RICORDO.
I suoi magnetici occhi verdi erano lì, davanti a me. Mi scrutavano
vitrei, eppure colmi di quell’infinita profondità, emozione, da farmi
accapponare la pelle. Li sentivo trapassarmi la pelle, e le ossa. Cercai di
catalogarla come una reazione dolorosa, al limite dell’umana sopportazione, ma
dovetti arrendermi alla realtà.
Quegli occhi.
Quegli occhi mi scrutavano, imperterriti. Si tuffavano nella mia mente,
perdendosi in languidi movimenti astratti, torcendo ogni ricordo e ogni
sensazione di realtà. Quegli occhi erano capaci di fermare il mio respiro, di
insinuarsi tra le fessure del mio scudo mentale, verso tutta l’umanità.
Erano occhi di fata, occhi di demone, occhi di spirito, occhi di nulla.
Era il nulla ad imbrigliarmi a quell’attimo di assoluta follia, mentre
tutto l’universo, che sfaldava la sua perfetta asimmetria, sembrava bruciare
all’ardore di quel ricordo, che mai sarebbe potuto essere tale.
Ricordo, degli occhi, dei riflessi, una linea sottile, un colore che
profumava – come poteva un colore profumare? – di natura. Eppure una natura
falsa, una scultura di vetro, trasparente, fragile, al limite dell’esistenza.
Ricordo.
Ricordo. Quegli occhi che, amo, bramo, adulo, non avendoli visti mai.
Vedere, sognare, immaginare. Sempre più, il concreto si inibisce, si
sgretola, perdendosi. In cosa? Nella realtà, forse, o nel suo opposto. Opposto
di realtà, cadere, cadere nell’oblio della conoscenza – o dell’ignoranza? - .
Ricordo. So di ricordare. Quegli occhi vivi sono le porte del paradiso,
la scalinata dell’inferno. Sono il tutto e il niente, la luce e il buio,
l’amore e l’odio. Erano verdi come le foglie umide di felce, come l’acqua del
mare all’alba, quando l’oro lontano, e il pallido imbarazzo del cielo si
fondono con il gelo che li riflette.
Un colore così freddo, capace di scaldarmi il cuore. Ricordo, ricordo
d’averli sognati, aspettati, rimpianti. Ricordo d’essermi urlata, nell’animo,
di trattenerli sempre, come ultima speranza di veder avverarsi l’inesistente.
Ricordo, ancora, che si allontanarono, dandomi la parvenza di non
poterli mai più cingere con lo sguardo, nonostante nella vita, né in morte
alcuna, avessi avuto la possibilità di gioire della loro esistenza.
Ricordo, dolore. Ricordo, oscurità. Significato, concretezza. O,
solamente, rassegnazione? Ricordo quegli occhi velati di rosso, sempre più
opaco, fino ad affogarli, nel sangue, nell’aria, nel pianto. Nulla più, nulla
meno.
Verità.
Tutto ciò che era la verità mi piombò addosso, come massi, come pioggia,
come fuoco. Scomparve tutto, o forse, mi resi conto che nulla era mai esistito,
se non nell’universo delle idee. Eppure, il vuoto c’era, era profondo,
doloroso, come se ciò che mai c’era stato mi fosse stato strappato via, senza
ragione alcuna.
Ricordo, un dolore, un bruciore, basso e cupo. Strideva come la legna
umida sul fuoco, la neve gelida sotto i piedi. Ricordo, la speranza che si
affievoliva, il lume di una candela che seguiva il vento, morendo in un ultimo
sprazzo di luce.
Ricordo, dimentico. Ricordo, di nuovo.
Tutto ciò che mi rendeva ciò che ero, ciò in cui avevo sempre creduto,
ciò per cui avevo sempre lottato, si sospinse violentemente lontano da me,
mandandomi alla deriva senza più un’ancora di salvezza. Non avevo più nulla, se
non quel ricordo che ancora, di tanto in tanto, mi tracciava ruvide linee di
elettricità sulla pelle. Cercai la vita, di nuovo, e me la vidi scivolare tra
le mani. Ricordo, dolore, ricordo, dolore.
Non seppi più fermarmi, mi accompagnai, sola, al patibolo. Quegli occhi
mi avevano stregata, stravolta, martoriata, uccisa. Eppure, eppure tornavo ad
amarli, ogni giorno sempre di più, ogni giorno chiedendomi per quale motivo me
li ricordassi, per quale ragione il mio cuore – il mio essere – non volesse
staccarsi da loro.
Ancora, ricordo. Sempre, ricordo. Quegli occhi, li accompagnava una
voce. Non la udivo risuonare nell’aria, ne tra i miei denti. Era dentro di me,
era quello sguardo a parlare. Mi implorava, mi implorava di non dimenticare. Mi
tuffai nella beatitudine di quella voce, seguendo lo spirito, seguendo la
follia. La mia follia.
Ricordo, ricordo, ricordo.
Un ricordo dolce, eppure, eppure, la morte più lenta e crudele che
questo mondo, e l’universo, e ciò che esisterà.. abbia mai conosciuto.
Ricordo.