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Autore: MeggyElric___    16/10/2012    0 recensioni
"Quegli occhi.
Quegli occhi mi scrutavano, imperterriti. Si tuffavano nella mia mente, perdendosi in languidi movimenti astratti, torcendo ogni ricordo e ogni sensazione di realtà. Quegli occhi erano capaci di fermare il mio respiro, di insinuarsi tra le fessure del mio scudo mentale, verso tutta l’umanità.
Erano occhi di fata, occhi di demone, occhi di spirito, occhi di nulla."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RICORDO.

 

I suoi magnetici occhi verdi erano lì, davanti a me. Mi scrutavano vitrei, eppure colmi di quell’infinita profondità, emozione, da farmi accapponare la pelle. Li sentivo trapassarmi la pelle, e le ossa. Cercai di catalogarla come una reazione dolorosa, al limite dell’umana sopportazione, ma dovetti arrendermi alla realtà.

Quegli occhi.

Quegli occhi mi scrutavano, imperterriti. Si tuffavano nella mia mente, perdendosi in languidi movimenti astratti, torcendo ogni ricordo e ogni sensazione di realtà. Quegli occhi erano capaci di fermare il mio respiro, di insinuarsi tra le fessure del mio scudo mentale, verso tutta l’umanità.

Erano occhi di fata, occhi di demone, occhi di spirito, occhi di nulla.

Era il nulla ad imbrigliarmi a quell’attimo di assoluta follia, mentre tutto l’universo, che sfaldava la sua perfetta asimmetria, sembrava bruciare all’ardore di quel ricordo, che mai sarebbe potuto essere tale.

Ricordo, degli occhi, dei riflessi, una linea sottile, un colore che profumava – come poteva un colore profumare? – di natura. Eppure una natura falsa, una scultura di vetro, trasparente, fragile, al limite dell’esistenza. Ricordo.

Ricordo. Quegli occhi che, amo, bramo, adulo, non avendoli visti mai.

Vedere, sognare, immaginare. Sempre più, il concreto si inibisce, si sgretola, perdendosi. In cosa? Nella realtà, forse, o nel suo opposto. Opposto di realtà, cadere, cadere nell’oblio della conoscenza – o dell’ignoranza? - .

Ricordo. So di ricordare. Quegli occhi vivi sono le porte del paradiso, la scalinata dell’inferno. Sono il tutto e il niente, la luce e il buio, l’amore e l’odio. Erano verdi come le foglie umide di felce, come l’acqua del mare all’alba, quando l’oro lontano, e il pallido imbarazzo del cielo si fondono con il gelo che li riflette.

Un colore così freddo, capace di scaldarmi il cuore. Ricordo, ricordo d’averli sognati, aspettati, rimpianti. Ricordo d’essermi urlata, nell’animo, di trattenerli sempre, come ultima speranza di veder avverarsi l’inesistente.

Ricordo, ancora, che si allontanarono, dandomi la parvenza di non poterli mai più cingere con lo sguardo, nonostante nella vita, né in morte alcuna, avessi avuto la possibilità di gioire della loro esistenza.

Ricordo, dolore. Ricordo, oscurità. Significato, concretezza. O, solamente, rassegnazione? Ricordo quegli occhi velati di rosso, sempre più opaco, fino ad affogarli, nel sangue, nell’aria, nel pianto. Nulla più, nulla meno.

Verità.

Tutto ciò che era la verità mi piombò addosso, come massi, come pioggia, come fuoco. Scomparve tutto, o forse, mi resi conto che nulla era mai esistito, se non nell’universo delle idee. Eppure, il vuoto c’era, era profondo, doloroso, come se ciò che mai c’era stato mi fosse stato strappato via, senza ragione alcuna.

Ricordo, un dolore, un bruciore, basso e cupo. Strideva come la legna umida sul fuoco, la neve gelida sotto i piedi. Ricordo, la speranza che si affievoliva, il lume di una candela che seguiva il vento, morendo in un ultimo sprazzo di luce.

Ricordo, dimentico. Ricordo, di nuovo.

Tutto ciò che mi rendeva ciò che ero, ciò in cui avevo sempre creduto, ciò per cui avevo sempre lottato, si sospinse violentemente lontano da me, mandandomi alla deriva senza più un’ancora di salvezza. Non avevo più nulla, se non quel ricordo che ancora, di tanto in tanto, mi tracciava ruvide linee di elettricità sulla pelle. Cercai la vita, di nuovo, e me la vidi scivolare tra le mani. Ricordo, dolore, ricordo, dolore.

Non seppi più fermarmi, mi accompagnai, sola, al patibolo. Quegli occhi mi avevano stregata, stravolta, martoriata, uccisa. Eppure, eppure tornavo ad amarli, ogni giorno sempre di più, ogni giorno chiedendomi per quale motivo me li ricordassi, per quale ragione il mio cuore – il mio essere – non volesse staccarsi da loro.

Ancora, ricordo. Sempre, ricordo. Quegli occhi, li accompagnava una voce. Non la udivo risuonare nell’aria, ne tra i miei denti. Era dentro di me, era quello sguardo a parlare. Mi implorava, mi implorava di non dimenticare. Mi tuffai nella beatitudine di quella voce, seguendo lo spirito, seguendo la follia. La mia follia.

Ricordo, ricordo, ricordo.

Un ricordo dolce, eppure, eppure, la morte più lenta e crudele che questo mondo, e l’universo, e ciò che esisterà.. abbia mai conosciuto.

Ricordo.

 

   
 
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