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Autore: Harriet    03/05/2007    9 recensioni
- Ah, gli anni del liceo sono i più belli della vita!-
Perfetto.
Posso cominciare a buttarmi giù da un ponte.
Genere: Commedia, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The best days of our lives

- Ah, che belle foto! Eh, mi ricordo del tuo primo anno di liceo. Vi eravate trasferiti da poco, eri così carino! Cielo, sembravi ancora così tanto bambino...-
Esatto. E io non l’ho mai trovato carino...
- Oh, queste sono della comunione di Giorgia. Guarda, guardati un po’, com’eri pacioccone! Quanti anni avevi?-
-...era lo stesso anno del carino di prima...-
- Come dici, caro?-
- Oh, sì, zia, avevo quattordici anni...-
- Oh, mamma mia, sono già passati cinque anni! Pensare che stai per diplomarti!-
Eh, già, capita anche questo.
Sua madre interruppe il discorso, entrando trionfalmente in salotto con un’enorme zuppiera ricolma di macedonia. La zia dimenticò le foto per un po’, prorompendo in esclamazioni di stupore e meraviglia, lo zio prese in mano il cucchiaino e porse la sua ciotola, senza dire una parola. Suo padre scoccò un’occhiataccia al fratello di sua moglie, poi si alzò per andare a prendere il cucchiaio da macedonia di cui sua moglie si era senza dubbio scordata. Le due cugine smisero di parlare fitto fitto per qualche istante, giusto per degnare la macedonia di un mezzo sorriso di apprezzamento. Agnese fece uno dei suoi sospiri filosofici e indirizzò uno sguardo simpatetico al fratello: dai, possiamo sopravvivere anche stavolta!
Lui apprezzò il tentativo della sorella. Ma non era molto convinto. Non era lei, la protagonista dello show fotografico, non poteva capire! Maledetto il momento in cui la zia aveva rinvenuto le foto! Ora sarebbe stato costretto a rivederle tutte, dalla prima all’ultima, infarcite di commenti su quanto era tenero, quanto era carino, quanto erano belli quei tempi e quanto sono preziosi...
-...i giorni della giovinezza, ragazzo mio! Non tornano più, quindi tienili cari!-
Almeno una volta avrebbe potuto variare teoria filosofica. Così, per rendere il suo eloquio più interessante...
La macedonia terminò in fretta, troppo in fretta, e lui non riuscì ad inventare una scusa per fuggire da lì prima che i cucchiaini smettessero di cozzare col fondo delle ciotoline. Il suo destino era segnato. Quella donna implacabile sarebbe arrivata fino all’ultima foto, e lui avrebbe avuto una meravigliosa occasione di riscoprire quanto fosse stato carino ai tempi del primo anno di liceo.
- Eri anche un po’ più in carne, accidenti! Lorenzino, sei un fuscello adesso. Un soffio di vento ti porta via!-
- Eh...forse.-
- Non hai qualche foto della tua classe?-
-...sono riuscito a farle sparire e bruciarle tutte, prima che mamma se ne accorgesse...-
- Eh? Dicevi?-
- Niente, zia. Dicevo che devono essere da qualche parte, di là, credo.-
- Il liceo! Che bei ricordi!- La donna si fermò e fece un’espressione sognate e nostalgica. – E’ un periodo dove non ti importa di nulla, dove puoi permetterti di essere un po’ sciocco e di sognare. Sono gli anni migliori della vita, Lorenzo, quelli del liceo.-
Lui, questa volta, non ce la fece nemmeno a sorriderle.
Se è vero, allora posso anche andare a buttarmi giù dal ponte.
- Eh, già.- aggiunse lo zio, emergendo dalla sua apatia per regalare una massima di vita anche lui. – Fai di quelle cosa che poi non potrai fare mai più.-
- Tu sei in classe col figlio della Lidia, vero?- riprese la zia.
La madre di quale di quelle merde si chiama Lidia?
- Non ne ho idea.-
Subito gli sguardi di tutti scattarono nella sua direzione (tranne quello di Agnese, ma lei non faceva testo.) Lorenzo si rese conto che non stava sorridendo da ben cinque secondi, e che aveva detto l’ultima frase con un’inflessione piuttosto tetra. Così si affrettò a rimediare, e sfavillando e risplendendo mise in mostra i suoi denti candidi e la sua aria serena.
- Oh, è probabile, zia, che io sia in classe col figlio di Lidia.-
- Ma sì, quel ragazzo...con quei capelli pettinati tutti dritti...quello che gioca a calcio!-
Uhm. Che descrizione efficace. Immagino che siano tutti figli della Lidia, in classe mia.
- Ehm...-
- Michele, ecco!-
Aaaaah. C’era un motivo se l’avevo rimosso.
- Ah, sì.- Nuove occhiate preoccupate. – Volevo dire, sì, certo, Michele, come no.- - Siete amici, no?-
Che io possa morire, prima.
- Ehm...già.-
No, non siamo amici, e la sola idea di essere suo amico mi fa venire voglia di vomitare.
- La Lidia gli organizza sempre delle feste enormi, per il compleanno, eh? Ci sarai andato, immagino! Mi ha fatto vedere le foto del diciottesimo...-
Come no, ci sono andato.
Perché non mi bastava vedere lui e gli altri a scuola, zia. Avevo bisogno di andare a farmi prendere per il culo e trattare come un idiota anche al suo compleanno.

Approfittò della parentesi sul diciottesimo di Michele Figlio Della Lidia per riprendere fiato e permettersi qualche istante di abbattimento.
Si chiedeva da una vita perché, un sacco di tempo prima, avesse deciso che fare il bravo ragazzo sorridente e sereno, per non fare preoccupare nessuno, era una cosa gratificante e intelligente. Ormai ci si erano abituati tutti, e non riusciva a scampare a quella mascherata.
Agnese capiva. Cioè, più che altro intuiva. E lo sosteneva, per quanto era possibile. Ma Agnese era una contro tutti, e lui finiva sempre per trovarsi sotto gli improbabili riflettori dei suoi familiari. Agnese c’era già passata, e ora aveva sviluppato una certa nonchalance che le permetteva di essere gentile e di farsi gli affari suoi.
Lui...non aveva quel dono.
Beh, Agnese non era andata a scuola nel suo liceo e nella sua classe, comunque. - Ah, Lorenzo, quanto è bello il mondo alla tua età!-
No, forse sbattere la testa contro il tavolo non era una cosa intelligente da fare.
Ad un certo punto dall’album delle foto volò giù qualcosa. La zia subito riprese al volo la foto fuggitiva, e prese ad ispezionarla. Lorenzo riuscì a vederne a malapena un angolo, ma gli bastò per capire e inorridire.
- Oh, ma ecco una foto della tua classe! Ma è di ora!-
Gliela sventolò sotto il naso, tutta sorridente. Lo zio spense la sigaretta e si affacciò sulla foto. Le cugine rivolsero un attimo di attenzione al mondo circostante e si sporsero pure loro. Suo padre ignorò il movimento generale, ma pareva comunque interessato. Sua madre fece una faccia stupita.
- E’ la foto di quest’anno? Non ce l’avevi fatta vedere!-
- Io...-
- Se ne sarà dimenticato.- venne in suo aiuto Agnese. – Si dimentica sempre di tutto.-
- Fa’ un po’ vedere.- Lo zio afferrò la fotografia e la scannerizzò con un’occhiata rapida. – Hai una faccia a ebete, ragazzo mio...-
Sì, è la mia di sempre.
Sghignazzamenti divertiti.
- Hai la faccia tetra, più che altro.- notò suo padre, che si era alzato ed aveva raggiunto la riunione attorno alla foto.
- Sì, è vero.-
- Sembri triste.-
Le sue cugine parlavano sempre in coppia, come qualche personaggio dei fumetti.
- Che peccato, se eri venuto un po’ più sorridente te la incorniciavo e l’attaccavo in camera!- esclamò sua madre.
- NO.-
Questa volta fu stupita anche Agnese. Si fece silenzio, e lui si accorse solo in quell’istante, mentre nell’aria sembrava ancora risuonare l’eco del suo no, di quanta forza, quanta rabbia, quanta angoscia avesse racchiuso in quella sillaba. Cinque anni a far finta di niente, ma se i suoi avessero analizzato quella parola, avrebbero potuto capire tutto.
- Perché no?-
Sua madre sembrava quasi mortificata. E lo era anche lui, ed era anche agitato, tremava.
Perché no?
Perché non smetteva di fare la persona patetica, il ragazzino sfigato, e accettava il culto degli anni migliori della sua vita?
Era così che facevano le persone normali, no?
Perché non attaccare quella stupida foto?
Perché non celebrare così gli “anni migliori della sua vita”?

- Beh, perché il muro di camera mia è già pieno di poster, mamma.-
La serenità perfetta tornò a riempire la stanza, e la foto giacque abbandonata sul tavolo, tra i rimasugli della macedonia e i tovaglioli usati. E lui stava giusto pensando a come fuggire da lì, e a come mai stesse ancora tremando, quando all’improvviso il suono del campanello li fece sobbalzare tutti. Agnese corse ad aprire, e sulla soglia comparvero un tipo alto, biondo, in tuta e scarpe da ginnastica, e un altro ragazzo, con capelli neri vergognosamente lunghi, un cappottone nero (a maggio!), stivali neri, smalto nero sulle unghie (oh, sì) e...no, non voleva crederci, aveva un fermaglietto rosa nei capelli!
Almeno la zia avrà qualcosa di cui parlare per i prossimi sei mesi.
- Oh, ragazzi, abbiamo già finito.- disse loro Agnese. – Lorenzo arriva subito.-
- Quelli...quelli sono i tuoi amici?- balbettò la zia, stralunata.
- Già. Sono dei ragazzi in gamba.- si affrettò a rassicurarla la madre, sorridendo con un po’ di imbarazzo.
- Ma vanno a scuola con lui?-
- No, sono più grandi. Li ha conosciuti da poco.-
Lorenzo ringraziò la Provvidenza, salutò tutti, afferrò un giubbotto e si precipitò fuori dalla casa, seguendo gli altri due.
- Sei sicura che siano gente perbene?-
L’ultima frase della zia aleggiò nell’aria, poi la porta si chiuse dietro le spalle dei tre amici.
L’ascensore li inghiottì, e i tre ragazzi presero a ridere, consapevoli di quell’ultima frase rubata ai Mistici Segreti della Sala da Pranzo.
- Scusami, non sapevo che c’era il parentado in casa.- disse il tipo in nero, indicando il fermaglietto tra i capelli. – Sennò non lo mettevo.-
- Guarda che non è il fermaglio...- borbottò Lorenzo. Il ragazzo in tuta si affrettò ad annuire, mentre il tipo in nero finse un’espressione ferita.
- Tu mi odi!- piagnucolò.
Normalmente Lorenzo avrebbe confermato quell’ipotesi. Solo che in quel momento un pensiero strano gli attraversò la mente a tradimento, e non si accorse della risposta che effettivamente diede all’altro. Non si accorse di essere stato sincero.
- No.-
Stavolta ad ammutolire furono gli amici. Era la giornata dello stupore collettivo.
L’ascensore li sputò al piano terra, e gli altri due si piazzarono di fronte a Lorenzo, vagamente preoccupati.
- Ehi, non c’è bisogno di essere così serio. Lo so che non mi odi davvero.-
- Tutto bene?-
Sì.
Sì, tutto bene. Mai andato così bene in vita mia.

- Voi pensate che questi siano gli anni migliori della mia vita?-
- Dì, ti hanno fatto bere, i parenti, o che altro?- domandò il ragazzo biondo, posandogli scherzosamente una mano sulla fronte. – Eppure non scotti...-
L’altro ragazzo andò a mettersi davanti a Lorenzo. Lo superava di diversi centimetri, in lunghezza e larghezza di spalle. Facevano un effetto buffo, tutti e tre insieme.
- Certo che non lo sono.- disse, con un sorriso di quelli che non promettono niente di buono. – Perché il meglio deve sempre ancora venire.-
- Eh, beh.- commentò l’altro. – E’ vero. Ma perché ti è venuta in mente questa cosa?-
- Mah, non lo so. Lasciate perdere. Fisime da sfigati.- minimizzò Lorenzo, tornando a sorridere. Ma gli altri due non sembravano convinti da quella risposta.
- Pensa a quando saremo laureati, tutti e tre, e dovremo organizzarci le feste di laurea a vicenda, con i rispettivi scherzi malefici.- continuò il ragazzo biondo, lanciato con l’immaginazione.
- O quando uno di noi si sposerà!- aggiunse il ragazzo vestito di nero. – E gli altri dovranno trovare il modo di rovinargli la giornata...-
- E quando saremo quarantenni, e andremo ancora ad esplorare ruderi, e lui porterà i suoi figli alle convention di fumetti, io organizzerò tornei di basket in giardino e tu avrai aperto la più grande biblioteca di libri in greco antico del mondo, allora diremo che non c’è mai stato un periodo più bello di quello.-
- Saremo sempre gli stessi sfigati di ora, ovviamente, a quarant’anni.-
- Certo. Il bello è proprio quello. Gli sfigati si divertono di più.-
- E quando avremo cinquant’anni e ci sveglieremo e sarà una giornata senza un tubo da fare e saremo felici solo perché è una giornata senza un tubo da fare, ci sembrerà il giorno più bello della nostra vita.-
Lorenzo li guardò tutti e due, e si chiese se era normale per un ragazzo di diciannove anni sentire, da qualche parte (lontana lontana e nascosta bene, però) tutta quell’emozione che gli stringeva il cuore e gli faceva venire voglia di gridare da quanto era felice.
- Com’è che passate la vita a sparare stronzate, se siete in grado di fare discorsoni del genere?- domandò, gettandosi sulla stupidità prima che quell’emozione lontana si facesse troppo vicina.
- E’ che di solito il filosofo sei tu!- rispose il biondo.
- E’ meglio dire una perla tra le cazzate una volta ogni tanto. E’ una perla proprio perché emerge tra gli altri discorsi. E così rimane più impressa. Beh, ma direi che per oggi ho finito la scorta di perle, e che è il caso di andare, perché l’atrio di casa tua non mi ispira granché, per una domenica pomeriggio, sai?-
- E poi le scale della tua cantina mi fanno venire in mente It.-
- C’erano le scale della cantina, in It?-
- No, sul serio, non fanno tanto horror?-
- Ma sono scale normalissime!-
- Ma guardale bene...-
- E’ che a te farebbe paura anche un paesaggio idilliaco con laghetti e fiorellini.-
- Ma che cavolo di parole usi?-
- Tu eri quello che una volta era stato spaventato da un frullatore, o sbaglio?-
- Ehi, ma era un frullatore vivo!-
Se dovessi dire qual è stato il giorno più felice della mia vita, probabilmente direi “questo”.
E mi auguro davvero di poterlo dire un sacco di volte.
Da qui all’ultimo giorno.
...sì, tutto sommato potrei anche attaccarla quella stupida foto. Con una specie di epigrafe.
“Ero uno sfigato, e me ne vanto.” O magari “Grazie a voi ho imparato ad essere uno sfigato fiero di me.” O anche “Adesso mi diverto io”.
O meglio...
“I giorni migliori della mia vita mi aspettano.”






Sì, questa storia è parzialmente autobiografica.
In realtà la mia famiglia non è come quella descritta, e il mio liceo è stato da incubo, ma avevo comunque alcuni amici meravigliosi, che sono tutt'ora tra i miei migliori amici, e ho alcuni ricordi bellissimi.
Però è vero che all'epoca ero un'enorme sfigata e non sapevo come gestire la cosa. Mentre ora mi vanto della mia sfigataggine e la considero una cosa fighissima. E questo magico processo è avvenuto verso l'ultimo anno di liceo.
Inoltre, ho davvero sostenuto una conversazione come quella del protagonista di questa storia, arrivando alle sue stesse conclusioni. E anch'io ho avuto i miei istinti piromani verso certe foto...XD Però, alla fine, la storia non è sulle sfighe delle persone timide al liceo, ma è su un altro argomento, e il liceo è più che altro un pretesto per arrivare al concetto finale.
La storia critica una certa mentalità. Io conosco tante persone che pensano così. Persone buone. A cui voglio bene. Ma non posso far finta che questa mentalità del cavolo non mi disturbi, ecco.
Inoltre, non voglio dare l'idea che solo le persone oggettivamente "fuori dal comune" siano portatrici di idee positive. Il protagonista e uno degli amici mi sembrano piuttosto "comuni", così come la sorella maggiore. Non si tratta di “normale vs strano”. Si tratta di modi di vedere la vita diversi, ecco.
I tre ragazzi sono personaggi che inventai nel lontano 2004, e non è escluso che avrete ancora notizie di loro.
Grazie se avete letto. Io sono qui: yumemi@hotmail.it
O anche qui: Dark Chest of Wonders
   
 
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