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Autore: Kourin    16/10/2012    5 recensioni
Misaki era riverso a terra. Quando Hikaru era corso verso di lui, le gambe si erano mosse senza bisogno del pensiero. Il braccio destro si era proteso in avanti per afferrarlo, come se all'interno del campo si fosse aperta una voragine che avrebbe potuto inghiottire per sempre la persona che aveva conosciuto come Taro Misaki.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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4. Petali

 

 

Misaki, perché te ne sei andato via così? Sapevo che dovevi partire, ma potevamo almeno salutarci. Ho corso dietro all'autobus più veloce che potevo ma non ti ho raggiunto. Urlando il tuo nome ho anche inghiottito qualche petalo che volava in aria. In questi giorni è tutto pieno di fiori, so che ti piacciono. Perché il tuo papà non torna indietro a dipingerli?

Di te non ho niente. Non so dove trovarti, non posso neanche scriverti una lettera. Anche gli altri bambini sono tristi. Abbiamo fatto il picnic sotto i ciliegi ma eravamo tutti mogi. Per fortuna tutti qui si ricordano bene di te. Sennò potevo pensare che eri un tanuki o una volpe che mi ha giocato un brutto scherzo, perché i tanuki e le volpi fanno sempre vedere cose belle per imbrogliare la gente e giocare con te è stata una cosa bellissima. Il maestro mi ha spiegato che certe volte le persone vanno via senza salutare perché dire 'addio' fa male. Gli ho risposto che secondo me non è giusto, fa molto male anche non salutarsi! A proposito, sai che ho pianto? Per fortuna Machida e gli altri non mi hanno visto. Non riuscivo proprio a smettere, è per questo che dopo la scuola sono corso via fino nel parco vicino al tempio. Non c'era nessuno perché stava per piovere e c'era un vento freddo e forte. Ha strappato via tutti i petali dei ciliegi, non è rimasto quasi niente. Però è sicuro che l'anno prossimo fioriranno di nuovo.

Misaki, io ti ho promesso delle cose davanti a quegli alberi. Sono stato in piedi con la schiena ben dritta perché era una cosa importante. Non sapevo dove guardare per parlarti, allora ho guardato il cielo e ho detto: “Diventerò forte come te e arriverò al campionato nazionale!”

Poi sono rimasto fermo anche se faceva freddo e non avevo la giacca. Ho stretto i pugni e i denti finché non ho smesso di piangere. Ho messo nei polmoni tutta l'aria che potevo e ho urlato: “A presto, Taro Misaki!”

 

Hikaru stava tentando disperatamente di ragionare. Una doccia fredda gli stava calmando il fisico, ma non era sufficiente a frenare il furioso accavallarsi di pensieri nella mente.

Misaki, Misaki... Che cosa provava per Misaki? Davvero era attratto da lui... fisicamente? Poco prima il suo corpo non si era opposto al contatto, anzi. Quant'era stato gradevole sentire il tocco di quelle le labbra sottili sul viso, la carezza di quei capelli fini sulle guance e il peso di quel corpo aggraziato sul suo. Inebriato dal connubio di forza e dolcezza, si era sentito di poter concedere a Misaki qualunque cosa lui avesse desiderato. Eppure, qualcosa gli era parso terribilmente sbagliato.

Hikaru chiuse il rubinetto, si sfregò gli occhi come per togliersi quelle allucinazioni dalla vista e afferrò l'asciugamano. Si sorprese a fissarlo (era bianco, che cosa si aspettava?), poi se lo premette contro il viso e restò in apnea per alcuni secondi.

Era un dato di fatto che aveva adorato quel ragazzo all'inverosimile. A pensarci, se era diventato quel che era, era stato perché aveva voluto eguagliare la bravura di Taro Misaki. Ma era trascorso un decennio, ognuno aveva imboccato la propria strada... Perché allora quell'attrazione era tornata all'improvviso così forte, in quella forma così assurda?

Si tolse l'asciugamano dal viso, lasciando che l'aria umida entrasse nei polmoni. Hikaru amava Yoshiko, erano insieme da cinque anni e non c'era giorno in cui lui non la pensasse. Si sentiva un infame al pensiero di aver appena baciato un'altra persona... Forse era questa la ragione che lo aveva fatto sentire così male.

Ma quale era la vita sentimentale di Misaki? Non ne sapeva nulla, aveva sentito Ishizaki accennare di una ragazza conosciuta in Francia, ma Hikaru non l'aveva mai vista e ignorava che tipo di relazione intercorresse tra loro. Si asciugò vigorosamente i capelli, domandandosi se fosse possibile chiedere consiglio a qualcuno. La risposta era negativa: se avesse raccontato in giro il problema l'avrebbero di certo scambiato per matto. Doveva risolvere la faccenda da solo. Guardò lo specchio, cercando nei suoi stessi occhi smarriti la determinazione necessaria. L'aveva sempre trovata, bastava cercare con cura. Appoggiò una mano alla parete, avvicinandosi ulteriormente alla sua immagine. Quando era ragazzino, sua nonna gli aveva insegnato un trucco per ragionare bene: bisognava affrontare una questione per volta, assegnando a ciascuna la giusta priorità.

Hikaru ripensò al giorno precedente. In partita Misaki gli era sembrato strano. Poi aveva battuto la testa segnando il gol. Il mattino successivo c'era stato il bacio.

La priorità numero uno era certamente il trauma cranico: Hikaru aveva la responsabilità di accertarsi che l'amico stesse bene. La priorità numero due era chiarire il comportamento strano in partita, l'inizio di tutta quella situazione. Al fatto che Misaki lo avesse baciato e che ci fosse mancato poco che finissero a letto insieme, Hikaru assegnò la priorità numero tre, l'ultima in ordine di importanza. Che stupido, in quell'accozzaglia di pensieri aveva finito per trascurare il motivo che lo aveva spinto a rimanere nella capitale: il bene di Taro Misaki.

“Avanti, Hikaru Matsuyama,” disse sottovoce, ma la lieve nuvoletta di vapore uscita dalle sue labbra appannò ulteriormente lo specchio, impedendogli di vedere quella che voleva essere un'espressione molto risoluta.


“Ho preso un po' di sandwich per colazione. Non sapevo che cosa mangi di solito e non volevo disturbarti. Spero che vadano bene, sono con insalata e prosciutto. Vedi di mangiare, per favore.” Disse queste parole tutte in un fiato mentre Misaki si stava sedendo davanti alla tavola che Hikaru aveva apparecchiato. L'amico si limitò a guardarlo da dietro una coltre di tristezza: forse non l'aveva nemmeno ascoltato. “Scusa per prima,” si limitò a mormorare.

Hikaru scosse il capo, facendo cenno che non aveva importanza. Quando il bollitore ebbe annunciato che l'acqua era pronta, Hikaru preparò due tazze di caffè e porse i sandwitch a Misaki che, abbastanza svogliatamente, iniziò a mangiare.

Anche Hikaru ne addentò uno. Non erano male ma non c'era decisamente l'atmosfera giusta per apprezzare il gusto del cibo. Per fortuna la qualità dell'atmosfera non rientrava nell'ordine di priorità che si era prefissato.

“Dovresti prendere anche l'antibiotico,” disse. “Sono due volte al giorno, mattina e sera.”

Misaki ubbidì, ingoiando la capsula con un bicchiere di succo di mela. Sembrava che quel succo di mela piacesse a Misaki. Bene, Hikaru l'avrebbe comprato anche il giorno seguente. Dopo questa constatazione, passò al punto numero due e annunciò senza eccessivi preamboli: “Ho bisogno di capire una cosa.”

Misaki annuì di nuovo, sempre con aria assente. Hikaru si ricordò che anche la mancanza di reattività agli stimoli era un aspetto da tenere sotto controllo. Non doveva prenderlo alla leggera.

Fece un bel respiro, poi disse: “Ieri mi sei sembrato un'altra persona. Quello che si è rialzato ieri dopo il gol del pareggio era Taro Misaki?”

Misaki sbatté le palpebre un paio di volte, risvegliandosi parzialmente dallo stato di apparente apatia in cui versava . Iniziò a giocherellare con il cucchiaino del caffè, poi annunciò: “Proverò a risponderti.” Le labbra erano piegate in un sorriso nervoso.

“Credo che tutto sia iniziato dall'incidente alla gamba. Giocando in nazionale con Tsubasa vivevo nella convinzione di essere invincibile. Pensavo che tutto mi sarebbe stato possibile: avevo diciotto anni e ragionavo ancora come un bambino,”sospirò Misaki. “Invece sono fatto di carne ed ossa, che si possono rompere,” proseguì accarezzandosi la gamba, fissandola con gentilezza. Poi alzò lo sguardo verso il soffitto. “Lo sai che il Paris Saint Germain mi aveva preparato un'offerta?”

“Non lo sapevo.”

“Ho avuto l'incidente e Ochado è stato ingaggiato al posto mio. Capisci? Perdere la sfida con lui sarebbe stata la conferma di quanto io sia rimasto indietro.”

“Ma hai ancora tempo per farti notare, non sei soddisfatto dei risultati in J-League?”

Misaki abbassò gli occhi e scosse lentamente il capo.“C'è un'altra cosa che devi sapere.”

“A causa di questa gamba, non so per quanto tempo potrò continuare a giocare a calcio. Qualsiasi club straniero ci penserà molto bene prima di ingaggiare uno come me, darei un sacco di problemi. In definitiva, sono potenzialmente inaffidabile.”

Le mani di Misaki erano strette sulle ginocchia. Le nocche sporgenti tradivano una violenta tensione che il volto mascherava con una quieta amarezza. Era sempre stato un ragazzo sincero, ma doveva essergli costato pronunciare quelle parole. “Io vorrei solo avere un orizzonte per il mio calcio, provare che è giusto. Ribattere con i fatti a chi mi critica.”

“Ma tutti continuano a chiederti di diventare Tsubasa,” aggiunse Hikaru. “Ho sentito quello che ti ha detto Ochado, ero lì.”

“Ho quasi perso il controllo,”confermò Misaki.

Hikaru si mise le mani nei capelli, come per tentare di spremersi le meningi, ma poi ci rinunciò, li scosse, si guardò intorno cercando una soluzione tra i quadri illuminati dal mattino. Ma era un mattino nuvoloso e i colori facevano fatica ad emergere dal grigiore. Disse allora semplicemente: “Senti, io nel tuo gioco ci credo.”

“E' naturale, c'è anche un po' di te nel mio gioco.”

“Non prendermi in giro.”

“Ci ho riflettuto molto. Da sempre ho basato tutto sulla visione d'insieme del campo, sui passaggi. Un tempo quando riuscivo a piazzare un bell'assist ero felice come quando segnavo un gol in rovesciata. Forse era il mio modo di farmi accettare, di farmi benvolere dai compagni, avevo fatto così anche a Furano. Dicono però che i grandi campioni sono egoisti.” Misaki fece una pausa. “Tu che ne pensi?”

“Sai bene che ho iniziato a giocare come attaccante. Poi ho deciso di spostarmi a centrocampo per controllare ogni cosa. Non so se si tratti veramente di altruismo.”

Hikaru si bloccò, rendendosi conto che stava perdendo il seminato di quella conversazione. Dove voleva andare a parare Misaki? Pressato dagli occhi castani dell'amico fissi nei suoi, si sentì quasi costretto a proseguire. “Non definirei Tsubasa un egoista.”

Lo sguardo di Misaki ebbe un leggero sussulto. Hikaru aveva toccato un punto debole, ma era come se Misaki stesso gli avesse chiesto di metterci mano.

“E' vero, lui è semplicemente andato avanti per la sua strada. Non è un delitto, eppure sto male quando ci penso. Sono proprio stupido, mi comporto come se fossi innamorato di lui.”

Hikaru si alzò di scatto, la sedia cadde all'indietro con un tonfo pesante. Misaki lo guardò tranquillo, come se non fosse successo nulla. “Sei così sorpreso?”

Certo che era sorpreso. Non riusciva a mettere a fuoco nulla, non riusciva nemmeno a deglutire. Se ne stava lì impalato, i pugni stretti sui fianchi, le gambe tese nel tentativo di sorreggere il peso spropositato che si era sentito piombare addosso.

Impiegò un po' per rendersi conto che Misaki stava piangendo. Singhiozzava piano, e ogni singhiozzo demoliva la determinazione di Hikaru. Scendendo nel suo orgoglio, rendendolo molle e inutile.

Andò verso Misaki. Si posizionò dietro la sedia. Gli appoggiò le mani sulle spalle. Non erano poi così robuste come ci si sarebbe potuto aspettare. Anche se era un atleta, il suo amico d'infanzia aveva un fisico sottile. Hikaru restò così per qualche minuto. Si sentiva come se stesse reggendo una matassa di fili sottili che le sue mani, troppo grandi, non sarebbero mai state in grado di dipanare.

Infine parlò. “Io non so che cosa dirti. Forse sono proprio la persona sbagliata. Io riguardo a te non sono mai stato obiettivo.”

“Sei sempre stato un amico meraviglioso. Sono io che sono sbagliato per te, ti ferisco sempre,”sussurrò appena Misaki.

“Se siamo convinti in due di essere sbagliati, allora siamo pari. Su questo ce la dovremo vedere, ma non credo sia il momento. Prima di ogni cosa devi riprenderti.”

Hikaru attese una reazione da parte di Misaki, che non arrivò. Allora proseguì.

“Continua a giocare così, come hai sempre fatto. Ci qualificheremo e nessuno potrà dirti più nulla. Io...Io gioco vicino a te. E anche Misugi. Hanno detto che siamo le 3M, no? Non è il tuo gioco, è il nostro gioco. Vada come vada, qualsiasi cosa accada, non sarà mai responsabilità tua, ma nostra. ”

Misaki reclinò la testa all'indietro, appoggiandola sullo sterno di Hikaru, in modo da poterlo guardare negli occhi anche se i suoi erano gonfi di lacrime. Sorrise e disse: “Perché siamo una squadra.”

“Perché siamo una squadra,” confermò Hikaru stringendo la presa sulle spalle dell'amico. Poi le rilasciò. “Tra un po' passerà il medico a visitarti.”

“Devo essere proprio impresentabile.”

“Ti do una mano a risistemare la fasciatura.”

“Grazie, Matsuyama.”

 

In tarda mattinata venne il medico a sincerarsi delle condizioni di Misaki. Poi vennero le telefonate dei suoi compagni. Trascorsero il pomeriggio discorrendo delle vicende delle proprie squadre e raccontandosi aneddoti che riguardavano la J-League.

Quando fu ora di coricarsi, Misaki insistette per dormire sul divano, ma Hikaru rifiutò categoricamente. Si addormentarono subito, entrambi spossati. Come la notte precedente Hikaru svegliò Misaki nel sonno. Ogni volta l'amico faceva fatica a riconoscerlo: assottigliava gli occhi grandi, poi gli sorrideva. Continuava a tirare fuori dettagli che lui stesso aveva dimenticato. Come se nel cuore di Misaki ci fosse uno scrigno che conservava intatta una parte di Hikaru, che si apriva solo tra le profondità dei sogni. Era ogni volta una scoperta magnifica, che gli faceva capire quanto fosse prezioso il legame con quel ragazzo gentile e pieno di talento. Quanto fosse stato giusto continuare ad inseguirlo per arrivare fin lì.

Il mattino un sole timido aveva iniziato ad affacciarsi tra i primi spiragli lasciati dalle nubi. Fu Misaki stesso a voler preparare la colazione, nonostante le proteste di Hikaru, che fu spedito a fare la spesa. Misaki, che se la cavava meglio di lui ai fornelli, preparò delle verdure al curry che si rivelarono decisamente più saporite dei sandwich del giorno precedente.

Nel tardo pomeriggio, dopo l'OK del medico, Misaki salì sul treno per Iwata.

Hikaru, che lo aveva accompagnato alla stazione, attese che le vetture sparissero all'orizzonte e disse piano: “A presto, Taro Misaki.”

 

 

 

*** *** ***

 

 

Note varie

 

Due righe sulla figura della nonna di Matsu. Non l'ho citata a caso, fa parte di una serie di mostri generatisi nella mia pluridecennale vita di fangirl. Conosciamo in maniera più o meno approfondita le famiglie dei personaggi principali, ma di Matsuyama non si sa un bel niente. Anni fa avevo fatto questo ragionamento: non si vedono i genitori → forse lui non ha i genitori! Fin qui tutto bene. Poi però sono tornati a tormentarmi gli orribili colori della divisa della Furano. Qualcuno ha mai notato che nel primo anime sono gli stessi identici colori del vestitino di Heidi (= bordeaux+rosa+giallo)? Da quello nacque la (sciagurata) conclusione che Matsu vivesse con la nonna in una baita tra i monti XD

Il prossimo capitolo è l'ultimo, coraggio che tutto si risolve o quasi!

  
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