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Autore: klabeks_ks    13/10/2012    2 recensioni
[SPOILER 4X01] Klaus e Rebekah hanno avuto uno scontro e il loro rapporto è pressoché distrutto. Ma cosa sarebbe accaduto se lui fosse tornato sui suoi passi? E se non fosse solo Rebekah a soffrire per la fine del loro rapporto? Cosa pensa Klaus? Riuscirà a capire di aver sbagliato con la sorella?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Klaus, Rebekah, Mikaelson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Alla mia Beks,
la mia migliore amica, il mio cuore, la parte migliore di me.


                                                                                                                                     -I have loved you for a thousand years..
                                                                                                                                        ..I'll love you for a thousand more.-

“You are my angel”

 

Si sentiva intontito mentre usciva dalla stanza, lasciando dietro di sé sua sorella esanime sul pavimento.
Non credeva di poter mai arrivare a tanto. Aveva appena avuto un vero scontro con Rebekah e non riusciva a capire come ciò fosse potuto accadere. I suoi comportamenti negli ultimi tempi erano apparsi strani perfino a lui.
Era come se non si riconoscesse più, non si sentiva più se stesso e la colpa era da attribuire a.. a cosa? Non ne aveva idea.
Da quando, alcune settimane prima, aveva messo gli occhi su Caroline Forbes, tutto gli era sembrato diverso. Aveva letteralmente cambiato le sue priorità, ponendo al primo posto qualcuno che non lo amava e declassando quella stessa ragazza che adesso era riversa a terra.
Si fermò poco distante dalla stanza ormai silenziosa dalla quale proveniva l’odore forte del sangue ormai inutilizzabile della doppelganger. Klaus, scosso per ciò che aveva appena fatto, chiuse gli occhi e si accostò con la schiena alla parete, rilassando le spalle mentre un respiro spezzato fuoriusciva dalle labbra schiuse. I suoi occhi, quando li riaprì, fissarono vacui un punto qualsiasi di fronte a sé senza in realtà riuscire a vedere.
«Cos’ho fatto?» si domandò a voce bassa, rotta da quelle lacrime che –passata l’ira- arrivarono a inumidirgli gli occhi. Non era pentito di ciò che aveva fatto. O forse lo era, ma in quel momento non riusciva a capacitarsene. Era stato accecato dalla rabbia, dal pensiero che la fine era ormai arrivata. Con la doppelganger ormai inutilizzabile, quelle sacche erano l’unico mezzo per la creazione di nuovi ibridi e adesso tutto era finito. Non avrebbe potuto crearne di nuovi e così sarebbe definitivamente rimasto solo. Non aveva però messo in conto che solo non sarebbe mai rimasto perché avrebbe sempre avuto con sé l’unica persona che mai, in mille anni della loro esistenza, lo aveva abbandonato. Passata la rabbia e scemata quell’adrenalina che l’aveva portato a stringere il collo della sorella con forza, si rese conto di quanto avesse realmente perso. Non aveva perso i suoi ibridi o il prezioso sangue della doppelganger.
Ciò che con i suoi gesti crudeli e impulsivi aveva perso quella sera era molto più importante di tutto.
Aveva perso la sua unica famiglia.
Aveva appena perso Rebekah e la sua più grande paura era appena diventata realtà.
Strinse le labbra e digrignò i denti, chinando il capo in avanti e imprecando sommessamente contro la sua totale e irrazionale incapacità di fare la cosa giusta.
Quella giornata era stata strana, in un corpo non suo, totalmente solo. Nessuno sapeva che era ancora vivo, fatta eccezione della strega.
E poi era arrivata la telefonata di quella donna tanto inquietante quanto apprensiva. Il sindaco Lockwood gli aveva dato una notizia che, stranamente, non lo aveva sorpreso più di tanto. Quella ragazza, Caroline, aveva l’assurda capacità di trovare guai anche laddove non ce ne fossero. E, per qualche strana ragione, si era assunto il compito di andare a salvarla. E poi, aperto il portellone posteriore di quel furgone, l’aveva vista accanto alla giovane vampira.
«Ma perché?» si domandò ancora. Adesso che tutto era scemato ed era rimasto solo il silenzio e il debole ticchettio del pendolo della grande sala, cercava di allineare tutti gli offuscati e confusi pensieri che popolavano la sua mente.
L’aveva vista legata dentro il furgone e non l’aveva liberata. Aveva semplicemente liberato Caroline ed era andato via.
Aggrottò la fronte, perso adesso ad osservare una grande tela del rinascimento italiano, cercando di dare un senso alle azioni di quella giornata. Continuò a domandarsi perché avesse lasciato sua sorella dentro quel furgone, conscio che quei cacciatori l’avrebbero torturata o anche peggio. Se ne avessero avuto la possibilità, avrebbero anche potuto ucciderla. Non era mai stato bravo a capirsi. Sebbene avesse sempre pensato di essere l’unico a conoscersi realmente, in quel momento capì che neppure lui era in grado di spiegarsi gran parte delle proprie decisioni e delle proprie azioni. Quel giorno aveva preso una decisione sbagliata dietro l’altra. Aveva pensato solo a se stesso, senza mettere in conto quella ragazza che ha sempre dipeso da lui, quella che aveva scelto di vivere con lui e per lui.
«Ho rovinato tutto, ancora una volta» mormorò passandosi una mano sul volto, non trovando quel solito velo di barba a solleticargli la pelle. In un intero millennio aveva fatto in modo di tenere nascosta la verità sulla morte di Esther, inventando bugie, dando la colpa a chi in realtà di quel delitto non si era macchiato. Tutto questo solo per paura che Rebekah lo odiasse, che si allontanasse da lui. Aveva sempre temuto di perderla e ciò lo aveva portato a mentirle e persino a pugnalarla quando, per una volta, non era stato lui la sua prima scelta.
Aveva scelto un altro, voleva lasciarlo per vivere la sua vita lontana dalle fughe e da quel fratello in grado di portarsi dietro solo disgrazie. Aveva scelto la libertà e lui l’aveva punita nell’unico modo che conosceva, togliendole la vita, seppur temporaneamente.
Chiudendola nella sua bara, novant’anni addietro, si era ripromesso che l’avrebbe liberata subito dopo, giusto il tempo di lasciare Chicago e sparire dalle mire di Mikael che dava ancora loro la caccia ed era riuscito a scovarli.
Ma i giorni diventarono settimane, le settimane diventarono mesi e i mesi diventarono anni. Quasi un secolo, privando se stesso della compagnia e del sostegno di sua sorella e privando lei di quella vita che aveva sempre agognato ma che non aveva mai pienamente vissuto.
“Da questo momento non sei la mia famiglia, non sei mia sorella, non sei niente” quella frase gli rimbombò nelle orecchie come se l’avesse appena pronunciata. Aveva detto ciò che non pensava pur di ferirla perché, dentro di sé, era perfettamente consapevole di quando importante lei fosse per lui. Rebekah era sempre stata la sua casa, la sua famiglia, il suo legame più vero, forse l’unico.
Sicuramente l’unico che avesse mai avuto.
Quel rapporto quasi morboso, quella gelosia che gli scuriva le iridi e lo faceva andare fuori di testa, quel suo volerla proteggere a ogni costo fin da quando erano umani.
«E adesso?» continuò a parlare da solo, a porsi delle domande cui solo lui conosceva la risposta, mentre tornava nella stanza nella quale il forte tanfo di sangue gli fece per un attimo girare la testa. Si fermò nel vederla ancora riversa sul pavimento e si accovacciò vicino a lei, prendendola per i fianchi e rigirandola per poi prenderla in braccio e posarla delicatamente su un divano, sedendosi sul bordo al suo fianco.
Se c’era una cosa che sapeva ben fare, era esprimere l’affetto che lo legava a lei solo quando non poteva essere visto. Con Rebekah in quelle condizioni, era come essere da solo. Ma aveva sempre pensato che in questo modo fosse più facile, che parlarle mentre lei non poteva ascoltarlo e quindi non avesse modo di replicare, fosse meno complicato.
«Mi dispiace» mormorò chinandosi su di lei e posandole il dorso di una mano sulla guancia, seguendo il profilo della mandibola per poi risalire. Sotto il tocco della mano, la sua pelle era incredibilmente liscia e morbida, sarebbe stato impossibile per lui non accarezzarla. E il vederla in quel modo, dormiente e fragile, gli ricordò un angelo. Rebekah, per quanto il suo carattere apparisse sempre forte e risoluto, era sempre stata il suo angelo custode.
«Non avrei dovuto dirti quelle cose, non avrei dovuto farti quello che ho fatto» della sua voce non era rimasto che un debole sussurro, mentre la sua mano continuava a percorrere la guancia della sorella e i suoi occhi si riempivano sempre più di lacrime. Era sempre stato quello forte, lui. Non aveva mai voluto mostrare le sue debolezze, in special modo a colei che era da sempre la sua più grande debolezza.
«Ero arrabbiato e ho detto delle cose che non penso» sicuro che lei non potesse sentirlo, si disse che avrebbe potuto continuare. Per una volta avrebbe potuto liberarsi di quel peso che opprimeva il suo cuore, da lui sempre considerato una pietra dura e fredda come il diamante grezzo. Il suo cuore lo era, un diamante grezzo che solo lei era riuscita -nell’arco di un millennio- a modellare. E ormai non aveva altro da perdere, visto che il suo bene più prezioso giaceva su quel divano e, quando si sarebbe ripresa, lo avrebbe lasciato solo come lui stesso sapeva di meritare.
«Ti ho sempre amata, Rebekah. Sei mia sorella e hai ragione, sei l’unica che ha sempre tenuto a me. Mi sei rimasta accanto quando tutti gli altri si sono allontanati, hai sopportato ogni mia angheria, ogni comportamento abominevole, ogni attacco di gelosia ingiustificata. Tu sei il mio angelo e io ho rovinato tutto» teneva lo sguardo basso, fisso sulle cuciture del divano in pelle scura, lasciando che fosse la sua mano a tenere stretto quel contatto che per lui era necessario e indispensabile in quel momento.
Aveva bisogno di sentirla vicina per l’ultima volta, prima di lasciarla libera di mandarlo al diavolo e vivere quella vita che lui le aveva sempre negato di vivere pienamente. La amava e proprio per questo, si disse, avrebbe dovuto lasciarla libera.
Avrebbe dovuto ripagarla in qualche modo di quella prigionia cui l’aveva costretta per quasi un secolo.
«Sei stato crudele» Klaus alzò la testa di scatto, sentendo quella voce flebile accompagnata da dei colpi di tosse mentre la sua mano veniva malamente scostata. La guardò, incapace ormai di proferire parola, in religioso silenzio mentre lei si alzava a sedere e ricambiò lo sguardo, completamente diverso da quello del fratello. Nei suoi occhi, l’ibrido riuscì a scorgere rabbia e delusione, insieme a quella tristezza che lo fece sentire ancora più in colpa. Era stato in grado di distruggere la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
«Ho sempre sopportato tutto, ti ho amato nonostante tu fossi.. tu» Rebekah, ormai quasi del tutto ripresa, strinse le labbra, facendo in modo di non incatenare i suoi occhi a quelli del fratello. Entrambi sapevano che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero parlato, che sarebbero stati tanto vicini. «E mi hai spezzato il cuore. Se c’è una cosa di cui sono certa, Niklaus, è che non potrò mai perdonarti» con la voce rotta dalle lacrime che tornarono prepotenti, la ragazza chiuse gli occhi lasciando che piccole gocce salate le bagnassero le guance mentre la mano del fratello le strinse il mento e le fece voltare la testa.
«Apri gli occhi, Bekah, guardami» affranto e colpevole, Klaus restò in attesa che quell’ultima preghiera venisse esaudita, abbozzando un mezzo sorriso non appena gli occhi della sorella si aprirono e si legarono ai suoi.
«Non è la prima volta che ti spezzo il cuore, stavolta cosa c’è di diverso?» le domandò, sebbene la risposta arrivò prima che lei potesse aprir bocca. Bastò il suo sguardo eloquente a spiegare tutto. Erano sempre riusciti a capirsi anche senza parlare, era sempre bastato uno sguardo per comunicare e anche quella volta non fu diverso. Lui l’aveva ferita, aveva sgretolato tutto il suo mondo in un minuto, l’aveva distrutta sia fisicamente che emozionalmente.
Lui l’aveva uccisa senza bisogno di usare alcuna arma.
Stavolta lui, agendo d’impulso, aveva fatto crollare ogni sua certezza, quelle poche che le erano rimaste. E la sua più importante certezza risiedeva in quel fratello che mai l’aveva abbandonata e che proprio quel giorno l’aveva lasciata da sola e in pericolo.
«Se fossero riusciti a uccidermi, cos’avresti fatto?» quella stessa domanda, seppur con parole diverse, lei gliel’aveva posta solo poche settimane prima, non ottenendo alcuna risposta.
“Sarei morto anch’io” l’unico pensiero che attraversò la mente di Klaus lo spaventò per quanto forse intenso e veritiero. Se la sua Bekah fosse morta, lui l’avrebbe seguita. Sebbene fosse rimasto vivo nel corpo, sarebbe sicuramente morto dentro, non avrebbe avuto più alcuna ragione per continuare la sua assurda idea dell’esercito di ibridi, non avrebbe avuto più una valida ragione per continuare a esistere.
«Mi hai mai voluto bene, Nik?» Le domande di Rebekah ripresero, forse perché la ragazza era tremendamente insicura.
A causa sua. Era sempre colpa sua. Agiva senza pensare a quanto male avrebbe potuto arrecarle e alla fine era sempre lei a pagare le conseguenze delle azioni di quel fratello troppo egoista.
L’ibrido, volgendo il viso di lato, riuscì solo ad annuire mentre gli occhi bruciavano sempre di più. Non riusciva più a sostenere lo sguardo affranto della sorella, quello stesso sguardo che riusciva a perforargli l’anima e a leggerlo come un libro aperto.
«E allora perché?» l’ultima domanda della vampira lo lasciò senza fiato e senza alcuna risposta. Anche lui, poco prima, si era posto la stessa domanda e non era riuscito a rispondersi. Perché si era comportato in quel modo? Scosse la testa e avvicino il volto a quello della sorella, posandole le labbra sulla fronte in un bacio delicato mentre le esili braccia della vampira lo circondarono. Rebekah posò il capo sul torace del fratello e chiuse gli occhi mentre le lacrime silenziose continuavano a solcarle le guance al sentire il gentile tocco delle mani di Klaus sfiorarle la schiena e i capelli. Erano entrambi sopresi di quei gesti, non avendoli mai compiuti in un intero millennio, ma in quel momento entrambi ne avevano sentito il bisogno. Quel giorno lui aveva superato se stesso sia positivamente che negativamente.
L’aveva uccisa e riportata in vita nell’arco di una manciata di minuti e lei aveva fatto la stessa cosa con lui.
Dipendevano l’uno dall’altro e ciò era sempre stato palese.
Da soli erano forti, ma non quanto riuscivano ad esserlo insieme.
E quel giorno si erano persi, avevano rischiato sul serio di non ritrovarsi più, seppure fosse successo tutto in una manciata di minuti.
E adesso invece erano abbracciati nel silenzio della grande stanza e questo aveva dell’assurdo, ma a nessuno di loro due importava.
In quel momento avevano bisogno l’uno dell’altra.
Lui aveva bisogno di quell’ umanità da sempre rappresentata dalla ragazza che teneva tra le braccia e lei aveva bisogno del gentile abbraccio della sua unica famiglia. Aveva bisogno di essere rassicurata, di quelle certezze che poco prima erano venute a mancare, di quel conforto che durante tutta quella terribile giornata non c’era stato.
Avevano bisogno di restare uniti e lo avrebbero fatto, proprio come la loro millenaria promessa recitava.
Sempre e per sempre.
Almeno fino al prossimo colpo di testa del fratello idiota..

 

Dopo un’intera giornata trascorsa a piangere come un’idiota, stanotte ho aperto word e.. puff, questa piccola one shot si è scritta da sola.
Il rapporto che da sempre lega Klaus e Rebekah è talmente strano da essere incomprensibile.
È un rapporto morboso, al limite dell’affetto fraterno. Si amano e si odiano con la stessa intensità e l’egoismo di Klaus di certo non aiuta. Come nella season premiere. Lui l’ha trattata in modo crudele, arrivando persino a dirle cose che –mentre lei è in stato di incoscienza (vedi la terza stagione)- i suoi gesti non confermano.
Quando lei non può vederlo, Klaus si lascia andare a quell’affetto che prova per la sorella.
E, visto che nella 4x01 lui mi ha sul serio fatta incazzare, ho voluto in qualche modo redimerlo.
Perché l’ha davvero fatta grossa (dicendo quelle cose e spezzandole il collo) e il Klebekah è praticamente il mio ossigeno, quindi dovevo per forza scrivere qualcosa su di loro.
Perdonate eventuali errori, ma ho scritto tutto in mezz’ora alle tre di notte quindi.. sono totalmente giustificata! v.v xD
Aspetto comunque i vostri pareri, sperando che questa piccola cosa sia piaciuta a voi così come è piaciuto a me scriverla.
A presto.

   
 
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