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Autore: Davide95    16/10/2012    0 recensioni
Lo so che potrebbe sembrare strano, ma non tutti i ragazzi odiano leggere o scrivere; sono Davide, e questa è la seconda storia che scrivo.
'Era questo che intendevi mamma? Era questo che intendevi quando dicevi che mi meritavo il meglio? Perchè non so se me lo merito, ho lasciato una scia di cuori spezzati dietro di me e non mi sono mai curata di sanarli. Ed ora, mentre guardo, o credo di vedere, Zayn piangere, mi accorgo che ho appena spezzato anche il suo. Ho distrutto tutto, capisci?'
Cassie è una diciassettenne, reduce da un'incidente da cui è riuscita a salvarsi solo lei, mentre la madre è morta tragicamente, che deve affrontare una nuova scuola e deve fare i conti con nuove amicizie. Ragazza molto riservata e vuota, riscoprirà cosa significa provare dei sentimenti.
Zayn, ragazzo affascinante e seducente, non riesce più a far battere il suo cuore.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cassie

Stavo camminando a piedi scalzi, dei piccoli sassolini mi graffiavano la pelle ma non ci facevo caso; le mie mani erano stese in avanti in cerca di qualcosa nel buio. Ero cieca, completamente cieca, non una luce, nemmeno fioca, illuminava il cammino. Mi chiesi dov'ero, e poi la parte più cosciente di me si ricordò che era soltanto un sogno, sempre il solito. Continuavo a camminare, imperterrita, ma a poco a poco i piedi iniziavano a bruciarmi per i piccoli tagli che si allargavano, sentivo scorrere il sangue sulla pelle, a tratti mi faceva anche solletico. Iniziai a spostarmi in diagonale e poi lo sentii, il muro freddo, congelato, sotto il palmo della mia mano e mi ci attaccai spaventata, perchè doveva essere tutto così terribilmente buio? Senza luce, né colore. Vuoto. Ripresi a camminare, questa volta però la mia mano era in continuo contatto con la parete, mentre l'altra era stesa davanti a me per la paura di andare a sbattere. Camminavo senza sosta, con i piedi doloranti e con la stanchezza che mi scorreva nelle vene. Dove stavo andando? Quando sarebbe finito? Poi un luce accecante si accese dietro di me, illuminando per pochi secondi la strada davanti a me; nessuno mi stava aspettando alla fine della strada, presupponendo che ci fosse una fine a quella tortura. E poi la luce si spense e tutto ricadde nel buio. Dovetti stropicciarmi gli occhi per continuare; feci solo qualche passo, perchè venni risucchiata in un vuoto senza fine.
Mi svegliai di soprassalto, di nuovo, come avevo fatto nell'ultima settimana; mi svegliai con la gola secca, respirando affannosamente e il viso madido di sudore. Scrollai le spalle, cercando di allontanare quella solitudine che mi perseguitava da sempre e quella mancanza d'aria che poi era irreale, ma c'era. Dopo l'incidente di mia madre, la settimana prima, la mia notte era costantemente perseguitata da incubi, e quello era quello più devastante e ripetitivo. Il funerale fu una cosa semplice, come era mia madre e com'ero io; c'erano solo tanti fiori, lei li adorava e tanta gente ipocrita, che si era addirittura presentata lì, senza preavviso. Tutto quello che avevo fatto era stato indossare un vestito nero, come gli alberi d'inverno, come gli occhi di mia nonna; avevo posato una rosa bianca sulla bara marrone di mia madre e poi ero scivolata nell'ombra, come facevo sempre. Poi ero tornata a casa ed avevo accuratamente scelto le cose da portare via e le cose da lasciare a marcire nel luogo che una volta era stata la mia dimora; avevo preso libri, penne, vestiti, tutto ciò che era indispensabile per me e me ne ero andata, senza guardarmi indietro, soltanto guardando avanti: è così che si sopravvive. Casa di mia nonna non era particolarmente piccola: aveva dovuto dar da mangiare a quattro figli, uno dei quali era morto da giovane per un incidente e l'altra era morta in un incendio una settimana prima. Non eravamo mai stati una famiglia fortunata.
Mi sistemai nella camera di mia madre, senza poter scegliere se, come e quando; mi andava bene, mi sarei crogiolata per un po' nel dolore ma poi sarebbe passato, come passa tutto. Tutto ciò che dovevo fare era tirare su di me quella barriera che mi aveva protetto per anni, che aveva nascosto la mia fragilità; e quello si che mi riusciva bene. Frugai nei cassetti di mia madre, in cerca di tutto e di niente; in cerca dei suoi capelli incastrati nella spazzola, del suo profumo intrappolato nei suoi vestiti, della sua scrittura precisa incisa da qualche parte, ma mia nonna aveva portato via tutto. Ogni cosa: ogni calzino, ogni canottiera, ogni libro, ogni sua presenza, ogni suo ricordo. Ma questo non faceva che aumentare la distanza che sentivo. Le persone non si dimenticano da un giorno all'altro, le persone non si dimenticano. Nessuna eccezione. Tutto quello che si può fare è non pensarci, cercare di non vedere e sentire il dolore. Ma è impossibile, quasi.

Piccola mia, è pronta la cena.”
Scesi lentamente le scale, come se aspettassi mia madre spuntare dalla cucina, sorridermi dolcemente e abbracciarmi. Ma non successe e sorrisi amaramente. Nonna mi aveva riempito il piatto di carne, verdura, pane, di tutto. D'amore, malinconia, rabbia e dolore.

Erano le cose che piacevano a tua madre.” disse solo, ma bastò a farmi alzare dalla sedia dove mi ero appena seduta, ad urlarle che non doveva parlare di lei ed a scappare in camera, senza piangere, solo con il cuore in pezzi. Questo era, io non riuscivo a piangere. Mia nonna mi seguì, ma sbattei la porta e chiusi a chiave; un giro, due. Mi buttai sul letto e pigiai così forte il viso sul cuscino, urlai senza fiato così tanto, che ad un certo punto iniziai a tremare. Volevo buttarmi dalla finestra, volare aldilà delle montagne, del mare, degli alberi, volevo volare su, verso il cielo, il sole, la luna e non tornare qui. Volevo respirare veramente, volevo scappare e non tornare in quella casa piena di silenzi eloquenti. Mi rigirai nel letto, ancora una volta; sbattei la testa sulla testiera del letto e qualcosa cadde a terra. Rimasi un attimo in silenzio, ma poi mossa dalla curiosità, mi sporsi e vidi un quadernetto, uno di quelli che avevo anche io, ma non ne avevo mai avuto uno blu, blu oceano. Lo raccolsi e prima d'aprirlo feci un respiro profondo. Lo sfogliai: all'inizio c'erano delle citazioni qua e là, autori famosi e no. Poi iniziavano miliardi di parole, come sputate.
L'ho incontrato di nuovo, con il suo sorriso smagliante. Mi ha chiesto di uscire.”
Frasi sdolcinate, una dietro l'altra, mai un nome. E poi eccola la verità.

È entrato a casa, ho capito subito che qualcosa non andava. Aveva un'aria troppo stanca, troppo non sua. “non ti amo più”, queste le uniche parole che ho ricevuto e poi è iniziato tutto a cadere, io sono caduta e non mi sono mai, mai più rialzata.”
Ecco il motivo per cui non avevo mai avuto un ragazzo per più di un mese; troppa paura di soffrire, troppo voglia di stare bene da sola. Troppa rabbia nei confronti di mio padre. Un mese, e poi gli dicevo che non andava, che non funzionava.

Perché avere un ragazzo se tutti quelli attorno a me o scappavano o morivano?

 

 

Ero rimasta seduta sul sedile della macchina non so per quanto tempo; avevo paura di uscire e di cadere a terra, senza riuscire più a salvarmi. Mi chiesi se i due ragazzi che mi stavano fissando, sarebbero venuti in mio soccorso o sarebbero rimasti lì a guardarmi morire. Erano decisamente troppo belli per un paesino di campagna come questo, per una scuola così piccola e per la realtà. Dovevano appartenere ad un film che stavano girando qui nei dintorni, erano attori ecco. Avevano un sacco di trucco in faccia e un personal trainer e anche uno stilista che li vestiva la mattina, perché non avevo mai visto un cappotto di panno come quello che indossava il moro. Mi destai dai miei pensieri e presi le mie cose, uno sguardo veloce all'attore e poi di corsa verso l'entrata e pregai pregai di non cadere mentre mi resi conto di star scivolando sul quel maledetto ghiaccio. Sentivo gli sguardi di tutti sul mio viso, sul mio corpo, sui miei capelli, sui miei occhi, sulle mie labbra, sul mio cuore; indagatori, curiosi, inconsapevoli del fatto che mai avrebbero saputo niente su di me se non i vestiti che avrei portato e le poche parole che avrei detto. La mensa era così grande eppure così piccola per tutti i ragazzi seduti ai tavoli, così piccola per le anime che l'abitavano. I miei occhi vagarono da un tavolo all'altro, da un ragazzo all'altro, cercando un posticino per me, giusto per sedermi e mangiare una mela, l'unico cibo digeribile per me negli ultimi giorni. E fu in quel momento, quando mi sedetti su un tavolo praticamente vuoto che lo notai, ancora. L'attore aveva gli occhi marroni, a tratti verdi, che mi scrutavano, ma non erano indagatori, mi stava semplicemente guardando, cosa che da tempo tutti avevano smesso di fare. Cercai di sorridere, ma quel mio gesto morì subito dopo. Erano tutti seduti ai tavoli, tutti seduti affianco a qualcuno ed io ero l'unica da sola e pensai che sarebbe stato un anno difficile, forse effettivamente non molto diverso dai precedenti. La mela rossa era sul tavolo e sembrava dire 'mangiami, mangiami' ma io non avevo nemmeno la forza di alzare il braccio e prenderla, figurarsi di mangiarla. Probabilmente se avessi saputo ch'era avvelenata, l'avrei addentata subito. Sentivo gli occhi di tutti addosso, mi spingevano verso il basso ed io piano mi sentivo spingere verso il basso; ero certa che se fosse stato possibile, sarei sprofondata giù e sarei morta soffocata. L'aria iniziò a mancarmi ed io sentii il bisogno di scappare, ancora. Mi alzai velocemente e mi allontanai altrettanto velocemente, sentendo gli sguardi di tutti puntati sulla schiena, quasi volessero lacerarmi la pelle.

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Eccoci, questo capitolo non è molto lungo lo so, ma presto la
storia inizierà a svilupparsi.
Spero vi piaccia, aspetto con ansia delle recensioni per capire se gradite il racconto.
Un bacio :)

 

  
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