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Autore: My Pride    20/10/2012    9 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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Like Davy Jones_6
THIRD SEASON › IN PIECES
BEHIND THE LEGEND, #02
 
    D
a quando avevano messo piede su quell’isola, Nami non aveva visto nemmeno uno scorcio di sole.
    Erano ore, ormai, che vagavano senza una meta precisa nel bel mezzo di quel bosco, e della città che avrebbero dovuto raggiungere in meno di metà giornata non c’era neanche l’ombra, tanto che stava cominciando persino a credere che si fossero persi esattamente com’era accaduto a Sanji e Zoro. Ad ogni occhiata che si lanciava intorno, le sembrava di vedere sempre lo stesso e identico paesaggio, dalle piante grasse che sbucavano timidamente fra le foglie secche sul terreno alle cortecce degli alberi ricoperte di muschio; i monumenti di pietra che si ergevano a metà nel terreno erano l’unico punto di riferimento che aveva, per quanto non fosse del tutto certa che non si trattasse sempre degli stessi. Robin aveva persino tentato di decifrarne le scritte incise, spinta come sempre dalla sua insaziabile voglia di conoscenza, ma aveva ben presto scosso il capo, afflitta, mormorando che erano troppo logorate dal tempo per riuscire a leggere anche solo una riga. E si erano quindi ritrovati a riprendere il cammino nella speranza di ritrovare il sentiero, per quanto ormai si stessero rassegnando all’idea che non sapessero più dov’erano diretti.
    «Non ce la faccio più», esalò d’improvviso Rufy in un fil di voce, richiamando su di sé l’attenzione di tutti i presenti, che si accigliarono nel vederlo accasciato su se stesso. Era raro, difatti, che il Capitano si lamentasse per la stanchezza, ma bastò il borbottio del suo stomaco a far capire la causa di quella bizzarra mancanza di forze. Beh, almeno aveva resistito senza cibo più di quanto si erano aspettati, bisognava ammetterlo.
    «Credo sia meglio fare una pausa, a questo punto», propose Nami, per quanto l’idea di fermarsi in quel posto anche solo per cinque minuti non la allettasse per niente. «Abbiamo bisogno di rimetterci in forze, dopotutto».
    «Si mangia!» Rufy fu il primo ad aprire una delle borse che si erano portati dietro per fiondarsi sul cibo, per quanto Usopp avesse inutilmente tentato di sottrarla dalle sue grinfie per non rischiare che le scorte sparissero in meno di qualche secondo; ben presto, all’affamato Capitano si aggiunse anche Brook, desideroso di mettere a sua volta qualcosa nello stomaco, pur essendosi premurato di ricordar loro, ridendo come suo solito, che lui uno stomaco non l’aveva, essendo uno scheletro. In meno di mezz’ora, le scorte che Sanji aveva così diligentemente preparato si volatilizzarono, anche quelle contenute nella borsa del cuoco, finita nelle mani di Usopp poiché quest’ultimo non glielo aveva più restituito. E la cosa peggiore era che adesso non avevano più nulla, nel caso in cui fossero stati costretti a passare più tempo del dovuto in quella foresta.
    «Ah! Adesso sì che sto bene!» esclamò Rufy tutto contento, battendosi una mano sul grosso stomaco di gomma mentre con il mignolo dell’altra ripuliva gli spazi fra i denti. «Sanji è il migliore!»
    Nami storse il naso, incrociando le braccia al di sotto del seno prosperoso prima di lasciarsi sfuggire un lungo sospiro. «Che tipo... rimpinzarti in quel modo pur sapendo che Zoro e Sanji a quest’ora potrebbero essere nei guai. Non sei preoccupato nemmeno un po’?»
    Calcandosi il cappello di paglia in testa, Rufy le sorrise al di sotto della tesa. «Mi fido ciecamente di loro», ribatté come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Zoro e Sanji sono forti. Sapranno cavarsela benissimo».
    «Rufy-san ha ragione», si intromise Robin, sorridendo benevola. «Ovunque siano, sanno di sicuro che cosa fare. E poi dovremmo preoccuparci anche per noi stessi... potremmo perderci nel bosco, non riuscire a tornare indietro e morire di stenti per mancanza di cibo e acqua. Oppure quei mostri, approfittando di un nostro momento di debolezza, potrebbero decidere di attaccarci e ammazzarci tutti».
    La navigatrice rabbrividì, strofinandosi le mani sulle braccia nel tentativo di scacciare l’orribile sensazione provocatale dalle parole dell’archeologa, dette in tono così tranquillo e semplice da spaventarla. «Quando la smetterai di dire cose così raccapriccianti?» le domandò, rimediandoci unicamente una divertita scrollata di spalle. Beh, almeno lei si divertiva, accidenti.
    Ripresero la traversata in silenzio, ognuno attento al minimo suono che avrebbero potuto captare. Non avevano la benché minima intenzione di farsi cogliere impreparati dai mostri che infestavano l’isola e, al tempo stesso, speravano di cogliere qualche segnale che avesse potuto indicare loro la direzione della nave o il luogo in cui si trovavano i loro compagni. Per quanto ci provasse, però, nemmeno Chopper era riuscito a fiutare la loro presenza, pur annusando il terreno in continuazione con la speranza di individuare l’odore di Zoro o quello di Sanji. Era come se l’intera foresta fosse inodore, poiché non sentiva nemmeno quello degli animali che avrebbero dovuto abitare quel luogo.
    Si ritrovarono ben presto dinanzi ad una grossa galleria scavata nella roccia, e facendo scorrere lo sguardo dalle pareti alle stalattiti che pendevano pericolosamente dal soffitto in pietra, l’archeologa si fece pensierosa. «A quanto pare è una caverna», costatò, guadagnandoci da Nami un’occhiata di traverso.
    «L’avevamo notato anche da soli, Robin».
    «Questa caverna mi trasmette proprio una brutta sensazione...» mormorò di rimando Usopp, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Di solito quando qualcosa non andava non sbagliava mai, e, anche se forse quel posto era meno pericoloso di quanto credeva, aveva imparato a sue spese che bisognava andarci cauti, quando si trattava di posti sospetti. A maggior ragione adesso che si trovavano nel Nuovo Mondo. E fu proprio a quel pensiero che si voltò rapido verso lo scheletro, puntando un dito in direzione dell’entrata. «Brook, va’ a dare un’occhiata! Tu puoi dividere la tua anima dal resto del corpo, no? Va’ e torna!»
    «Non credevo che l’avrei mai detto, Usopp... ma hai avuto proprio un’ottima idea», lo elogiò la navigatrice, pentendosene qualche attimo dopo quando il cecchino, blaterando come suo solito, divenne fin troppo orgoglioso e parve dimenticarsi che fino a poco prima non aveva fatto altro che tremare come una foglia al solo pensiero di mettere piede in quel posto. Chi lo capiva era bravo, sul serio.
    Spronato dalle due ragazze, Brook separò la propria anima e si insinuò silenziosamente nella caverna buia e fredda, sparendo alla vista; i minuti che trascorsero dalla sua scomparsa al suo ritorno sembrarono i più lunghi e ansiosi che la ciurma avesse mai vissuto, e fu alquanto difficile starsene là fuori con le braccia incrociate e lo sguardo puntato verso l’oscurità della grotta, che sembrava quasi volerli risucchiare al suo interno. Cominciarono persino a preoccuparsi quando non videro tornare in fretta lo scheletro, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo solo quando il suo fantasma fluttuante apparve nella penombra.
    «Allora? Cosa c’è lì dentro?» gli domandò Nami non appena ebbe fatto ritorno nel suo corpo, vedendolo grattarsi l’afro per un attimo prima di volgere lo sguardo verso di lei.
    «Nulla di preoccupante, Nami-san», parve rassicurarla poi, sollevando distrattamente gli occhiali da sole come se volesse osservarla meglio in viso, per quanto ormai non possedesse più i bulbi oculari per farlo. «Piuttosto... le dispiacerebbe mostrarmi le sue mutandine per infondermi un po’ di coraggio?» le domandò in tono allegro e cantilenante, e Nami non ci pensò due volte a colpirlo con un pugno ben assestato al capo. Rischiò quasi di crepare il teschio già mezzo rotto di suo, però sembrò non interessarle per niente.
    «Ma ti sembrano cose da chiedere in un momento simile?!» berciò nervosa, incamminandosi all’interno della grotta con Robin al seguito, che si era comunque lasciata sfuggire una risatina alla scena che avevano regalato loro. Dal canto suo, invece, Brook se n’era rimasto lungo disteso sul terreno umido, lo sguardo perso verso lo scorcio di cielo grigio che si intravedeva a malapena attraverso le fronde degli alberi.
    «Oh, credevo di morire», esalò con un fil di voce, ridacchiando qualche attimo dopo nello scattare in piedi più vivace che mai, «anche se io lo sono già, yo-hohoho! Skull joke!» esclamò, venendo stavolta colpito da Usopp con un’imprecazione. Non era giornata, decisamente.
    Guardandosi intorno con attenzione, i ragazzi seguirono le compagne con fare circospetto, come se si aspettassero di veder spuntare fuori dal nulla qualunque cosa; dal canto suo, Nami gettava di tanto in tanto loro un’occhiata per tenerli d’occhio, sapendo fin troppo bene di che cosa fossero capaci quando venivano abbandonati a loro stessi. E lei di guai ne aveva fin sopra i capelli, se proprio doveva essere sincera.
    Passandosi entrambe le mani sulle braccia, la navigatrice cominciò a far scorrere lo sguardo sulle pareti di pietra che li circondavano, prestando orecchio allo scrosciare lontano di un ruscelletto; il suono dell’acqua risuonava quasi assordante e sembrava rimbombare in tutta la grotta, dandole la sensazione di trovarsi sul fondale marino anziché all’interno di una caverna. Era una sensazione alquanto bizzarra, ma si ritrovò ben presto a concentrarsi su altro quando arrivarono in prossimità di una lunga galleria, terminante in un vasto spazio roccioso che la lasciò a bocca aperta per la scoperta che fece.
    «Oh, mio...» sussurrò, con il cuore palpitante di gioia. Quelli che stava osservando erano dei forzieri, dei forzieri rifiniti in oro sicuramente purissimo che contenevano tesori formidabili, ne era certa. Perché prendersi la briga di lasciare dei bauli proprio nel bel mezzo di una foresta infestata di mostri, per di più in una grotta così nascosta, se non si aveva intenzione di tenere al sicuro il proprio bottino? Senza nemmeno rifletterci su un secondo di più, Nami si fiondò pimpante su uno dei forzieri sotto lo sguardo sconcertato di tutti, con in viso un’espressione così elettrizzata da far invidia a Rufy stesso quando si trattava di avventura; nello spalancarlo con foga, però, restò sbigottita nel vedere solo il fondo di legno, chiudendo il baule con un tonfo sordo. «U-Un momento! Cosa diavolo significa?! È vuoto! Completamente vuoto!» Corse svelta verso il secondo forziere, e, rischiando di inciampare in una crepa sul terreno, si tenne al coperchio robusto per evitare di cadere, spalancandolo qualche attimo dopo con fare irritato prima di imprecare contro il nulla. «Anche questo, dannazione!» sbottò incredula, lanciando un’occhiata di fuoco al povero cecchino, che sussultò prima ancora che la ragazza potesse anche solo aprire bocca. «Usopp, datti una mossa e controlla anche quelli!»
    «O-Ohi, aspetta! Perché dovrei...»
    «Muoviti!» La voce di Nami risuonò contro le pareti della caverna in tutta la sua autorità, tanto che riuscì a convincere in men che non si dica il cecchino a fare quanto gli era stato detto; sotto il suo sguardo severo, Usopp raggiunse i forzieri restanti e li spalancò tutti ad uno ad uno, venendo ben presto aiutato anche dal Capitano, che si era stranamente dimostrato molto più euforico del compagno.
    «Ci sono degli abiti, qui», borbottò Usopp, infilando una mano nel baule per frugare fra la stoffa alla ricerca di qualche oggetto luccicante, non trovando niente come invece aveva sperato, «ma nessuna traccia di qualcosa di valore».
    «Qui ci sono delle ossa!» esclamò di rimando Rufy, sventolando in aria quello che aveva tutta l’aria di essere un femore mordicchiato da qualche animale. Vi erano rimasti attaccati anche brandelli di carne ormai rinsecchita, e a quella visione Nami storse il naso, assumendo un’espressione a dir poco schifata prima di distogliere lo sguardo e scuotere il capo. Afflitta e ormai demoralizzata, si allontanò dai bauli a passi strascicati, lasciandosi cadere pesantemente seduta su una roccia con la testa abbandonata fra le mani.
    «Vuoti... tutti vuoti», mormorò, sospirando affranta. Tutta quella strada per trovare solo dei miseri ammassi di legno e ferro che non contenevano né oro né gioielli, solo qualche inutile vestito ammuffito e un mucchio d’ossa. Che quella traversata in quell’isola dimenticata dalla civiltà si fosse rivelata solo un’inutile perdita di tempo? Beh, probabilmente era davvero così, visto che sarebbero di sicuro tornati a casa a mani vuote. Accidenti, perché Rufy, nella foga della battaglia contro quegli strani Uomini Pesce, aveva perduto quel medaglione d’oro? Almeno avrebbero avuto un bottino con cui far ritorno, anziché un mucchio di stracci.
    «Uhm... interessante».
    Nami sollevò lo sguardo verso l’archeologa, per quanto avesse ancora dipinta in viso un’aria decisamente devastata. Non le era mai piaciuto il modo in cui Robin pronunciava quelle semplici parole, nemmeno due anni addietro. E tutto perché poteva significare solo due cose: luoghi che avrebbero provocato loro un mucchio di guai, oppure civiltà misteriose che sarebbero comunque state fonte di guai. Di bene in meglio, insomma. E la sua era pura ironia. «Che cosa c’è, Robin?» si ritrovò lo stesso a chiederle, mettendo da parte la depressione per raggiungerla e osservare le pietre che stava esaminando con meticolosa attenzione. «E quelle cosa sono?»
    «Testimonianze. Testimonianze di pirati e marinai che sono stati qui prima di noi». Carezzò con la punta delle dita le incisioni presenti sulla pietra come se si fosse trattato di qualcosa di decisamente raro e prezioso, sfregando via dai polpastrelli la polvere accumulatasi. «Alcune risalgono addirittura a due secoli fa... nessuno di loro è riuscito a sopravvivere su quest’isola più di tre giorni».
    Nami si accigliò. «Cosa? E la gente di cui parlava quel vecchio?»
    «Qui non c’è scritto niente che faccia supporre che quell’uomo dicesse la verità».
    «Che senso aveva mentirci?»
    «Forse voleva semplicemente gettarci in pasto a quelle creature... o dietro a tutta questa storia c’è qualcosa di molto più complesso». Accovacciandosi dinanzi alle pietre, Robin spolverò le incisioni più vecchie e si fece più vicina per riuscire a leggere con maggior facilità, liberando la roccia dall’edera che vi si era intrecciata intorno. «Molte scritte sono rovinate, dunque è alquanto difficile capire a cosa si riferissero questi uomini con “spettro”, “diavolo” e “patto di sangue”... ma da ciò che si evince da queste testimonianze, posso affermare di sicuro che andarsene non sarà facile».
    «Che cosa intendi dire?» Per quanto Nami avesse cercato in tutti i modi di non porre quella domanda - aveva difatti imparato a sue spese che, molto spesso e volentieri, era di sicuro meglio restare nell’ignoranza -, non riuscì comunque ad evitarlo, e lo sguardo che le venne rivolto da Robin la raggelò seduta stante.
    «Ci troviamo su una rotta maledetta».  

 

    Tutto avrebbe voluto sentirsi dire tranne quelle parole. Nami ci stava rimuginando su dal momento in cui avevano lasciato la grotta e si erano infiltrati nuovamente fra la boscaglia, più che decisi a ritrovare la strada e a tornare alla nave per abbandonare quell’isola una volta per tutte, rotta maledetta o meno. C’erano due problemi, però: il primo, e sicuramente il più importante, era riuscire a ricongiungersi con i compagni perduti, sperando al contempo che stessero bene; l’altro era capire effettivamente dove fossero e come fare per raggiungere la Sunny, giacché non avevano la benché minima idea di quanto avessero camminato e quanti percorsi avessero imboccato, essendo quella foresta pressoché identica. Erano ad un punto morto, praticamente.
    Con un sospiro afflitto, Nami aumentò il passo e si accostò il più possibile ai suoi compagni, come per timore di perdere di vista anche loro; i rami degli alberi avevano cominciato a divenire più radi e il cielo in lontananza aveva iniziato a schiarirsi, per quanto non fosse ancora del tutto certa che fosse a causa dell’avvicinarsi dell’alba oppure un semplice scherzo della luce. Era stanca, le palpebre minacciavano di abbassarsi ad ogni passo che faceva e ormai i polpacci gridavano pietà, ma era unicamente l’adrenalina e il timore di venire attaccata durante il sonno che riuscivano a tenerla in qualche modo sveglia. E a quanto sembrava era così anche per gli altri. Robin, a pochi passi davanti a lei, si detergeva di tanto in tanto il sudore dalla fronte con un fazzoletto e si passava due dita sugli occhi, osservando i dintorni con minuziosa attenzione come se sperasse di vedere qualcosa che potesse richiamare la sua attenzione e svegliarla; al suo fianco, Franky aveva nascosto le occhiaie con le lenti nere e aveva incurvato le spalle, a dimostrazione della fiacchezza che animava anche lui come tutti gli altri. Probabilmente avrebbe anche dovuto fare rifornimento di cola, ma in quel momento non avevano proprio niente; Usopp e Chopper, a differenza di Rufy - come suo solito in testa al gruppo, per quanto non sapesse minimamente dove andare -, se ne stavano il più possibile vicino agli alberi, come se essi potessero in qualche modo fungere da barriera naturale contro eventuali mostri. Chopper stava persino continuando ad annusare il terreno, per quanto i suoi sforzi stessero dando risultati scarsi e insoddisfacenti.
    «Che cosa ne pensi di tutta questa storia, Robin?» chiese di punto in bianco Franky, rompendo il silenzio che, da un po’ di tempo a quella parte, era calato su di loro come un velo. L’archeologa gli lanciò una rapida occhiata, stringendosi nelle spalle.
    «Metterci in guardia da quegli esseri e poi tenerci all’oscuro di certe informazioni non avrebbe avuto senso». Stava cercando di essere razionale, però, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa ci fosse esattamente sotto tutta quella bizzarra situazione. «Sarebbe stato molto più facile non dirci niente e lasciare che andassimo impreparati contro il nostro destino».
    «Forse chi comanda quei mostri contava proprio sull’informazione», ipotizzò Chopper, voltando il muso verso di lei. «Se il vecchio non ci avesse detto niente, noi ce ne saremmo tornati subito alla Sunny, no?»
    «Ottima osservazione, Chopper». Robin incrociò le braccia sotto il seno e si picchiettò il labbro inferiore con due dita di una terza mano, pensosa. «Avremmo ripreso tranquillamente il largo per cercare un’isola su cui fare rifornimento, e avremmo in questo modo ridotto in cenere i loro piano, qualunque esso sia. Sempre se c’è un piano, dietro tutta questa storia... però, visto come si sono svolti i fatti finora, mi sembra più che plausibile».
    Nami, che se n’era rimasta in silenzio ad ascoltarla fino a quel momento, la superò agitando le mani, come se volesse scacciare unicamente in quel modo il discorso che archeologa e dottore stavano intrattenendo. «Piano o meno, io propongo di trovare il più in fretta possibile la Sunny. Forse anche Zoro e Sanji la stanno cercando e si stanno dirigendo lì».
    «Sono più che d’accordo con Nami», asserì Usopp, gettando una rapida occhiata alle sue spalle per osservare i compagni. «Non sono così sicuro di voler incontrare qualche strano mostro a tre teste o degli Uomini Pesce alti come giganti», dovette ammettere, tornando a guardare avanti; imprecò a denti stretti quando per farlo andò a sbattere contro qualcosa di duro che sulle prime non aveva minimamente notato, rendendosi conto troppo tardi che quello era un torace e che il volto che stava adesso osservando aveva una mascella squadrata e squamosa. «Oh, desolato», disse con un certo imbarazzo, sbiancando seduta stante quando si accorse che il tipo che gli aveva regalato un ghigno divertito era proprio uno di quegli strani Uomini Pesce che avrebbe tanto voluto evitare.
    «Andate da qualche parte, ragazzi?» domandò cordialmente, e forse fu proprio questo a spaventare Usopp, che si affrettò ad allontanarsi il più possibile da lui.
    «Merda! Ci hanno trovati!» gridò Franky, puntando uno dei cannoni verso l’Uomo Pesce appena apparso, che non fece una piega; si limitò semplicemente a scrutarli ad uno ad uno con attenzione da capo a piedi, come se stesse scavando nella loro anima. Ad un suo schiocco di dita, alle sue spalle comparvero altri Uomini Pesce dall’aria minacciosa, la maggior parte pronti ad affrontarli a mani nude.
    «Phatt, Fokke. Affido a voi il comando». Sorrise, mettendo bellamente in mostra i denti acuminati prima di fare qualche passo indietro, come se volesse farsi da parte. «E ricordate che li voglio vivi», puntualizzò, sollevando un braccio verso l’alto; a quel suo gesto, gli Uomini Pesce dietro di lui si gettarono all’attacco con un grido disarticolato, costringendo la ciurma ad indietreggiare per contenere almeno in parte quell’assalto improvviso.
    «Phatt! Occupati della donna!» A quel richiamo, fatto da quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme crostaceo, un uomo dalle fattezze di squalo si mise sull’attenti e lanciò uno sguardo all’archeologa, scroccando le grosse dita palmate. Gli occhi piccoli e ferini controllavano ogni suo movimento, e prima ancora che Robin potesse anche solo tentare di usare il suo potere, Phatt gli fu addosso, bloccandola sul terreno.
    «Robin!» esclamò Nami, correndo verso di lei; trasse un sospiro di sollievo nel vedere con la coda dell’occhio che l’amica era riuscita a liberarsi e che aveva costretto Phatt a chinarsi a mezzo busto con la sua tecnica di sopraffazione, per quanto fosse ormai sul punto di cedere. E sarebbe anche andata a darle una mano se un Uomo Pesce non le si fosse parato dinanzi e non avesse arrestato la sua corsa, facendola imprecare a denti stretti. Dannazione! «Questo succede ogni volta che senti odore di avventura, Rufy!» Afferrando un’estremità del bastone che portava appeso alla cintola, Nami si affrettò a puntarlo verso l’avversario, investendolo con un getto d’aria pressurizzato; lo vide volare via con un’imprecazione sommessa e si voltò verso il Capitano, che aveva appena centrato un altro Uomo Pesce con un pugno. «La prossima volta si fa come dico io! Si resta sulla nave!»
    «Ma così non è divertente!» obiettò Rufy, scansandosi appena in tempo dalla traiettoria del suo avversario; evitò per un pelo un pugno diretto al suo viso e si appiattì contro il terreno, allungando un braccio in maniera spropositata fino ad avvolgerlo intorno al corpo dell’Uomo Pesce per attirarlo contro di sé, e così facendo si accorse degli uomini che correvano verso Brook, approfittando del fatto che lo scheletro desse loro la schiena. «Brook! Alla tua destra!» esclamò, gettando lontano da sé il proprio avversario.
    Con rapidità disarmante, a quell’avvertimento Brook sfoderò la propria arma e si fece largo fra le file di nemici, muovendo la lama con un movimento rotatorio del polso così rapido che agli occhi degli Uomini Pesce parve non muoversi affatto. «Hanauta Sanchou». Rallentò a poco a poco, uno, due, tre passi, la spada nuovamente infilata nel fodero, «Yahazu Giri!» Se in un primo momento i suoi avversari erano rimasti immobili e perplessi, si accasciarono su se stessi qualche istante dopo, le bocche spalancate in un grido senza voce e il sangue che scorreva copioso dalle ferite a loro inferte, per quanto non si fossero nemmeno resi conto d’essere stati colpiti.
    «Ragazzi!» urlò Phatt, distraendosi; con un’imprecazione, lasciò perdere l’avversario contro cui stava combattendo e sguainò la spada, correndo svelto verso lo scheletro. «Me la pagherai!»
    «Io non credo proprio». Robin gli si parò davanti, arrestando la sua corsa. «Ocho Fleur». Bloccò le gambe di Phatt, leggendo lo sconcerto sul suo viso quando, incredulo, si vide spuntare su spalle e schiena altri due paia di arti che gli fermarono collo e schiena. «Clutch!» esclamò, incrociando le braccia al petto; le mani che fino a quel momento avevano tenuto stretto il collo del suo avversario lo afferrarono saldamente e glielo ruppero con un sonoro scricchiolar di ossa, facendo lo stesso con la spina dorsale prima che  lo lasciassero del tutto andare, sparendo in un turbinio di petali; l’uomo si accasciò inerme sul terreno umido, gli occhi spalancati e ormai privi di vita, ma Robin non lo degnò nemmeno di uno sguardo e tornò all’attacco, così da poter dare manforte ai suoi amici. Se il nemico voleva il gioco duro, il gioco duro avrebbe avuto.
    «Cuerpo Fleur», mormorò, facendo fiorire il proprio busto sulla schiena e sulle cosce dell’Uomo Pesce contro cui stava combattendo Franky; allungando le braccia, gli bloccò gli arti superiori e il collo, aggrottando la fronte per concentrarsi e stringere, con la ferma intenzione di frantumargli le ossa, per quanto robuste potessero essere. Quel tipo aveva cominciato a divincolarsi e rinserrare la presa stava diventando un’impresa ardua, però, prima ancora che quest’ultimo si liberasse, fu Franky stesso ad andare in suo aiuto, colpendolo con i missili che teneva riposti nella spalla sinistra; l’Uomo Pesce andò a schiantarsi con un rantolo doloroso contro il tronco di un albero, che si spezzò fino a cadergli addosso e schiacciarlo.

    «Phatt!» esclamò Fokke nel vedere quella scena, e arricciò le labbra, rabbioso. «Maledetti!» berciò, sguainando le zanne nello gettarsi contro uno di loro. Approfittando della sua distrazione, afferrò il cecchino per le spalle e lo sbatté con forza contro il terreno, facendogli sputare sangue; lo vide spalancare gli occhi e sentì intorno a sé le urla dei suoi amici che lo chiamavano, ma lui lo colpì con un destro allo stomaco, strappandogli via dalle mani quella strana fionda che impugnava per gettarla lontano. Usopp provò a biascicare qualcosa e ad allungarsi verso il suo kabuto, strisciando nella sua direzione; venne però ben presto tirato all’indietro e il viso gli venne spiaccicato nuovamente sulla terra umida, prima che un pugno lo colpisse diretto al viso; sentì lo zigomo spaccarsi e il sangue colare lungo la guancia, e a nulla valse l’aiuto di Robin, che aveva fatto fiorire sul corpo dell’Uomo Pesce una moltitudine di braccia per bloccarlo.
    Con uno scatto secco, Fokke si liberò con facilità e si avventò ancora una volta contro Usopp, afferrandolo per il collo e sollevandolo a mezz’aria, mozzandogli il fiato nei polmoni; tirò il braccio all’indietro e caricò il montante, sorridendo all’idea di fracassare il capo di quel tizio dal naso lungo. L’avrebbe fatto per tutti i compagni che aveva perduto a causa di quella ciurma, ripagandola con la loro stessa moneta. Si fermò a pochi centimetri dal suo viso, però, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata. I denti aguzzi sembravano fremere e il suo intero corpo tremava, come se tutto d’un tratto avesse visto o percepito qualcosa che l’aveva spaventato a morte. «Ritirata!» esclamò in preda al panico, mollando Usopp e dando le spalle al gruppo di pirati per correre via, sparendo fra la vegetazione con quei pochi uomini che riuscivano ancora a reggersi sulle proprie gambe.
    La ciurma rimase senza parole, attonita ad osservare il punto in cui erano letteralmente scomparsi, come se fossero stati inglobati negli alberi stessi. «Ma che... perché sono scappati?» Quella di Rufy suonò come una lamentela, e forse fu proprio per quel motivo che il resto dell’equipaggio si voltò verso di lui solo per fulminarlo con lo sguardo, facendolo sentire minuscolo; persino Usopp, che si era rimesso in piedi a fatica proprio in quel momento, non si risparmiò dal guardarlo male, ma fu reggendosi sulle gambe malferme che alzò teatralmente un braccio, battendosi debolmente una mano sul petto.
    «Avranno avuto paura del temibile potere del sottoscritto!» si vantò tra un colpo di tosse e l’altro, sebbene si vedesse anche a miglia di distanza che stava tremando. Per quanto forte fosse diventato, il suo cranio non era indistruttibile, e se il colpo di quell’Uomo Pesce fosse andato a segno per lui sarebbe stata la fine. O, nel peggiore dei casi, gli avrebbe anche potuto spezzare il collo e lasciarlo morto sul terreno. Qualsiasi cosa fosse successa, doveva ringraziare che se ne fossero andati e che se la fosse cavata semplicemente con qualche contusione e uno zigomo spaccato.
    «Per una volta piantiamola di dire idiozie e vediamo di muoverci», asserì Nami, non prima di aver rifilato un bel pugno sulla testa del cecchino e del Capitano. «Sono scappati, dovremmo approfittare di questa chance e darcela a gambe levate anche noi».
    «Concordo», si intromise Robin, scansandosi qualche ciocca di capelli che le era disordinatamente caduta sugli occhi. «Non possiamo sapere cosa li ha spaventati, e ci converrebbe lasciare questo posto prima di scoprirlo».
    «Prima devo medicare Usopp!» rimbeccò Chopper. Si era già tolto lo zaino dalle spalle e stava frugando al suo interno, alla ricerca di ago, filo, disinfettante e garze.
    «Chopper, troviamo un posto sicuro e poi pensiamo ad Usopp. È ancora vivo, no?»
    «Ohi! Sei senza cuore, Nami!»

    «Whoa! Ragazzi, guardate là!» Il grido euforico di Rufy richiamò l’attenzione di entrambi, e lo videro con gli occhi rivolti verso l’alto. «Una nave volante!»
    «Non dire sciocchezze, Rufy, le navi non...» Nami non riuscì a finire di formulare quella frase, poiché un’ombra scura passò proprio sulle loro teste e la costrinse ad alzare lo sguardo verso il cielo, lasciandola letteralmente a bocca aperta. Lassù, galleggiando come se si trovasse nel bel mezzo dell’oceano e non in un mare di nubi, un imponente veliero cavalcava i venti che sferzavano gli stracci neri che un tempo erano state delle vele, facendo al contempo sventolare la malridotta bandiera pirata; lo scafo distrutto mostrava lo scheletro interno della nave e le botti incrostate di sudiciume accatastate sul fondo, e Nami temette che, a causa della brusca virata che la nave compì proprio in quel momento, i barili rotolassero fuori e cadessero loro addosso; il legno di cui erano composte le travi della chiglia, l’albero maestro e il castello di prua erano così marce da apparire verdognole, dando la sensazione che il veliero brillasse di una luce oltremodo spettrale. A ben guardarla somigliava maledettamente alla nave di Decken, però... accidenti, per quanto Brook avesse affermato che quella che avevano visto nelle profondità dell’oceano fosse vera, non reggeva il paragone con quella che stava osservando lei in quello stesso momento e con la sensazione negativa che essa trasmetteva.
    Quella nave era diretta verso qualcosa, e quel qualcosa si sarebbe sicuramente ritrovato in grossi guai
.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Come detto in precedenza, avevo scritto dei capitoli spin off che avrei postato a parte, e questo che avete appena finito di leggere era uno di quelli.
Ho pensato che sarebbe stato stupido dividerli dalla storia principale, dato che seguono comunque quella trama, quindi eccoli qua nella loro interezza. Spesso e volentieri faccio bene a scrivere le storie con i capitoli spin off che possono essere usati comunque nella storia stessa, anche se al principio non sembra affatto *rotola avendolo già fatto con 
Oceani in Burrasca e Under a bloody sky*
Tornando a noi: tutti i nodi verranno finalmente al pettine? I nostri eroi riusciranno a cavarsela ancora una volta oppure ci rimetteranno le penne? E la Pride la smetterà di complicare la vita a se stessa e ai lettori con storie in cui non si capisce un accidenti di niente e i capitoli anziché cancellare i dubbi ne fanno crescere altri? Lo scopriremo solo continuando ad immergerci nella lettura!
Sclero a parte, a
l prossimo capitolo. ♥




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