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Autore: feenomeniall    16/10/2012    9 recensioni
Una cosa che ricordava a stento era il suo nome. Appena era arrivata l’avevano fatta mettere in fila, fino ad arrivare davanti ad una scrivania. Da quando le avevano tatuato sul braccio quel numero identificativo, non guardava altro che quella scritta ripensando all'uomo che gliel'aveva procurata. Cinque parole che la colpirono nel profondo.
“Ora sei solo un numero”.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sdraiata nella sua cuccetta, si teneva i lembi del vestito – sgualcito e rotto – per coprire dal freddo ogni parte del suo corpo, o almeno quelle che riusciva.
Accanto a lei, nella stessa cuccetta, una ragazza faceva la stessa cosa, anche se tremava di più. Forse più per la paura che per il freddo.
Si alzò leggermente con la testa e la fissò per un attimo. Doveva essere arrivata da poco, anche perché non era da molto che la si vedeva.
La sua pelle era ancora ben tenuta e i suoi capelli non erano ancora un groviglio. I suoi capelli e la sua pelle non erano più così da tre o, forse, quattro mesi.
La sua vita, prima di essere portata in quel luogo, era tranquilla e apparentemente normale.
Viveva in un paesino alla periferia di Berlino. Sua madre lavorava come lavandaia, invece suo padre faceva il calzolaio in città, tanto che con il passare del tempo si era fatto conoscere un po’ e aveva aperto una piccola bottega.
Ringraziò molte volte Iddio per non averle donato fratelli o sorelle, così che non passassero lo stesso inferno che stava passando lei.
Non sapeva nemmeno se i suoi genitori fossero ancora vivi. Aveva chiesto diverse volte a quegli uomini in divisa, ma sempre riceveva la stessa risposta: “può essere come non può essere”.

Una cosa che ricordava a stento era il suo nome. Appena era arrivata l’avevano fatta mettere in fila, fino ad arrivare davanti ad una scrivania.
Da quando le avevano tatuato sul braccio quel numero identificativo, non guardava altro che quella scritta ripensando all’uomo che gliel’aveva procurata.
Cinque parole che la colpirono nel profondo.
Ora sei solo un numero”.
Subito dopo un frettoloso appello, lei e le altre venti o forse trenta ragazze, erano state rinchiuse i un’altra baracca, una più piccola delle altre. Ancora non riusciva a capire perché fosse lì, ma ogni notte un paio di ragazze venivano prelevate, lavate e poi portare nella caserma del maggiore, situata al centro del campo.

Durante il giorno, quando andava verso l’orto a lavorare la terra, dava sempre un’occhiata all’interno della struttura e il suo sguardo cadeva sempre sul caporal maggiore d’istanza a quel campo e sempre seduto alla sua scrivania. Era davvero un bell’uomo, nonostante stesse dalla parte del male.
I capelli castani sbarazzini erano portati sotto un cappello verdognolo. I suoi lineamenti erano duri, ma più li guardava e più sospettava che fossero morbidi e dolci. E poi volle violare ogni legge possibile e vedere i suoi occhi.

Era una tiepida giornata di aprile, quando era andata a prendere un secchio d’acqua al pozzo accanto alla caserma. Stava per riversare l’acqua nel suo secchio quando si accorse di essere osservata. Si voltò lentamente e vide, dietro di se, il caporal maggiore.
Lo guardò dritto negli occhi e le parve di non sentire più la terra sotto i piedi.
Lui si avvicinò, continuando a scrutarla e prese un blocchetto degli appunti dalla tasca posteriore, cominciando a scrivervi qualcosa sopra.

Quella notte, mentre guardava la sua compagna di cuccetta, la porta si spalancò facendo sobbalzare tutte le ragazze presenti nella baracca.
I due soldati si guardarono attorno e poi urlarono loro di mostrare tutte le braccia per vedere il numero. Quando arrivarono a lei, rilessero il numero un paio di volte per essere sicuri e le dissero di rendersi presentabile, offrendole un panno e un secchio di acqua.
Non era ancora tutta ossa come certe donne che vedeva aggirarsi per il campo non troppo lontano dal loro.
Dopo aver finito, si lisciò lo straccio che aveva come vestito e, prima di uscire, lanciò un fugace sguardo alle sue compagne di baracca.
Prese un respiro profondo – di muffa e chiuso – ed uscì.
Mentre attraversavano il cortile di cemento, guardò al cielo e si ritrovò a contemplare le stelle e la luna, come se non le avesse mai viste in tutta la sua vita.
Arrivati davanti alla porta della caserma, uno dei due che l’accompagnavano busso mentre l’altro, mettendole una mano sulla schiena, la fece entrare dicendole di andare dritta per il corridoio e poi a destra.
Le annuì ed entrò, aspettando di andare incontro al suo destino inevitabile.
Arrivò davanti ad una stanza, illuminata da una singola candela, posta su di un comodino al lato di un letto ad una piazza.
Siediti” disse una voce dietro di lei. Non si voltò, ma avanzò verso il letto e si sedette, cercando di non mostrare timidezza ed imbarazzo.
Sulla soglia della camera apparve il caporal maggiore con addosso dei pantaloni mimetici tra l’azzurro e il nero e una maglia bianca. La ragazza sussultò leggermente contemplando la sua bellezza nella penombra.
Poteva una ragazza innamorarsi del suo stesso aguzzino?
Si avvicinò a lei e le accarezzò leggermente il visto, constatando la morbidezza della sua carne. Non voleva che capisse subito il suo intento, anche se le altre avrebbero potuto benissimo dirle quello che succedeva in quella stanza, sembrava stranamente tranquilla.
Sembri tranquilla” disse.
Lo – lo sono” balbettò.
Si sedette accanto a lei mettendole una mano sulla coscia. Tastò sotto i polpastrelli le tenere carni della giovane, facendo scivolare la sua mano nel suo interno coscia, sfiorandole le intimità, facendola gemere. Con l’altra mano, le accarezzò il ventre e poi salì sulla sua spalla, cominciando ad abbassare quello che lui reputava un vestito, quello che lei reputava uno straccio.
Le scoprì i seni che cominciò a toccare e baciare, lasciando delle umide scie. Sotto il suo tocco la ragazza si sentì avvampare violentemente e poi gemette.
La fece sdraiare continuando a baciarle il collo e poi i seni e poi il ventre. Immaginava di essere in una di quelle case in cui andava con i compagni di università per divertirsi e magari trovare una bella tedesca formosa dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. invece in quel posto non c’erano altro che ebrei, in ogni angolo. Non poteva far altro che accontentarsi.
Gemette sotto il perso del suo corpo, ma non si azzardò a far nulla. Stava desiderando quel contatto più di qualsiasi altra cosa. Rimase ferma e continuò a subire. Si tolse la maglia, mostrando i suoi addominali perfetti e le sue braccia muscolose. Osservò le cicatrici e pregò di poterle osservare più da vicino una volta usciti da quel posto, anche se per loro due non riusciva a vedere un futuro.
Cambiò tutto improvvisamente. Lui si slacciò la cintura e poi i pantaloni. Non la guardò nemmeno per un attimo, come faceva per tutte le altre. Violò la sua intimità ed entrò in lei. La ragazza urlò dal dolore,mescolato ad un forte piacere. Cominciò a spingere e a spingere, tenendo i fianchi di lei stretti tra le sue mani. Si aggrappò furiosamente al lenzuolo, buttò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi. In quel momento il piacere era qualcosa di insormontabile per lei.
Il caporal maggiore guardò un attimo verso il basso e notò delle piccole gocce di sangue sul lenzuolo e si formò. Uscì da lei e la guardò incredulo. Tutte le altre non avevano avuto quel problema.
Era la tua prima volta?” le domandò, quasi urlando.
Senza proferir parola annuì. Lui la guardò ancora.
Si coprì il volto con entrambe le mani e ripensò al suo passato, come un lampo ritornò a fargli visita. Sua madre che tornava a casa completamente ubriaca. Lo raggiungeva in camera e s’infilava nel suo letto, provocandolo e stuprandolo. Aveva solamente quindici anni.
La ragazza si alzò, mettendosi di fronte a lui. Gli fece togliere le mani da davanti agli occhi. Si tolse lo straccio che indossava, mostrandogli la sua intera nudità e senza vergognarsi di nulla. Fece spazio e si sedette a cavalcioni su di lui, prendendo il suo membro, infilandolo nel suo sesso.
Ricominciarono da dove si erano interrotti, questa volta però, passarono tutto il tempo a guardarsi negli occhi contemplando l’uno la bellezza dell’altra. Non esisteva più nessuna razza, esistevano solamente due ragazzi che stavano unendo i loro corpi in qualcosa di profondo.
 
Correva l’anno 1945. Il terzo Reich cadde e le forze alleate penetrarono in Germania, liberando i campi di concentramento, assistendo tutte le vittime sopravvissute a quell’infernale sterminio di massa.
La ragazza non voleva che il suo vero amore venisse intrappolato e magari anche ucciso. Decise di salvarlo. Quando le altre guardie del campo scapparono, lei nascose il caporal maggiore e decise di farlo diventare come lei. lo portò in camera sua e, prendendo un rasoio dal mobile del bagno, gli tagliò tutti i capelli. Dopo essere tornata dal magazzino con dell’inchiostro, gli tatuò un numero sul braccio. Prese il registro delle persone presenti nel campo e scrisse un nome puramente inventato.
Louis Tomlinson”.                                                                          
Quando arrivarono gli inglesi, subito chiesero come mai fosse presente anche un ragazzo all’interno di quel campo. Lei lo prese da entrambe le spalle e spiegò loro che all’interno del gruppo delle guardie, una di loro aveva un orientamento omosessuale. Dopo essersi occupati per un po’ di giorni di loro, li lasciarono andare, ad incominciare una vita del tutto nuova.

Jenna, questo era il suo nome, ora riposa accanto al suo amato marito Louis, dopo aver dimostrato al mondo intero, attraverso la numerosa famiglia, quanto l’amore possa essere superiore ad ogni pregiudizio, ad ogni odio e ad ogni razza.


 

   
 
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