Look the mirror Doll.
Ehi, bambola, lo senti?
No?
Io si., li sento.
Sento come facciano male
sprofondando sempre più giù, facendomi capire quanto la mia inettitudine sia
immensa.
Ah, ancora non lo vedi?
Non vedi il sangue che
zampilla lentamente dal cuore?
Com’è che ti sorprendi?
È la prima volta che vedi il
mio sangue colare lentamente in ogni parte del mio corpo, fino a creare una
pozza vermiglia a sostituire la mia ombra?
Bambola, e dire che io e te
siamo divise solo da uno strato sottilissimo di superficie riflettente!
Come se fossimo un’Alice che
attraversa non la tana ma lo specchio, rimanendovi incastrata.
Non può uscire.
Non possiamo.
Ehi, bambola, perché piangi?
T’avevo già descritto la
sensazione di viscido dolore, mentre i nostri ricordi penetrano lentamente la
carne lacerandola irrimediabilmente?
Si, l’avevo fatto.
Ne sono convinta.
Che fai, poggi la mano
macchiata del mio sangue sullo specchio?
Vorresti che la smettessi di
dire queste assurdità?
Sincera ,o è solo il modo per
continuare a soffrire in silenzio, mentre quelli lacerano in barba al dolore?
Qual è la vera fra noi, l’hai
mai pensato?
Non cercare di scappare da
me, bambola, perché se tu ti muovi così libera e spensierata non è certo perché
tu ti senta soddisfatta; non di certo.
Ti muovi perché sono io a
parare ogni colpo, subendo in prima persona il calore dell’ennesima sconfitta.
È fuoco.
Fuoco vivo che non lascia
niente, se non ceneri da cui è impossibile rinascere.
Io non lo faccio, bambola.
Tu sicuramente periresti al
contatto distruttivo: la tua stoffa non reggerebbe e i tuoi colori non sopravvivrebbero,
mantenendo la lucentezza.
Diverrebbero spenti, scuri,
bruciati, usurati, insozzati di fumo... diverrebbero me.
Io che sono la tua
controparte in questa parte di vita, rinchiusa dentro lo specchio della sua
anima, persa irrimediabilmente, ho le capacità di rimanere in piedi nonostante
tutto.
Nonostante i pugnali fra le
scapole, i pugnali nel cuore, i fori nel cranio, i morsi nelle mani, i lividi
negli stinchi e il dolore ai piedi... nonostante tutto, accetto tutto in modo
passivo.
Nonostante tutto; nonostante
il sangue.
Che fai, piangi?
Complimenti, meglio tardi che mai.
Non mi chiedere perché io sia
così calma, perché non saprei risponderti nemmeno volendo.
Ti ricordo che questo
specchio ci divide in modo da lasciarti sorridere in mezzo agli altri; in modo
da lasciarti dormire senza incubi; in modo da farti pensare lucidamente.
In modo da lasciarti vivere
una vita, semplicemente.
Ancora?
Ma allora sei davvero ingenua che piangi disperata.
Quello è il mio ruolo.