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Autore: PedoCory    18/10/2012    3 recensioni
«Sì, mi sono sparato un colpo in una gamba mentre pulivo il mio fucile. Non mi faceva affatto onore, in realtà, nulla mi faceva onore.
Quale cosa più stupida può accadere se non essere cacciati perché hai un proiettile impiantato nella coscia?»
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finn Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“The person that you were has died.”


Quella spilla colorata è il mio portafortuna in uno posto così isolato.

Mi ricorda la mia vita a Lima, fatta di sala canto e football. Mi fa tornare il sorriso quando l’unica cosa che riesco a sentire sono i colpi di fucili.
Ho imparato cos’è il silenzio assordante che ti fa fischiare le orecchie, ho imparato a piegare il mio pigiama celeste, a non avere più il latte con i biscotti –preparato da Kurt– prima di andare a dormire.
Ho imparato a farmi la barba con un piccolo rasoio senza tagliarmi e rido quando, due anni fa, mi era cresciuta il primo filo di barba, volevo subito radermi e finì per uscire del sangue dalla mia guancia. Non è tuttavia una risata felice ma malinconica. Ora, più che mai, ho imparato il significato di malinconia.
Mi mancano così tante persone che.. wow, mi sento soffocare, mi manca quasi il respiro.
Mi manca vedere quella sedia a rotella in una piccola sala con tante sedie.
Mi mancano le battute stupide e le persone che non riescono a capire perché qui, dannazione, tutti capiscono tutto.
Mi manca vedere qualcuno con la cresta perché qui tutti devono avere una pettinatura ordinata e soprattutto bisogna stare alle regole, rispettare tutti e tutto.
Mi manca vedere papillon a strisce, a pallini. Qui è tutto verde e marrone.
Mi manca cantare. Non canto da tre settimane e sento la mia voce secca. Qui, non è possibile neanche farlo sotto la doccia e, a volte, mi guardo attorno con la paura che ci sia qualche professore a spiarmi.
La malinconia non è l’unica cosa che mi ha fatto padrona, c’è anche la solitudine. Non ho stretto molta amicizia qui, solo una con la mia piccola Rachel: il mio fucile.

«Ehi, ma perché si chiama Rachel se il fucile è un uomo?» Mi domandò una voce cupa proveniente dal letto accanto al mio.
«Rachel è la mia piccolina, insomma.. E’ solo un modo per ricordare una persona lontana. Sai, non hai mai dato il nome alla tua prima macchinina giocattolo? Ecco.»
«Amico, secondo me, dovresti mettere un po’ la testa a posto. Insomma, sei troppo legato al passato. Perché sei voluto venire qui se hai qualcuno di importante nella tua città? Lo fanno tutti per soldi o perché non hanno nulla da perdere. Tu invece, bello, perderai un bel po’ di cose. O forse dovrei dire che hai già perso?» La sua voce mi sembrava fioca, lontana. E’ come se quella persone non fosse davvero lì.. e magari era solo frutto della mia immaginazione.
«Sono qui per portare onore a mio padre. E’ morto in Iraq. E’ quasi mio dovere portare onore al suo nome.»
«No, bello, tu sei qui perché non sai che fare della tua vita. Ti sei sentito con le spalle al muro perché, insomma, abbiamo diciotto anni! Cosa vuoi dalla vita? Vuoi portare onore a chi? Tu lo fai perché cerchi un’ancora. Tutte le persone che conosci hanno realizzato o hanno un sogno: Il tuo qual è, Finn? Tu hai un sogno? Scommetto che hai sempre cercato di metterli da parte, gli hai messi infondo ad uno cassetto.» Il fatto che quella voce parlava e parlava, come se mi conoscesse da anni. Come se fosse.. maledettamente reale, mi faceva paura.
«Non mi rispondi? Finn, dannazione, sei stato congedato per onore –ed è già nato se ti hanno dato questo appellativo– e ti ritrovi in questo letto a fissare il vuoto mentre la tua gamba è fasciata. Infondo, la tua “Rachel” non ha portato molto fortuna se hai sparato nella tua stessa gamba.»

Quella voce –sì, stavo avendo della allucinazioni dovute alla medicina– aveva ragione.
Sì, mi sono sparato un colpo in una gamba mentre pulivo il mio fucile. Non mi faceva affatto onore, in realtà, nulla mi faceva onore.
Quale cosa più stupida può accadere se non essere cacciati perché hai un proiettile impiantato nella coscia?

« Tu non mi hai ancora dato una risposta. Qual è il tuo sogno? Cosa vuoi fare da “grande”? Non puoi continuare a girovagare a vuoto cercando un appiglio nei tuoi amici. L’esercito non è andato, a quanto pare.
Cosa vuoi fare? Rimanere in questo letto per l’eternità? Andare in giro con le stampelle? Suvvia, Finn. O preferisci entrare in una casa di riposo per coloro che sono stati in esercito? »
Questa vocina mi stava pian piano mandando il cervello in palla.
Diceva tutta la verità ma non sapevo come reagire. Come potevo reagire ad una cosa simile?
Immobile in un letto, parenti lontani e il mio fucile –ormai la cosa più cara che avevo lì..– mi era stato tolto perché non facevo più parte di nulla. L’unica cosa che possedevo era, appunto, quella spilla colorata che tuttavia non mi aveva portato affatto fortuna..
Stringevo quell’oggetto fra le mani rendendomi conto che quella voce era andata via, assieme a tutte le mie certezze o, forse, dovrei chiamarle “incertezze”?

(…)

La fotografia che stringo fra le mani mi ricorda tutto quello che ho passato in campo militare.
Non sono mai stato in campo ma è come se lo fossi. 
E’ come se, ogni giorno, combattessi una guerra. Perché sono passati trenta giorni e io non so ancora cosa fare della mia vita. Sono rimasto in Georgia per mettere in chiaro le cose, tornare a Lima sarebbe una sconfitta.. mi piacerebbe tonarci, mi mancano tante cose ma una semplice spilla, a volte, riesce a  farmi ricordare tutte quelle persone che per anni ho visto nel Glee Club. Mi sento così piccolo, però, in un mondo fatto di grandi.
Non sono mai cresciuto, magari. Mi piacerebbe vivere nel mondo di Peter Pan.. “Restare per sempre piccoli” e avere il bacio della buonanotte dalla propria mamma ma.. tutto questo, non c’è e non so quando ci sarà. Perché io resterò impiantato qui, a non far nulla. Forse, il mio destino è davvero essere un nullafacente. Essere un ex quarterback, leader di un gruppo corale, licenziato dall’esercito, per diventare?


«Come ti chiami?»
«Io mi chiamo Finn e tu, sei?» Domandai sorridendo a quel bimbo che doveva avere, per lo più, l’età di quattro anni.
« Oh, sei come il mio supereroe! Guadda, guadda, ti somilia! Io mi chiamo Blek.» Disse il bimbo mostrandomi il suo giocattolo.
«Piccolo, si dice “ti somiglia” e il nome “Black” è carinissimo! Perché sei in questo posto se sei così piccino?»
«Ma io tono grande!! Bevo il latte e devo diventare di ferro, come “Braccio di ferro!!” ma però sono qui pecché la mia mamma ha la bua, il medico deve farla guarire presto presto.. così si va alle giostre!»
«E a te piacciono tanto le giostre? La tua mamma dov’è?»
«Sìsì, le giostre sono belle! E la mia mamma è in quella stanza con un signore con il camice bianco. Tu puoi farla guarire? Sei un supereroe..» Fece il bimbo indicando uno stanzino sulla destra. Era, appunto, la sale dove riceveva il medico. La madre uscì dopo una decina di minuti, aveva un viso pallido e sembrava che stesse per svenire da un momento all’altro. Era malata e doveva essere qualcosa di grave, stando all’aria preoccupata del medico. Scoprì, infatti, poco dopo, che quella signora era malata e doveva partire –per qualche città lontana– per essere operata, ma non poteva farlo, non avendo le condizioni economiche necessarie.
«Finnie, tu puoi aiutare la mia mamma? Sembra triste. Tu sei come il mio giocattolo e devi salvare tutti!»


Decisi di donare un terzo dei miei soldi –sempre se quei pochi risparmi si potessero chiamare “soldi”– a quella signora, Black era un bambino troppo loquace per la sua età e capì subito il fine del mio gesto.

Adesso, ripensandoci, chissà come sta quella signora.. La incontrai in ospedale, quando andai per farci un controllo e rimasi colpito. Lei riusciva a sorridere, anche se dentro si sentiva morire, riusciva ad andare avanti avendo un bambino di quattro anni con sé. Sembrava così forte, di ferro ma.. dentro c’era della ruggine.
Mi sento un po’ così, tutti pensano che sia forte ma, qualcuno, ha mai tentato di vedermi dentro? Vorrei anche io avere quella forza –non di mostrarmi forte– ma di esserlo dentro.
Di aiutare gli altri. Pensavo che far parte dell’esercito, mi avrebbe aiutato a compiere questo desiderio ma mi ha aperto le porte per farlo. Devo diventare qualcuno di importante non per gli altri, per me. Devo dimostrare a me stesso che posso portare un piccolo sorriso a bambini come Blake.
Devo diventare un supereroe: Salvare le persone, aiutarle, farle stare meglio, fare di tutto per farle sentire vive.
Ho una risposta, mia piccolo amico immaginario, qual è il mio sogno?

(…)

«Papà, papà, mi insegni a diventare bravo come te?»
«Eh, piccolo Blake! Devi passarne di cose.. » Dissi, a mio figlio, accarezzandoli i capelli. «Sai, un giorno, tanti anni fa, ho incontrato un bambino che si chiamava come te. E’ grazie a lui che ho capito cosa significa “vivere attivamente”. Fin a qual momento, cercavo sempre di rimanere a galla, di non alzare la testa e combattere ma di abbassarla per disperazione. Ero uno di quei ragazzi più popolari nella scuola ma che si prendeva sempre granite in faccia per difendere gli altri. Uno di quelli che spesso viene definito un po’ stupido ma, che infondo, ha un cuore d’oro. Ho fatto scelte sbagliate lungo il mio cammino ma mi hanno insegnato a vivere, Blake.  Sono entrato nell’esercito, mi sono beccato un proiettile nella gamba, congedo e sono stato male per settimane. Non sapevo cosa farne della mia vita.
Ero letteralmente solo. Tu, quando stai male, lo dici a me e alla tua mamma.. Ed io, non potevo dirlo a nessuno. Dovevo soffrire, cercare di scavalcare un muro, non avendo una scale. Tutti, o quasi, erano a Lima. Io? In Georgia e tutti pensavano che stessi nell’esercito, invece, ero rinchiuso in una stanza rimuginando su di me.
Un giorno, però, incontrato appunto questo bambino con la sua mamma. Lei era molto malata ma cercava comunque di far sempre che stesse bene, non volendo far pesare la situazione al figlio.
Dopo, ho capito cosa volessi farne della mia vita. Dovevo diventare un medico. Forse, è sempre stato il mio destino diventarlo ma l’ho capito troppo tardi.. non lo so, piccolo.  
So solo che è la decisione migliore che io abbia preso, dopo aver sposato tua madre.. Ed ora, sono una persona migliore. Ho te, la mamma, il mio lavoro e, ogni giorno, cerco di salvare più persone possibili.
Come la vita mi ha salvato, io cerco di salvare la loro.»
«Papino, tu sei mio supereroe!» Solo, dopo aver parlato e aver ricevuto questa risposta da mio figlio, capì che somigliava fin troppo a Blek.





Eccoci qui.
La mia prima oneshot è andata e spero vi piaccia! :)
Ci ho messo, davvero, tutto il cuore nel scriverla e mi piacerebbe molto che il nostro Finn diventasse così. Sarebbe un piccolo sogno che si realizza, perché un personaggio come lui merita tutto l’amore di questo mondo.
EEh, nulla, non so cosa dire.
Vorrei ringraziare, in particolare, Sara (dixiewellwood) e Marti (damnhudson) per il supporto morale che mi hanno dato, incitandomi a continuare questa “cosa”. Grazie, ragazze.
Buh, spero di non aver turbato nessuno e, nada, leggete e fatemi sapere cosa ne pensate. :)


  
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