Come
ho anticipato nell’introduzione, mi accingo a tradurre un po’ di fanfiction di Henna (alias infinitefirefly)
dall’inglese, perché è un’autrice davvero di talento ed è in grado come pochi
di tenere i personaggi tremendamente IC, rendendoli se possibile
anche più interessanti. E gloriose sono le sue fic demenziali sull’Akatsuki, con le quali presto vi
delizierò J
Comunque,
ogni commento alla storia sarà rigirato all’autrice, che già ringrazia in
anticipo tutti coloro che recensiranno.
Questa
storia? È semplicemente geniale, secondo me, soprattutto per via del pairing. La fic è tuttora in
corso, perciò io sto traducendo i capitolo già
pubblicati da lei sul suo livejournal, che sono tre. Quindi per ora ho messo un rating medio, poi si vedrà.
In attesa
che mi passi il blocco dello scrittore, così potrò continuare le mie storie, vi
propongo queste, che sono davvero degne di nota. (in lingua originale,
soprattutto).
Buona
lettura a tutti!
Feda
Un colpo nella notte
Tra
il calore delle torce, le dune di sabbia si estendevano per miglia e miglia nel panorama, come piccole candele sull’arido suolo e
la scarsa vegetazione della periferia del paese dell’Acqua. Colline di sabbia,
ingannevolmente lisce e immobili, ardevano di una fioca luminescenza blu sotto
la luna, miliardi di frammenti di vetro e di pietre luccicanti come degli occhi
nella fredda oscurità.
Un
fresco venticello soffiava da nord e faceva sporadicamente tremolare le torce,
le ombre che danzavano sulla circostante sabbia fiammeggiante. Una fiamma
divampò verso il cielo con violenta intensità prima di estinguersi nel vento,
la sua ombra scomparsa rivelò gli scorpioni che si mossero spaventati per la
perdita di calore.
Temari
li fissò, i suoi occhi di un blu liquido e accesso nel riflesso delle fiamme.
Danzavano sulla sabbia, le code velenose vibravano e le chele facevano rumore quando cozzavano violentemente gli uni con gli altri,
vagando a caso nella sabbia.
Un jounin
della squadra si avvicinò con dell’olio e un accendino, e gli scorpioni
balzarono quando la torcia si ravvivò di nuovo con un debole ruggito, bagnando
d’olio la sabbia sottostante.
Temari
annuì alla presenza del giovane, stringendosi di più nel suo
cappotto prima di fare cambio di posto con lui. Camminava a fatica nella
sabbia, sentendo freddo alle caviglie nonostante lo spesso rivestimento dei
suoi sandali.
Stringendo
i denti per fermare i brividi, Temari camminava vicino alle torce, zigzagando tra di esse in modo da avere entrambi i lati del corpo
riscaldati dal calore del fuoco.
Dopo
pochi minuti arrivò alla sua nuova postazione, guardandosi trucemente intorno
fino all’oscuro orizzonte, con le dita intorpidite che afferravano la stoffa
interna delle sue tasche.
Erano
le 2:45 del mattino.
Questo
dimostrava che il Kazekage non faceva favoritismi—assegnare a sua sorella il
cambio di guardia al confine. Temari non era solita lamentarsi, ma erano
passate tre settimane da quando aveva iniziato il
turno (da mezzanotte alle cinque), e almeno un paio di volte aveva rischiato di
rimanere assiderata.
Stringendo
di nuovo i denti, pregò perché la costruzione delle barricate accelerasse,
fissando con astio i disordinati pezzi di metallo e lamiera a qualche duna di
distanza.
Rinforzare
manualmente il confine di Suna era esaustivo e costoso, ma da
dopo il rapimento di Gaara, il consiglio era stato irremovibile. I ninja
responsabili del rapimento erano entrati proprio
dal confine con il paese dell’Acqua, dopotutto.
E
sfortunatamente, fino a quando gli ingegneri non fossero
riusciti a progettare una barriera che non affondasse nella sabbia, era
costretta a controllare la costruzione ogni notte.
Rabbrividì,
trattenendo uno sbadiglio e facendo una smorfia quando i suoi occhi si inumidirono. Più che il freddo, era la natura tediosa di
quel lavoro che la seccava.
Cammina, controlla, cammina, controlla, controlla ancora, cammina ancora
un po’ ecc. parlare alle altre guardie era proibito, dato che l’avrebbe
distratta dal suo compito.
Temari
provava una forte avversione per i vecchi coglioni responsabili di quel suo
ridicolo ruolo, dato che non c’era stata alcuna attività
sospetta per tutte le tre settimane che lei era stata lì. Il suo unico conforto
era la pausa di quindici minuti tra i turni, dato che le dava
l’opportunità—nonostante fosse così breve—di riattivare un po’ la circolazione
nelle sue membra intorpidite.
Il
tempo passava con una lentezza angosciante, e le sue ossa dolevano sotto il
soffio gelido del vento che strisciava sulle sue gambe. Tirò fuori le mani
dalle tasche del cappotto abbastanza a lungo per
sistemare lo scialle intorno alla testa e aggiustare la ricetrasmittente, e le
sue dita si allentarono con sollievo quando il suo orologio suonò.
Dando
le spalle alla torcia, abbassò l’indumento che le copriva la
bocca e fece un cenno ad un chuunin che arrivò correndo verso di lei.
Si
fece immediatamente prudente, preoccupata dai suoi occhi strabuzzati e la
mancanza di fiato.
- Che succede?- domandò Temari.
-
Abbiamo trovato un sospetto poco più a sud di qui.- ansimò, il suo respiro
formava nuvolette nell’aria.-
All’oasi.-
-
Sta cercando di oltrepassare la barriera?-
-
No, Temari-san. È semplicemente…seduto.-
Temari
inarcò un sopracciglio.
-
Siete sicuri che non sia un animale o dei detriti? È buio.-
Il
chuunin scosse la testa, sembrando vagamente a disagio mentre
guardava alle sue spalle verso il punto da cui era venuto.
-
Siamo sicuri che sia un uomo. Ci ha…uh…ci ha parlato.-
balbettò, grattandosi la testa.
-
Cos’ha detto?-
-
Beh, uh, Sugimura gli ha detto di andarsene e lui…uh…preferirei
non ripeterlo, Temari-san.-
Temari
alzò gli occhi al cielo, seccata, stringendosi di più nel suo cappotto e
lanciando uno sguardo furioso al chuunin.
-
Probabilmente è soltanto un vagabondo. Se il freddo
non lo uccide, lo faremo noi. Nessuno può passare il confine senza documenti.-
Sembrando
più tranquillo, il chuunin annuì e fece cambio di guardia con lei. Temari si
portò lo scialle al viso mentre camminava verso la
prossima postazione oltrepassando le fiamme delle torce in direzione del debole
luccichio dell’acqua all’orizzonte. Da dove si trovava, l’oasi non era altro
che una pozza luccicante sulla distesa opaca della sabbia sotto la fioca luce
della luna.
Si
fermò alla nuova postazione dopo pochi minuti. L’oasi continuava a brillare,
catturando la sua attenzione. Quando distolse lo sguardo abbastanza a lungo per osservare più lontano la linea di guardia e la prossima
postazione, Temari mise a fuoco la figura di un suo compagno di squadra, una
piccola macchia nera all’ombra delle fiamme delle torce, che fissava
attentamente l’oasi con la sua stessa fermezza.
Erano
le 4:17 quando finalmente arrivò abbastanza vicino da
scorgere i confini dell’oasi. Appena distinguibile
contro il drappo blu del cielo si stagliava una forma nera come la pece,
accovacciata al bordo dell’oasi a solo una quindicina di metri di distanza
dalla torcia più vicina e dal suo rispettivo guardiano.
Temari
lo fissò a lungo, domandandosi se fosse vivo o se
fosse morto di broncopolmonite durante la notte.
Immobile,
rimase in piedi in attesa di un suono nel silenzio
dell’ambiente circostante. Ci fu solo un’estenuante silenzio
per quindici minuti—niente vento, niente uccelli e niente voci. La sabbia
giaceva docile ai suoi piedi, quieta per la mancanza di vento.
Il
cielo si illuminò di un freddo blu metallico striato
di rosso, un’atmosfera etera su quell’oscuro panorama, e appena la figura nera
divenne riconoscibile come un uomo, si mosse. Temari fece lo stesso, procedendo
in avanti appena la figura si alzò, stiracchiando le braccia verso quel cielo
metallico.
Qualcosa
di enorme e ricurvo era distinguibile con la
silhouette dell’uomo; faceva capolino dalla sua spalla.
Temari
si avvicinò ancora, le sue dita intorpidite scorrevano lungo il manico del ventaglio mentre la figura stava lì, immobile. Poi, quando
il cielo rosseggiante si sciolse in un arancio luminoso, l’uomo si voltò in
direzione del paese dell’Acqua e se ne andò.
Le
guardie osservavano in silenzio la sua figura allontanarsi, scambiandosi
sguardi confusi. Pochi minuti dopo, i loro orologi suonarono in contemporanea.
Le
cinque.
Il loro turno era finito.
- Che cosa stava facendo?-
-
Non lo so, era troppo buio per vedere.-
-
Si stava facendo il bagno. Ho sentito il rumore dell’acqua.-
-
Non essere ridicolo, la temperatura dell’acqua è gelida.-
-
Hai sentito quello che ha detto a Sugimura? Ahah…-
Temari
ascoltava passivamente i dialoghi dei suoi compagni, mentre si dirigevano al
villaggio allentando la stretta degli scialle e dei
cappotti mentre il sorgere del sole scaldava le loro schiene con i primi raggi.
Le
guardie del turno di giorno li incrociarono, portandosi dietro damigiane
d’acqua e avvolgendo bianchi turbanti intorno alle loro teste, mentre
camminavano vestiti di freschi abiti di lino per combattere come potevano il
terribile calore del sole del deserto. Temari li fissò cupamente.
Decisamente
lei preferiva il caldo al freddo, e decise di parlare con Gaara per accordarsi
su un cambio di turni.
Kankuro
stava ancora dormendo, quando lei entrò in casa, il suo russare smorzato e calmo era stranamente confortevole nel fresco e quieto
corridoio del secondo piano.
Calciando
via le scarpe piene di sabbia e abbandonando scialle e cappotto sul pavimento,
Temari si buttò sul letto e si addormentò nel preciso istante in cui la sua
testa toccò il cuscino.
Non si sarebbe ricordata del suo vago sogno di una
nera figura nella notte fino al suo prossimo turno di guardia.
La
notte seguente era leggermente più calda di quella prima, e di questo Temari ne
fu immensamente grata, allentando lo scialle mentre si
guardava intorno dalla sua postazione. Un paio d’ore erano
volate nel più totale silenzio, l’aria così fredda che il vento sembrava di
ghiaccio, pietrificato nella sua durezza. L’unico cambiamento nell’atmosfera
era il suo lento respiro che si condensava nell’aria.
Erano
da poco passate le due, e i sussurri cominciarono ancora.
Lo
stesso chuunin della notte prima corse verso di lei per cambiare posto, la sua
nuova postazione molto più vicina all’oasi di quella
precedente.
-
È tornato?- chiese atona Temari, quando il chuunin con gli occhi sgranati
gesticolò in direzione dell’oasi.
Lui
annuì energicamente, sembrando palesemente nervoso mentre
si cambiavano di posto e lei iniziò a camminare a grandi falcate verso l’oasi. Quando arrivò alla postazione, le fiamme del fuoco
divamparono con il violento soffiare del vento, riempiendole le orecchie del
ruggito del fuoco e del crepitio della sabbia.
Quando la
raffica terminò, il circondario tornò mite e silenzioso e l’unica parte
dell’oasi che poteva scorgere era la leggermente luccicante superficie
dell’acqua. Il fuoco si rifletteva sulla nera superficie mentre come
increspature macchiate di arancione, e non sentì il
suono finché non realizzò che la superficie dell’acqua era disturbata da
qualcosa.
Udì
l’acqua schizzare.
I
suoi occhi si spalancarono, le labbra si aprirono in un moto di
incredulità. La temperatura dell’acqua doveva essere vicina alla
glaciazione.
Continuò
ad ascoltare, sentendo il distinto e gentile gocciolare dell’acqua sulla
sabbia. La superficie dell’acqua si immobilizzò
nuovamente, riassettandosi come un nero e liscio disco macchiato di arancio.
Quest’immagine
si infranse all’improvviso con un udibile splash che distorse il riflesso delle
fiamme in danzanti linee arancioni sulla sua superficie increspata.
Temari
la fissò, ascoltando e respirando, le mani immobili lungo i
fianchi. Lentamente, appena le ondeggianti fiammelle arancioni ripristinarono
il loro riflesso sull’acqua, ricordi della sua infanzia e del sogno della notte
prima le arrivarono frammentari alla mente.
Uno
storno di corvi migranti, una spessa e caotica nuvola di piume e di oscurità gracchiante era scesa su Suna quando Temari
aveva circa otto anni. Non aveva mai visto prima così tante creature nello
stesso posto, nere come la pece e dal verso così acuto da indurla a nascondersi
sotto il letto. Erano scesi sulla casa e si erano piazzati sul davanzale della
finestra svolazzando intorno ad essa e picchiando sul
vetro con i loro becchi neri.
Lo
ricordava bene, sdraiata sul letto con Kankuro fissare ad occhi sbarrati
l’enorme cadavere di un corvo sul davanzale. Girò la testa e lei vide il suo
becco, lungo e nero e leggermente ricurvo. C’era qualcosa di rosso e
scintillante che pendeva da lì.
Cos’è? ricordò di essersi chiesta. Dove l’ha preso?
Allora
il corvo aveva inclinato la testa e l’aveva ingoiato. Temari ricordò di aver
urlato fino allo svenimento, quando successe.
Nel
suo sogno, la figura nera era un corvo. Il qualcosa
lungo, nero e curvo che faceva capolino—nel suo sogno
si trattava del becco.
Quando
richiamò alla sua mente la surreale e distorta immagine, essa arrivò con un
vago sentore di premonizione.
I
corvi significano qualcosa. Qualcosa di estraneo.
Qualcosa di particolare.
-
Qualcosa di male.- aveva mormorato svegliandosi quel pomeriggio, incapace di
spiegarsi perché l’avesse detto, fino ad ora.
Lei
non credeva ai segni premonitori, ma aveva detto la stessa cosa
quando Gaara era stato rapito.
Innervosita
da quel ricordo, scosse la testa e si strofinò gli occhi, respirando
profondamente prima di guardare ancora verso l’oasi. L’acqua era finalmente
calma, e tutto era in silenzio.
Le
successive due ore passarono in agonizzante lentezza senza alcun tipo di suono
o rumore, e Temari continuava a strizzare gli occhi, avvicinandosi sempre di
più con ogni cambiamento di turno.
Era
arrivata vicino ai confini quando i primi cenni di
pallida luce bluastra apparvero il cielo. Esili strisce di nuvole uscirono dai
loro nascondigli, e lei continuò a tenere gli occhi fastidiosamente incollati
alla superficie dell’acqua, aspettando l’emergere della figura, l’emergere del qualcosa ricurvo attaccato ad essa.
L’alba
arrivò nuovamente, e i confini dell’oasi si fecero nettamente visibili.
Controllò
l’orologio.
4:17.
Il
suo respiro smise di condensarsi nell’aria, e fece cadere lo scialle dal viso
alle spalle, mugugnando alla sensazione di freddo che il soffio del vento alitò
sulle sue guance umide. Altri sette minuti passarono, e poi lo vide.
Era
accovacciato al confine, come la notte precedente. Temari sgranò gli occhi.
La
cosa ricurva era sparita.
Inconsciamente,
rilasciò il respiro che aveva trattenuto.
La
figura si alzò e lo stomaco di Temari ebbe una contrazione
quando lui si inginocchiò e sollevò un
grande oggetto che giaceva accanto a lui. Nel breve momento che lo tenne
ben visibile, lei fu in grado di capire cosa fosse.
Una
falce. La sua silhouette nero pece si stagliava contro
il blu elettrico del cielo, alta quasi più della figura che la teneva in mano,
fornita di tre lame affilate e ricurve.
Il
sollievo avrebbe dovuto essere l’ultima cosa che lei avrebbe dovuto provare, ma
le sue spalle si rilassarono quando lui la attaccò
alla schiena e si girò per andarsene di nuovo, giusto quando le prime tinte
arancioni iniziavano ad illuminare il
cielo.
Mezz’ora
più tardi, finì il suo turno.
-
Voglio uccidere quel bastardo.-
- Che ti ha detto stavolta, Sugimura?-
-
Non hai visto quell’arma? Forse dovremmo avvertire Kazekage-sama…-
-
No.- rispose secca Temari, girandosi a guardare in viso il
jounin allarmato, fermandosi nel mezzo del loro cammino verso il villaggio.
-
Kazekage-sama ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, al momento. Se succede qualcosa, ce la sbrigheremo da soli. Capito?-
-
Sissignora.-
Temari
si rivolse al jounin conosciuto come Sugimura.
Sembrava infuriato.
-
Problemi?- chiese lei, alzando un sopracciglio.
-
Lo straniero gli ha detto qualcosa.- rispose un amico del
jounin, con un ampio ghigno.
- Cosa ti ha detto?-
Il
viso di Sugimura si colorò di un rosso intenso.
-
Preferirei non…-
-
Insomma, non ho dodici anni.- disse Temari con impazienza.- Qualunque cosa sia, non morirò per averlo sentito. Sputa il rospo.-
-
Gli ho detto di andarsene via…e…”- Sugimura si bloccò, il viso ulteriormente
arrossato. Il suo amico allargò il sorriso e gli mise una mano sulla spalla.
-
Lo straniero gli ha detto di andare da qualche parte a
incularsi un cammello, Temari-san.-
L’intero
gruppo di guardie scoppiò in una fragorosa risata.
Temari
si limitò a fissarli incredula.
Il
giorno passò velocemente. Temari si svegliò alle quattro del pomeriggio, e con
tutto il tempo che ci mise a svolgere le sue faccende e a partecipare agli
incontri si fecero le nove.
Aspetto la mezzanotte a casa, sfogliando le pagine di
un libro mentre la sua cena si scaldava in forno. Kankuro sedeva al tavolo in cucina, collezionando
sguardi omicidi ogni volta che la importunava
innocentemente con le sue marionette.
Alle
11:30 si mise in cammino verso il confine, saltando di
tetto in tetto. Appena le case terminarono e arrivò in periferia, Temari aprì
il suo ventaglio e colse la più forte folata di vento, aggiustando il suo mezzo
su di essa e cavalcandola fin dove doveva arrivare.
La
raffica la portò a destinazione in mezz’ora, e seguì il percorso illuminato
dalle torce finché esse si divisero in due linee divergenti, una a destra e una
a sinistra. Atterrando sulla sabbia, scambiò uno sguardo con la guardia che era
rimasta lì dalle sette del mattino.
Questo
mormorò distrattamente un ringraziamento mentre lei
gli dava il cambio, e iniziò a incamminarsi verso sud, calpestando la sabbia
smossa dal vento verso la sua postazione.
Quando
arrivò, notò con piacere che l’oasi era meglio illuminata degli altri giorni,
la luna si rifletteva nitidamente nello specchio d’acqua.
Sbottonando
il contenitore del ventaglio dietro la sua schiena, Temari estrasse la sua arma e con un movimento di polso estinse tutte le fiamme
delle torce. Il fumo salì verso il cielo in pigre spirali d’argento; le ceneri
ardenti brillavano d’arancio e tenue cremisi ad intervalli, riempiendo l’aria
fredda del dolceamaro aroma di legno bruciato.
Le
ceneri si erano fatte nere e fredde quando lei si sedette
vicino alla torcia ad aspettare.
Pochi
minuti dopo, udì un debole splash.
Colta
di sorpresa, gettò uno sguardo in direzione dell’acqua, notando le increspature
in superficie.
Aspettò
altri tre splash,
strisciando in direzione del rumore e alzandosi gradualmente in piedi. La
velocità era cruciale nell’accertare l’identità della figura.
Infilò
una mano nello zaino che aveva in spalla e ne estrasse
un paio di piccole bombe luminose. Una volta strappata la sicura, le avrebbe
lanciate in direzione dei confini dell’oasi: nessuna pausa. Velocità. Il solo sibilo dell’accensione sarebbe
bastato a farlo scappare allarmato.
Mordendosi
il labbro, contò fino a dieci nella sua mente, infilando il dito nella sicura
ancora attaccata alla bomba.
…9….10.
La
bomba iniziò a sibilare nell’istante in cui tolse la sicura, e nel momento in
cui vide una luce rossa, Temari la lanciò più forte che poteva. Si mosse a
spirale nell’aria, e atterrò illuminando l’area sabbiosa dove ora si trovava:
una grande porzione di oasi divenne improvvisamente
visibile, l’acqua brillava di un color rosso sangue. Ci fu un gridolino sorpreso, seguito da un forte rumore di acqua.
Temari
fece appena in tempo ad accorgersi della figura mezza nuda che era caduta per
metà in acqua che quello subito si portò nel lato oscuro dell’oasi, fuori dal cerchio di luce.
Temari
ghignò e lanciò la seconda bomba luminosa.
Questa
atterrò accanto a lui, che bestemmiò mentre si
allontanava dalla luce. Nell’accecante bagliore dei due cerchi di luce, Temari
potè distinguere la falce e accanto ad essa il
cappotto dell’uomo, di stoffa nera.
Temari
inspirò e il suo ghignò sparì quando le forme sul
cappotto divennero nettamente visibili.
Nuvole
rosse.
Corvi. Oscuri presagi. Qualcosa di male.
Il
suo dito si mosse sulla ricetrasmittente.
-
Non muovetevi!- gridò, il suo ordine perentorio diretto ai suoi compagni di
guardia.- Me ne occupo io.-
La
sicurezza con cui li aveva avvertiti non fece trapelare nulla della paura che
le attanagliava le viscere.
Conosceva
quei cappotti. Ricordava che i proprietari di quei cappotti erano quasi stati
responsabili della morte dei suoi fratelli.
Ci
volle ogni singola goccia del suo autocontrollo per impedirle di aprire il
ventaglio e lanciarsi furiosamente contro quell’uomo.
Si
accorse si avere il respiro tremante, e si costrinse a restare calma, chiudendo
le dita in stretti e dolorosi pugni.
La
figura era appunto di un uomo, a torso nudo e fradicio dov’era caduto
nell’acqua. Sedeva sulla sabbia e aveva una mano alla tempia, giusto sul
sopracciglio; alzò lo sguardo nella sua direzione.
-
E quello che cazzo era?- gridò, sembrando furioso.- State cercando di darmi fuoco, brutte teste di cazzo di Suna?-
-
Zitto!- gridò Temari in risposta, scioccata dal modo
in cui la sua voce sembrava sull’orlo del panico.- Tornatene da dove sei venuto!-
-
Cara la mia stronza,- ribattè arrabbiato, alzandosi in
piedi con le braccia lungo i fianchi.- sei cieca, per caso? Sono ancora nel
paese dell’Acqua!-
-
Vattene!- gridò violentemente Temari, la furia palese nella sua voce.- Fuori di
qui!-.
-
Provaci.- rispose,
zittendola.
L’impulso
di sfoderare il suo ventaglio e trafiggere quell’uomo con migliaia di kunai era
quasi irrefrenabile. Non credeva umanamente possibile raggiungere livelli di
repulsione talmente alti, e nemmeno provare un tale desiderio di provocare
quanto più dolore possibile a qualcuno.
Digrignando
i denti, seppellì le caviglie nella sabbia e afferrò il bastone della torcia
dalla fiamma ormai estinta. Il legno di scheggiò per
l’intensità della sua stretta.
Si
forzò a normalizzare il respiro, e quando parlò di nuovo la sua voce suonava
più calma.
-
Perché sei qui?- chiese,
rendendo la sua voce il più autorevole possibile.- Rispondi!-
-
Questi non sono per un cazzo affari tuoi, o sbaglio?-
replicò aspramente, togliendosi di dosso i residui di sabbia umida.
La
sua stretta intorno alla torcia aumentò, le sue dita dolevano
per lo sforzo. Mordendosi il labbro, Temari lo fissava intensamente con odio,
mentre si accovacciava vicino al margine dell’oasi, sussurrando maledizioni e
gettando acqua sul suo braccio sporco di sabbia.
Se
Temari fosse stata di umore più calmo, magari si
sarebbe meravigliata di come lui fosse in grado di sopportare il soffio gelido
del vento e l’acqua gelata sulla pelle nuda. Ma ora ogni
vestigia di coerenza era sparita dalla sua mente, rimpiazzata da odio e
disgusto.
Lo
voleva morto. Morto e sepolto nella sabbia sotto i suoi piedi.
Strinse
nuovamente i pugni.
- Vattene ora.- gli ordinò,
la sua voce chiara e forte nell’aria immobile.- Questo è l’ultimo
avvertimento.-
- Ah
sì?- la sfidò, alzandosi in piedi e guardando nella sua direzione, pur senza
vederla.- Altrimenti? Mi piacerebbe proprio vederti varcare per prima il
confine, stronza.-
- Se mi darai un’altra ragione per farlo, lo farò.- disse
freddamente.-
-
Un’altra ragione? Cazzo, sono seduto qua a farmi gli
affari miei e tu cerchi di darmi fuoco!- gridò, sembrando parecchio indignato.-
Merda, Deidara aveva ragione. Vuoi ninja di suna siete dei fottutissimi pazzi.-
-
Conosco l’organizzazione di cui fai parte.- disse Temari, senza sapere se lui
la stesse sentendo o meno.- So che tipo di gente
siete.-
- Se è così allora saresti un’idiota se attraversassi per
prima il confine.- disse lui, il ghigno palese nel suo tono di voce.
- Se continuerai a darmi ragioni per…-
-
Non sto facendo niente!- ruggì, calciando un mucchietto di
sabbia.- Porca puttana, sono ancora nel fottuto paese dell’Acqua!-
- Sei membro di un’organizzazione criminale. Vattene.-
-
Come se prendessi ordini da te. Non vado proprio da nessuna parte.-
- Vattene.-
-
Vieni qui e provaci.-
-
Vattene.-
-Vaffanculo!-
Temari
strinse i denti, guardando furiosamente l’uomo che stava ostinatamente nel
mezzo dei cerchi di luce rosa, il suo corpo baciato dai riflessi cremisi.
Strinse
la torcia con più forza per evitare di procedere verso di lui, ricordando a se
stessa che era un ninja di livello S con abilità sconosciute, ricordando a se
stessa che sarebbe stato un suicidio attaccare per prima.
Incapace
di pensare a una risposta, rimase in silenzio. Lui era
ancora lì che fissava nella sua direzione, ma non riusciva a vedere la sua silhouette nell’oscurità. Pochi minuti dopo, lui si girò e
si diresse dove aveva lasciato il suo cappotto, sedendosi sulla sabbia accanto
ad esso.
Non
si fece problemi a spostarsi dall’area illuminata. Lei lo guardava, vagamente
turbata dalla sua immobilità e dal suo silenzio. A un certo punto, si aspettava una qualche arma comparire
all’improvviso dalla sabbia, o una sua qualsiasi mossa, qualsiasi, anche solo lontanamente provocatoria.
Ma lui si
limitava a stare seduto lì, ancora a torso nudo nel freddo pungente.
Ora
capiva perché le altre guardie avessero trovato la sua presenza così snervante.
- Cosa stai facendo?- domandò alla fine.
Lui
non rispose.
La
voce di Temari salì di un’ottava.
-
Ehi, ti ho chiesto…-
- Vuoi stare zitta?- ribattè improvvisamente.- Cazzo, sto
cercando di pregare!-
Temari
era sicura di aver capito male.
-
Tu cosa?-
-
Ok, seriamente, mi stai rompendo i coglioni. Jashin-sama
non riesce a sentirmi con te che spari cazzate, quindi stai zita.-
Di
nuovo non riuscì a credere alle sue orecchie, ma era troppo
infuriata dal suo fare sprezzante per chiederglielo di nuovo.
-
Senti, testa di cazzo. Se le mie cazzate servono
a farti sloggiare, allora non ho nessuna intenzione di
smettere.-
- Se non la smetti, ti darò un valido motivo per oltrepassare
il confine e ti zittirò personalmente.-
-
Non aspetto altro, bastardo. Dammi solo un motivo.-
-
No, seriamente, hai dei problemi? Lasciami in pace!!-
-
I problemi li avrai tu, semmai! Perché non te ne vai e la facciamo finita?-
-
Ma perché cazzo dovrei obbedirti?-
-
Va bene, non ascoltare. Continuerò a dire cazzate, allora.-
-
Quando avrò finito di pregare, ti giuro, Jashin-sama
ti manderà una di quelle punizioni che nemmeno riesci
a immaginare.-
Temari
lo fissò senza replicare, finalmente accettando il fatto che
le sue orecchie non la stavano ingannando.
Era
lì per pregare? Un membro
dell’Akatsuki era nel mezzo del deserto alle fotuttissime
due del mattino per pregare?
-
Tu sei pazzo.- constatò Temari.- o stai mentendo. O
entrambe le cose.-
-
Di cosa cazzo stai parlando, blasfema? Ti ho detto che
non sto facendo un fottuto cazzo.-
Temari
fissò criticamente la sua figura bordata di luce rossa che sedeva a gambe
incrociate sulla sabbia.
Ad
essere onesta,m doveva riconoscere che quell’uomo non
aveva fatto nulla di neanche lontanamente sospetto, a parte trovarsi lì. Non solo, insisteva anche di
trovarsi lì per pregare, e sarebbe stato da stupidi provocarlo ad attaccare
senza sapere quali fossero le sue abilità.
Sconfitta,
Temari rimase in silenzio continuando a guardarlo. Aveva riabbassato la testa
per ricominciare con le sue preghiere.
Quindici
minuti dopo, quando il suo orologio squillò, Temari rimase seduta. Schiacciò un
bottone sul display e informò gli altri di mantenere le proprie posizioni fino a quando non fossero giunti i loro sostituti. Il suo gelido
tono perentorio li fece desistere dal porre una qualsiasi domanda.
Non
c’era più la sensazione di freddo. Temari non sentiva nulla, mentre lo
osservava da dove era seduta, dimenticandosi di rabbrividire o di sbattere le
palpebre, catturata dalla sua figura. Tutto ciò che percepiva era una leggera
consapevolezza del momento presente.
Probabilmente
stava stringendo qualcosa tra le mani, ma da dove si trovava per lei era
impossibile capire di cosa si trattasse. E in più una delle fiamme di luce rossa si era spenta,
l’altra prossima a seguire la compagna. La sua debole luce
cremisi brillava sporadicamente, allungando e distorcendo la sua ombra
sulla sabbia rossa.
Temari
si morse un labbro e lanciò un’altra bomba luminosa.
Non
aveva nessuna intenzione di perderlo di vista,
specialmente non ora che sapeva, all’incirca, chi fosse.
-
Ehi tu.- lo chiamò, quindi accese una terza fiamma e la lanciò.
Lui
alzò la testa solo quando questa atterrò…sul suo
cappotto.
-
Porca puttana!-
Temari
sentì un vago senso di soddisfazione quando la sua
manica prese fuoco e lui iniziò a raccogliere manciate di sabbia da buttare
sull’indumento per estinguere le fiamme.
Dopo
aver praticamente sepolto il cappotto nella sabbia e
aver spento il fuoco, si alzò di nuovo in piedi e fece qualche passo avanti,
fermandosi proprio sul confine sabbioso.
Lei
sogghignò.
-
Ok, ora stai davvero esagerando!- gridò furiosamente.-
Provaci un’altra volta e io…-
-
Zitto.- ordinò Temari, soddisfatta del tono di freddo distaccamento che aveva
assunto la sua voce.- Finché sei qui, non posso permettermi di perderti di
vista.-
Si
aspettava che lui iniziasse a lanciare maledizioni e a gridare più forte.
Quello che non si aspettava, era che lui raccogliesse la seconda fiamma che si
stava spegnendo e la lanciasse con violenza verso di lei.
Trattenendo
il respiro, si lanciò di lato nella sabbia, evitando di poco la fiamma che si infranse contro la torcia dove lei era appoggiata. La
collisione del metallo della bomba luminosa con il legno rimbombò nel silenzio
del deserto, e una doccia si lucenti scintille piovve
su di lei, illuminando la zona.
La
fiamma si spense quasi subito, ma il danno era stato
fatto.
-
Ha! Ti vedo, stronza!- gridò trionfante.- Avresti dovuto tenere chiusa la tua
fottuta bocca!-
Momentaneamente
stupita, Temari continuò a stare sdraiata nella sabbia, chiedendosi come
diavolo avesse fatto a lanciare la bomba luminosa con tale precisione. non riusciva a vederla dalla sua posizione, quindi l’unica
cosa su cui avrebbe potuto basarsi era il suono della sua voce.
La
sua gola si strinse in un moto di rabbia e di ansia.
Non
solo gli aveva rivelato la sua posizione, ma l’aveva anche sottovalutato.
Il
suo lancio perfetto avrebbe anche potuto essere un colpo di fortuna, ma se lei
fosse stata di un solo secondo più lenta nei
movimenti, la bomba le avrebbe fracassato il cranio.
- Tch, mancata.- mormorò, prima di girarsi e tornare dove si
trovava prima.
Temari
si mise lentamente a sedere, lo shock che si trasformava nuovamente in rabbia.
-
Per tua fortuna mi hai mancata.- disse in tono aspro.-
Altrimenti avremmo un valido motivo per ucciderti.-
-
Ehi, ora te lo do il motivo. Potete venire tutti qui…e io vi sacrificherò
al mio dio.-
Di
nuovo Temari si zittì, straniata per le parole. L’idea che un uomo religioso facesse parte di un’organizzazione criminale era
semplicemente assurda, ma comunque non aveva idea di che religione lui fosse
discepolo.
E non voleva
saperlo, si disse mentalmente. Voleva che se ne andasse.
Ma lui
rimase lì, ostinato, vicino all’acqua; la sua arma riposava a pochi centimetri
dalle dita.
Anche la
terza fiammata si estinse come le altre due. L’unica reazione di Temari fu
quella di accendere la penultima bomba luminosa e lanciarla, stavolta ben
lontano da qualsiasi proprietà dell’estraneo.
Lui
alzò lo sguardo per un attimo, ma non disse nulla.
Mezz’ora
dopo, Temari lanciò l’ultima fiammata.
Si
spense alle 4:15, giusto quando il cielo stava
iniziando a schiarirsi. La luce cremisi si dissolse in
un freddo blu metallico, facendo apparire quell’uomo quasi statuario.
Non
si era mosso per un’ora e mezza.
Ma
non appena la prima tinta di azzurro si fece strada
nel cielo lievemente rischiarato, si alzò.
Temari
lo osservò prendere il cappotto e indossarlo, lo osservò anche afferrare la sua
falce. Ci fu un momento di silenzio in cui si voltò verso di lei, e Temari ebbe
una sensazione di freddo, la pelle d’oca sulle braccia e sulle gambe, nella consapevolezza
che lui riusciva a scorgere il suo profilo stagliato contro il blu del cielo
che si andava illuminando.
Fu
lei a rompere il silenzio, con la voce calma.
-
Non tornare.-
Lei
non riusciva a vedere il suo volto, da dov’era seduta, ma era sicura che stesse
sogghignando quando rispose:
-
Solo perché mi hai detto questo, tornerò.-
Poi
si girò e se ne andò.
Quaranta
minuti dopo, il turno di Temari terminò.
Il
cammino verso il villaggio fu silenzioso. Quando
Temari tornò a casa e salì le scale per il secondo piano, si fermò nella stanza
di Kankuro. Suo fratello dormiva rumorosamente, comodamente spaparanzato sul
letto, la coperta un cumulo aggrovigliato sul
pavimento.
Il
suono dei suoi delicati e regolari respiri si infiltrò
nel corridoio, in netto contrasto con la stridente cacofonia dei pensieri che
le attraversavano la mente.
Temari
guardò suo fratello, e di gettò il suo odio per
l’Akatsuki proruppe con una tale intensità da farle quasi venire la nausea.
Le
avevano quasi portato via Kankuro e Gaara, e uno di
loro era adesso a un passo dalla linea di confine.
Soltanto
guardando Kankuro dormire, le si affacciarono alla
mente i vividi ricordi che lo vedevano giacere pallido e prossimo alla morta
sul letto dell’ospedale, i suoi lineamenti contorti in un’atroce agonia. Si
ricordò di come fosse così debole che non riscriva nemmeno a stringerle la mano
e le si formò un nodo alla gola.
Chiudendo
gentilmente la porta di Kankuro alle sue spalle, Temari fece un respiro
profondo.
Quando
pensava a lui, a quel recalcitrante soggetto scurrile vicino alla linea di
confine, la sua mascella si serrava così tanto che le
faceva male, lo sguardo si induriva e i pensieri diventavano velenosi.
Un
motivo—era tutto ciò di cui aveva bisogno. Una legittima ragione, e lei avrebbe
potuto staccargli la testa dal collo, e possibilmente spedirla in un pacco alla
sua organizzazione.
Quando si
risvegliò dalla fantasia e si sorprese a sogghignare, il pensiero di un
eventuale scontro venne la riempì di timore e ilarità.
Alle
sei del mattino, quando si gettò pigramente nel suo letto e affondò la testa
nel cuscino, Temari non chiuse gli occhi, il rumore nella sua testa era
insopportabile nel buio. Optò per fissare il soffitto,
e le apparve una figura senza volto, ma con un grande ghigno.
Solo perché mi hai detto questo, tornerò.
Temari
non chiuse occhio.
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