Gli ultimi pezzi del puzzle.
Toc toc.
Un
sorriso.
Un
altro sorriso.
Un’entrata
di chi un po’ pentito
lo era.
E
quando la linea immaginaria che
congiungeva i loro occhi si raddrizzò, quelli di Cristiana
gli sembrarono
ancora più scuri di com’erano di solito.
Più
scuri e più intensi,
luminosi, grandi.
Come
di una madre che ha appena
messo al mondo la propria figlia.
“Dorme?”
La voce bassa e profonda
si sparse omogeneamente per la piccola stanza.
“Sì.”
Fu
il monosillabo più bello di
quella giornata, da quanto era dolce.
La
osservò mettersi seduta a
gambe incrociate su quel letto sfatto, la schiena dritta e composta.
“Mi
dispiace.”
La
donna scosse la testa.
Perché
tanto era sempre stato
così, da che mondo e mondo: un perdonami,
un mi dispiace, uno scusami,
magari alternati di giornata in
giornata per non sembrare troppo monotoni.
“Perdonami”
continuò allargando
le braccia.
Wow.
Due in una volta.
“Ti
prometto che non litigheremo
più.”
“È
la più grande stupidaggine che
tu abbia mai detto.”
Cristiana
si alzò a sedere, lentamente.
Riccardo
alzò gli occhi al cielo.
“Lo
sai, vero, che non saremmo
qui se il nostro rapporto non fosse d’odio
reciproco.”
“Ma
che dici, io ti amo!”
Era
la prima volta che glielo
diceva con tanto entusiasmo.
“Ci
amiamo a forza di odiarci. Ci
abbiamo fatto l’abitudine.” Cristiana
abbassò il capo facendo scorrere avanti e
indietro un dito sulle lenzuola.
“Quindi?
Siamo già arrivati alla
fine del nostro matrimonio?”
“Stavo
solo argomentando la mia
tesi iniziale.”
“Ah.”
Fu l’interiezione di chi
non ci stava capendo molto.
“Ora
che hai capito quanto mi
piace litigare con te, puoi continuare.”
E,
sorprendentemente, Riccardo
non seppe come mandare avanti il discorso.
Sembrava
essere stato spinto
contro un vicolo cieco.
Continuare a fare… cosa?
Si
era scordato perfino della
motivazione per cui si era trovato nella stanza di sua moglie.
“Non
ti stavi scusando?”
“Ah,
sìsì.”
“È
un po’ presto per perdere la
memoria a breve termine.”
“Già.”
“La
sai una cosa?”
“Eh.”
“Ho
voglia di baciarti.”
“Mi
chiedevo se…”
Corse
per tenere dietro il
primario, ma poi, sfinita, lo afferrò per il camice
bloccandolo.
“Che
c’è?”
Giulia
scrollò le spalle. “Mi
chiedevo se potevamo andare a vivere insieme.”
“Beh,
ci sono tanti fattori da
valutare prima di prendere una decisione simile, lo sa
che…”
Le
schioccò un bacio sulle
labbra. “Sì.”
La
caposala si portò una mano
alla bocca, mentre le sue guance prendevano il colore dei capelli.
“Sei
impazzito!?”
“Non
sai come si siano attrezzati
per diffondere le novità, qui al pronto soccorso. Si faccia
dare un po’ di
ripetizioni da Teresa, signorina Graziosi…”
“Eccola
là.”
“Marina?”
ipotizzò Rocco, non
avendo individuato l’oggetto del discorso.
“Dove,
dove, dove?” scalpitò la
caposala declassata.
“Ma
da nessuna parte! A chi ti
riferisci?”
“La
vedi, la vedi?” Esther
allungò un braccio. “Lei.”
“Signore
mio aiutami.”
“A
me deve aiutare! Ho perso il
posto in dieci minuti!”
“Ma
ancora non lo sai se la
riassume o no!”
“E
come no. Guarda che confidenza
che hanno.”
Rocco
sbuffò.
“Tieni,
va’.” Le appioppò tre cartelline.
“Esami del sangue.”
“Ah,
da domani qui a lavorare. E
non tollero ritardi.”
“Non
posso, Sergio.”
“Certo
che puoi. Devi.”
“Non
posso riprendere il posto di
Esther, dopo il duro lavoro che ha fatto per imparare a gestirlo.
È in gamba.”
“Non
come te.”
Silenzio.
“Lo
sappiamo tutti e due quanto
tu tenga a riavere il tuo posto.”
Lo
sguardo basso della donna gli
diede ragione.
“Ed
Esther sarà solo contenta di
avere meno mansioni da svolgere.”
Riccardo
inclinò il capo quanto
bastava per incontrare le labbra della moglie.
Soddisfare
quella semplice
richiesta non necessitava un grandissimo impegno, anche se la sua
schiena
piegata in quella posizione sembrava gridare qualcosa al suo sistema
nervoso.
Con
una mano Cristiana attrasse a
sé il capo dell’uomo, che si appoggio al bordo del
letto finché lei non si scostò
il minimo necessario perché si riuscisse a sedere accanto a
lei.
Si
staccarono solo per
sorridersi.
“Hai
un buon odore, sai?” esordì
lui accarezzandole una guancia.
“Mh?”
“Sì,
hai quel profumo… di latte,
di neonato… di mamma.”
Cristiana
si emozionò, ad
ascoltare quelle parole, così sentite, così
diverse, così… nuove.
Un
abbraccio suggellò il dolce
dialogo.
“Mi
prometti una cosa, amore
mio?” gli chiese Cristiana parlandogli ad un orecchio.
“Tutto
quello che vuoi.”
“Che
non mi lascerai mai.”
“Mai.”
Sorrise.
“Grazie,
Riccardo.”
Un
gridolino di bimba li
risvegliò dal coma sentimentale.
“Eh,
la gelosia” commentò lui
spostandosi verso la figlia. “Tranquilla” si
rivolse poi ad una Cristiana con
il finto broncio. “Continuiamo presto il nostro
discorso.”
Rise.
E
appena la neonata si rintanò
nelle braccia del padre, smise di piagnucolare.
“Ricc-Riccardo…”
Gli
venne da sorridere, mentre
cullava la piccina pian piano.
E
gli occhi enormi della mamma
guardavano esterrefatti quella scena.
“Et voilà.”
Sergio
indicò l’interno del box
davanti al quale si erano fermati.
“Malosti…
con sua figlia in
braccio… è… un miracolo o
cosa?”
“È
solo la dimostrazione secondo
cui una donna – ma anche e soprattutto un figlio –
possa cambiare la vita” saggiamente
il primario rispose.
“Già.
Devo ricredermi sul dottor
Malosti. Sinceramente non avrei mai pensato subisse una trasformazione
così
radicale.”
“Beh,
in realtà credo che sul lavoro
sia rimasto il tiranno di
sempre. È già una soddisfazione vederlo
così almeno in campo relazionale.”
“Relazionale-privato” precisò la
caposala.
“Effettivamente
è un settore
molto ristretto.”
Giulia
scrollò le spalle.
“Effettivamente
alla Gandini
basta e avanza.”
“Già.”
Osservarono
ancora qualche
istante quel quadretto famigliare, soffermandosi sulla figura paterna
che ora
si avvicinava al letto per permettere alla moglie di accarezzare la
bimba.
“E
come si chiama?”
“Giulia.”
Fine
BLOCCO III