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Autore: Michy90    02/05/2007    4 recensioni
Come Sao Feng entrò in possesso delle Carte nautiche, la rotta ai Confini del Mondo? E chi è in realtà Mira, la spregiudicata ladra ed assassina che lui ha assoldato? E cosa c'entra con loro un gioiello chimato "La Stella D'Oriente"? Prima dell'avventura che lo porterà ai Confini del Mondo, tra colpi di spada e tempeste in mezzo ai mari più insidiosi, Sao Feng dovrà confrontarsi anche con una misteriosa leggenda, indissolubilmente legata al suo destino e a quello di Mira...
Storia in via di revisione
Genere: Romantico, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sao Feng
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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~ Prologo ~

 

 

Dehli, agosto 1726

La notte era scesa da ore quando una figura ammantata di nero saltò agilmente al di là dell’altissimo muro di cinta del palazzo reale dei regnanti d’ India, a Dehli. Atterrò senza quasi emettere alcun suono e si rialzò, guardandosi intorno per accertarsi che nessuno avesse sentito nulla. Ma fu una precauzione inutile.

La strada era deserta.

La figura, incurante però dell’assenza di anima viva in quella stradina, non abbassò la guardia: ciò che stava facendo aveva come pegno la sua vita. Se avesse fallito anche solo per una stupidaggine non se lo sarebbe perdonato, per il resto della sua esistenza.

Si appoggiò al muro, facendovi aderire completamente la schiena e, il viso voltato a sinistra per controllare di essere effettivamente l’unica persona in quel vicolo, avanzò con cautela strisciando contro il muro. Fu solo quando arrivò alla fine di quella lunga barriera, all’incrocio con la strada principale, che si arrischiò a sbirciare.

L’ingresso del palazzo del Sultano era sorvegliato da due corpulente guardie ai lati della porta, munite di fucile e sciabola alle cinte con la chiara intenzione di intimorire chiunque fosse passato di là. Altre due guardie camminavano a passo di marcia avanti e indietro, incrociandosi e cambiando reciprocamente posizione, senza interruzione.

La zona in cui si trovava il Palazzo era sul punto più alto della città, costruito sopra la collina che dominava la “capitale del commercio” -così veniva chiamata Dehli- e luogo di residenza estiva del Sultano e della sua famiglia. Il centro abitato lo circondava come un plotone di difesa, sebbene situato molto più in basso rispetto all’edificio, quasi come a ricordare la differenza di casta che contraddistingueva le migliaia di persone di quella città marinara e commerciale così cosmopolita.

La figura approfittò dell’ombra scura causata dalla luna coperta dalle nuvole per attraversare la via, scivolando nel vicolo scuro di fronte a quello che aveva lasciato.

Si voltò solo un momento, lanciando un’ ultimo sguardo a quell’imponente edificio, che si stagliava alto nel cielo, augurandosi con tutto il cuore di non rivederlo mai più, il cuore che martellava furente nel dire addio alla sua prigione.

Scese la collina serpeggiando nel buio, inoltrandosi nelle strette stradine della città, che conosceva alla perfezione nonostante tutto, scivolò lontano dal Palazzo, ritrovandosi nel centro abitato.

Non c’era quasi nessuno, a quell’ora della notte, nel cuore della città. Solo il porto era un luogo sufficientemente affollato in cui rifugiarsi.

Un porto di pirati. Distava circa mezz’ora di cammino dalla città e si trovava dietro una ripida scogliera, nascosto.

La posta in gioco era altissima, ma doveva rischiare: se avesse esitato, se avesse pensato anche solo per un momento di tornare indietro, la sua vita sarebbe finita: tutto ciò che aveva sognato sin dalla sua infanzia le sarebbe sfuggito dalle mani proprio mentre era convinta di averlo preso.

Prese coraggio e attraversò tutta la città, cercando di farsi vedere il meno possibile e mano a mano che si avvicinava al porto, il rumore di bottiglie infrante, tavoli rovesciati e risate sguaiate di uomini cresceva a dismisura.

Quando ormai fu in vista il luogo d’origine di quella bolgia,- il bordello che fungeva da locanda, un edificio abbastanza grande situato sul molo-, si fermò dietro un muro, avvolta dal buio, calandosi il cappuccio: due bruni occhi di cervo, il viso liscio dalla pelle leggermente scura, labbra carnose. Sotto il mantello si indovinava il profilo di un corpo snello e ben curato, i seni prosperosi che spiccavano elegantemente sul petto.

Il suo viso non dimostrava neanche vent’anni, ma il suo corpo era già molto più adulto. E non pochi uomini avevano dimostrato il loro apprezzamento. Rabbrividì al pensiero, mentre delle immagini di angoscia dei suoi anni passati le tornavano alla mente.

Con passo deciso, sforzandosi di ignorare quei ricordi e il fastidiosissimo rumore che proveniva dai dintorni della locanda, la ragazzina si avviò verso il molo, dove erano ormeggiate centinaia di barche e navi, su alcune delle quali uomini e donne chiaramente ubriachi cantavano canzoni piratesche o si univano senza alcun pudore.

Il primo istinto della ragazzina fu quello di allontanarsi da quel luogo. Ricordava benissimo le parole della sua governante: quello era un luogo dissoluto, depravato, frequentato dalla peggior feccia del mondo: i pirati.

Ma in quel momento non le importava. Ovunque sarebbe andata, qualunque sarebbe stato il suo destino, sicuramente sarebbe stato migliore di ciò che si era lasciata alle spalle, migliore di ciò che sarebbe successo se fosse rimasta in quella che per diciassette anni aveva chiamato casa, ma che le aveva regalato solo tanta sofferenza.

Cercando di assumere un’aria sicura e disinvolta come in realtà non si sentiva affatto, la ragazzina si diresse alla passerella più vicina, che faceva da ponte per un molo non molto grande a cui erano ormeggiate almeno cinquanta barche e ordinate enormi casse scure che proiettavano la loro ombra sul legno annerito dalla notte senza stelle.

Camminò lentamente fino al bordo ed osservò l’acqua scura all’orizzonte, assaporando per la prima volta in vita sua una sensazione di completa libertà, inspirando ed espirando, gli occhi chiusi e le labbra piegate in un sorriso appena accennato. Ce l’aveva fatta, era riuscita ad andarsene: ora era libera, finalmente. Da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata, in meglio. Lo sentiva.

La ragazzina si portò una mano alla fronte, in mezzo agli occhi, dove teneva un elegantissimo gioiello intrecciato: il simbolo della Casa Reale. Lo prese e lo tolse, tenendolo in mano e guardandolo dall’alto quasi con disprezzo, come se quell’oggetto, seppure simbolico, fosse la causa di tutto il suo dolore.

Poi, con un gesto rabbioso accompagnato da un basso grido di frustrazione, lo gettò in mare, guardandolo cadere a poco a poco sul fondo, finché fu impossibile distinguerlo dall’acqua nera.

Un peso definitivamente tolto, un nuova vita che cominciava. Ci sarebbe stata felicità, avrebbe fatto di tutto per assaporare quel sentimento così fugace del quale aveva avuto solo un piccolo assaggio.

Fece appena in tempo a voltarsi, quando un uomo a pochissimi metri da lei, trasandato e chiaramente ubriaco, la bloccò.

-Ehi, bambolina..Ciao- disse, appoggiandosi ad un palo di legno troppo vicino a lei -Vieni, andiamo a divertirci, eh?-

Dall’accento, sembrava inglese. Istintivamente, la ragazzina fece un passo indietro e si rese conto con orrore di trovarsi al bordo del molo. Ancora un altro passo e sarebbe caduta in mare.

-No, non devi scappare, bambina- l’uomo, con un’agilità insolita per essere ubriaco, si protese in avanti e l’afferrò per un braccio, tirandola addosso a sé, tanto che lei sentì il suo alito pestilenziale. Il seno schiacciato contro il petto dell’uomo, cercò di divincolarsi, ma quello già le aveva preso i polsi ed era sceso avido sul suo collo morbido, mentre lei cercava di sfuggirgli, voltando il viso a destra e a sinistra

-Lasciami!- gridò.

Quello rise, portandole i polsi prigionieri dietro la schiena,facendola aderire di più al suo corpo. Senza smettere di ridere, abbassò la testa sul suo seno e la ragazzina sentì le sue labbra insinuarsi nella scollatura.

-No, no!- gridò divincolandosi e colpendo l’uomo con un calcio in uno stinco. Quello immediatamente la lasciò andare, imprecando, e lei corse via il più velocemente possibile. Ma non bastò.

-Vieni qui, maledetta ragazzina!- l’uomo l’agguantò per le spalle, coprendo in pochissimo tempo la poca distanza che li separava, costringendola a voltarsi, ma stavolta lei era pronta: lo colpì in pieno viso con un pugno. Non era molto forte, ma almeno servì a distrarlo di nuovo, giusto il tempo di sguainare una sciabola dalla cintura e di puntarla alla gola dell’uomo, che s’immobilizzò all’istante.

Ansimando, la spada stretta spasmodicamente tra entrambe le mani, la ragazzina parlò -Non provare a toccarmi-

-Oh, no, non ci provo affatto…- rispose quello calmo. Sembrava proprio che non fosse spaventato -Lo faccio e basta!- aggiunse mentre con un’abile mossa piegava i polsi della ragazza, che per il dolore lasciò cadere la sciabola a terra, gridando. L’uomo l’afferrò tirandosela addosso e la tenne stretta, il braccio come una morsa sul ventre della ragazza. Avrebbe dovuto immaginarlo, non era ancora pronta per affrontare un combattimento: persino un uomo ubriaco era riuscito a disarmarla. Un uomo ubriaco che voleva divertirsi un po’ con lei.

-No, lasciami!- gridò, divincolandosi, spaventata da quell’ultimo pensiero. Ma l’unica cosa che ottenne fu di ritrovarsi senza fiato a causa della stretta soffocante sullo stomaco.

-Mi piacciono le ragazzine ribelli- soffiò quello all’orecchio della giovane.

-Maledetto..- mormorò lei.

Era sull’orlo della disperazione, non sapeva cosa fare: aveva sognato tanto la libertà, non essere più rinchiusa fra quelle mura. Aveva odiato dover andare in giro per la città come una ladra, coperta dalla testa ai piedi, per non farsi riconoscere. Aveva desiderato poter essere come tutte le donne del suo paese, libera di fare ciò che voleva.

Libera di amare chi voleva.

Come poteva, quella libertà, finire prima ancora di cominciare? Era davvero così il mondo reale, che le era stato celato fin dalla nascita? E lei, avrebbe davvero permesso che fosse quello il mondo che tanto desiderava vedere?

“No” si disse “Non è questo che voglio”.

Fece appello alla sua forza di volontà, e mentre l’uomo la scaraventava a terra, sedendosi sopra di lei per tenerle ferme le gambe e stringendole le mani sottili sopra la testa, lei cercava il modo per poter utilizzare il pugnale, abilmente nascosto nella tasca interna del mantello, che per fortuna il suo molestatore non aveva visto.

Smise di agitarsi. Se fosse stata tranquilla, forse quello avrebbe allentato la guardia.

E così fece. Cercando di nascondere il suo disgusto, lasciò che quello ricominciasse a tormentarla, ridacchiando. La ragazza si morse le labbra per non emettere alcun suono, quando quello cominciò a baciarla sul collo.

Provò disgusto per sé stessa, quando si ritrovò a pensare che dopotutto quel contatto, mai provato prima in vita sua, le provocava un piacevole calore nel corpo.

Ma non avrebbe mai vissuto quell’ unione con un uomo che avrebbe amato. Quel pensiero le tolse il fiato, mentre l’uomo sopra di lei, quasi completamente perso nell’estasi, le allentava la stretta attorno ai suoi polsi, e mano a mano che si distraeva la abbandonava. Spaventata, guardò l’uomo aprirsi in fretta e furia i pantaloni e, mossa dalla paura, rotolò di lato, lontano da lui. “Il pugnale!” pensò mentre si rialzava. Era la sua ultima risorsa. Corse in fretta nel buio del molo, dietro un’enorme cassa di legno.

-Dove sei, maledetta ragazzina?- gridò quello si era alzato da terra barcollando. –Esci fuori!-

Ansimando e cercando di riprendersi dallo spavento, la ragazzina si appoggiò a occhi chiusi ad una cassa. Se fosse rimasta ancora un attimo di più… Non voleva pensare a quello che sarebbe sicuramente successo.

Facendo attenzione a controllare i suoi movimenti per non farsi scoprire dall’uomo, che camminava precariamente sul molo, guardando ovunque in cerca di lei, prese il pugnale dalla tasca e si azzardò a sbirciare fuori del suo rifugio, il cuore che batteva impazzito, ma non lo vide più: forse se n’era andato?

-Ecco dove sei…- la voce giunse sussurrata alle sue orecchie e prima che potesse accorgersi della presenza dell’uomo dietro di lei, si ritrovò bloccata per le spalle contro la cassa che aveva funto da nascondiglio.

-Ora non mi scappi…- sorrise beffardo l’uomo, mentre si abbassava a finire quello che aveva appena cominciato. La ragazzina cercò di divincolarsi, ma la presa sulle sue spalle era ferrea e si ritrovò a lamentarsi per il dolore. Quello si chinò sul collo della giovane, mentre lei sollevò la mano che stringeva ferma il pugnale. Tolse piano l’arma dalla guaina, tenendo d’occhio il suo molestatore, e vide il suo collo a pochi centimetri da lei.

In quel momento avvertì una collera mai provata prima, una rabbia cieca e folle che la guidava, comandando la mano che stringeva il pugnale. Sentì il bisogno di uccidere, fare del male, almeno quanto ne stava provando lei in quel momento e fino ad allora.

Condotta da quell’insano istinto che le bruciava le viscere, affondò con ferocia l’arma nel collo del suo molestatore, sentendo l’urlo spezzato provenire dalla sua gola, il sangue che sgorgava copioso dal taglio mortale che aveva inferto, inzuppandole il viso e i vestiti. Riverso sul suolo di legno del molo, cercando disperatamente di respirare, l’uomo guardò la ragazzina alzarsi in piedi, ansimando.

Non una traccia di paura negli occhi della giovane, per quello che aveva appena fatto, né di rimorso. Solo odio, un odio profondo, covava nel suo sguardo. Nessuna pietà.

Quasi con noncuranza, sistemò come poté il corpetto scomposto, coprendosi col mantello, e mise in ordine la gonna, chinandosi poi per tirar fuori il pugnale dalla gola dell’uomo e sussurrargli -Addio- mentre lo spingeva al di sotto del molo, sul basso fondale.

Al chiaro di luna, rimase a guardare quell’acqua nera tingersi di un rosso cupo. Poi, come se nulla fosse successo,  si avviò verso la locanda.

Ora il frastuono non era nulla per lei. Le tempie pulsavano, sentiva il sangue nelle sue vene…sangue…

Aveva commesso il suo primo omicidio. E non sarebbe stato l’ultimo.

La ragazzina, segregata tra quattro mura, spaventata dalla vita, era morta, uccisa dall’omicidio che aveva commesso. La donna era appena nata.

Una donna che, con il nome di Mira, nel corso degli anni a seguire avrebbe concesso il suo corpo a innumerevoli uomini. Una donna che sarebbe diventata abilissima con la sciabola e le armi da fuoco, viaggiando per ogni dove, uccidendo e rubando su commissione, per sfuggire al suo passato, mentre nel mondo si diffondeva la notizia che la principessa d’India, promessa sposa del severo e rigoroso principe della Cina, era scomparsa, ed ogni sforzo per ritrovarla era stato fino ad allora vano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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