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Autore: RobTwili    14/10/2012    27 recensioni
Harper e Jared.
Pri e Jedi.
Si conoscono dall’asilo e hanno frequentato il college assieme, sempre e solo da buoni amici.
Jared ha visto Harper in tutti i modi possibili, Harper riesce a sopportare Jared nonostante l’amore incondizionato che lui ha per Pixie, la sua BMW.
Sono single, entrambi, visto che sembra che nessuno sia in grado di sopportare i loro reciproci difetti. Harper ha infatti una teoria: tutti i ragazzi che le piacciono sono dotati di una corazza invisibile che fa rompere le frecce di Cupido, impedendo a tutti di innamorarsi di lei.
Ma se la freccia di Cupido scoccasse improvvisamente, verso quella persona che hai sempre avuto al tuo fianco?
Storia momentaneamente sospesa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CBA





«Jar mi serve un consiglio, più da uomo che da amico. Questo o questo?». Improvvisamente non vidi più lo schermo della tv davanti a me, ma solo Harper e i due pezzi di stoffa che teneva tra le mani. Pezzi di stoffa uguali.
«Harp, sto giocando a PES, levati da davanti» sbottai, premendo il pulsante per mettere in pausa il gioco. Possibile che dovesse disturbarmi nel bel mezzo del gioco solo perché non sapeva quale di quei due cosi era meglio indossare? «E poi sono uguali, quindi perché mi chiedi quale è meglio?». Presi la birra di fianco a me, bevendone un lungo sorso mentre la vidi sospirare prima di appoggiare uno dei due vestiti sul divano, di fianco a me. No, non di nuovo.
«Primo, PES non è importante come me, sono la tua migliore amica e ho bisogno di un consiglio visto che stasera festeggio due mesi con il mio ragazzo e sai come la penso sui due mesi. Secondo, questi due vestiti non sono uguali, uno è grigio perla e con taglio a impero, l’altro è grigio fumo di Londra e con lo scollo a cuore. Dai, aiutami per favore!» mugolò, facendo gli occhi da cucciolo e sporgendo il labbro inferiore per farmi cedere. «Dai Jar, lo sai che ti voglio bene e che vorrei che tu fossi gay in questi casi, ti prego, ti prego, ti prego. Quale dei due? È importante per me e Noah questa sera». Riprese i vestiti in mano, sollevandone prima uno e poi l’altro perché potessi guardarli attentamente e farmi un’idea. Tanto lo sapeva che entrambi avrebbero fatto la stessa fine, sul pavimento della camera di Noah l’idiota, visto che erano passati due mesi dal loro primo appuntamento.
Ed era esattamente questo che Harper aspettava, perché lei, al contrario di tutte le altre, attendeva due mesi prima di darla al ragazzo con cui usciva, visto che secondo lei la regola dei tre appuntamenti era «di pessimo gusto e volgare, perché in tre appuntamenti non conosci una persona”. Sapevo che molti l’avevano lasciata perché dopo un mese si erano stancati di aspettare, ma sembrava che Noah l’idiota fosse riuscito a resistere e quella sera potesse essere premiato.
«Quello». Indicai, sbadigliando, il vestito di colore più chiaro, guadagnandomi una sua occhiataccia. «Che c’è?» domandai esasperato, allargando le braccia e appoggiando il capo allo schienale del divano, aspettando che mi spiegasse perché la mia scelta non concordava con la sua idea. Perché diamine chiedeva il mio consiglio se poi doveva iniziare a dire che non capivo niente di moda, solo perché la mia idea contrastava la sua? Donne.
«Se metto questo però non posso mettermi il reggiseno in coordinato con gli slip, anzi, dovrei rimanere senza e se non ce l’ho sembra che abbia già organizzato tutto. Non che non l’abbia fatto, ma se si capisce diventa una cosa non romantica e sembra che sia tutto organizzato, capisci? Forse è meglio questo, così posso mettere un completo carino sotto e non sembra che io ci abbia pensato. Sì, farò così. Grazie per il consiglio Jar, tu sì che sei un amico» decretò, come se mi avesse veramente ascoltato. Raccattò i vestiti e mi diede un bacio sulla guancia prima di correre su per la scala per andare a prepararsi.
«Harp, non finire tutta l’acqua calda, devo farmi la doccia anche io dopo» urlai perché potesse sentirmi, mentre chiudeva la porta del bagno con un tonfo sordo. Sentii l’eco di una sua risata prima che lo scrociare dell’acqua assieme a una canzone dei Metallica facesse da sfondo alla partita che avevo interrotto con l’arrivo di Harper.
Dopo l’intero Master of puppets sentii la porta del bagno aprirsi e mi sembrò quasi di vedere la nuvola di vapore scendere dalle scale, visto che sapevo quanto Harp adorasse l’acqua calda. «Per fortuna ti avevo chiesto di non finire tutta l’acqua calda» urlai di nuovo, alzandomi dal divano svogliatamente e spegnendo X-Box e TV. Entrai in camera sua, distendendomi sul suo letto quando si chiuse la porta della sua cabina armadio alle spalle per potersi vestire dentro. «Dovrei lavarmi, visto che puzzo e stasera vengono i ragazzi per giocare a poker» spiegai, massaggiandomi le tempie e stiracchiandomi. Sentii il rumore della porta della cabina armadio che si apriva e con un braccio mi coprii il viso, rilassandomi.
«Tanto puzzate tutti come dei caproni, non ti sei mai accorto che quando Wilson e Joseph se ne vanno da qui spalanco tutte le finestre per cambiare l’aria? Io devo ancora capire se voi maschi sapete che hanno inventato la doccia» si lamentò, cominciando a camminare su e giù per la stanza, con i tacchi. Sentivo il ticchettio delle scarpe sul legno e mi infastidii, soprattutto per la sua frecciatina.
«Primo io non puzzo, almeno, puzzo solo dopo aver fatto sport. Sono un uomo è normale puzzare d’accordo? E secondo… nemmeno i miei amici puzzano. D’accordo, un po’» ammisi, ripensando ai post partita di calcetto con i ragazzi. E comunque non avevamo mai invaso gli spazi di Harper; non eravamo nemmeno mai entrati in camera sua. Oddio, quasi mai, tranne quella volta che, da ubriachi, avevamo curiosato dentro al cassetto della sua biancheria per capire se facessero dei reggiseni anche per le sue nontette. In verità era stata un’idea di Wilson, solo perché non credeva che reggiseni per tette così piccole fossero venduti. Io non avevo guardato; solo una sbirciatina, piccola piccola. Giusto il tempo di notare quei due perizomi di pizzo e forse un bustino niente male. Ma ero ubriaco, quindi non faceva testo.
«Appunto, puzzi anche tu, quindi alzati dal mio letto e vai a farti la doccia. Conoscendo gli altri due scemi arriveranno con una cena messicana o cinese tra mezz’ora, visto che la vostra serata poker inizia dalla cena». Con gesti meccanici iniziò a truccarsi, sedendosi sullo sgabello davanti allo specchio in camera sua. Con uno di quegli aggeggi tra le dita, si fermò con la mano a mezz’aria, intimandomi con i suoi grandi occhi verdi di andarmene dalla sua stanza per farmi quella dannata doccia prima che arrivassero Wilson e Joseph.
«D’accordo, d’accordo, esco e ti lascio da sola con tutte quelle cose da metterti sul viso. Ma sappi che sono sicuro che Noah apprezzerà di più poco trucco. Anche perché dubito che domani mattina voglia vederti in versione panda quando vi sveglierete dopo una notte di fuoco. Io ti ho vista una mattina, quando non ti sei struccata, non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico!» scherzai –non poi così tanto –chiudendomi la porta alle spalle prima che potesse lanciarmi addosso uno di quegli arnesi che usava per spalmarsi colori sul viso. Entrai in bagno sbuffando per la mancanza d’aria dovuta a tutta la nuvola di vapore che Harp aveva creato e iniziai a spogliarmi, aprendo il rubinetto dell’acqua e immergendomi sotto al getto, distendendo i muscoli delle spalle. L’acqua tiepida che scivolava lungo il mio collo e la mia schiena, i Metallica che cantavano in sottofondo e il vetro del box doccia completamente annebbiato dal vapore. Presi la boccetta di shampoo iniziando poi a insaponarmi i capelli quando l’acqua da tiepida diventò improvvisamente gelata.  «Harper! L’acqua cazzo! Non c’è più acqua calda». Chiusi il rubinetto di colpo, togliendomi lo shampoo che era entrato nei miei occhi, facendoli bruciare e sentii la sua risata che superò perfino l’assolo di chitarra.
«Scusa Jar, ma è più importante che sia io quella pulita e profumata, visto che sono io quella che ha l’appuntamento» urlò senza smettere di sghignazzare, mentre aprivo l’acqua di nuovo per sciacquarmi. Iniziai a saltellare, lavandomi il più in fretta possibile per poi arrotolarmi l’asciugamano attorno alla vita e camminare a passo spedito verso la sua camera. Avevo i brividi e i capelli gocciolanti, ma ero già pronto con il piede di guerra per dirle che no, non andava bene così. «Jar! Va a vestirti! Stai gocciolando ovunque!» strillò, puntandomi contro qualcosa di appuntito e nero. Sembrava una matita, ma non ne ero sicuro, non sapevo bene che cosa usasse per truccarsi.
«Prova a finire l’acqua di nuovo e lo scherzo del dentifricio sotto al naso sarà il meno stronzo che potrai aspettarti» sibilai, tornando in bagno per asciugarmi e prepararmi. Dovevo cercare in Google qualche scherzo idiota da poter fare ad Harp se avesse di nuovo consumato tutta l’acqua calda; o magari potevo semplicemente chiedere a Wilson e Joe, visto che potevano tranquillamente fare concorrenza a Bart Simpson, quando si trattava di scherzi da idioti.
Uscii dal bagno scendendo le scale di corsa quando suonarono al campanello: ero quasi certo che fossero Joe e Wilson e non Noah l’idiota, visto che era puntuale come un orologio svizzero e mai in anticipo. Quando i ragazzi entrarono, salutandomi con un «Ciao idiota» che fece sbuffare Harp dietro di noi, risposi al saluto, dirigendomi subito dopo verso il divano, certo che nessuno di loro volesse consumare la cena del ristorante cinese seduto a tavola.
«Primitivi, ecco cosa siete. Chi cavolo mangia seduto sul divano? Se sporcate qualcosa Jar, vedi di pulire. Non voglio tornare a casa domani e trovare pezzi di involtini primavera spalmati sul divano o sul tappeto, visto che ne sareste capaci». Indossò le scarpe con il tacco che aveva tolto per truccarsi e si appoggiò al divano, per evitare di cadere. Wilson e Joe si scambiarono una strana occhiata prima di tornare a guardare Harper e successivamente me.
«Dove deve andare?» domandarono in coro, sedendosi sul divano con un sonoro sbuffo. Vidi Harper alzare gli occhi al soffitto mentre si sistemava i capelli, dopo aver indossato il cappotto. Le ciocche rosse che ricadevano sulla schiena mentre si sistemava una sbavatura del rossetto, controllando il risultato davanti allo specchio dell’entrata.
«A trombare. Sono due mesi che è con quell’altro, quindi scatta la chiusura automatica del veto e l’apertura delle gambe» bofonchiai, trangugiando un involtino primavera e perdendo pezzi ovunque sulla mia maglia; istintivamente guardai Harper che arricciò il naso in un gesto di disgusto. Mi schiarii la voce, raccogliendo le briciole e ammucchiandole tutte alla stessa altezza della maglia, continuando poi a mangiare.
«Buona trombata allora. Poi facci sapere che voto gli dai. Secondo me non supera il sette. Joe, Jar, l’avete visto? Andiamo, sembra una fighetta; ancora mi meraviglio che non sia gay, porta il borsellino, vi rendete conto? In quale universo parallelo uno a cui piace la fi… cioè, uno a cui piacciono le donne indossa un borsellino?» domandò Wilson, allargando le braccia in attesa di una risposta. Io e Joe rimanemmo in silenzio, concentrati al massimo per non ridere mentre Harper si avvicinava a lui, colpendolo con un sonoro schiaffo alla nuca.
«E poi mi chiedo perché non avete la ragazza; ma chi vorrebbe rimanere con voi, poi? Primitivi, volgari e anche stupidi». Scosse la testa fingendosi dispiaciuta, quando sapevo che Harper era la prima a ridere per le battute che facevamo durante le nostre serate a poker. Harper era l’unica donna ammessa; l’unica che poteva assistere ai nostri sproloqui da uomini, quando ci lasciavamo un po’ andare con le parole dopo un paio di birre. Non era solo perché viveva con me e quindi spesso era anche lei a casa, era perché –quando non si fingeva troppo signora –diventava un’ottima osservatrice e sapeva anche dispensare consigli alcune volte utili. Che poi noi non li seguissimo mai perché convinti che ci prendesse in giro era un discorso a parte.
«Offendi, offendi. Vediamo stasera quando ti dirà che è gay come tornerai tra le mie braccia per farti consolare». Wilson ammiccò verso di lei, che non riuscì a trattenersi, iniziando a ridere. Faceva sempre lo scemo, fingendo di provarci con lei. In realtà sapevamo che Wilson non era interessato ad Harper, visto che era semplicemente il suo modo di fare. Wilson si comportava così con tutto il genere femminile.
«Oddio, è qui. A domani Jar. Ciao ragazzi» saltellò fino a me per tirarmi un pugno sulla spalla prima di prendere la borsa che aveva appoggiato sul divano e uscire, chiudendosi la porta dietro di lei. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, continuando a mangiare. L’unico rumore era il masticare a bocca aperta di Joe, tanto che Wilson gli tirò una pedata, intimandogli di smetterla.
 «Mah» sbottai sovrappensiero, grattandomi la barba che mi pungeva. L’idea che Harper trascorresse la notte con Noah l’idiota non mi piaceva per niente, più che altro perché non mi fidavo di lui dalla prima volta che l’avevo visto. Noah sembrava il tipico belloccio che voleva solamente portarsi a letto la ragazza di turno per poi scaricarla alla prima occasione utile. Bisognava però ammettere che se era riuscito a resistere con Harper per due mesi senza forzarla a trombare con lui, un po’ ci teneva davvero a lei. Annegai quei pensieri idioti con un paio di sorsi di birra che i ragazzi avevano comprato al take away cinese e tornai a discutere con loro della nuova ragazza che Joe aveva conosciuto un paio di settimane prima.
 
«Poker d’assi, stronzi» ghignai, appoggiando le mie carte sul tavolo della cucina e aspirando una nuova boccata di fumo, dal sapore di vittoria. Vidi gli sguardi increduli dei miei amici prima che iniziassero a imprecare, contro la mia sfacciata fortuna durante le nostre partite di poker. Stavo quasi per ribattere che non era fortuna ma bravura, quando il rumore della porta d’entrata che sbatteva ci fece ammutolire tutti e tre. «Harper?» domandai stupidamente, sapendo che solamente io e lei avevamo le chiavi di casa e nessun altro sarebbe entrato sbattendo così forte la porta.
«Chi cazzo vuoi che sia, mago Merlino?» sibilò, entrando in cucina dopo aver lanciato le scarpe con il tacco verso le scale. Spensi subito la sigaretta dentro al posacenere, sapendo che Harper si lamentava sempre perché non voleva che fumassimo dentro casa. Sembrò però non farci caso, visto che aprì il frigo, prendendo una bottiglia di birra e togliendo il tappo con rabbia.
Oh- ho.
«Che è successo?» chiesi guardingo, appoggiando le carte sul tavolo e drizzando la schiena sulla sedia. Doveva per forza essere successo qualcosa perché Harper beveva birra a canna dalla bottiglia solamente quando qualcosa non andava. «Cazzo» sbottai, quando prese una sigaretta dal pacchetto sopra al tavolo, accendendola. No, la situazione era per forza grave, lei non fumava mai. «Che ti ha fatto? Dov’è? Che è successo?». L’istinto protettivo che in tutti quegli anni avevo sviluppato per lei si manifestò all’improvviso, mentre mi alzavo dalla sedia per camminare nervosamente lungo la cucina. Che punizioni corporali erano ancora considerate legali in California? Ero quasi sicuro che fosse possibile, per legittima difesa –che avrebbero naturalmente confermato Joe e Wilson –utilizzare la mazza da baseball.
«Non è successo niente, ecco perché sono qui. Mi ha lasciata. Forse sarebbe meglio dire scaricata, anche un po’ umiliata a dire la verità, ma l’ho istigato io». Aspirò una boccata di fumo, bevendo un sorso di birra subito dopo. Che cosa aveva fatto quell’idiota alla mia Harper? Perché l’aveva scaricata? Ma soprattutto, come si era permesso di ferirla? L’avrei preso a pugni, se solo Harp mi avesse dettato l’indirizzo di casa sua.
«Non avete trombato?» domandò Joe, sorpreso. Si sistemò più comodo sulla sedia, appoggiando le carte da poker sullo stomaco e alzando i piedi sopra al tavolo. Incrociò le mani dietro alla nuca, in attesa di capire perché Harper fosse già tornata a casa, ma soprattutto perché fosse così arrabbiata.
«Ovvio che no, o non sarei qui adesso. Abbiamo cenato e tutto è andato bene, ho flirtato, gli ho fatto capire le mie intenzioni forte e chiaro; siamo saliti in macchina e il fatto che mi sia ritrovata spalmata sul sedile mi sembrava un chiaro segno che aveva colto il mio messaggio. Poi dopo qualche bacetto gli ho detto di fermarsi. Stavo per aggiungere che era per continuare a casa sua ma ha preso un respiro, iniziando a parlare: ha detto che doveva dirmi una cosa dall’inizio della serata, che in verità mi aveva invitato a cena perché voleva parlarmi del fatto che in questi due mesi si è trovato bene con me ma che non è scoccata la scintilla. Volevo spiegargli che mi sembrava che la scintilla fosse scoccata dentro ai suoi pantaloni da quello che potevo vedere, ma ero ammutolita: un secondo prima stavo limonando con lui e quello dopo mi scaricava. Gli ho chiesto perché e la sua scusa è semplicemente stata: non sei quella giusta, sei bella ma non mi attiri mentalmente. Gli ho tirato un ceffone e gli ho detto che non avrei mai trombato con lui, visto che aveva quei schifosi peli sul petto che uscivano dalla camicia aperta e lui mi ha detto che non sarebbe mai venuto, visto che non avevo tette. Sono scesa dalla macchina con molto stile, urlando un ‘fanculo che probabilmente hanno sentito nel giro di due isolati. E il cretino che ha fatto? È ripartito sgommando lasciandomi a piedi davanti al ristorante». Concluse il suo racconto bevendo un paio di sorsi di birra e tutti e tre rimanemmo in silenzio, guardandola. «Smettetela di guardarmi così, so che state pensando che vi faccio pena» continuò poi, gesticolando con la mano destra e spargendo un po’ di cenere che cadeva dalla sigaretta sopra al suo vestito grigio.
«Che stronzo, non aveva il diritto di dirti quelle cose. Giusto per rassicurarti, io ti avrei trombato lo stesso, poche tette o meno» spiegò Wilson, allungando il braccio verso Harper per darle una pacca di consolazione sulla spalla. Sentii un moto improvviso di rabbia verso Noah che aveva insultato Harper così solo perché non aveva pazientato un paio di secondi per ascoltarla e mi alzai di scatto, pronto per andare a prendere il cappotto e correre a casa dell’idiota per rivendicare Haper, ma il discorso che lei iniziò mi fece deviare la traiettoria e per non far capire il mio vero intento andai verso il frigo, aprendolo e bevendo un po’ di succo d’arancia direttamente dal cartone.
«Sapete che cosa mi dà fastidio? Il fatto che stamattina sono andata dall’estetista e ho tolto anche il più piccolo pelo! Voi non avete idea di quanto faccia male quella cavolo di ceretta totale laggiù» sbuffò, facendomi inorridire. No, queste cose non le volevo sentire, non da Harper. Harper non aveva appena parlato di ceretta, perché non era così.
«Basta così» decretai, riponendo il contenitore nel frigo e voltandomi verso i miei amici che mi guardarono allibiti, come se avessi appena detto qualcosa di sconveniente o fuori luogo. Dovevano smetterla con tutti quei discorsi stupidi su Harper, le sue cerette, il trombare Noah o altro. Dovevano proprio andarsene, visto che ero sicuro Harp volesse rimanere da sola, come sarebbe stato normale.
«Non mi sono offesa Jar, tranquillo. So che scherzano e comunque ripeto, quando mi ha detto che non ho tette ci sono rimasta molto più male delle battute idiote dei tuoi amici» mormorò, abbassando lo sguardo e spegnendo con rabbia la sigaretta nel posacenere in mezzo al tavolo. I ragazzi mi guardarono, preoccupati. Con uno sguardo capirono che era il momento di andarsene, visto che Harper iniziava a sbuffare sempre più frequentemente, sbattendo il piede per terra; e tutti, tutti, sapevano che quando Harper cominciava a tamburellare con la gamba, significava che era arrivata al punto di saturazione ed era pronta a esplodere.
In pochi istanti Joe e Wilson se ne andarono, iniziando a dire che avevano delle faccende da sbrigare; salutarono Harper che come un automa rispose, rimanendo con lo sguardo fisso davanti a lei, sempre con il piede che picchiettava per terra.
Una volta rimasti soli, dopo aver chiuso la porta di casa alle mie spalle, mi feci coraggio, pronto per affrontarla. «Harp, come stai?» domandai, avvicinandomi a lei e appoggiando le mie mani sulle sue spalle. La sentii sospirare e senza nemmeno rendermene conto iniziai a massaggiarle i muscoli contratti delle spalle, sorridendo quando mugolò per il mio massaggio.
«Bene, sto bene. Non mi interessava poi molto di lui» mentì, schioccando le dita delle mani. Conoscevo ogni minimo tic di Harper, potevo sapere con esattezza quando mentiva, quando si sentiva in imbarazzo e quando era felice. Feci un po’ più forza con le mani sulle sue spalle per farle capire che sapevo stava mentendo e lei sussultò sulla sedia, consapevole di essere stata scoperta. «Che vuoi che ti dica Jar? Mi dispiace ma tanto sapevo che sarebbe finita così. Lo sai, no? Cupido e le sue frecce che si rompono per la mia corazza invisibile. Non troverò mai il ragazzo giusto per me. Forse ho qualche serio problema e non me ne sono mai accorta» bofonchiò, facendomi arrabbiare perché aveva –di nuovo –parlato di quella strana teoria delle frecce di Cupido. Possibile che non capisse che era solo perché nessuno sapeva apprezzarla veramente, proprio perché lei era troppo rispetto agli altri?
«Harp, giuro che se fai così mi arrabbio. Non c’è niente che non vada in te, quindi smettila. Se i ragazzi sono così stupidi da inventarsi scuse solo perché tu non gliel’hai mollata entro due mesi non devi pensare di essere tu quella sbagliata. Il ragazzo per te sarà speciale e lo capirà che tu sei quella giusta. E se qualcuno prova a offenderti di nuovo, parlando delle tue nontette… chiamami subito, non si offendono!» scherzai, strappandole un sorriso.
«Guardi un film con me? Non ho voglia di dormire» propose, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi. Il vestito salì di qualche centimetro lungo la sua coscia, abbassandosi poi quando Harper tornò con le braccia lungo i fianchi. Occhi spalancati, labbro inferiore sporto verso il fuori… era nella posizione di supplica, perché sapeva che non riuscivo a negarle niente quando faceva così. Annuii e lei batté le mani, felice. «Vado a mettermi qualcosa di comodo e arrivo. Scegli un horror, non voglio commedie romantiche» urlò, salendo le scale di corsa.
Horror, certo. Perché Harper e la sua strana passione per gli horror, o meglio, per i film splatter, erano normale routine. Mi distesi sul divano, inserendo il DVD di Saw e aspettando che scendesse. Quando, cinque minuti dopo si distese sull’altro divano, ridacchiai, vedendo la vecchia maglia che stava indossando. Gliel’avevo regalata io dopo che aveva preso A+ al primo esame del college, una maglia dei Metallica che aveva indossato e lavato così tante volte da averla scolorita.
A metà film, quando non sentii un suo commento sul perché ci fosse tutto quel sangue per un misero taglietto, provai a chiamarla, ma non mi rispose. Naturale, si era addormentata. Mi alzai senza fare rumore, spegnendo la TV e avvicinandomi al suo divano. Le labbra socchiuse, la mano stretta alla maglia e i capelli attorno al viso che le incorniciavano quel volto e quel naso ricoperto da qualche lentiggine sparsa qua e là. «Andiamo, Harp» sussurrai, prendendola in braccio con attenzione, perché non si svegliasse. Mugolò qualcosa, appoggiando il capo contro il mio petto e inspirando a fondo contro il mio collo, tanto da farmi venire la pelle d’oca. Salii le scale in silenzio, appoggiandola delicatamente sul suo letto e coprendola con le lenzuola senza che si svegliasse; le scostai un ciuffo di capelli rossi dal viso e pensai che no, nessuno aveva il diritto di trattare male Harper, perché era una persona speciale. «Notte, Pri». Un bacio sul suo capo e una carezza, prima di socchiudere la porta della sua camera e andare a dormire.

 
 
 
Salve!
Mi complimento per il coraggio con chi è ritornato a leggere qualcosa di mio e per chi è la prima volta che si imbatte… fuggite, sciocchi!
Scherzi a parte… eccomi con una storia assolutamente senza pretese, qualcosa di trito e ritrito di cui hanno parlato milioni di libri, film e telefilm. Insomma, avevo bisogno di capire se riesco a strappare un sorriso dopo You saved me. Volevo ritornare alle origini e scrivere qualcosa di divertente (se in vita mia sono mai riuscita a farlo). Prometto solennemente che mi impegnerò al massimo per non farvi piangere ma ridere e… niente.
Dunque, l’idea di questa storia mi tormenta da un bel po’ di mesi, ma ho iniziato a scriverla solo finito YSM perché mi piace scrivere una cosa alla volta per potermi concentrare al massimo. In ogni caso… solo un paio di informazioni. Siamo in California, vicino a Los Angeles e come si sarà capito Harper  e Jared convivono ma sono amici. Si conoscono da sempre. Per quanto riguarda PES… credo che tutte le uomomunite (presenti e passati) sappiano che cos’è. Brevemente, per chi ha avuto la fortuna di non imbattersi in questo gioco… si tratta di calcio ragazze. PES significa Pro Evolution Soccer ed è un gioco che è stato sviluppato in diverse piattaforme, tra queste anche l’X-Box.
Uhm… mi pare di non avere altro, credo di essermi anche dilungata troppo. Come sempre ricordo il gruppo NERDS’ CORNER, per chi volesse iscriversi… è libero, non chiedo nick di EFP o altro.
Grazie a chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare fino in fondo! :D
Rob.
   
 
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