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Autore: solosilenzio    20/10/2012    3 recensioni
Non sentì i passi di Louis, tantomeno le braccia che lo avvolsero: sapeva che c’erano, le percepiva, ma cercava di estraniarsene, di non prenderle in considerazione.
«Piccolo? Ehi, piccolo, che succede?» altri sussurri, parole al vento.
«Lasciami stare, non mi toccare.» mormorò, divincolandosi con forza.
«No, non ti lascio. Spiegami cosa succede. Spiegami e lo farò.»
Ma Harry non aveva alcuna forza per controbattere: lasciò che quelle braccia tanto amate e odiate lo stringessero con ancora più forza, grigie ormai anche loro.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'It just kind of happened.'
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I can feel the colour running as it’s fading from my face.




Harry sentiva freddo quel giorno, non sapeva nemmeno lui bene il perché: era avvolto in più e più strati, eppure quella spiacevole sensazione non accennava ad andarsene.
Avvicinava continuamente al camino le mani ormai intorpidite in cerca di ulteriore calore, ma nemmeno quello lo aiutava.
Coprirsi e scaldarsi erano gli unici rimedi contro il freddo e proprio non sapeva più cosa escogitare – specialmente quando ogni tipologia di rimedio non era servita poi a molto, se non a farlo sbuffare frustrato.
Si accomodò come meglio poté su quel comodo divano che poteva ormai considerare il suo migliore amico, portando poi le mani a sorreggere la testa, in modo da inquadrare perfettamente il soffitto che lo sovrastava.
Mai avuta una giornata così grigia - si ritrovò a pensare. Sfortunatamente non si poteva dire che avesse torto.
Non riusciva più a gestire quella situazione: vedere quei due lo distruggeva ogni giorno sempre di più e tutto ciò che gli era concesso consisteva nel rimanere inerme a guardarli camminare mano per mano e sorridersi.
Sì, perché quel Louis non ne voleva sapere di prendere le redini della situazione. Non ancora, diceva. Per quanto gli ripetesse in continuazione di amarlo, non agiva e lui proprio non poteva continuare così. Non più.
Arresosi dinanzi all’evidenza, si sbilanciò verso il tavolino su cui giaceva abbandonato l’ipod di Niall – quanto era sbadato quel cretino? - e se ne appropriò, cercando con tutto sé stesso di distrarsi e di non pensare più a nulla che riguardasse Louis William Tomlinson.
Ben presto ad invadere la sua mente furono solamente brani random, nient’altro se non quelli.
Canticchiava, un po’ perché non aveva niente da fare, un po’ perché nelle parole di quella canzone vi si rispecchiava particolarmente.
«Anything to take it from your mind, but it won’t go» cantavano i The Script, e lui non poteva che trovarsi d’accordo con loro: sentiva ancora freddo. Un freddo addirittura più intenso, se possibile. Quasi grigio.
Non pensava di poter odiare così tanto l’inverno, ma fu costretto a ricredersi.
Inoltre quella situazione lo rendeva ancora più irritabile di quanto già non fosse: aveva un’intera vita dinanzi a lui, eppure sentiva un orologio ticchettare.
Non ho tempo, capì.
E ne fu ancora più consapevole quando quei tre decisero proprio in quel momento di continuare con delle semplici ed innocue parole, che risvegliarono però in lui un istinto omicida mai raggiunto: «You’re doing all these things out of desperation; you’re going through six degrees of separation.»
No, stavolta si sbagliavano: non era la disperazione ad averlo portato lì. In nessun modo.
Era stufo di sentire quella parola aleggiare nell’aria: disperazione, disperazione.
Lui non era disperato, non lo era, o almeno: cercava di imporselo.
Scostò infastidito le cuffie, realizzando che la sua idea non fosse stata delle più geniali, e gettò l’ipod il più lontano possibile da lui.
Oh, al diavolo. Lui stava benissimo, non aveva bisogno né di compatirsi né di essere compatito, tantomeno da una band.
Non riusciva proprio a darsi pace, Harry: per quanto continuasse a ripetersi di stare tranquillo, di non pensare a nulla, una figura si faceva strada prepotente nei suoi pensieri e cacciarla gli era quasi impossibile.
Non voleva pensare ancora a quella storia, non adesso; così si diresse in cucina e aprì lo sportello in cui custodiva gelosamente i suoi cereali preferiti, lontani da chiunque avesse potuto svuotare l’intero pacco nel giro di pochi secondi.
Prese dalle stoviglie una tazza pulita, aprì il frigo in cerca del latte e ve ne versò una generosa quantità, affogando poi senza pietà quei poveri cereali nel liquido biancastro.
Masticò quasi con furia, stanco di tutto ciò che lo circondava; stanco forse anche di quella tazza che teneva stretta tra le mani.
Se nemmeno il cibo era riuscito nell’intento di calmarlo, bè, allora adesso poteva considerarsi praticamente fottuto.

Nelle ore seguenti ad accompagnarlo furono ancora quelle parole, eppure non vi era più traccia di musica in casa: stava tutto lì, nella sua mente. Ancora una volta.
E se quella frase avesse un senso? E se quei sei stadi fossero reali? E se fosse proprio il mio caso? continuava a chiedersi per poi scrollare le spalle confuso.
Forse era la prima persona a sapere che quel freddo non era dovuto in alcun modo ad un cambiamento meteorologico, eppure in quell’attimo proprio non ne volle sapere di ricordarlo a sé stesso.
Si diresse in quella camera fin troppo grande e si tuffò sul letto, pronto a lasciarsi andare ad un sonno ristoratore. Chissà, magari così avrebbe smesso di pensare.

***


«Harry? Harry, svegliati!»
Sentirsi scrollare le spalle a quel modo non fu uno dei migliori risvegli mai ricevuti dal riccio, ma si sforzò comunque di mantenere un tono gentile nel rispondere al suo coinquilino «Lou, cazzo, stavo dormendo.» Ecco, ci aveva provato.
«Sì, me ne ero accorto. Eppure ti agitavi come un ossesso, quindi ho pensato fosse meglio svegliarti. Ho fatto male?» chiede con una punta di sarcasmo, celando la non poca preoccupazione che stanziava indomabile nel suo petto.
«Io- io non lo so.» sbuffa Harry, non del tutto certo del senso delle sue parole. Aveva fatto un incubo qualche minuto prima? Probabile, non era di certo una novità per lui.
«Woah, forse avrei dovuto lasciarti dormire. Ti senti bene?» no, non si sentiva bene, per nulla. In più, come diavolo si poteva anche solo pretendere che dopo un risveglio del genere ciò fosse possibile? Tutti avevano il diritto di dormire, compreso lui.
Tra date del tour e interviste non poteva certo permettersi di riposare, quindi perché interrompere la tranquillità di un’unica e rara giornata libera?
Però “ti agitavi come un ossesso, quindi ho pensato fosse meglio svegliarti” aveva detto, quindi magari… magari lo aveva fatto per il suo bene.
Non gli rispose, nascose come meglio poté il viso tra le pieghe del cuscino e cercò di riprendere sonno, non preoccupandosi nemmeno di chiedere dove fosse stato fino a quell’ora, perché, in fondo, lui lo sapeva eccome.
Che senso aveva lo stare insieme se, in fondo, insieme a lui non lo era che per poco?
«Lo prenderò come un no… » sentì mormorare sulla sua nuca.
Louis vi depositò un bacio e lasciò che il suo ragazzo venisse avvolto dalle braccia di Morfeo, forse consapevole di non poter aggiungere altro.

***


Nemmeno il mattino seguente fu incoraggiante: l’altra parte del letto era vuota, tremendamente gelida e perfettamente sistemata.
O non ha dormito qui o si è svegliato presto, pensò Harry.
Avrebbe dovuto accertarsene il prima possibile e così fece, scendendo con una quantità indefinita di salti le scale ripide che portavano al piano di sotto.
Quello che provò fu solo delusione; agghiacciante delusione; grigia delusione.
Non dormiva nemmeno più in casa loro? Era perfino arrivato a quel punto?
Non era stato il massimo della dolcezza la sera precedente, ne era ben consapevole, ma lasciarlo lì non era la migliore delle decisioni.
Esasperato, prese un post-it dal blocco sopra il bancone della cucina e cercò di concentrarsi sul testo della canzone ascoltata su quel divano che, peraltro, adesso sembrava fissarlo minaccioso, perché teatro di mille esperienze e lacrime, dolori… gioie.
Distolse poi lo sguardo e si appropriò anche di una penna. Era nera.
First, you think the worst is a broken heart – cuore spezzato, cuore spezzato, cuore spezzato. Ammettere di averlo a brandelli lo avrebbe reso disperato? Allora no, lui non aveva il cuore spezzato. Decisamente.
Oh, al diavolo pensò prima di segnare con un piccolo segno che quello stadio era stato attraversato eccome. A chi voleva darla a bere? Se non poteva permettersi di dire la verità agli altri, lo avrebbe perlomeno fatto con sé stesso. Ne aveva bisogno.
What’s gonna kill you is the second part - nemmeno il tempo di buttare giù quella frase e già regnava un segno a fianco di quella.
And the third is when your world splits down the middle – porca miseria, non anche questo, non poteva aver avuto a che fare anche con quello… o forse sì?
Sbuffò per l’ennesima volta e segnò anche quella.
And fourth, you’re gonna think that you fixed yourself – a malincuore annuì: lo aveva pensato, aveva creduto che tutto sarebbe andato per il meglio. Con conseguenze catastrofiche, sì, ma lo aveva fatto.
Fifth, you see them around with someone else – non ci pensò nemmeno per un quarto di secondo - non ne aveva bisogno - e quasi strappò il post-it con la rabbia che mise in quel gesto.
Quinto segno.
And the sixth is where you admit that you may have fucked up a lit- non completò la frase, ma cancellò quel a little che stava per prendere forma.
“A little” un corno. Tutto, ma non “a little” pensò furiosamente.
Lacrime gelate, forse grigie, gli coprirono il volto e quel piccolo pezzo di carta trovò la sua fine nel freddo pavimento.
Era grigio anche lui, forse anche di più.

Non sentì i passi di Louis, tantomeno le braccia che lo avvolsero: sapeva che c’erano, le percepiva, ma cercava di estraniarsene, di non prenderle in considerazione.
«Piccolo? Ehi, piccolo, che succede?» altri sussurri, parole al vento.
«Lasciami stare, non mi toccare.» mormorò, divincolandosi con forza.
«No, non ti lascio. Spiegami cosa succede. Spiegami e lo farò.»
Ma Harry non aveva alcuna forza per controbattere: lasciò che quelle braccia tanto amate e odiate lo stringessero con ancora più forza, grigie ormai anche loro.

***


«Allora?» Louis non si era ancora arreso, sebbene avesse lasciato che Harry si prendesse il tuo spazio e tempo, anzi: lo aveva osservato più che mai, facendo attenzione anche ad ogni suo piccolo spostamento.
Harry, dal canto suo, aveva pensato anche fin troppo e adesso non sapeva come occuparsi di quell’ammasso di pensieri ormai simili ad un gomitolo, uno di quelli in cui il filo principale è stretto e nascosto da tutti gli altri.
Non riusciva a trovare le parole, ma tentò comunque, consapevole di non avere altra scelta.
«Non possiamo continuare così. Non posso continuare così.» soffiò, cercando di non rimangiarsi nemmeno una sillaba di quanto avesse appena detto alla vista dello sguardo sbigottito dell’altro. Ma doveva dirlo, doveva.
Passarono i minuti e il liscio non proferì parola, abbandonandosi a dei respiri lenti e scostanti, lasciando Harry a rimuginare.
Quest’ultimo, non ottenendo nessuna risposta, decise di continuare: ora o mai più.
«Non riesco più a gestire questa situazione e- e tu non fai nulla per cambiarla, né tantomeno te ne curi, come se la nostra relazione fosse un’emerita stronzata.
Ogni singolo fottuto giorno mi ritrovo in un letto vuoto, abbandonato a me stesso: come credi che possa sentirmi? Non bene, Lou.
Una merda, a dire il vero.
Non credo di pretendere chissà cosa, giusto? Stare con la persona che si ama non mi sembra poi un grande sacrificio, quindi mi chiedo: mi ami ancora? Lo hai mai fatto?
Credevo di sì, ma non ne sono più sicuro e questo fa incredibilmente male.
Fa così male da toglierti il respiro ed io non voglio più sentirmi così. Non voglio amare una persona che pensa solamente ai suoi unici interessi, perché, sì, sei egoista, Louis.
E sai cosa? Io sono un cretino, perché non ho mai pensato che tu lo fossi.
L’amore ti fa sbagliare, ti rende un’altra persona ed è pura distruzione.
Quando sto con te ho bisogno di sentire che a proteggerci sia un muro stabile, indistruttibile, costruito giorno per giorno. Ma sai cosa sento? Sento che quel muro ci copri solamente ed io voglio mostrarmi, se ciò significa non cambiare. Voglio essere l’Harry Styles che diciotto anni fa nacque libero di essere, di fare; non voglio più essere il tuo bianco, quando tu sei il mio nero: siamo opposti e dobbiamo accettarlo.
Non voglio più fare sì che questa relazione mi faccia sentire inutile: io voglio amarti dinanzi a tutto il mondo sapendo che sei solo mio, mio e basta, e se questo non è possibile… io non credo- non credo di poter sopportare altro, Louis.»
Il risentimento aveva parlato per lui e adesso altre gocce gli circondarono il viso distrutto, appannandogli la vista e rendendolo più vulnerabile che mai.
Non voleva sentirsi così e, a quanto pare, aveva fatto la scelta giusta, perché Louis rimase ancora più immobile, incapace di intendere o di volere dopo una tale rivelazione.
«Io me ne vado.» annunciò Harry a quella vista, sbattendo forte il portone e correndo nel buio della notte.
Vedeva tutto nero.

***


Bussava forte, Harry, alla porta di casa Payne, forse con impazienza, forse con totale irrazionalità, ma lo fece, rischiando quasi di sfondarla.
Non gli importava, aveva bisogno di qualcuno che lo stringesse forte al petto e che gli ripetesse «va tutto bene, va tutto bene» anche quando non fosse vero. Ne aveva bisogno.
Liam aprì poco dopo in un pigiama ricoperto di orsacchiotti e quella visione quasi non gli restituì un po’ del buonumore perduto; quasi perché il secondo dopo si fiondò tra le sue braccia, versando senza ritegno ogni singola lacrima che non accennava a rimanere al suo posto.
«Ehi, ehi, che succede? Va tutto bene, tranquillo, va tutto bene.» e, sebbene le avesse attese, quelle parole non ebbero l’effetto desiderato, tutt’altro: pianse ancora più forte, scuotendo il capo senza freni.
«Ti prego, Harry, non farmi preoccupare. Entriamo, vieni, su.» e lasciò per un attimo quel corpo scosso dai singhiozzi.
Ora, se vi era un qualcosa che facesse stare male Liam, bè, quello era sicuramente il vedere i propri amici in quella situazione, specialmente se il protagonista portava il nome di Harry Styles, forse la persona più fragile e forte che abbia mai conosciuto.
«Ho- ho lasciato Louis.» confessò il riccio e l’altro non poté far altro che fiondarsi a sua volta tra le braccia del piccolo.
Perché era arrivato a tanto? Sapeva che i sentimenti di Harry non fossero per nulla trascurabili e non riusciva proprio a capacitarsi del suo gesto.
«Perché lo hai fatto?» cercò di chiedergli con il più tatto possibile, chiaramente stupito.
«Perché lui è il mio nero, Liam. Non il mio bianco: il mio nero.» fu tutto ciò che disse, ma lui capì comunque, senza troppi preamboli.
Rimasero in quella posizione per un tempo che parve indefinito, quando altri colpi scossero la porta di casa.
«Ma che diavolo avete tutti e oggi? Volete farmi vivere in una giungla?» ed Harry finalmente rise, rise di cuore, lo fece davvero, ma smise subito, perché Liam aveva appena aperto ad un Louis devastato forse tanto quanto lui.
«Louis, io non credo sia una buon id-» tentò Liam, ma l’altro, con occhi imploranti, gli chiese di lasciarli da soli - per favore, sottolineò – e quello annuì dirigendosi al piano di sopra, non prima di aver rivolto un’occhiata preoccupata ai due.
«Cosa vuoi?» chiese Harry, accertatosi di essere rimasto da solo con lui; vi era rabbia nella sua voce, ma anche speranza, tanta.
«Hai parlato anche abbastanza, lascio che sia io a farlo adesso.» passò una mano tra i capelli leggermente arruffati e stavolta fu lui a parlare.
«Harry, io non so nemmeno da dove partire, ma ho bisogno che tu mi ascolti, qualsiasi cosa io abbia da dirti. Ho bisogno che tu me lo prometta, ti prego.» e il riccio annuì, un’ombra diversa ad oscurargli le iridi verdi.
«Io- io non voglio essere circondato da un muro, io voglio essere il tuo muro, Harry. Voglio proteggerti, anche da me stesso se solo servisse a qualcosa. Voglio che tu sappia che io ti amo, come sempre, come ieri, e domani forse lo farò anche di più. Solo… non lasciarmi.
Lo so che non bastano quattro parole in croce per eliminare quello che ho fatto in questi mesi, lo so, te lo giuro, ed è per questo che non voglio che tu mi veda come il tuo nero.
Sai cosa desidero essere? Anzi: sai cosa voglio per noi due? Il grigio
Harry temette di aver sentito male a quelle parole: voleva la disperazione? Bei propositi, complimenti. «Prego?» chiese quindi.
«Non fraintendere! Ecco, non riesco nemmeno a spiegarmi, fantastico.
Va bene, ci proverò comunque: all’asilo, ti facevano mai dipingere?»
Non capiva ancora dove volesse andare a parare, ma “Sì» rispose.
«Perfetto. Non hai mai usato due colori per crearne uno nuovo?»
«Sì» rispose ancora, il verde dei suoi occhi quasi luminoso.
«Prova con il nero e il bianco: ottieni il grigio, quello scuro però, perché il nero è un colore comunque più forte del bianco! Ma se ne metti un po’ di più otterrai il grigio chiaro, giusto?»
Annuì, una speranza nel cuore più vicina di quella precedente. Forse aveva capito a cosa si stesse riferendo e quella consapevolezza lo fece sentire tremendamente bene.
«Io voglio che tu sia il mio bianco, il mio ying. Perché un opposto non può esistere senza l’altro, non può.» e dopo quelle parole, Louis si avvicinò a lui, per poi prendere il suo volto tra le mani, donandogli un bacio intriso di amore, di passione e di mille scuse.
Ed Harry desiderava finalmente essere grigio.





__disenchanted's corner: oddio, perchè l'ho fatto? perchè? mi dispiace, davvero.
non posso pubblicare su questi due dopo un anno di pausa e uscirmene con questa cosa.
volevo che venisse fuori qualcosa di carino per la mia ann ma non è andata così. (ti amo comunque, eh ♥)
quindi, boh, mi eclisso. recensite, magari? forse.
se volete insultarmi su twitter sono @lovelesstear. I follow back.

(sì, sarebbe la mia long. passate se volete. x)

   
 
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