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Autore: drunkofben    15/10/2012    0 recensioni
Mi fermo di fianco ad una lunga pozzanghera e mi guardo le punte in gomma delle scarpe, un tempo bianche e ora spoche ed appena graffiate. Un indelebile nero ci ha scritto 'still me'. Una parola per ogni scarpa. Sorrido amara mentre le guardo e sento i suoi passi dietro di me.
Mi posa amichevolmente una pacca sulla spalla, incosapevole dei miei pensieri più grigi di quel cielo di settembre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Hello September

Il cielo è di un grigio quasi uniforme e gli alberi del parco difronte alla scuola vi si innalzano davanti, sfoggiando le poche foglie rimaste con una triste fierezza. Il pavimento di cemento del cortile della scuola è umido, decorato con qualche pozzanghera appena fangosa e piena di foglie gialle e marroni. Le mie fidate converse bianche calpestano silenziose il suolo, mentre io ho le mani nei je
ans. Anche la mia camicia è di jeans, la porto aperta, come giacca sopra ad una lunga canotta gialla. In testa ho un cappellino di cotone, sempre giallo. Nonostante stoni appena con i miei capelli a ciocche tinti di azzurro, amo vestire di giallo. Mi fermo di fianco ad una lunga pozzanghera e mi guardo le punte in gomma delle scarpe, un tempo bianche e ora spoche ed appena graffiate. Un indelebile nero ci ha scritto 'still me'. Una parola per ogni scarpa. Sorrido amara mentre le guardo e sento i suoi passi dietro di me.
Mi posa amichevolmente una pacca sulla spalla, incosapevole dei miei pensieri più grigi di quel cielo di settembre. Abbiamo appena tenuto un piccolo discorso alla nuova assemblea dei rappresentanti di classe della nostra scuola. Abbiamo incontrato la nostra vecchia preside, ancora orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto per cinque lunghi anni (eravamo i suoi preferiti, lo ammetto) e qualcuno dei nostri professori, forse meno felici di vederci, per quella mania che hanno i professori di detestare i ragazzi a prescindere.
- E anche questa è fatta - mi dice Liam con quella sua voce calda, che ha un che di rassicurante e allegro che mi fa sorridere davvero - Chissà se ci chiameranno il prossimo anno... - ridacchia. Amo la sua risata. Mi faccio un po' indietro spingendo la schiena contro il suo petto per farmi abbracciare. Lo fa con un braccio solo, stringendomi a se per qualche secondo. Proprio come volevo io.
- Certo che lo faranno - anche la mia voce ride appena.
- E ci verrai? - alza un sopracciglio e mi guarda. Lo so come si sente. Si sente grande. Sente di aver fatto qualcosa di buono in cinque anni di clausura in quello stramaleddeto liceo.
- Certo - dico ridendo - Tornerò da New York solo per l'incontro con i rappresentanti di classe -
- Che brava scolara che sei - mi canzona e mi tira un pizzicotto sulla guancia. Mi prende in giro, ma so che tornerà anche lui. Inconsapevolmente ha un certo attaccamento ai ricordi. Mi precede e in pochi passi è fuori dal cortile. Lo raggiungo quasi correndo.
- Te ne vai? -
- Ho il pullman fra mezz'ora, Kate. Come me ne vado? A piedi? -
- Ma che ne so quando diavolo passa il pullman! - rido. Lui sogghigna - Ti va di sederti un po'? - chiedo indicando una panchina nel parco lì difronte. Fa una faccia come per dire che per lui è indifferente.
- Sicura che non vuoi tornare a casa? -
- Con mia madre che è ancora arrabbiata con me perché parto? No, grazie. Almeno tu mi parli - lo dico con una punta di amarezza. Non mi importa di quello che fa o dice mia madre, è quando non fa ne dice nulla che sto male. Mi siedo a gambe incrociate sulla panchina umida, lui si siede sullo schienale.
- Non credevo che te ne saresti andata davvero - sta sorridendo ed ha sgranato appena gli occhi, con quel suo sguardo caramelloso che mi uccide.
- Impressionato? - chiedo con una punta di orgoglio.
- Già. Pensavo fossero solo fantasticherie di una ragazzina. Cioè. Non hai mai fatto nulla di concreto che non fosse per la scuola e ora... te ne vai a svariati chilometri di distanza per fotografare belle ragazze in costume. Cavolo vorrei farlo io! -
- Idiota! Faccio la fotografa di moda! Ci saranno anche un sacco di ragazzi - gli faccio l'occhiolino.
- E brava la dolce ed innocente Katherine che se ne va a fotografare i figoni in America -
- Non esagerare! Non sono mai stata troppo innocente, nè tantomeno dolce - rido amara, pensando a quanto la mia acidità a volte riuscisse a mascherare così bene la mia timidezza.
- Hai ragione, hai ragione... - quasi si scusa lui - Ma non è questo il punto. Il punto è che te ne vai. Cavolo, mai un ragazzo, mai saltato la scuola, mai una canna o cose così e la prima cosa davvero concreta che fai è la più grande che potessi immaginare... - lui è solo felice per me, glielo si legge negli occhi che è sincero. Veramente io gli leggo negli occhi tutto quanto, ogni suo pensiero, ogni cosa. Forse perché ho scrutato in quegli occhi per troppo tempo e ora per me il suo sguardo è più limpido di qualunque altro. Lui è solo felice. Io invece ho le lacrime agli occhi. E' adesso. Non l'avevo immaginato proprio così, ma nulla va mai esattamente come immagino. Ho troppa fantasia. 
- Non potevo fare nulla, Liam - rido amara, cercando di frenare una lacrima che ha cominciato a bruciarmi fra le palpebre - Non potevo fare nulla di concreto -
Ora è serio anche lui. Ha capito che c'è qualcosa che non va.
- Perché? - non posso vederlo perché sto guardando il fango attorno alle mie scarpe, ma so che sta osservando il mio cappello in attesa che io mi giri. Quasi sento il suo sguardo addosso.
- Perché tutto quello che avrei potuto fare. Tutto quello che avrei voluto fare sarebbe dovuto partire da qualcos'altro. Qualcosa che avrei dovuto fare più di cinque anni fa e che se avessi fatto avrebbe cambiato tutto. Tutto... - ho la voce rotta dallo sforzo di trattenere le lacrime e la gola mi brucia per quanti singhiozzi sto ingoiando. Quasi non riesco a respirare.
- Kate? Kate così mi spaventi... -
Non dico nulla. Non respiro nemmeno.
- Oh...! - mi costringe a voltarmi verso di lui e a guardarlo negli occhi. Mi guarda a sua volta, dolce e preoccupato. Mi perdo. Perdo me stessa, il mio autocontrollo, la mia forza, il mio temperamento. Perdo tutto di me stessa in quell'attimo in cui una lacrima corre giù dalla mia guancia verso il mento, dando via ad una vera e propria rivoluzione. Fra i singhiozzi mi siedo accanto a lui sulla spalliera fredda della panchina e lo abbraccio. Cerco solo qualcosa che mi possa confortare e nulla asciuga le lacrime come un abbraccio. Mi calmo a poco a poco e prendo respiri profondi.
- Vuoi dirmi cosa è successo? Vuoi dirmi cos'è che devi fare? -
Va bene, tanto ormai è finita. Ho fallito. Ho perso l'ultima battaglia di una lunghissima guerra che non avevo mai smesso di combattere e che non mi avrebbe portata da nessuna parte, ma che valeva comunque la pena di fare. Perché se avessi perso avrei avuto un posto dove stare, ma nessuno con cui starci. Mi avrebbero guardato straniti tutti quanti, pieni di pietà per questa povera sfigata e avrei smesso pian piano di avere degli amici. Avrei avuto solo occhiate di compassione e pacche sulla spalla. E non si vive di commiserazione. Non si può. Ma forse ora era il momento giusto per perdere. Magari lui non l'avrebbe detto a nessuno. Magari lo sapeva già e si limiterà a uno sguardo malinconico e ad un 'lo sapevo'. Può essere. Lui sa tutto.
- Vuoi davvero sapere cos'è successo? - sto quasi urlando, ma tanto non mi sente nessuno - E' successo che il primo giorno del mio primo anno di liceo quando Quinn ti ha indicato chiedendomi se eri Kyle, il mio amico dell'asilo,avrei dovuto dire 'No, però che carino!' invece di limirami a voltarmi e scuotere la testa perché mi avevi guardata ed ero terribilmente in imbarazzo. E' successo che avrei dovuto dire a Betty, Quinn e Joe che mi piacevi dal primo sguardo che ti avevo rivolto fin dai primi giorni. E forse sarebbe andata diversamente! Forse avrei evitato di distruggermi dentro per cinque anni mentre ti vedevo baciare e abbracciare Quinn e guardarla come non avresti mai guardato me. E' successo che questo sarebbe anche potuto non accadere - mi alzo dalla panchina. Si, sto definitivamente gridando e quasi non faccio caso alle lacrime che mi inondano il viso - e quindi tutto questo fottutissimo presente shifoso sarebbe potuto essere ancora più schifoso. Ma non posso essere sicura di nulla! Perché non ho mai detto che mi piaci di più ad ogni parola che pronunci, ad ogni sorriso che fai. Non ho mai detto che potrei catalogare le tue espressioni una per una e dire quando le fai e perché. Non ho mai detto che so leggerti negli occhi ogni singolo pensiero. Non ho mai detto che avevo paura di consumarti tanto ti guardavo quando tu non guardavi me. Non ho mai detto che ho una paura matta che tu sappia già tutto quello che ti sto dicendo. Non ho mai detto che piango ogni volta che ripenso alla prima volta che mi hai abbracciata, il giorno dopo Natale, per il semplice fatto che me l'avevi promesso. Non ho mai detto che ricordo ogni singolo dettaglio di quella scena. Non ho mai detto che potrei descrivere nei minimi particolari anche la prima volta che siamo stati in una stanza da soli. Non ho mai detto che mi sono sentita una fottutissima merda quando mi hai detto 'noi non abbiamo mai chattato'. Non ho mai detto che mi sentivo importante anche solo quando ti aiutavo a scegliere il regalo per l'anniversario con Quinn. Non ho mai detto che il mio cuore ha fatto un balzo così grande che quasi lo sputavo quando mi hai scritto 'cos'è successo?'. La verità è che non ho mai detto un emerito fottutissimo cazzo! -
Lo lascio lì e me ne vado, perché ho paura di cosa potrebbe dire. O di cosa potrebbe non dire.
Lo lascio lì e non lo guardo nemmeno, perché ho paura di cosa potrei leggere nel suo sguardo.
Lo lascio lì ed è l'ultima volta che lo vedo.

Quando ero piccola avevo sperato in un bacio. Avevo sperato di riuscire ad avvicinare le mie labbra alle sue, solo per sentire che sapore avevano.
Ma ormai non c'è più silenzio per i baci.
   
 
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