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Autore: Ariadne_Bigsby    17/10/2012    2 recensioni
{OTTAVO CAPITOLO AGGIORNATO}
(ATTENZIONE, LA STORIA CONTIENE SPOILER)
Una Fan Fiction basata sul monologo di John Blake a Wayne Manor: l'infanzia "arrabbiata" di John, la perdita dei genitori, la scoperta dell'identità di Batman, la sua idea di giustizia e la sua crescita, da me immaginate ed elaborate in questa storia che ingloba luoghi e personaggi del film.
“John Blake hai detto? Ma, è il tuo cognome o quello della tua famiglia adottiva?”
“E’ il mio..”rispose Blake a voce bassa.
“Beh, è strano! Qui c’è un John Cain e un John Maislee, ma nessun John Blake.”
Blake si morse di nuovo il labbro e, senza volerlo, assunse un’aria colpevole che non passò ignorata da Shannon.
“Allora…non vuoi dirmi chi sei?” gli chiese in tono gentile. Quante volte aveva avuto a che fare con bambini del genere, che si rifiutavano di usare il loro cognome, usando quello della famiglia adottiva, quasi a voler rinnegare le loro origini?
“Robin. Mi chiamo Robin Blake..” cedette alle fine il bambino, abbassando gli occhi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Batman aka Bruce Wayne, James Gordon, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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kjlulululou

 

 

Ce l’ho fatta! Una ola per me! Non so ancora come ho fatto a copiare tutto questo mastodontico capitolo al computer..ma ci sono riuscita! Spero che questa mia fatica (nel vero senso della parola) sia di vostro gradimento… preparatevi al famigerato incontro fra Bruce Wayne e il giovane Blake, ormai diciassettenne! Pronti, partenza..via!

 

 

 Photobucket

Intuition.

 

“E’ una grande partita per i Gotham Rogues, gli spettatori sono letteralmente in delirio! E’ tutto un tripudio di striscioni gialli e neri per l’ultimo punto appena segnato da Hamilton! Che partita esplosiva, ragazzi!” la voce squillante dello speaker rimbombava per tutta la sala audiovisivi del St.Switin’s, esaltando i ragazzi intenti a guardare i progressi dei Gotham Rogues e infastidendo quelli che cercavano di leggere.

 

“Ehi coso, vuoi abbassare il volume?” si spazientì una ragazza bionda, posando con un gesto rabbioso il libro che stava leggendo “qui c’è gente che cerca di leggere!”

“Vattene in camera tua allora.” Le rispose in tono arrogante uno dei ragazzi incollati alla TV,  degnandola appena di uno sguardo.

“John per favore, visto che a te danno retta, potresti dirgli di abbassare il volume?”

 

Il ragazzo  spostò un ciuffo ribelle dei suoi lunghi capelli neri che gli era caduto sulla fronte mentre leggeva: “Li tengo buoni al massimo per 10 minuti Emily, poi torneranno a schiamazzare.”

 

“Ti prego, John!” lo implorò lei “è una questione di principio, non possono fare sempre come pare a loro!”

John sorrise divertito: Emily adorava che qualcuno prendesse le sue parti, specie se quel qualcuno era lui.

 

“Ok, ma non posso andare lì e dirgli di abbassare, non mi guarderanno neanche”

John girò la testa, esaminando rapidamente la stanza, finché qualcosa non catturò la sua attenzione, proprio dietro il televisore.

A-ha..” mormorò John poggiando il libro sul tavolino davanti “aspettiamo ancora qualche minuto..”

 

Emily osservò attentamente John, cercando di capire quale idea gli frullasse in testa: di solito se ne usciva con delle trovate che lasciavano spiazzati gli altri e che lo facevano sempre uscire “pulito.”

I Rogues erano di nuovo in possesso di palla e la stella della squadra, un giocatore di nome O’Keegan, stava correndo a perdifiato verso la base, schivando l’offensiva avversaria.

John si alzò e con fare noncurante si diresse verso il bidoncino distributore d’acqua dietro la tv, poggiata su un mobiletto di acciaio.

“Ed ecco O’Kennegan che schiva Tennison! La base ora è vicina ma…oh no! Sembra che Bosley ce l’abbia proprio con lui! Si avvicina, sono vicinissimi alla base! Ed ecco che…”

 

Zzap! Con un ronzio sinistro, la televisione tacque e John rimase bloccato con un piede impigliato nel filo e  una calcolatissima espressione dispiaciuta stampata in volto.

“Ops!” esclamò John, mantenendo la sua aria dispiaciuta “sembra proprio che sia inciampato.”

“Riattacca quel filo Blake, ci stai facendo perdere la partita!” lo implorò uno dei ragazzi più grossi.

 

“Tra un momento..” rispose John con tutta la tranquillità di questo mondo, chinandosi per afferrare l’estremità della spina che lasciò dondolare fra le dita.

“Blake, riattacca quell’accidenti di spina!” gli gridò un altro in tono quasi piagnucoloso.

John fece un sorrisetto sghembo: erano così stupidi che non si alzavano neanche per strappargli la spina dalle mani.

 

“Fra un momento, prima volevo chiedervi una cosa: dite un po’, ci tenete a guardare questa partita, eh?”

I tizi annuirono all’unisono.

“Lo supponevo. “ continuò John in tono pacato “vedete, la vostra situazione assomiglia un po’ alla mia e quella di Emily. Noi ci teniamo a leggere e no, n on possiamo andare a leggerlo in camera nostra, perché credo che abbiamo il sacrosanto diritto di usufruire di questa sala..”

 

I tre lo guardarono con aria stolida e John sospirò:

“Io vi riattacco la spina, ma voi abbassate quell’accidenti di volume, intesi?”

I tre annuirono di nuovo, senza protestare; se a fare quel discorso ci fosse stato chiunque altro, non sarebbe neanche riuscito a finire la frase perché lo avrebbero letteralmente spalmato sul muro senza pensarci troppo.

Ma quel Blake era diverso: era un tipo solitario che non cercava guai, ma il fatto che l’anno passato avesse mandato al tappeto con un colpo solo, ma ben assestato, un tizio grosso circa il doppio di lui, che lo aveva infastidito solo per il gusto di farlo per una mattinata, combinato al fatto che sembrava un tipo così diverso dagli altri, era un fattore determinante.

 

John, prendendosi il suo tempo, riattaccò la spina e dopo qualche lieve disturbo di frequenza, lo stadio tornò ad essere visibile.

“Non avete neanche perso nulla di importante..” commentò John lanciando una rapida occhiata allo schermo “Non è O’Keegan quello che piagnucola in un angolo?”

E detto questo tornò a sedersi sul divanetto e si immerse di nuovo nella lettura.

 

 

 

John Blake aveva quasi 18 anni e si trovava al St.Switin’s da quando ne aveva 10.

 

Appena era arrivato aveva avuto un’incredibile fama, dovuta a quello che gli era successo. I bambini lo assillavano continuamente chiedendogli particolari sulla sua rocambolesca fuga, ma lui non aveva mai detto niente al riguardo.Col passare del tempo, anche i suoi  “ammiratori” più incalliti si erano stufati  e lo avevano lasciato perdere, con suo sommo sollievo.

John si era distinto da subito per la sua propensione alla solitudine (anche se aveva stretto amicizia con due ragazzi, Emily e Dennis) e per la sua mente sveglia e attenta.

Da bambino aveva brillato nei voti, ma un po’ meno per quanto riguardava la condotta, poiché era soggetto ad improvvisi scoppi d’ira ed era spesso scontroso.Tuttavia col tempo il suo carattere si era addolcito (se così si poteva dire).

A diciassette anni era diventato un ragazzo abbastanza alto e meno mingherlino di quanto fosse stato da piccolo. Si era lasciato crescere i capelli, che erano lunghi fino al collo e neri, ma per quanto fosse cambiato fisicamente (non si sarebbe detto che quel ragazzo alto e dritto, dallo sguardo penetrante, fosse stato un bambino dall’aria così tenera e indifesa) alcuni rimasugli del suo carattere di quando aveva messo piede nell’orfanotrofio non erano mutati.

Era rimasto un tipo essenzialmente solitario (eccezion fatta per i due amici di sempre) ed era diventato estremamente brillante in tutte le discipline.

La rabbia che aveva covato dentro di sé anni prima, era stata in parte domata e convogliata in altri atteggiamenti.

John, crescendo, aveva dimostrato di avere quel tipo di intelligenza mista ad un pizzico di quella che i professori chiamavano erroneamente arroganza, mentre in realtà era solo senso di ribellione, frutto di quella rabbia che era riuscito ad elaborare nel corso degli anni.

Cosa gli passasse per la testa nessuno lo sapeva ma, nonostante i voti e la condotta ineccepibile, i professori avvertivano la presenza di qualcosa di strano in quel ragazzo taciturno.“Testa calda” era l’appellativo che gli veniva rivolto più spesso, ma non c’erano mai state punizioni o cose del genere, visto che non era possibile punire un allievo basandosi solo su una vaga sensazione.

John, dal canto suo, teneva un profilo basso: non esternava quasi mai i suoi pensieri più intimi, ma quella calma, mista a quel pizzico di ribellione era il risultato di anni di ragionamenti e considerazioni. Alla fine John aveva trovato il modo di “voltare pagina” come gli era stato intimato più e più volte e nel farlo aveva anche capito quale sarebbe stata la soluzione per placare tutta la rabbia che lo aveva tormentato per anni.

Gli ci era voluto il ricordo di una notte fredda e di un bambino che era andato a sbattere contro la figura alta di un poliziotto, un tutore della legge  forte e coraggioso.

Doveva solo aspettare qualche altro mese.

 

 

 

La classe lavorava in silenzio sui compiti da svolgere, era una mite giornata di primavera e gli allievi del St.Switin’s erano visibilmente più allegri e vivaci.Quella classe di adolescenti era quasi vuota, visto che buona parte di loro aveva preferito dedicarsi ad attività all’aria aperta.

Psst…John?” bisbigliò un ragazzo biondo dando una leggera gomitata al suo compagno di banco, intento a svolgere un problema di algebra.

Riportato bruscamente alla realtà, John si girò verso il suo amico Dennis .

“Che c’è, Den?”

“L’hai visto il giornale di oggi?” gli bisbigliò di rimando Dennis, sventolandogli davanti una copia del Gotham Globe.

“Non ancora, credevo non lo avessero ancora recapitato.” Che dice di interessante?” si animò John, lasciando il suo amico distendere la copia del Gotham Globe di Venerdì sul tavolo.

John lesse in fretta l’intestazione della pagina e sillabò un :”U-A-O.”

La prima pagina era interamente occupata da un mega articolo sull’argomento che andava per la maggiore di quei tempi, ovvero del vigilante mascherato, conosciuto come “Batman”.

“Che roba, eh?” lo incalzò Dennis, mentre John leggeva l’articolo sottostante, che in realtà non diceva nulla più delle solite ovvietà.

La cosa interessante dell’articolo era la foto che troneggiava in prima pagina: qualche temerario, non era dato sapere come, aveva scattato una fotografia a Batman da una distanza piuttosto ravvicinata, mentre il Batman era in piedi con lo sguardo rivolto da qualche parte nelle vicinanze del fotografo.

“E’ o non è una gran figata? Erano mesi che volevo un’immagine come si deve di questo Batman!”

Il fenomeno di questo giustiziere mascherato era esploso  non molto tempo prima, quando Batman aveva assicurato alla giustizia il noto boss Carmine Falcone, legato come un salame su una specie di riflettore.

Ovviamente la polizia si era subito messa sulle tracce di quel pazzo furioso in costume nero che si ostinava a voler fare il loro lavoro, ma dopo il drammatico episodio dell’allucinogeno nebulizzato in città e di come quel “pazzo furioso” fosse riuscito a sventare una vera e propria apocalisse, era stato sancito una sorta di tacito (ma neanche troppo) patto fra le forze dell’ordine e il cavaliere oscuro. D’altronde, tutta la città poteva vedere il segnale luminoso a forma di pipistrello, installato sul tetto del commissariato di Gotham.

John in realtà non si era interessato subito a Batman, anche perché i giornali erano stati costretti a tacere la verità su come Carmine Falcone fosse stato beccato da un tizio qualunque, e non dai tutori della legge (senza contare il fatto che buona parte di essi erano stati corrotti dallo stesso Falcone).

Solo poco prima dell’episodio dell’esplosione delle tubature e la dispersione del gas allucinogeno nell’aria tersa e fumosa di Gotahm, qualche giornale si era lasciato sfuggire la verità e, da allora, John aveva letto avidamente tutto quello che era riuscito a trovare riguardo a quel Batman che si era fatto carico di quel compito che sarebbe spettato alla polizia.

“Questi tizio o  è un genio oppure è completamente partito” aveva commentato Dennis, lisciando il giornale e contemplando la foto con aria rapita.

“Forse è entrambe le cose..” commentò John in tono leggero, dando a sua volta un’altra occhiata alla foto “però una cosa è certa: deve avere un senso della giustizia impeccabile..”

Dennis lo guardò con aria interrogativa “Parlare come mangi ti fa proprio schifo, eh?” lo incalzò.

“Voglio dire..” si corresse John sospirando ed allontanandosi i capelli dal viso “che gli sta molto a cuore combattere…” osservò per un attimo Dennis e decise di usare una parola più semplice “i cattivi.”

Dennis si animò “Magari, che ne so..è un poliziotto scomunicato!”

“Si dice sospeso Den.” Lo riprese John senza riuscire a trattenere un sorriso.

“Si, insomma, quelli li! Come nei film, John! Il poliziotto sospeso che fa vedere a tutti di che pasta è fatto!.”

“Oppure è un poliziotto che si è allontanato di sua spontanea volontà.:” commentò John guardando il suo amico. “Forse la polizia non gli bastava più, forse per fare quello che sta facendo aveva bisogno di..di agire così.”

Dennis lo guardò con aria dubbiosa “Ma perché la maschera? Perché il pipistrello?”

John alzò le spalle e Dennis si morse un’unghia, con la solita aria pensierosa “E se non fosse proprio un poliziotto? Chi mai potrebbe essere così fuori da mascherarsi e andare a prendere a calci i cattivi? Cosa può spingere una persona a fare questo?”

“Vorrei poterti rispondere Den..” concluse John con un sospiro.

All’improvviso l’altoparlante dell’istituto gracchiò, riferendo che gli studenti dovevano recarsi nell’aula magna per una comunicazione importante riguardo al giorno dopo.

“Comunque sia..” disse Dennis prendendo il giornale “dev’essere fichissimo essere Batman! Vorrei tanto sapere chi è per stringergli la mano!”

“Già..” convenne John prendendo il suo quaderno “anche io.”

 

 

 

“Hai visto niente?” Dennis era impaziente come un bambino in attesa di aprire i regali di Natale, mentre zampettava intorno ad Emily.

“Per l’amor del cielo Dennis, è la terza volta in due minuti che me lo chiedi! No, non è ancora arrivato!” sbottò Emily, dando comunque un’altra occhiata dal terrazzo/cortile dove si trovavano.

“Comunque lo sentiremmo arrivare, no?” intervenne John sporgendosi a sua volta “non credo che Bruce Wayne verrà qui in taxi.”

Il giorno prima, i piccoli occupanti dell’orfanotrofio erano stati radunati nell’aula magna per una comunicazione importante: il giorno dopo il grande Bruce Wayne, generoso donatore di fondi per l’orfanotrofio (che era stato fondato anni addietro da Thomas Wayne) avrebbe visitato la struttura e scambiato quattro chiacchiere con insegnanti e ospiti dell’orfanotrofio, come se fosse un simpatico fratello maggiore sinceramente interessato a loro e non un miliardario pseudo-filantropo, sciocco e vanesio, che di sicuro avrebbe preferito trovarsi ad un cocktail party di celebrità, piuttosto che in un sudicio orfanotrofio del centro.

“Ho sentito un rombo!” strillò Dennis iniziando a saltellare sul posto e indicando il terrazzo e i  tre si affacciarono nello stesso istante, rischiando di battere la testa l’una contro l’altra.

Dennis cacciò uno sgrilletto, indicando in maniera convulsa la strada sotto di loro “E-è lei! Lamborghini Murciélago LPS40, grigio-metallizzata da 640 cavalli!” declamò Dennis in tono rapito, quasi con le lacrime agli occhi.

Emily roteò gli occhi con aria scocciata “Ma santo cielo Den, possibile che tu debba fare tutte le volte questa scena quando vedi una bella macchina? E poi che razza di nome è Murciélago?”

Dennis la guardò come se avesse appena detto una bestemmia “Lamborghini Murciélago LP640, Emily!” E comunque sia significa pipistrello, l’ho letto su una rivista! Ma non è questo il punto…” e si gettò in una carrellata di dettagli tecnici che fecero di nuovo sbottare Emily.

John guardò la macchina, svariati piani sotto i loro piedi, vide la portiera aprirsi dal lato del passeggero, dove scese quella che gli sembrò una top-model dai lunghi capelli rossi, fasciata in un sobrio abito grigio, mentre dall’altro lato scese una figura che venne subito fagocitata dall’orda di giornalisti appostati all’ingresso e venne resa invisibile dai mille flash impazziti.

John, allontanandosi dal balcone, sospirò: “d’altronde è solo qui per la sua immagine, cosa me ne importa di stare a guardarlo come un pesce lesso? Ha i soldi, ha tutte le donne che vuole e sarà pure stupido. Ci vedo solo un gran vuoto..” constatò, mettendosi le mani in tasca e riassumendo la sua tipica faccia seria.

“Oh, beh a me sembra una cosa carina da fare!”  ribatté  Emily raggiungendo John, “d’altra parte anche lui è un orfano, magari gli sta davvero a cuore la cosa..”

John trasalì un attimo: si era quasi completamente dimenticato di quel fatto. Il modo in cui era venuto a sapere del passato di Bruce Wayne apparteneva ad un passato che aveva chiuso in un cassetto della sua memoria.

Non vorrai creare un altro piccolo Bruce Wayne?” una voce dal passato si insinuò prepotentemente nel suo cervello, ma John la scacciò prontamente.

“Che hai John?” gli chiese Emily in tono apprensivo, vedendo che l’amico era come rabbrividito.

“Mhh, niente Em stavo pensando a una cosa. Lascia stare..”

E detto questo, John tornò dentro l’edificio, lasciando i due amici sul terrazzo.

 

 

Il pomeriggio passò molto lentamente: Bruce Wayne era impegnato in un appassionante tour turistico delle stanze dell’orfanotrofio, mentre frotte di bambini gli sciamavano intorno cercando di catturare la sua attenzione, porgendogli disegni e dolcetti. Bruce Wayne, d’altro canto, era conosciutissimo dai bambini dell’orfanotrofio.

Il miliardario orfano”, così veniva chiamato dai bambini dell’istituto, che riuscivano in qualche modo a proiettare sé stessi in quella figura che aveva del leggendario. Aveva soldi e tutto, ma non era molto diverso da loro, era una persona nella quale potevano riconoscersi e potevano condividere con lui una parte del peso che si portavano sulle spalle: la consapevolezza di essere soli al mondo.

John era da solo nella biblioteca dell’istituto, la stanza senza dubbio più bella e meno caotica dell’edificio: era la stanza tenuta un po’ meglio, senza crepe nei muri, anche se le luci erano piuttosto basse, cosa che costringeva chi leggeva a trasferirsi in un’altra stanza, spesso la sala audiovisivi che era tutta finestre.

John era seduto con altre poche persone su una delle poltroncine della sala, immerso come di consueto, nella lettura. Non gli interessava più di tanto correre a “fare la corte” a Bruce Wayne, poiché la cosa gli era quasi del tutto indifferente.  Quasi del tutto: era quella prima parola che lo impensieriva.

In realtà John stava solo fingendo di leggere, aveva infatti lasciato la sua mente andare a briglia sciolta e nella sua mente c’era un turbinio di sensazioni e ricordi che aveva ricacciato da qualche parte dentro di sé e non riusciva a spiegarsi come mai, proprio in quel giorno, avessero deciso di fargli visita tutti assieme.

Sospirando, John poggiò il libro che teneva davanti al naso sulle ginocchia, allungandosi per stiracchiare le gambe: l’idea che gli frullava in testa era una in particolare.

“Perché l’idea di  Bruce Wayne mi fa pensare ad una persona che ho già incontrato da qualche parte? Come se fosse una vecchia conoscenza, come se avessimo qualcosa in comune..”

Si morse il labbro inferiore quando, involontariamente, una vocina nel suo cervello gi bisbigliò in tono dispettoso “Senti di avere qualcosa in comune con lui perché siete orfani

John scosse la testa, come se così facendo potesse allontanare quella vocina fastidiosa: no, non era solo il fatto che fossero entrambi orfani. O meglio, derivava tutto da quello, ma la cosa che li legava era che entrambi avevano perso i genitori in modo tragico, proprio davanti ai loro occhi, senza un perché. John rivide davanti ai suoi occhi una foto di una copia del Gotham Globe, sepolta da qualche parte a prendere polvere nella biblioteca, la foto di un bambino spaventato. La sua espressione non era molto diversa da quella che aveva assunto lui quando si era svegliato in ospedale e si era guardato allo specchio. Lo stesso vuoto, la stessa dura consapevolezza di dover imparare a crescere in fretta in un mondo spietato.

Se potessi cancellerei tutto il male da questa città. Vorrei poter trovare un modo per poter portare la pace, per poter creare un luogo dove queste violenze non esistono.Vorrei poter diventare un simbolo, un simbolo di giustizia” Era quello il pensiero che lo aveva assillato per anni, mentre la notte, rigirandosi fra le coperte cercava di dare una forma alla propria rabbia e al proprio sgomento. John deglutì, mentre la forza dei suoi pensieri lo investiva come un’onda anomala, cancellando tutto il resto.

Ma John non ebbe il tempo di dilungarsi oltre sui suoi pensieri: sentì la porta della biblioteca scricchiolare ed il parlottio indistinto che seguì l’apertura gli fece intuire che delle persone erano entrate nella biblioteca.

Non si stupì più di tanto quando vide Bruce Wayne, tenuto a braccetto dalla bella ragazza dai capelli rossi fare il loro ingresso, scortati da padre Shannon ed altri due insegnanti.

“E questa è la biblioteca. E’molto fornita, fortunatamente abbiamo molte donazioni da parte di famiglie o di ex-occupanti di questo istituto. A volte anche la biblioteca ci passa delle copie un po’ più fruste di alcune vecchie edizioni di libri, che non possono più tenere..” spiegò Mattatias Shannon indicando la biblioteca.

Bruce Wayne annuì, osservando con aria poco colpita la biblioteca “Le copie più fruste, eh?” disse in tono ironico, osservando un’edizione senza copertina di un libro.

Gli insegnanti si guardarono, con aria imbarazzata, tentando di abbozzare dei sorrisini di circostanza, mentre la ragazza a fianco di Wayne rideva scioccamente.

John nel frattempo aveva lasciato il libro e si stava dirigendo verso l’uscita con fare discreto: non voleva interrompere i signori nella loro disquisizione dei fantastici mezzi di cui l’istituto disponeva, preferiva raggiungere Emily e Dennis, sempre sperando che non avessero definitivamente rinunciato a capirlo.

Proprio mentre John stava per raggiungere la porta, Bruce Wayne si voltò verso di lui, sentendo il rumore dei suoi passi ed  i loro sguardi si incrociarono.

La loro occhiata durò poco più di un secondo, poi Bruce distolse lo sguardo per continuare a seguire i discorsi di padre Shannon che voleva far vedere agli ospiti quanto fossero ben organizzati gli scaffali della biblioteca.

John aprì silenziosamente la porta ed uscì.

 

 

 

“Ma alla fine l’avete visto questo Wayne?” chiese Dennis mentre tornava al tavolo col piatto ricolmo di pastasciutta.

“Io si.” Disse Emily in tono fiero, mentre si versava dell’acqua.

“E tu John?” chiese Dennis a bocca piena “l’hai visto?”

Mh mh..” fece John che stava ripassando gli esercizi di algebra. Lunedì sarebbe stato interrogato e quel giorno aveva perso fin troppo tempo.

“Sempre loquace tu, eh?” lo rimbrottò Emily in tono amichevole, dandogli un colpetto leggero sul braccio, al quale John non rispose.

“Ma non vedi che Mr.Cervellone sta studiando? Non oserai interferire con i suoi doveri di bravo studente?” scherzò Dennis.

“John ma non mangi niente?” chiese Emily in tono preoccupato, osservando il piatto di John, dal quale lui aveva piluccato solo qualche pezzetto di carne.

“Non ho molta fame..In realtà sono un po’ preso dal problema. Se non riesco a risolverlo per l’interrogazione di lunedì sono nei casini..” disse John scribacchiando formule sul quaderno “anzi, credo che me ne andrò in camera. Qui c’è troppa confusione.”

I due amici lo guardarono, mentre per la seconda volta in una giornata si allontanava senza quasi dare spiegazioni.

“John è strano.:” commentò Emily. Non avrebbe mai osato confessarlo, ma aveva una cotta per lui, cotta che sarebbe rimasta inconfessata.

Dennis alzò le spalle “E’ solo preoccupato per l’interrogazione Em. Probabilmente lunedì, dopo l’interrogazione arriverà a pranzo tutto felice e dirà di voler fare un festino per celebrare l’evento. E finalmente gli faremo prendere una sbronza come si deve!”

Emily sorrise, cercando di convincersene, mentre finiva la sua cena.

 

 

 

Nella sua cameretta, John si scervellava per finire il problema che rifiutava di farsi risolvere: mentre andava in camera aveva afferrato per forza dell’abitudine, l’edizione serale del Gotham Globe dove Bruce Wayne troneggiava in prima pagina, tutti i dettagli sulla festa della quale sarebbe stato ospite quella sera e una menzione della sua visita all’orfanotrofio quasi alla fine dell’articolo.

John aveva rinunciato a scrivere le formule sul quaderno, che era tutto pasticciato e pieno di tratti rabbiosi di penna, ma con la mano destra continuava a scribacchiare e disegnare distrattamente.

Alla fine, con un sospiro, si arrese: per quella sera non c’era niente da fare. Forse il giorno dopo avrebbe avuto la mente più sveglia e disposta a risolvere quel dannato problema. Era ora di rilassarsi e di leggere il giornale, un impegno che si prendeva tutte le sere.

Tuttavia , afferrando la copia del Gotham Globe rimase interdetto: per quell’ora aveva scribacchiato distrattamente o meno su quello che aveva accanto, ma non si era accorto di aver fatto disegnini e ghirigori anche sul giornale. Con mani tremanti prese la copia del giornale e la distese davanti a sé, come per sincerarsi di quello che aveva visto: sulla prima pagina era stata stampata una foto di Bruce Wayne, ritratto frontalmente e con espressione seria, rivolta da qualche parte nelle vicinanze del fotografo, ma la penna di Blake aveva alterato completamente al foto, disegnando sulla faccia di Wayne qualcosa che poteva sembrare una maschera.

La maschera di Batman.

 

 

 

Bene, siamo giunti anche alla fine del settimo capitolo. Mi duole dirlo ma la storia volge ormai al termine L Credo che continuerà ancora per due, massimo tre capitolo (anche se propendo per due, considerando i temi che voglio trattare). Spero di essere riuscita a spiegare in maniera sufficientemente fattibile come John abbia capito da un solo, semplice sguardo, che Bruce Wayne, il miliardario spacciato per un frivolo vanesio fosse in realtà il suo idolo, quello che, nei profondi recessi del suo animo avrebbe voluto essere, riconoscendo nelle analogie fra la sua vita e quella di Bruce, quel “fattore X” che avrebbe spinto uno dei due  a voler diventare un simbolo. Due destini legati, in poche parole.

Bene, ho finito con i chiarimenti. Aspetto fiduciosa le vostre recensioni e ci vediamo al prossimo capitolo!! Baci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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