane vampira.
«Ma
perché?» si domandò ancora. Adesso che
tutto era scemato ed era rimasto solo il
silenzio e il debole ticchettio del pendolo della grande sala, cercava
di
allineare tutti gli offuscati e confusi pensieri che popolavano la sua
mente.
L’aveva vista legata dentro il furgone e non
l’aveva liberata. Aveva semplicemente
liberato Caroline ed era andato via.
Aggrottò la fronte, perso adesso ad osservare una grande
tela del rinascimento
italiano, cercando di dare un senso alle azioni di quella giornata.
Continuò a
domandarsi perché avesse lasciato sua sorella dentro quel
furgone, conscio che
quei cacciatori l’avrebbero torturata o anche peggio. Se ne
avessero avuto la
possibilità, avrebbero anche potuto ucciderla. Non era mai
stato bravo a
capirsi. Sebbene avesse sempre pensato di essere l’unico a
conoscersi
realmente, in quel momento capì che neppure lui era in grado
di spiegarsi gran
parte delle proprie decisioni e delle proprie azioni. Quel giorno aveva
preso
una decisione sbagliata dietro l’altra. Aveva pensato solo a
se stesso, senza
mettere in conto quella ragazza che ha sempre dipeso da lui, quella che
aveva
scelto di vivere con lui e per lui.
«Ho rovinato tutto, ancora una volta»
mormorò passandosi una mano sul volto,
non trovando quel solito velo di barba a solleticargli la pelle. In un
intero
millennio aveva fatto in modo di tenere nascosta la verità
sulla morte di
Esther, inventando bugie, dando la colpa a chi in realtà di
quel delitto non si
era macchiato. Tutto questo solo per paura che Rebekah lo odiasse, che
si
allontanasse da lui. Aveva sempre temuto di perderla e ciò
lo aveva portato a
mentirle e persino a pugnalarla quando, per una volta, non era stato
lui la sua
prima scelta.
Aveva scelto un altro, voleva lasciarlo per vivere la sua vita
lontana dalle fughe e da quel fratello in grado di portarsi dietro solo
disgrazie. Aveva scelto la libertà e lui l’aveva
punita nell’unico modo che
conosceva, togliendole la vita, seppur temporaneamente.
Chiudendola nella sua bara, novant’anni addietro, si era
ripromesso che
l’avrebbe liberata subito dopo, giusto il tempo di lasciare
Chicago e sparire
dalle mire di Mikael che dava ancora loro la caccia ed era riuscito a
scovarli.
Ma i giorni diventarono settimane, le settimane diventarono mesi e i
mesi
diventarono anni. Quasi un secolo, privando se stesso della compagnia e
del
sostegno di sua sorella e privando lei di quella vita che aveva sempre
agognato
ma che non aveva mai pienamente vissuto.
“Da questo momento non sei la mia famiglia, non sei mia
sorella, non sei
niente” quella frase gli rimbombò nelle orecchie
come se l’avesse appena
pronunciata. Aveva detto ciò che non pensava pur di ferirla
perché, dentro di
sé, era perfettamente consapevole di quando importante lei
fosse per lui.
Rebekah era sempre stata la sua casa, la sua famiglia, il suo legame
più vero,
forse l’unico.
Sicuramente l’unico che avesse mai avuto.
Quel rapporto quasi
morboso, quella gelosia che gli scuriva le iridi e lo faceva andare
fuori di
testa, quel suo volerla proteggere a ogni costo fin da quando erano
umani.
«E
adesso?» continuò a parlare da solo, a porsi delle
domande cui solo lui
conosceva la risposta, mentre tornava nella stanza nella quale il forte
tanfo di
sangue gli fece per un attimo girare la testa. Si fermò nel
vederla ancora
riversa sul pavimento e si accovacciò vicino a lei,
prendendola per i fianchi e
rigirandola per poi prenderla in braccio e posarla delicatamente su un
divano,
sedendosi sul bordo al suo fianco.
Se c’era una cosa che sapeva ben fare, era esprimere
l’affetto che lo legava a
lei solo quando non poteva essere visto. Con Rebekah in quelle
condizioni, era
come essere da solo. Ma aveva sempre pensato che in questo modo fosse
più
facile, che parlarle mentre lei non poteva ascoltarlo e quindi non
avesse modo
di replicare, fosse meno complicato.
«Mi dispiace» mormorò chinandosi su di
lei e posandole il dorso di una mano
sulla guancia, seguendo il profilo della mandibola per poi risalire.
Sotto il
tocco della mano, la sua pelle era incredibilmente liscia e morbida,
sarebbe
stato impossibile per lui non accarezzarla. E il vederla in quel modo,
dormiente e fragile, gli ricordò un angelo. Rebekah, per
quanto il suo
carattere apparisse sempre forte e risoluto, era sempre stata il suo
angelo
custode.
«Non avrei dovuto dirti quelle cose, non avrei dovuto farti
quello che ho
fatto» della sua voce non era rimasto che un debole sussurro,
mentre la sua
mano continuava a percorrere la guancia della sorella e i suoi occhi si
riempivano sempre più di lacrime. Era sempre stato quello
forte, lui. Non aveva
mai voluto mostrare le sue debolezze, in special modo a colei che era
da sempre
la sua più grande debolezza.
«Ero arrabbiato e ho detto delle cose che non
penso» sicuro che lei non potesse
sentirlo, si disse che avrebbe potuto continuare. Per una volta avrebbe
potuto
liberarsi di quel peso che opprimeva il suo cuore, da lui sempre
considerato
una pietra dura e fredda come il diamante grezzo. Il suo cuore lo era,
un
diamante grezzo che solo lei era riuscita -nell’arco di un
millennio- a
modellare. E ormai non aveva altro da perdere, visto che il suo bene
più
prezioso giaceva su quel divano e, quando si sarebbe ripresa, lo
avrebbe
lasciato solo come lui stesso sapeva di meritare.
«Ti ho sempre amata, Rebekah.
Sei mia sorella e hai ragione, sei l’unica che ha sempre
tenuto a me. Mi sei
rimasta accanto quando tutti gli altri si sono allontanati, hai
sopportato ogni
mia angheria, ogni comportamento abominevole, ogni attacco di gelosia
ingiustificata. Tu sei il mio angelo e io ho rovinato tutto»
teneva lo sguardo
basso, fisso sulle cuciture del divano in pelle scura, lasciando che
fosse la
sua mano a tenere stretto quel contatto che per lui era necessario e
indispensabile
in quel momento.
Aveva bisogno di sentirla vicina per l’ultima volta, prima di
lasciarla libera di mandarlo al diavolo e vivere quella vita che lui le
aveva
sempre negato di vivere pienamente. La amava e proprio per questo, si
disse,
avrebbe dovuto lasciarla libera.
Avrebbe dovuto ripagarla in qualche modo di
quella prigionia cui l’aveva costretta per quasi un secolo.
«Sei stato crudele» Klaus alzò la testa
di scatto, sentendo quella voce flebile
accompagnata da dei colpi di tosse mentre la sua mano veniva malamente
scostata. La guardò, incapace ormai di proferire parola, in
religioso silenzio
mentre lei si alzava a sedere e ricambiò lo sguardo,
completamente diverso da
quello del fratello. Nei suoi occhi, l’ibrido
riuscì a scorgere rabbia e delusione,
insieme a quella tristezza che lo fece sentire ancora più in
colpa. Era stato
in grado di distruggere la cosa più bella che gli fosse mai
capitata.
«Ho sempre sopportato tutto, ti ho amato nonostante tu
fossi.. tu» Rebekah,
ormai quasi del tutto ripresa, strinse le labbra, facendo in modo di
non
incatenare i suoi occhi a quelli del fratello. Entrambi sapevano che
quella
sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero parlato, che
sarebbero stati tanto
vicini. «E mi hai spezzato il cuore. Se
c’è una cosa di cui sono certa,
Niklaus, è che non potrò mai
perdonarti» con la voce rotta dalle lacrime che
tornarono prepotenti, la ragazza chiuse gli occhi lasciando che piccole
gocce
salate le bagnassero le guance mentre la mano del fratello le strinse
il mento
e le fece voltare la testa.
«Apri gli occhi, Bekah, guardami» affranto e
colpevole, Klaus restò in attesa
che quell’ultima preghiera venisse esaudita, abbozzando un
mezzo sorriso non
appena gli occhi della sorella si aprirono e si legarono ai suoi.
«Non è la prima
volta che ti spezzo il cuore, stavolta cosa c’è di
diverso?» le domandò,
sebbene la risposta arrivò prima che lei potesse aprir
bocca. Bastò il suo
sguardo eloquente a spiegare tutto. Erano sempre riusciti a capirsi
anche senza
parlare, era sempre bastato uno sguardo per comunicare e anche quella
volta non
fu diverso. Lui l’aveva ferita, aveva sgretolato tutto il suo
mondo in un
minuto, l’aveva distrutta sia fisicamente che emozionalmente.
Lui l’aveva uccisa senza bisogno di usare alcuna arma.
Stavolta lui, agendo d’impulso, aveva fatto crollare ogni sua
certezza, quelle
poche che le erano rimaste. E la sua più importante certezza
risiedeva in quel
fratello che mai l’aveva abbandonata e che proprio quel
giorno l’aveva lasciata
da sola e in pericolo.
«Se fossero riusciti a uccidermi, cos’avresti
fatto?» quella stessa domanda,
seppur con parole diverse, lei gliel’aveva posta solo poche
settimane prima,
non ottenendo alcuna risposta.
“Sarei morto anch’io” l’unico
pensiero che attraversò la mente di Klaus lo
spaventò per quanto forse intenso e veritiero. Se la sua
Bekah fosse morta, lui
l’avrebbe seguita. Sebbene fosse rimasto vivo nel corpo,
sarebbe sicuramente
morto dentro, non avrebbe avuto più alcuna ragione per
continuare la sua
assurda idea dell’esercito di ibridi, non avrebbe avuto
più una valida ragione
per continuare a esistere.
«Mi hai mai voluto bene, Nik?» Le domande di
Rebekah ripresero, forse perché la
ragazza era tremendamente insicura.
A causa sua. Era sempre colpa sua. Agiva
senza pensare a quanto male avrebbe potuto arrecarle e alla fine era
sempre lei
a pagare le conseguenze delle azioni di quel fratello troppo egoista.
L’ibrido,
volgendo il viso di lato, riuscì solo ad annuire mentre gli
occhi bruciavano
sempre di più. Non riusciva più a sostenere lo
sguardo affranto della sorella,
quello stesso sguardo che riusciva a perforargli l’anima e a
leggerlo come un
libro aperto.
«E allora perché?» l’ultima
domanda della vampira lo lasciò senza fiato e senza
alcuna risposta. Anche lui, poco prima, si era posto la stessa domanda
e non
era riuscito a rispondersi. Perché si era comportato in quel
modo? Scosse la
testa e avvicino il volto a quello della sorella, posandole le labbra
sulla
fronte in un bacio delicato mentre le esili braccia della vampira lo
circondarono. Rebekah posò il capo sul torace del fratello e
chiuse gli occhi
mentre le lacrime silenziose continuavano a solcarle le guance al
sentire il
gentile tocco delle mani di Klaus sfiorarle la schiena e i capelli.
Erano
entrambi sopresi di quei gesti, non avendoli mai compiuti in un intero
millennio, ma in quel momento entrambi ne avevano sentito il bisogno.
Quel
giorno lui aveva superato se stesso sia positivamente che
negativamente.
L’aveva uccisa e riportata in vita nell’arco di una
manciata di minuti e lei
aveva fatto la stessa cosa con lui.
Dipendevano l’uno dall’altro e ciò era
sempre stato palese.
Da soli erano forti, ma non quanto riuscivano ad esserlo
insieme.
E quel giorno si erano persi, avevano rischiato sul serio di non
ritrovarsi più, seppure fosse successo tutto in una manciata
di minuti.
E
adesso invece erano abbracciati nel silenzio della grande stanza e
questo aveva
dell’assurdo, ma a nessuno di loro due importava.
In quel momento avevano
bisogno l’uno dell’altra.
Lui aveva bisogno di quell’ umanità da sempre
rappresentata dalla ragazza che teneva tra le braccia e lei aveva
bisogno del
gentile abbraccio della sua unica famiglia. Aveva bisogno di essere
rassicurata,
di quelle certezze che poco prima erano venute a mancare, di quel
conforto che
durante tutta quella terribile giornata non c’era stato.
Avevano bisogno di
restare uniti e lo avrebbero fatto, proprio come la loro millenaria
promessa
recitava.
Sempre e per sempre.
Almeno fino al prossimo colpo di testa del fratello idiota..
Dopo
un’intera giornata trascorsa a piangere come
un’idiota,
stanotte ho aperto word e.. puff, questa piccola one shot si
è scritta da sola.
Il rapporto che da sempre lega Klaus e Rebekah è talmente
strano da essere
incomprensibile.
È un rapporto morboso, al limite dell’affetto
fraterno. Si amano
e si odiano con la stessa intensità e l’egoismo di
Klaus di certo non aiuta. Come
nella season premiere. Lui l’ha trattata in modo crudele,
arrivando persino a
dirle cose che –mentre lei è in stato di
incoscienza (vedi la terza stagione)-
i suoi gesti non confermano.
Quando lei non può vederlo, Klaus si lascia andare
a quell’affetto che prova per la sorella.
E, visto che nella 4x01 lui mi ha sul
serio fatta incazzare, ho voluto in qualche modo redimerlo.
Perché l’ha davvero
fatta grossa (dicendo quelle cose e spezzandole il collo) e il Klebekah
è
praticamente il mio ossigeno, quindi dovevo per forza scrivere qualcosa
su di
loro.
Perdonate eventuali errori, ma ho scritto tutto
in mezz’ora alle
tre di notte quindi.. sono totalmente giustificata! v.v
xD
Aspetto comunque i vostri pareri, sperando che questa piccola cosa sia
piaciuta
a voi così come è piaciuto a me scriverla.
A presto.