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Autore: Sphaira    14/10/2012    1 recensioni
Il gioco era cominciato, e le regole erano semplici: uccidi accrescendo il tuo potere di diavolo temporaneo o vieni ucciso cedendo i tuoi poteri all’assassino e la tua anima alla Predatrice.
Chi sarebbero stati i malcapitati?
La piccola tenebra non vedeva l’ora di saperlo, e per questo svanì nel buio, per poter vegliare sulle prime tragedie delle anime inquiete.
{Song fic ispirata alla canzone Hide and Seek di SeeU. I personaggi non sono strettamente Vocaloid, ma diciamo che la ragazza è "interpretata" dalla stessa SeeU, sebbene abbia un nome diverso, mentre gli altri sono inventati.}
Genere: Dark, Horror, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Lo spirito della sventura gira per la città.
Lo spirito della morte è tornato, e sta attaccando di nuovo!
Lo spirito della notte ha ripreso a fare vittime.
Lo spirito della disperazione ha preso di mira i giovani innamorati.”
Un’ombra nera dalle forme femminili, saltellando per le strade allegramente, rideva delle voci che sentiva intorno. Chiunque aveva paura di lei, ma nessuno poteva evitarla. Nessuno sapeva chi era, né come colpiva. Nessuno poteva vedere le sue cornee trasparenti né il suo aspetto cadaverico. Potevano solamente percepire il brivido delle loro anime al suo passaggio. Potevano anche avvertire la loro fretta di fuggire?
Quella sera di Luna rossa e piena, il famigerato spirito aveva già cominciato a colpire. Il cuore appena infranto di una ragazza era già stato corrotto e catturato dalla diavolessa, ma questa volta la vittima sarebbe stata la prima di una piacevole serie.
Il gioco era cominciato, e le regole erano semplici: uccidi accrescendo il tuo potere di diavolo temporaneo o vieni ucciso cedendo i tuoi poteri all’assassino e la tua anima alla Predatrice.
Chi sarebbero stati i malcapitati?
La piccola tenebra non vedeva l’ora di saperlo, e per questo svanì nel buio, per poter vegliare sulle prime tragedie delle anime inquiete.
 
Toc, toc, toc, toc.
Bussavo insistentemente alla porta d’ingresso di casa sua.
«Joe, ti prego, aprimi!»
Non sentii nessuna risposta da dentro. Alzai la voce, e una ciocca di capelli biondi sfuggita al fiocco che mi ero fatta qualche ora prima mi scivolò davanti al viso. La sistemai mentre tentai ancora una volta di convincere il ragazzo.
«Avanti!!»
Niente. Ripresi un attimo fiato, quindi abbassai il capo e poggiai una mano sul legno scuro della porta chiusa.
«Lo so che sei lì dietro...»  mormorai quasi tra me e me, ma ero sicura che mi avesse sentito, lo sapevo. Rimasi in silenzio per diversi secondi, meditando... finché non notai un’ombra sulla porta che non era la mia.
 
«Lo so che sei lì dietro...»
Celeste era più insistente che mai, non riusciva a capire che avevo bisogno di un po’ di pace in quel momento. Avevo gli occhi lucidi. Volevo che ogni mia paura svanisse nel nulla per permettermi di nuovo di amarla come per i mesi precedenti, eppure non riuscivo a liberarmi dell’angoscia che mi irrigidiva. Capivo benissimo che per lei sarebbe stato molto difficile da accettare, ma avrebbe dovuto capire che com’era complicato per lei lo era anche per me – soprattutto per me. Avevo bisogno di un po’ per prendere una decisione definitiva riguardo tutto ciò. Eppure lei non voleva concedermelo.
Il silenzio calò tra di noi. Passarono diversi lunghissimi secondi, durante i quali avvertii dei passi da un certo punto in poi. Pensavo se ne stesse andando, ma invece...
«Kyaaah!»
Un urlo, poi dei rumori metallici. Rimasi pietrificato, non riuscendo a immaginare cosa potesse essere successo là fuori. Mi girai verso la porta e strinsi la maniglia con la mano sinistra, lasciai passare qualche istante, quindi aprii. Mi chiedo come sarebbe andata se non l’avessi fatto, oppure, ancora meglio, se avessi soltanto visto dalla finestra. L’esito sarebbe stato diverso..?
 
«Kyaaah!»
Una ragazza dai capelli corvini, più piccola di me, tentò di attaccarmi con un coltello mentre mi girai verso di lei, ma la sua titubanza e la sua mano tremante le permisero soltanto di tagliare leggermente la stoffa chiara del mio vestito. Urtò contro il pomello della porta con la lama, e la sua presa insicura non bastò a tenere ferma l’arma. Incrociai i suoi occhi solo per un attimo: erano cremisi e brillanti come la Luna di quella sera e come il sangue fresco. Erano spaventosi. E probabilmente fu proprio quello sguardo a provocare la mia reazione d’auto-difesa, per cui recuperai il coltello, lo alzai e lo affondai nell’incavo sinistro del collo. Non uscì sangue; mi accorsi solo allora del suo aspetto smorto, e che qualcosa non quadrava. Un fumo rossastro spirò come vapore dalla ferita profonda con un fischio; sobbalzai e lasciai il coltello, e allo stesso tempo le gambe cedettero e mi ritrovai in ginocchio, vicino al cadavere. Il vapore mi avvolse e si insinuò dentro di me in pochissimi istanti, e presto cominciai velocemente a perdere conoscenza.
Non sapevo chi fosse la persona morta di fronte a me. Era una mia parente?...chi erano i miei parenti? E perché ero in quel posto? Ero sicura di star facendo qualcosa di importante, per qualcuno che avevo a cuore, per me... ma chi era questo qualcuno? Come si chiamava?...e qual era il mio nome?
Sentii una porta dietro di me aprirsi che mi sollevò dal riflettere su tutte quelle domande, che alla fine erano solo insensate e inutili. Avvertivo una sola voglia impellente e un solo scopo adesso della mia vita: volevo sangue umano. Volevo vederlo e sentirlo scorrere sulla mia pelle. Sangue umano altrui. Mi girai, e un sorriso affiorò spontaneo sulla mia pelle. Un ragazzo più o meno della mia età mi stava fissando, forse con sorpresa. Non mi importava chi fosse; sapevo solo di aver trovato la mia preda.
 
«Celes...»
La voce mi morì in gola, e rimasi semplicemente a guardare quel macabro spettacolo, indietreggiando. Celeste sembrava uno zombie adesso, esattamente come la persona distesa di fronte a lei. Quella però era immobile, e aveva gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, nonché un coltello conficcato nel collo. Deglutii istintivamente ed indietreggiai. Che diavolo era successo? Non ero stato abbastanza veloce, e per questo non potevo capire. Però qualcosa mi diceva che dovevo correre. Correre, scappare immediatamente da lì.
Ma i piedi erano troppo pesanti per poterli muovere. Lo sguardo morto e folle di Celeste che mi puntava mi teneva bloccato lì come se mi avesse inchiodato al muro. Il mio corpo era in attesa. Non potevo che aspettare di diventare più forte e di mettermi in salvo, e sperai con tutto me stesso che quel momento arrivasse più in fretta possibile.
 
Brivido freddo.
Un brivido lento e prepotente scosse il ragazzo immobile di fronte a me mentre mi alzavo e mi avvicinavo alla soglia di casa. Mi fermai vicinissima alla porta, ma ancora non passai l’ingresso, fissando l’altro divertita. Cominciai a sussurrargli qualcosa con voce calma e infantile quando mi risvegliai da quella sorta di trance in cui ero caduta immaginando cosa avrei potuto fargli non appena avessi potuto mettergli le mani addosso: strangolarlo, impiccarlo, torturarlo, ucciderlo direttamente? Ero sicura che alla fine avrei optato per l’ultima scelta, ma in modo cruento. Avevo bisogno di sangue.
«Din don,» esordii contemporaneamente al campanello che feci suonare, «sto per entrare in casa. Giochiamo insieme a nascondino, ti va?» Accentuai ancora il sorriso facendo un passo avanti, e lui sbiancò, facendone ancora un altro indietro. «Scappa via, su.»
 
«Riesco a sentire i tuoi paaassi...»
Non mi ero fatto ripetere due volte di scappare. Cominciai a correre per il corridoio della casa e girai subito l’angolo per dirigermi al piano di sopra, però nella fretta di allontanarmi da quel mostro non badavo al fatto di fare molto rumore, cosa che mi rendeva una preda particolarmente semplice da cacciare. A differenza dei miei passi, però, quelli della ragazza erano leggeri e impercettibili. Non correva, semplicemente mi seguiva.
Era tutto dannatamente inquietante. Non potevo che accelerare il passo. Mi fermai un attimo tra le porte delle stanze, ma quando poi lei parlò di nuovo, ripresi a correre, cercando di pensare ad un buon posto dove nascondermi facendo attenzione a non finire in vicoli ciechi.
 
«Riesco a sentire il tuo respiro!»
Presi a correre anche io dietro di lui, col vestito oramai tinto di nero dalla mia nuova essenza che ondeggiava ad ogni movimento leggiadro. Era divertente. Era incredibilmente divertente vedere il terrore nei suoi occhi, nei suoi gesti, nella sua fuga disperata, e una risatina mi uscì spontanea. Non correvo alla sua velocità, perché riuscivo a capire comunque dove andava dal forte chiasso che faceva. Il mio corpo conosceva quella casa, e si orientava da sé. Ero avvantaggiata, e in qualche modo anche lui lo sapeva... ma non faceva differenza.
Fui riportata alla realtà da una porta sbattuta. Mi fermai, guardando avanti e indietro nel corridoio, e vidi con la coda dell’occhio la Luna che mi osservava da fuori, salendo crudele sempre più in alto nel cielo violetto notturno, rischiarato solo dal suo rosso. Il sorriso che avevo sulle labbra si spense per un attimo. Era meravigliosa ma minacciosa, come se stesse giudicando il mio agire; ma beh... non erano fatti suoi. E con questo pensiero, girai i tacchi e mi avviai verso la stanza del ragazzo. Mi dimenticai a forza la storia della Luna, quindi ripresi a sorridere tranquillamente, e contemporaneamente alla porta: «Toc toc.»
 
Sbattei la porta e mi guardai intorno nella mia stanza. Alla fine ero arrivato lì; non potevo scegliere nessun posto più ovvio. Pretesi di mantenere la calma finché non mi fossi nascosto, e cominciai a passeggiare nel mezzo della stanza, considerando ogni possibile posto. Sotto o dietro la scrivania era l’opzione peggiore, perché sarebbe stato semplicissimo trovarmi in ogni caso; sotto il letto era scontato, e dietro le tende valeva lo stesso discorso della scrivania, anzi, peggio. Mi avvicinai alla finestra e guardai giù. Era troppo alto per saltare. Il prato illuminato di rosso faceva impressione, però quando seguii i raggi con lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia con la Luna sperai che mi aiutasse. “Salvami”, la implorai, quindi optai per l’ultima possibilità: l’armadio. Entrai senza far rumore con le ante, richiusi bene, quindi mi lasciai cadere a sedere tirando le ginocchia al petto, di spalle alla stanza. E fu proprio in quel momento che la sentii bussare.
 
«Sono fuori la porta. Sto entrando...» mi interruppi per aprire lentamente la porta, in modo da farla scricchiolare. Stavo facendo scena; ma questo recitare sicuramente lo rendeva più terrorizzato che altro. Dopotutto stavamo giocando, no? E anche questo fa parte del gioco. «...non chiederò il tuo permesso per farlo.»
Richiusi la porta dietro di me per impedirgli la via di fuga nel caso non fossi stata abbastanza attenta, quindi canticchiando cominciai a cercare. Mi sentivo felice. Ero impazzita, ma nella pazzia c’è una felicità eterna alla quale non si potevo dire di no. Non potevo. Ma non mi interessava il perché di questa cosa, perché ero d’accordo con questo obbligo.
 
Tremavo, tra poco mi avrebbe trovato. Stringevo le ginocchia cercando di pensare a qualcosa per distrarmi o quantomeno tranquillizzarmi un po’, ma senza troppo successo. Non riuscivo a capire che diavolo stava succedendo, e questo occupava per intero i miei pensieri. Avevo paura di quella ragazza, che non era più la mia Celeste. Era stata la sua pena d’amore a farle perdere il senno?... no, non credevo almeno. Però se così non fosse stato sarebbe stato anche un po’ insensato.
«Visto che altrove non ci sei,» ruppe il silenzio ad un certo punto, «vuol dire che controllerò anche l’armadio.»
Le mie speranze svanirono ad una ad una. Socchiusi gli occhi, aveva ovviamente vinto lei, e io avevo perso. Ma quando vidi la luce rossa dietro di me che sembrò carezzarmi e rassicurarmi, sentii una scarica d’adrenalina animarmi. La vidi alzare il braccio, probabilmente voleva colpirmi alla nuca per farmi perdere conoscenza. Ma no... non gliel’avrei fatto fare!
 
«Visto che altrove non ci sei, vuol dire che controllerò anche l’armadio.»
Mi alzai da vicino al letto concludendo il motivetto che avevo canticchiato fino a quel momento, quindi mi alzai e aspettai qualche secondo vicino l’armadio, con le mani sulle maniglie. Sentii un leggero brivido percorrermi la schiena. Perché? Avevo quasi vinto il mio premio, non c’era da aver paura. Fissai la luce rossa riflessa sulle ante chiare del mobile infastidita. La Luna mi stava fissando anche qui. Pensiero che mi incattivì e mi fece aprire subito l’armadio. Potei vedere la mia ombra e i miei movimenti sulle spalle di lui, immobile, forse rassegnato? No, perché all’ultimo momento, rotolò e scansò il mio colpo. Mi sbilanciai leggermente in avanti, ma una volta ripreso l’equilibrio, il ghigno riaffiorò sul mio viso.
«Din don...ti ho trovato!»
Mi avventai su di lui cercando di colpirlo ancora, e nel frattempo continuai a parlare, alzando gradualmente la voce.
«Ho vinto io, ho vinto io! E ora, come in ogni gioco che si rispetti, chi perde deve pagare un pegno!»
Con un po’ di fortuna, riuscii a farlo cadere spingendolo ad indietreggiare, quindi ad inciampare in un piede del suo letto. Finì a terra, e io mi sedetti sopra di lui, bloccandolo. Però... il riflesso cremisi della Luna nei suoi occhi ancora una volta mi disarmò. Urlai, ma non mi volevo far fermare, così allungai subito le mani per stringerle intorno al suo collo. Non era esattamente quello che intendevo fare, ma ora non c’era tempo. Dovevo mettere una fine a quella storia il prima possibile.
 
Mi ritrovai disteso a terra con lei sopra di me che cercava di strangolarmi, però non riusciva a rendere la sua presa abbastanza forte. Fui costretto a guardarla in quegli occhi vuoti, e il cuore mi fece male. Erano sempre i suoi stessi occhi, anche se erano neri, con le iridi rosso spento, anormalmente lucidi. Non so come, riuscii a trovare la forza di alzarmi in ogni caso, e senza dire niente, prendendo le sue mani nelle mie, la baciai. Non vidi la sua reazione; chiusi gli occhi quando le mie labbra toccarono le sue. Per qualche motivo sapevo che quella sarebbe stata l’ultima volta. E così fu.
Una nuova scarica... ma no, non era voglia di fuggire o salvarsi. Era qualcosa di nero e malvagio. Spalancai gli occhi. Mi sembrò di vedere la Luna che avevo implorato di fronte a me, sottoforma di ragazzina dai capelli corvini e dagli stessi occhi di Celeste, ma più vividi, accesi, magnetici. Mi guardava, e sorrideva con una gentilezza inquietante. Si avvicinò... poi non vidi più niente.
 
Il mio corpo si bloccò quando il ragazzo mi baciò. Mi tornò un barlume di lucidità, e una lacrima mi rigò la guancia destra. Lui era il mio ragazzo, ma non riuscivo a ricordare nulla di più. La mia nuova personalità combatteva contro me stessa per non farmi tornare alla mente reminescenze che potevano distrarmi dal mio obiettivo, ma ormai era troppo tardi. Tradii l’ombra della Luna che mi aveva tenuta prigioniera fino a quel momento, quindi mi staccai lentamente, guardando gli occhi del mio ragazzo e vendendoci il mio riflesso.
«Joe...?» mormorai. Ma qualcosa ancora non andava. Era strano. La voglia di uccidere era sparita in quel breve istante di tempo, e così iniziarono a sparire le forze, come se stessi lentamente morendo sul momento. Mi spaventai, non volevo, non ora.
«Joe!»
Quando lo chiamai una seconda volta, lui si risvegliò, e la reazione che ebbe mi spezzò il cuore. S’erano capovolte le posizioni: ora ero io stesa con lui su di me, e stava stringendo il mio collo, prepotentemente. Non potevo respirare. Cominciai a piangere, cosciente del fatto che non ero capace di fermarlo con le poche forze che avevo nonostante ci provassi, ma soprattutto sapendo che tra non molto sarei morta, e non avrei potuto mai più rivederlo. Pregavo che si fermasse con lo sguardo, ma presto cominciai a soffrire terribilmente la mancanza di ossigeno. La mia coscienza stava spirando via, ma riuscii a vedere un’ombra alle spalle del ragazzo prima del buio. Era una bambina... una bambina dai capelli scuri e dagli occhi della Luna.
 
Quella stupida ragazzina moribonda l’aveva abbandonata e rifiutata; quella era la fine che si meritava per il suo affronto. La reazione a catena doveva continuare, e il prescelto che doveva succedere al breve potere di quella Celeste, il suo ragazzo, era perfetto. Aveva creduto nella Luna. Aveva chiesto il suo aiuto, e fin da quel momento la simpatia dello spirito era passata a lui piuttosto che a lei. Meritava di vivere in confronto a lei. E sebbene lei fosse un diavoletto relativamente giovane, aveva tutto il diritto di giudicare.
Quando la ragazza smise di dimenarsi sotto di lui, il ragazzo tenne ancora le mani sul suo collo violetto, come ad assicurarsi che non tornasse indietro. Sembrava titubante e scosso, nonché confuso, ma la bambina lo raggiunse da dietro e gli poggiò le sue manine inconsistenti sulle spalle.
«Sei tu il vincitore.»
A quelle parole, un nuovo vapore rosso, più consistente di quello che aveva avvolto la ragazza, si insinuò nel ragazzo, che impallidì e perse il suo colore degli occhi. Le iridi della bambina brillarono allo stesso tempo di quelle di lui, e al suo sorriso rispose alla stessa maniera. Gli lasciò un bacino sulla guancia, quindi fluttuando si rivolse verso la porta. Non ci fu bisogno di dire niente. Si alzò anche lui, lasciando al suo destino il cadavere, e con la bambina uscirono dall’abitazione.

  
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