Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Remeny    13/10/2012    3 recensioni
Alterius non sit qui suus esse potest (Non appartenga a un altro chi può appartenere a se stesso) - Cicerone
Aron ha diciassette anni e un passato non esattamente felice alle spalle.
E' uno di quei ragazzi che dalla vita hanno ricevuto una forte sberla, senza una valida motivazione nè una consolazione dopo. Per questo si limita a vivere per se stesso, come gli hanno sempre insegnato.
Colin è il ragazzo delle consegne, così simile a Justin Taylor, il protagonista di Queer As Folk, che Aron adora.
Dopo un primo incontro non esattamente normale e una notizia sconvolgente, i destini di questi due ragazzi saranno legati per sempre.
Ma..in che modo?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Accidere ex una scintilla incendia passim.
A volte da una sola scintilla scoppia un incendio.


Quella mattina Aron si svegliò e, stiracchiandosi, si rese conto di essere particolarmente indifferente a ciò che lo circondava.
Si alzò svogliatamente recuperando il pacchetto di Malboro rosse che aveva lasciato al loro destino, in un angolo remoto del comodino. Nel prenderle, sfiorò quella foto con l’indice e, nulla, non provò nulla; non il classico senso di vuoto che lo attanagliava ogni volta che i suoi occhi si soffermavano su quelle due facce sorridenti, non l’odio nei confronti del mondo che lo coglieva subito, né il senso di vomito che seguiva tutto ciò, impedendogli di fare colazione.
Nulla.
Deciso a non rovinarsi quella giornata di, seppur strana, pace, si vestì pigramente e ficcò nella borsa tutto il necessario.
Era una piacevole mattina di settembre a Phoenix e per lui era iniziato da qualche giorno l’ultimo anno di scuola, il suo tanto agognato senior year.
Aron Dust era una presenza costante alla Phoenix High, un’ombra onnipresente, temuta e rispettata da tutti. Forse, ripensandoci, c’era stata una sola persona che aveva avuto il coraggio di mettersi al suo stesso livello, ma quella era decisamente un’altra storia.
<< Ari farai tardi, vieni a fare colazione >>, urlò Helena Bright dai piani inferiori.
Sua madre era una donna alta e magra, dai capelli neri come l’ebano e gli occhi di un verde prato fuorviante.
Aron, o Ari, come lo chiamava lei, era praticamente la sua versione maschile, cosa di cui andava particolarmente fiero.
Il padre, Lucas Dust, era morto quando Aron aveva solo undici anni e questo aveva avvicinato madre e figlio, nonostante entrambi lo negassero strenuamente.
Quando il ragazzo scese ai piani inferiori- jeans stretti a fasciargli le cosce longilinee, felpa gialla e converse azzurre- la madre, sorvolando sul suo abbigliamento discutibile, lo guardò orgogliosa, come faceva da diciassette anni a quella parte.
Aron odiava quello sguardo e in certi momenti avrebbe voluto confessare tutto alla madre, giusto per vederlo scomparire dal suo viso senza una parola, così come arrivava.
”Sapessi quello che ho fatto e che faccio-si disse- mi odieresti”, ma si tenne bene dall’esprimere quel pensiero.
Prese un toast e ci spalmò sopra del burro, poi si versò del caffè e finalmente accese il telefono.
Se c’era una cosa che Aron odiava ancor più di se stesso, era probabilmente essere svegliato da chiamate o messaggi nel cuore della notte, forse perché questo era successo la notte in cui suo padre morì.
Ecco perché lo spegneva, non avrebbe sopportato un altro colpo del genere.
Non appena lo accese, venne inondato dal fastidiosissimo beep che indicava la presenza di nuovi messaggi e chiamate senza risposta.
“Come volevasi dimostrare”, pensò mentre distrattamente controllava chi l’aveva cercato.
Robert, Sam, Vanessa, Lyn… cazzo.
Aprì di corsa il messaggio di Lyn, era l’unica ragazza che riusciva a metterlo in crisi, o comunque a riuscire a fargli cambiare umore, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

“Torno domani sera, fai in modo di essere disponibile. Chiaro ,moccioso?”

Sbuffò, si aspettava di peggio. Poi guardò il messaggio, era stato mandato alle 10:15 pm della sera prima, il che voleva dire che sarebbe arrivata proprio quella sera.
Rispose con un breve “Ti aspetto” e si voltò a guardare sua madre che, indaffarata, stava preparando la sua cartella da lavoro.
<< Lyn torna stasera >>, disse semplicemente e Helena si bloccò, o meglio, si congelò sul posto. Non che non amasse sua figlia, è chiaro, ma Lyn Dust aveva vent’anni e un carattere ingestibile, che era peggiorato dopo la morte del padre.
<< Oh, quindi ci sarà anche lei >>, constatò sovrappensiero, più parlando a se stessa che al figlio.
<< Per cosa? >>, chiese Aron sollevando gli occhi dal cellulare per rivolgerle uno sguardo curioso.
<< Mh? Oggi pomeriggio dovrebbero consegnarmi delle foto per il lavoro del signor Thunder ma io non ci sarò. Ti lascio cento dollari sul tavolo, occupatene tu per favore >>, rispose cambiando argomento. Non voleva pensare a ciò che avrebbe detto ai figli da lì a poco, era di vitale importanza non pensarci, altrimenti non sarebbe riuscita a spiccicare parola.
<< Come vuoi. Devo andare adesso o farò tardi >>, disse con noncuranza, prendendo la borsa e afferrando le chiavi della macchina.
Stava per uscire quando sua madre lo richiamò.
<< Ari, tesoro, stasera viene a cena Phil. Sai, quel mio collega di cui ti ho tanto parlato >>, iniziò non sapendo bene come concludere.
<< Si, mamma, te lo scopi da circa sei mesi >>, sussurrò con voce atona, uscendo di casa prima di sentire le sue parole.

Quando Aron Dust fece il suo ingresso alla Phoenix High, non sapeva bene il perché ma era cosciente del fatto che sarebbe stato un giorno di merda e, con suo dispiacere, si rese conto che non ci sarebbe entrato nulla l’improvviso rientro della sorella. Ne era sicuro.
Micheal lo intercettò e gli corse incontro, battendogli una pacca sulla spalla; tempo due minuti arrivarono Bradley e Josh, poi si accodò Lena, quella mattina senza Bandit, la sua gemella.
Iniziarono a parlare del più e del meno, di com’erano state quelle vacanze in cui si erano visti poco e non mancarono battutine sul povero Josh, che aveva passato l’intera estate a Jacksonville, dai nonni.
Ad un tratto, mentre ancora ridevano, Aron si scontrò con Justin, un carissimo ragazzo del terzo anno dai capelli biondo grano e dal fisico muscoloso con cui aveva avuto dei contatti abbastanza intimi l’anno prima.
Quello scontro da un lato l’eccitò, dall’altro l’indispose oltremodo, ed essere indisposto significava, per forza di cose, essere di cattivo umore, e per non essere di cattivo umore c’era solo una cosa da fare.
<< Justin, verresti un secondo con me? >>, gli chiese solamente e l’altro capì ogni cosa.
<< Buon giorno anche a te >>, rispose ghignando e lo seguì.
Entrarono in bagno e Aron lo spinse velocemente contro il muro di una delle varie cabine, iniziando a torturagli il collo con la lingua.
<< Eh no caro mio >>, replicò l’altro, afferrandolo da quei suoi capelli così soffici per portarlo alla sua altezza e baciarlo con foga. Aron rise sulle sue labbra e ricambiò il bacio con la stessa veemenza, per poi far scorrere una mano sul petto dell’altro, percorrendo il profilo dei suoi addominali.
Dio, era eccitato come un bambino davanti ad un negozio di caramelle.
Nel frattempo, la mano libera di Justin era scesa fino ai jeans di Aron e aveva preso a massaggiargli la prepotente erezione sa sopra la stoffa.
Il ragazzo gemette sulle sue labbra e gli tolse la maglietta, facendo lo stesso con la sua felpa e l’altro fece combaciare le loro erezioni, facendo letteralmente ringhiare Aron, che si disse di dover fare qualcosa. Così spinse il biondo ad inginocchiarsi e, mentre quello prendeva a sbottonargli i jeans, Aron pensava a come se lo sarebbe potuto scopare meglio sul suo letto invece che nel bagno della scuola.
I suoi pensieri furono interrotti da qualcosa di sicuramente più piacevole, ovvero la lingua di Justin che percorreva il suo membro in tutta la sua lunghezza e poi lo prendeva in bocca. Aron assecondò i movimento del compagno con una mano e allargò le gambe, mentre Justin lo stava facendo impazzire.
Prese a gemere rumorosamente e c’era quasi, riusciva già a pregustare la sensazione stravolgente che era l’orgasmo e gemette sempre più forte, come un’attrice di film porno di seconda categoria quando qualcosa, o meglio qualcuno, li distrasse.
<< Dust, Forhill, fuori di qui immediatamente >>, sbraitò il professor Grant, quello di lettere, mentre batteva le nocche sulla porta della cabina, che Aron non ricordava peraltro di aver chiuso.
<< Cazzo >>, dissero in coro i due e si rivestirono in fretta e furia.
Uscirono fuori da quel cubicolo che Justin era ancora eccitato e Aron insoddisfatto, sotto lo sguardo truce e allo stesso tempo indignato del professore.
Chi, quale bastardo ha osato denunciarci al professore?Quale fottutissimo figlio di cagna?, pensava fuori di sé, non badando nemmeno all'uomo che li fissava.
<< Non ho parole >>, iniziò guardandoli entrambi negli occhi.
<< E allora non dica nulla e ci lasci tornare al nostro impiego, c’ero quasi >>, sibilò Aron frustrato, infischiandosene del colore del viso del professore, che da rosso diventò viola, e poi di nuovo rosso.
<< Non. Una. Parola, Dust. Non una parola. Vi voglio in presidenza tra meno di mezz'ora, nel frattempo sbarazzatevi del problema >>, riferendosi alle erezioni dei due.
<< Ognuno per i conti propri >>, aggiunse quando si accorse che Aron stava per riportare Justin nella cabina con lui.
Era un gran casino, davvero un grande, enorme casino, ma al ragazzo venne da ridere, perché aveva avuto ragione ancora una volta, quella sarebbe stata una gran giornata di merda.

Ecco, quando pensava questo, ancora non aveva quantificato la merda che avrebbe riempito quel giorno. No, decisamente non l’aveva fatto.
I due ragazzi erano stati strigliati dal preside in persona e, seppure avevano ottenuto che i genitori non venissero informati dello scabroso accaduto, erano stati immediatamente spediti a casa, sospesi per il resto della giornata.
Col senno di poi, Aron si maledì per ciò che aveva fatto e per essere stato a casa alle undici, quando il campanello aveva suonato.
Stava guardando Queer as Folk,la versione americana naturalmente, quella inglese era una specie di mezza sega (che umorismo, eh?) quando si accorse che qualcuno aveva proprio voglia di disturbarlo durante una delle sue scene preferite.
Mise in pausa e, alterato, si recò alla porta, la aprì e rimase inebetito per cinque minuti buoni.
Davanti a lui c’era un ragazzo che poteva avere al massimo diciott’anni, alto, ben impostato, con occhi neri e capelli rossicci e, Dio, era identico a Justin!*
Il ragazzo rimase lì imbambolato immaginando di farlo accomodare, offrirgli un caffè magari e poi farlo salire in camera sua, chiudere la porta e... era proprio frustrato.
<< Questa è casa Bright? >>, chiese con una voce che avrebbero fatto meglio a dichiarare illegale.
“No. Dust, questa è casa Dust”, voleva rispondere ma non lo fece, gonfiando le guance per impedirsi di esternare quel pensiero.
<< Si >>, rispose invece mestamente.
<< Bene, allora questa è tua >>, disse abbozzando un sorriso e porgendogli una busta gialla su cui era scritto Bright a caratteri cubitali.
Nel prenderla, le loro mani si sfiorarono per un attimo e si ritrasse immediatamente,come attraversato da una scarica elettrica.
<< Quanto viene? >>, chiese subito per non pensare troppo a quel contatto che era stato accidentale.
<< Ottanta dollari >>, rispose e Aron scomparì sussurrando un lieve Aspetta qui che si perse nell’aria.
Quando tornò e gli passò i soldi, le loro mani s’incontrarono ancora e, Aron avrebbe potuto giurarlo, stavolta era stato il rossiccio a cercare il contatto, ma non fiatò.
<< Bene, allora io vado >>, indugiò.
Che volesse entrare in casa?
Ma per fare cosa, poi?,si domandò e subito delle immagini ben precise lo travolsero come un fiume in piena.
Sono solo un diciassettenne arrapato, si disse e stava per chiudere la porta, dopo avergli mormorato un Ok distratto, ma qualcosa lo trattenne.
<< Non mi inviti ad entrare? >>, domandò quella voce calda ed improvvisamente, invece che provare eccitazione, Aron si sentì punto nel vivo, come se tutto il fastidio che aveva accumulato quel giorno fosse pronto ad uscire.
Era casa sua e quel tono così strafottente non gli andava per nulla a genio.
<< Dovrei per qualche motivo? >>, gli chiese di rimando con tono parecchio seccato.
<< Per fare un bene alla comunità? Sono assetato e la prossima consegna è a circa due chilometri da qui >>, rispose e Aron non se la sentì di chiudergli la porta in faccia.
<< Entra >>, gli disse solamente e lo portò direttamente in cucina, dove aprì il frigo e gli passò una bottiglia d’acqua.
<< Puoi tenerla >>, disse scrollando le spalle; le uniche due cose che in quella casa non mancavano mai erano sigarette e acqua.
<< Grazie, sei un moccioso simpatico >>, rispose ridendo.
<< Ho quasi diciotto anni >>, sibilò l’altro.
<< Io ne ho appena fatti diciassette >>, sussurrò con voce fintamente sconvolta.
<< Sto per toglierti l’acqua, ti avviso >>, disse incazzato avvicinandosi con due grandi falcate ed erano già così vicini.
Il rossiccio assunse un’espressione terrorizzata.
Oh, uno a zero.
<< No, l’acqua no! E poi ormai c’è la mia saliva >>, cercò di convincerlo.
<< Credi che questo sia un problema? Ho condiviso la mia saliva con molte più persone di quante tu possa immaginare, una in più non mi fa alcun effetto >>, disse quasi fieramente e, ragionandoci sopra, individuò in quello l’istante in cui si tradì.
Il ragazzo annullò la scarsa distanza che c’era tra i due e poggiò le sue labbra su quelle di Aron, schiudendole dopo poco per approfondire il bacio.
Aron sorpreso da quel contatto, si staccò immediatamente.
<< Che cazzo fai? >>, gli urlò contro e l’altro ghignò.
<< Non credevo che per te la mia saliva facesse differenza >>.
<< No, infatti >>, si riprese immediatamente, celando uno sguardo imbarazzato. << Semplicemente non me l’aspettavo >>, concluse.
<< Se ti dicessi che sto per baciarti di nuovo cosa faresti? >>, chiese il ragazzo a bruciapelo, lasciando Aron con un’espressione da ebete in faccia.
Lo guardò avvicinarsi sempre di più, fino a sfiorare leggermente le sue labbra,quasi impercettibilmente.
<< Devo andare, grazie per l’acqua >>, disse di corsa e uscì da quella casa sotto lo sguardo sconvolto di Aron.
Ma che cazzo gli stava prendendo?
Non è possibile, preso per il culo da un ragazzino , pensò sconsolato.
E ancora non è arrivata Lyn, continuò stendendosi a letto, pensando a quella sera in cui, non solo sarebbe tornata sua sorella, ma avrebbe anche conosciuto il nuovo fidanzato della madre.


Note finali!

*Con quel Justin non mi riferisco al compagno di Aron, ma a Justin Taylor, uno dei protagonisti di Queer as Folk che, peraltro, vi consiglio di guardare se non lo avete già fatto! *--*
Allora, passando alle cose serie (AHAHAHAHAHAH)
No, ok, niente cose serie. Semplicemente ho partorito questa storia tra un delirio e l’altro dovuto alla febbre e spero che piaccia.
Si è praticamente scritta da sé, quindi gli aggiornamenti arriveranno in tempi relativamente brevi (come se a qualcuno importasse!). I capitoli dovrebbero essere tutti di questa lunghezza ma potrebbe variare in base anche ai contenuti, logicamente, e, cosa importante, la mia storia non è solo sesso e parolacce, avverto prima così da non scoraggiarvi!
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci conto!

Alla prossima,
Remèny
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Remeny