Note dell'autrice: Prima
di lasciarvi alla lettura di questa fan-fiction devo fare un paio di
precisazioni necessarie: la storia è stata scritta per il
contest "C'è una frase per te" di Fanny_rimes,
classificandosi al terzo posto. Nel testo sono state evidenziate in
grassetto le citazioni contenute nel pacchetto scelto, rispettivamente
tratte da "La sirenetta", "La Bella e la Bestia", e "Il Re
Leone". I personaggi presenti nella saga di Hunger Games non mi
appartengono, al contrario di quelli inventati, che sono frutto della
mia fantasia. La storia è stata postata con alcune
correzioni rispetto a quella partecipante al concorso, seguendo alcuni
suggerimenti di Fanny_rimes, che mi ha, gentilmente, inviato la copia
corretta dell'intera storia
Prologo
L’orologio
sul muro segna le due del pomeriggio. Tra un’ora la mia casa
si riempirà nuovamente dei miei preparatori: un insieme di
persone di Capitol City chirurgicamente modificate che hanno fatto
della mia immagine la loro unica ragione di vita. Mi domando tra quanto
tempo potrò cedere questa patata bollente a un altro
vincitore. Le mie elucubrazioni vengono interrotte dal suono del
campanello. Lancio un nuovo sguardo alle lancette
dell’orologio che si sono spostate solo di cinque minuti: non
è possibile che siano già qui. Riluttante mi alzo
dal divano e vado ad aprire, annotandomi mentalmente una serie
d’insulti alla volta di chiunque si sia incollato al mio
campanello. Faccio per mettere in atto i miei propositi, ma la vista di
Mags mi blocca in gola ogni sillaba dell’elenco che mi ero
preparato:
“Ah, sei tu” mi limito a dire.
“E chi ti aspettavi di trovare a quest’ora, Crystal?- mi risponde, squadrandomi dall’alto in basso, per poi continuare – Se vuoi un consiglio fila a tagliarti quei quattro peli che ti crescono sul volto prima che le vanga una crisi isterica appena ti vede”.
I rimbrotti della mia mentore mi fanno sorridere. Mags è una donna straordinaria, sebbene sia sulla settantina. Da quando ho vinto gli Hunger Games, quattro anni fa, è diventata la mia nuova famiglia.
“Senti Mags – inizio, facendomi serio – io non voglio tornare a Capitol City quest’anno. Non voglio vedere morire altri tributi” spiego, tenendo nascosto l’altro grande motivo per cui non voglio più essere un mentore. So che lei sa tutto: non ha mai fatto domande quando, durante le feste a Capitol City, sparivo per ore e riapparivo accompagnato ora ad una, ora ad un’altra, delle ricche donne di Capitol City; e in fondo le spiegazioni che si sarebbero potute dare non erano molte.
“Finnick, non puoi tirarti indietro. Sei uno dei vincitori del distretto quattro. Sei già stato fortunato che per due anni ti abbiano lasciato in pace, accettando Lorentz al posto tuo”.
“Non vedo perché non possa continuare ad essere lui il mentore del distretto quattro, insieme a te” borbotto, quasi come un bambino viziato di Capitol City che tenta la carta del broncio, prima di passare alla tattica degli strilli disperati.
“Sii serio – mi esorta Mags – un bruto cinquantenne come Lorentz, al posto di un aitante diciannovenne? Chi credi sia più apprezzato dal pubblico?” continua, lasciando intendere diverse implicazioni che già conosco. Il pubblico –soprattutto quello femminile- vuole me. È stata la mia bellezza a fare di me un vincente nell’arena, e quindi sarà anche la mia punizione per essere sopravvissuto ad altri ventitré tributi.
“Ho capito, vado a rendermi presentabile, prima che lo facciano quei pazzi dei miei preparatori” acconsento, a denti stretti. Sin dall’inizio sapevo che non avrei avuto possibilità di sottrarmi ai sessantanovesimi Hunger Games, ma quello che non sapevo è che quell’edizione avrebbe stravolto nuovamente la mia vita.
“Ah, sei tu” mi limito a dire.
“E chi ti aspettavi di trovare a quest’ora, Crystal?- mi risponde, squadrandomi dall’alto in basso, per poi continuare – Se vuoi un consiglio fila a tagliarti quei quattro peli che ti crescono sul volto prima che le vanga una crisi isterica appena ti vede”.
I rimbrotti della mia mentore mi fanno sorridere. Mags è una donna straordinaria, sebbene sia sulla settantina. Da quando ho vinto gli Hunger Games, quattro anni fa, è diventata la mia nuova famiglia.
“Senti Mags – inizio, facendomi serio – io non voglio tornare a Capitol City quest’anno. Non voglio vedere morire altri tributi” spiego, tenendo nascosto l’altro grande motivo per cui non voglio più essere un mentore. So che lei sa tutto: non ha mai fatto domande quando, durante le feste a Capitol City, sparivo per ore e riapparivo accompagnato ora ad una, ora ad un’altra, delle ricche donne di Capitol City; e in fondo le spiegazioni che si sarebbero potute dare non erano molte.
“Finnick, non puoi tirarti indietro. Sei uno dei vincitori del distretto quattro. Sei già stato fortunato che per due anni ti abbiano lasciato in pace, accettando Lorentz al posto tuo”.
“Non vedo perché non possa continuare ad essere lui il mentore del distretto quattro, insieme a te” borbotto, quasi come un bambino viziato di Capitol City che tenta la carta del broncio, prima di passare alla tattica degli strilli disperati.
“Sii serio – mi esorta Mags – un bruto cinquantenne come Lorentz, al posto di un aitante diciannovenne? Chi credi sia più apprezzato dal pubblico?” continua, lasciando intendere diverse implicazioni che già conosco. Il pubblico –soprattutto quello femminile- vuole me. È stata la mia bellezza a fare di me un vincente nell’arena, e quindi sarà anche la mia punizione per essere sopravvissuto ad altri ventitré tributi.
“Ho capito, vado a rendermi presentabile, prima che lo facciano quei pazzi dei miei preparatori” acconsento, a denti stretti. Sin dall’inizio sapevo che non avrei avuto possibilità di sottrarmi ai sessantanovesimi Hunger Games, ma quello che non sapevo è che quell’edizione avrebbe stravolto nuovamente la mia vita.