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Autore: Yuki Kushinada    20/10/2012    4 recensioni
E’ una sorta di burattino grottesco, uno di quelli che terrorizzano i bambini, anziché divertirli; Ken ha le sue ragioni a rinfacciarle continuamente quanto sia brutta.
Un contenitore. E’ questo che è in realtà. Mukuro aveva bisogno di un corpo e il suo non serviva più a niente. Riciclaggio. Come continuare a spolverare una vecchia bambola di porcellana, il cui volto ormai è riempito di crepe.
Chi piangerebbe mai per aver distrutto una bambola che era già rotta, che non serviva a niente?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chrome Dokuro, Mukuro Rokudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Rieccomi qui. Avrei voluto tornare a farmi viva in concomitanza del compleanno di Tsuna, per qualche ignota ragione, quel giorno non avevo voglia (anche se sto lavorando non poco sul Don).
Che dire, prima precisazione, questa non è il seguito di Equilibrio, in pratica non si concatena nella serie di storie su Chrome e Mukuro che sto portando avanti. (Per le povere anime che l'aspettano, non me ne sono dimenticata, con mezza pagina - spero - dovrei finire la prossima storia.)
Questa storia, partorita all'una di notte, nasce per due specifici motivi. Il primo è che francamente ritengo che il personaggio di Chrome sia sottovalutato, benché credo sia uno dei più profondi lì in mezzo. Il secondo è che avevo bisogno di scrivere qualcosa di drammaticamente dolce, proprio lì dove è difficile vedere dolcezza.
Ambientata in un momento a caso, prima della liberazione di Mukuro.








 

 

 

 

 

 

Verso l’inferno

                                                                    

 

 

 

 

 

 

 

L’immagine che le restituisce lo specchio, ancora opaco dal vapore, non è esattamente quello di una bella ragazza, di una donna piacevole, attraente, una di quelle per cui valga la pena morire.

Il suo corpo è scialbo, minuto. I seni piccoli, il ventre troppo stretto, inadatto un giorno per ospitare la vita, la sua pelle comincia a riportare i segni delle battaglie, le labbra sono fini, screpolate, e il suo volto è menomato di un occhio.

E quella non è che l’illusione che si cela dietro la realtà, come le scatole cinesi: bellissime a primo sguardo, ma vuote dentro. Ma quando anche l’opulenza dei decori esterni è ridicolmente barocca, un lavoro mediocre partorito dalle mani di un talento artistico non esistente, cosa puoi aspettarti dall’intero?

Dietro l’illusione, Chrome è un’immagine macabra di cui ha paura anche a figurarsi. Il ventre piatto che ora accarezza, è in realtà una sacca risucchiata in se stessa, in cui le ossa sporgono a ricordare lo scheletro che dovrebbe essere. Il sangue non è la sua vera linfa vitale, non a caso quando la menzogna svanisce, lo rovescia incapace di mantenerlo in corpo.

E’ una sorta di burattino grottesco, uno di quelli che terrorizzano i bambini, anziché divertirli; Ken ha le sue ragioni a rinfacciarle continuamente quanto sia brutta.

Un contenitore. E’ questo che è in realtà. Mukuro aveva bisogno di un corpo e il suo non serviva più a niente. Riciclaggio. Come continuare a spolverare una vecchia bambola di porcellana, il cui volto ormai è riempito di crepe.

Chi piangerebbe mai per aver distrutto una bambola che era già rotta, che non serviva a niente? O forse quella bambola era difettosa sin dalla nascita, d’altronde la sua vita di prima non era quella che si può considerare un’infanzia felice.

No, lei non ha nulla per essere una donna per la quale un uomo morirebbe, ma per qualche motivo la cosa la rende felice. Mukuro non sacrificherebbe mai la propria vita per lei, non ha bisogno di temere una cosa simile. Può aiutarlo, può difenderlo e, quanto al sacrificio, Chrome non esiterebbe neanche un istante a donargli la propria vita.

D’altronde, è come un vaso già più volte riparato con colla scadente: se si frantumasse del tutto, se si riducesse in polvere così sottile da non poter più essere rimesso in piedi, non sarebbe questa gran perdita.

La vita, in fondo, è un dono, ma quando ha scartato quel regalo ha trovato solo la confezione e l’ha già persa. Quella che ha adesso è in prestito, dovrà restituirla un giorno, ma non sarà mai abbastanza per dire grazie.

Muove un dito lungo lo specchio, disegna i contorni scialbi del suo fisico sottile. Il suo tocco lascia una scia limpida sul vetro appannato. Traccia i lineamenti del suo volto, delle curve. Disegna una caricatura sulla caricatura. Uno scherzo della natura.

Segna i difetti, le cicatrici. Crea dei cerchi lì dove dovrebbero essere i suoi organi, il viso presenta una linea dritta per il naso, una per le labbra, indica con un punto l’occhio sinistro, con una croce l’occhio destro. Poi un tratto netto, all’altezza del collo.

Sgrana gli occhi quando il disegno sparisce all’improvviso, come se una mano lo avesse cancellato da dentro, avesse ripulito il vetro.

E l’immagine che osserva non è più la propria, ma un volto dai lineamenti duri, labbra contratte, occhi di due colori che la scrutano, la giudicano. Il paesaggio circostante cambia all’istante, una distesa d’erba primaverile le accarezza i piedi e le caviglie, un vento leggero le abbraccia il corpo umido ancora dalla doccia e gli occhi cupi di Mukuro sono sempre lì ad attenderla.

E’ stupido da parte sua, ma solleva un braccio a coprire i piccoli seni, una mano sulla peluria scura all’altezza del pube. Quel virginale imbarazzo, tuttavia, non fa che spostare l’attenzione dell’illusionista dal suo volto al suo corpo.

Quando torna a guardarla negli occhi, Chrome per un attimo ha paura, perché lo sguardo che scorge in Mukuro è duro come poche volte lo ha visto. Tuttavia, quando lui allunga una mano verso di lei, non può che stringerla a sua volta, senza badare alla nudità esposta. Il pensiero di toccarlo, seppure anche quella sia una menzogna, è più importante di ogni altra cosa.

Mukuro la stringe contro di sé, l’abbraccia, le spinge la testa contro il proprio petto e le accarezza i capelli.

“Pensi che io sia un folle, Nagi?” domanda guardandola attentamente.

La ragazza si scosta appena, stupita. “Non potrei mai!” urla quasi, terrorizzata all’idea di offenderlo. E non perché temi una sua reazione, ma le ha dato tutto e non ha chiesto nulla in cambio: è un debito che non riesce a ripagare, non ha abbastanza da dargli. Insultarlo farebbe più male a lei che a lui.

“Pensi allora che io non sappia quello che voglio?”

“Certo che no.”

“Allora perché ti avrei scelta?”

A quella di domanda, non sa rispondere davvero. Mukuro ride, la prende per mano, l’accompagna vicino al grande albero che troneggia il loro mondo e si siede a terra, la schiena contro in tronco. Con un gesto, la invita di nuovo tra le sue braccia.

 Chrome si lascia cadere sul ventre del Guardiano, trema quando il vento la sfiora di nuovo e le ricorda che è nuda, ma non è di certo la prima volta che l’illusionista la vede così. Si aspetta anzi che prenda a toccarla sui fianchi o più in basso, ma Mukuro le accarezza ancora la schiena.

Non può leggere la verità dietro lo sguardo che le rivolge, perché non la conosce. Non sa che Mukuro può capirla più di quanto lei creda, non sa che è proprio per questo che si è fidato di lei.

“Se avessi desiderato solo un corpo, avrei potuto avere quello degli uomini più forti. O delle donne più sensuali, Chrome” le spiega.

Chrome non risponde, non sa che dire, aspetta.

“Volevo impossessarmi della tua anima, per questo ho scelto te.”

Le dita si stringono inconsapevoli alle sue spalle, quasi temesse di perderlo da un secondo all’altro. “Perché proprio la mia?”

“Saresti disposta a seguirmi all’inferno, Nagi?” chiede Mukuro, anziché risponderle.

“Sì” ribatte senza alcuna esitazione. Perderlo, d’altronde, sarebbe il suo vero inferno, se è con lui può sopportare ogni cosa.

Mukuro ride, le accarezza i capelli, le posa un bacio sulla fronte.

“Penso a te sia destinato il Cielo” la informa, con un sorriso.

Chrome trasale, ha paura. Lo stringe convulsamente, le labbra premute frenetiche contro quelle del ragazzo più grande, nel bacio più disperato che lui ricordi di aver mai ricevuto.

“Vuoi peccare con me?” domanda Mukuro, divertito.

Sì… Sì.”

E continuando a stringerlo forte, spera solo che la sua anima si sporchi abbastanza, che diventi ancora più brutta di quello che vede nel suo corpo, perché il loro legame diventi indissolubile.

“Ad una condizione” mormora sulla sua pelle.

“Quale?”

“Quando ti guarderai di nuovo in quello specchio, lo farai con i miei occhi, non con i tuoi. Vedrai ciò che io sto vedendo adesso.”

Poi, non esistono più parole, solo un viaggio dritto verso l’inferno più oscuro. Ma si stringono l’un l’altra in un abbraccio solenne, abbraccio di carne, di liquidi e pelle, mentre affondano in un abisso sempre più profondo.

In quel peccato, è vita pura.







  
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