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Autore: EsseEffe    20/10/2012    0 recensioni
Le lacrime iniziarono rigarmi il viso, freddo come il ghiaccio però non volevo reprimerle, avevo bisogno di sfogarmi e l’unico modo era farle scenderle e non asciugarle. Iniziai a correre senza sosta: non sapevo dove stavo andando. Avevo imboccato una piccola traversa buia e stretta, ma nonostante il terrore che mi stava prendendo in quel momento, decisi di proseguire. Sapevo che quella stradina mi avrebbe portato da qualche parte, me lo sentivo. Il cuore batteva così veloce come mai in tutta la mia vita. Quella scarica di adrenalina, che la paura stava scatenando dentro di me stava prendendo il sopravvento nel mio corpo, che non riuscivo più a controllare: stava facendo tutto da solo, o almeno, mentre la mia testa pensava “torna indietro! E’ pericoloso”, il mio corpo non le dava retta, ascoltava e prendeva ordini da qualcosa di superiore...
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel Labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo Labirinto interiore” (Haruki Muratami)
 
-Dai non fare così Luca! Starò via solo per il week-end- dissi bevendo l’ultimo goccio di caffè che era rimasto nella tazzina.
-Non mi interessa, mamma. La casa della nonna puzza di vecchio e non ho intenzione di stare per tutto il week-end isolato dal mondo; casa sua è lontanissima dal centro e sabato sera ci sarà una festa a cui non posso proprio mancare. Non potrei rimanere a dormire da Marco?- mi chiese non facendo mancare gli occhi dolci che usava spesso per convincermi. Luca aveva 16 anni e, si sa, come tutti i ragazzi della sua età cercava di guadagnarsi più libertà possibile, spesso e volentieri, scontrandosi con me. Nonostante ciò il nostro rapporto è sempre stato fantastico soprattutto per un motivo: il padre di Luca morì (o almeno, questo è quello che ho detto a Luca) quando lui era molto piccolo e quindi da subito abbiamo imparato a cavarcela da soli, senza l’aiuto di nessuno, solo io e lui.
-Ne abbiamo già parlato; non ti lascio per due giorni a casa di una persona che non conosco e poi la nonna non vede l’ora di passare un po’ di tempo con te: le farà piacere un po’ della tua compagnia- gli spiegai sorridendo.
-Va bene, ho capito: non c’è modo di convincerti! Ok, starò dalla nonna però alla festa ci andrò lo stesso, che tu lo voglia o no- ecco, naturalmente non poteva mancare quel tono di sfida che c’era alla fine di ogni nostra discussione. Tuttavia non avevo ne’ voglia ne’ tempo di litigare: l’aereo sarebbe partito fra poche ore e avevo ancora una marea di cose da fare.
-Si si, va bene basta che non ti metti nei guai e non fai preoccupare la nonna!- dissi dandogli un bacio sulla fronte, che lui naturalmente non ricambiò ma sapevo che quel genere di segno d’affetto gli era sempre piaciuto, anche se era troppo orgoglioso e “macho” per ammetterlo.
-Io vado in ufficio. Ci vediamo dopo prima di partire. Ti voglio bene, tesoro- dissi in tutta fretta prendendo la giacca.
-Io no- fu l’unica cosa che sentì prima di uscire e chiudermi la porta alle spalle.
 
-Arianna, c’è una lettera per te- disse la mia segretaria, venendomi incontro e porgendomi una busta giallina.
-Grazie, Jane, non è niente d’importante, la leggerò dopo-. Jane era una ragazza alta e snella con due occhi di un azzurro intenso e dei capelli lunghi, lunghissimi fino alla vita color del grano. Aveva lavorato come modella prima di diventare la mia segretaria, dati i suoi lineamenti perfetti. Era una ragazza in gamba, una gran lavoratrice anche se in più di un’occasione si era dimostrata una persona un po’ viziata e con la puzza sotto il naso. Ma, in fondo, a me non è che interessasse più di tanto: mi bastava che facesse bene il suo lavoro.
-Senti Jane, il capo è già arrivato? Voleva parlarmi prima che partissi-
-Si si, ti sta aspettando nel suo ufficio- mi rispose con un sorriso a trentadue denti, che nemmeno ricambiai, dato i mille pensieri che mi frullavano in testa.
 
-Buongiorno direttore. Voleva vedermi, vero?- salutai accennando un piccolo sorriso.
-Salve signora Rossi. Si volevo vederla per parlarle del suo “viaggio”- spiegò il capo sistemando alcune carte sulla scrivania. Il signor Bianchi era un uomo sulla cinquantina abbastanza robusto, aveva occhi piccoli e grigi e capelli brizzolati, almeno quel poco che era rimasto dato che la calvizia l’aveva preso qualche anno prima. Diciamo che non era il mio tipo di uomo ideale, tuttavia, forse grazie alla sua gentilezza,forse al suo fascino, all’interno del giornale era sempre riuscito a conquistare nonostante sia sposato. L’ultima sua conquista, secondo alcune voci di corridoi dovrebbe essere stata proprio Jane: la nuova arrivata, la bella ragazzina ancora un po’ ingenua, la preda ideale insomma. Qualche anno fa aveva provato a sedurre anche me ma invano dato che io non sono come tutte le altre, non mi faccio ingannare da quei due piccoli occhi grigi e forse anche per questo mio rifiuto i nostri rapporti, da quel momento, sono cambiati, molto più freddi e distaccati.
–Come lei sa questo servizio è molto importante per il nostro giornale e date le sue grandi capacità confido nel fatto che farà un buon lavoro, come al solito dopotutto. Lei è una grande giornalista e non ho nessun dubbio, scommetterei sempre su di lei; solo che, questo servizio è di vitale importanza e non vorrei che lo prendesse superficialmente. Mi fido di lei, non mi deluda. 
-Stia tranquillo signor Bianchi. Questa è una grande opportunità per me per dimostrare a lei e a tutto il giornale quanto valgo. Non la deluderò. Ora scusi ma devo proprio andare: ho un sacco di cose da fare prima della partenza- dissi alzandomi e porgendo la mano al direttore che lui strinse anche troppo forte.
-Naturalmente! Non voglio farle perdere altro tempo- esclamò alzandosi e aprendomi la porta con grande gentilezza
-Grazie capo, ci vediamo settimana prossima-
-Buon viaggio signora Rossi- mi augurò chiudendo con un po’ troppa violenza la porta dell’ufficio.
 
-Allora Luca, mi raccomando, fai il bravo e non fare arrabbiare la nonna- dissi distrattamente prendendo le ultime cose e mettendole in valigia –ti chiamerò stasera per controllare che vada tutto bene quindi tieni il cellulare acceso! Mi stai ascoltando?- tuonai, notando che Luca sembrava tutto intento a giocare e a non prestare la minima attenzione a quello che avevo appena detto.
-Si mamma! Cellulare, “fare il bravo”…tranquilla, non sono più un bambino, posso stare due giorni senza di te- mi rispose col suo solito tono da strafottente. Lo odiavo quando faceva così.
-Ok, io vado. Ci sentiamo quando arrivo- lo salutai con un po’ di tristezza. Mi faceva sempre male allontanarmi da lui, anche se per poco tempo.
-Va bene. Ah mamma?- mi richiamò con un tono di voce più dolce –Ti voglio tanto bene.
-Anche io tesoro- e dopo questo potevo finalmente partire felice.
 
Avevo appena fatto il check-in quando finalmente riuscì a trovare una sedia libera e a rilassarmi un po’, cosa che non facevo da tutto il giorno. Tirai fuori una mela e le diedi un morso: era così succosa e in quel momento mi sembrava la cosa più buona del mondo, forse perchè avevo saltato due pasti dato che ero stata impegnata tutto il giorno con i preparativi per partenza. Mancava poco all’imbarco ma nonostante ciò decisi di godermi ancora un po’ quel momento di relax; poggiai la testa al muro e chiusi gli occhi fino a quando sentì una voce dagli altoparlanti.
-I passeggeri diretti a Berlino sono pregati di recarsi all’imbarco. Aprì gli occhi lentamente: ero stanchissima ma sicuramente avrei dormito sull’aereo, nonostante la scomodità dei posti di seconda classe. Mi alzai a fatica, presi il mio piccolo trolley e mi diressi verso l’imbarco, asciugando quella piccola lacrima che mi stava rigando il viso,  prima che qualcuno potesse accorgersene.
 
Il volo andò abbastanza bene, a parte un po’ di vuoti d’aria soprattutto sulle Alpi. Come previsto riuscì a dormire per quasi tutto le due ore di viaggio anche se mi ci volle un po’ per prendere sonno: avevo mille pensieri che mi frullavano in testa e poi un’ ansia, non per il volo, ero abituata a prendere l’aereo, non sapevo a cosa fosse dovuta, o almeno, lo sapevo ma forse non volevo ammetterlo a me stessa.
Mi recai in albergo, se si può definire così quel due stelle dove avrei trascorso quel week-end. Non sono una persona viziata però mi piace trattarmi bene, tutto qui, e di certo non avrei mai scelto un due stelle per nessuna occasione. Tuttavia non mi lamentai più di tanto: ero andata lì per lavoro e non per farmi una vacanza.
La temperatura a Berlino non era tanto diversa da Roma, quei due o tre gradi di meno che però si sentivano tantissimo come se fossero stati dieci. Nonostante il freddo decisi di uscire lo stesso, non avevo voglia di stare in quella catapecchia e poi volevo vedere com’era Berlino, se era cambiata, se era rimasta uguale: erano passati troppi anni dall’ultima volta che ero venuta. Nonostante ciò me lo ricordo come se fosse stato ieri; era stato un viaggio fantastico, il più bello della mia vita, eravamo solo io e…lui.
Il mio “albergo” era vicino ad Alexander Platz, quindi decisi di incamminarmi da quella piazza super moderna fino alla porta di Brandeburgo. Il tragitto sarebbe stato abbastanza lungo ma non mi importava: volevo rivivere, anche se solo nei miei pensieri, ogni emozione e ogni attimo di quel viaggio. Speravo che la memoria, proprio in quel momento, non mi facesse brutti scherzi: avevo bisogno di ricordare, avevo bisogno di essere lì nonostante il vento freddo che mi stava penetrando sotto i vestiti, avevo ora più che mai bisogno di lui.
Le strade erano quasi deserte forse per l’orario, forse per il freddo ma le poche persone che si aggiravano in quei grandi vialoni erano soprattutto barboni e gruppi di ragazzi ubriachi e poi c’ero io, che camminavo per la strada come un fantasma: non sentivo niente intorno a me, i rumori mi arrivavano così lontani, l’unica cosa che riuscivo a percepire era l’affanno che stava aumentando man mano che affrettavo il passo; non sapevo perché stavo correndo, qualcosa dentro di me mi stava spingendo a farlo. Le lacrime iniziarono rigarmi il viso, freddo come il ghiaccio però non volevo reprimerle, avevo bisogno di sfogarmi e l’unico modo era farle scenderle e non asciugarle. Iniziai a correre senza sosta: non sapevo dove stavo andando. Avevo imboccato una piccola traversa buia e stretta, ma nonostante il terrore che mi stava prendendo in quel momento, decisi di proseguire. Sapevo che quella stradina mi avrebbe portato da qualche parte, me lo sentivo. Il cuore batteva così veloce come mai in tutta la mia vita. Quella scarica di adrenalina, che la paura stava scatenando dentro di me stava prendendo il sopravvento nel mio corpo, che non riuscivo più a controllare: stava facendo tutto da solo, o almeno, mentre la mia testa pensava “torna indietro! E’ pericoloso”, il mio corpo non le dava retta, ascoltava e prendeva ordini da qualcosa di superiore dentro di me, di più forte:il mio cuore.
In tutta la mia vita ero sempre stata una persona razionale, che prima di prendere qualsiasi decisione ci ripensava più e più volte. Non avevo mai agito d’istinto: la mia testa e la mia razionalità erano sempre state la sola e unica guida. “Un uomo che non perde la ragione per certe cose, non ha una ragione da perdere”: questa era la frase che mi ripetevo sempre ed è stata il mio motto per tutta la vita.
Però, ora, in quel momento, non ne ero più così convita. Stavo dando retta a qualcosa che tutti ritengono superiore alla ragione, che, però, io in molte occasioni avevo rifiutato di ascoltare, forse perché troppo codarda per ammettere quanto in realtà, ne avessi bisogno.
Dopo circa 50 metri, finalmente riuscì a uscire da quel vicolo buio e stretto e mi trovai di fronte a quello che sembrava un immenso labirinto ma che, in realtà, era il grande memoriale dedicato alla Shoah:l’argomento del mio servizio del giorno dopo.
Era qualcosa di veramente maestoso e suggestivo: era costituito da 2771 parallelepipedi identici per lunghezza e larghezza, che variavano in altezza dai venti centimetri ai quattro metri, disposti ordinatamente lungo stretti viottoli ortogonali  piastrellati, accessibili ai visitatori in ogni ora del giorno e della notte. Erano di un colore grigio scuro che nella notte sembrava quasi nero.
Il luogo era deserto, c’ero solo io. Dato che ero lì decisi di fare un giro. Oltre a essere un labirinto sembrava anche un cimitero, e ciò rendeva la situazione ancora più inquietante.
Tuttavia, io volevo rimanere lì; se vi ero arrivata un motivo sicuramente c’era e io ero decisa a scoprirlo. Non avevo mai dato retta al mio cuore, ma sapevo che non si era sbagliato: lì avrei trovato le risposte che cercavo e spero anche qualcos’altro.
Lentamente mi addentrai nel buio di quel labirinto. La strada era un po’ inclinata e alcune piastrelle erano saltate quindi dovetti più volte fare attenzione a dove mettevo i piedi. Camminai per non so quanto tempo per cercare nemmeno so cosa. Inizia ad agitarmi e l’ansia che avevo avuto tutto il giorno ricominciò a farsi sentire: sapevo che quel labirinto aveva un significato per me io lo avrei scoperto. Tuttavia, avevo esplorato ogni singolo angolo, ma niente: non avevo trovato niente che potesse essere collegato a lui.
Ero esausta, i piedi mi facevano malissimo, le dita delle mani erano quasi congelate e come se non bastasse un goccia di pioggia mi cadde sul viso. Una, due, tre, quattro.
Ormai la pioggia scendeva a catinelle, mi stava bagnando tutti i vestiti, ma io non volevo mollare: avrei trovato quello che “stavo cercando”.
Mi appoggiai due secondi con la testa a un pezzo di cemento e chiusi gli occhi. Le lacrime ormai si confondevano con la pioggia che scorreva sul mio viso: mi mancava, mi mancava come non mai; però non sarebbe dovuto essere così: lui ci aveva abbandonato, si era voluto fare un’altra vita senza me, sua moglie, e senza Luca, suo figlio. Aveva deciso di escluderci, di lasciarmi quando non avevo ancora un lavoro e con un bambino da mantenere: era stato un egoista; però, mi manca e io, anche se solo ora riesco a ammetterlo, lo amo ancora: è stato il grande amore della mia vita e ed il padre del mio bambino. Per quante volte abbia provato a reprimere questo pensiero e a odiarlo, ora non c’è più bisogno di farlo, non voglio più farlo, sarebbe inutile mentire a me stessa.
Ero immersa in questi pensieri quando sentì una voce chiamare il mio nome: “Arianna, Arianna,..”. No, non poteva essere. Inizia a correre dappertutto, cercando di capire da dove arrivasse, quando arrivai al centro del labirinto e trovai…lui.
-Sto sognando, vero? Non può essere reale, TU non puoi essere reale- dissi, cercando di capire in tutti i modi come potesse essere possibile.
-Forse sono un sogno, forse sono la realtà, non importa: l’unica cosa che conta è che sono qui per parlarti- mi rispose con la sua voce angelica, che ricordavo così bene.
Non era per niente cambiato: soliti capelli biondi un po’ spenti dati gli anni che erano trascorsi, corporatura sempre la stessa se non una piccola gobba che spuntava da sotto il cappotto marrone e poi c’erano quelli occhi, di un azzurro così acceso e vispo, che avrebbero ipnotizzato chiunque e che io ero solita vedere ogni giorno dato che Luca li aveva ereditati.
-Che cosa vuoi? Perché sei qui?- chiesi un po’ scettica.
-A dire il vero non lo so. Sono venuto qui a Berlino per lavoro, sai adesso faccio l’avvocato e sono spesso in giro per il mondo. Stasera avevo voglia di fare un giro. Non venivo a Berlino da quando sono venuto…con te. Mi ricordo quel viaggio come se fosse ieri, che bello che fu. Sinceramente mi è venuta un po’ di nostalgia e ora che sei qui davanti a me, mi pento di tutto quello che ho fatto. Non avrei mai dovuto lasciare né te né Luca. Voi siete stati e siete la mia famiglia e mi mancate troppo- disse avvicinandosi sempre di più.
-Non ti pare un po’ tardi per accorgerti di quello che hai fatto? Hai abbandonato me e tuo figlio! Io ho detto a Luca che sei morto perché non voglio che mio figlio sappia che il padre l’ha lasciato perché non gli interessa niente di lui, di suo figlio-gli strillai in faccia.
-Ti prego Arianna non dire così! Lo sai che voglio bene a entrambi, siete la mia vita-
-E allora perché te ne sei andato? Così da un giorno all’altro?- chiesi ora, più triste che arrabbiata.
-Non ero pronto a quello che stavo andando incontro, non ero ancora pronto ad avere una famiglia nonostante ti amassi alla follia. Avevo paura!- mi spiegò abbassando gli occhi.
Percepì il suo pentimento attraverso quei bellissimi occhi azzurri, ora un po’ spenti dalla tristezza.
-E non pensi che anche io avevo pura? Che ero terrorizzata? Io mi sentivo esattamente come te, ma cercavo di non pensarci e di andare avanti perché sapevo che tu mi amavi e che saresti stato sempre al mio fianco e, invece,…
Non feci in tempo a finire la frase che mi ritrovai Lorenzo buttato tra le mie braccia.
Non avevo più voglia di litigare, né di rinfacciargli tutto: ora più che mai avevo bisogno di lui e ora che l’avevo ritrovato non volevo perderlo di nuovo. Lo strinsi forte e lui fece lo stesso. Questo contatto fisico mi fece ritornare alla memoria tutti i momenti passati insieme durante quel meraviglioso e indimenticabile viaggio. Non l’avevo mai dimenticato, e per quanto avessi provato a negarlo, era stato una parte fondamentale nella mia vita.
-Sono disposto a ricominciare tutto da capo, sempre se tu sei d’accordo. E per Luca cercherò di recuperare il tempo perduto e di essere il padre che non sono stato in questi quindici anni.
Avevo sperato più volte di vederlo tornare e sentirmi dire queste parole, ma fino a quel momento era stato solo un sogno. Ora, invece, tutto era reale, vero e nonostante la mia testa mi diceva “Non fidarti, ti deluderà di nuovo, ti farà di nuovo del male”, non volli ascoltarla; quella sera avevo imparato a dare retta al mio cuore e in quel labirinto ero riuscita a trovare ciò che cercavo da tempo, anche se fino a quel momento non ero stata disposta a ammetterlo. Quel posto, quel memoriale, era riuscito a risvegliare in me tutti i ricordi legati a lui e me l’aveva riportato, ci eravamo ricongiunti. Sono certa che il nostro incontro non è stato un caso, questo posto, questa città ci è sempre appartenuta e ora più che mai ci ha dimostrato quanto noi apparteniamo a lei. In questo labirinto sono riuscita a ritrovare me stessa e uno dei due amori più grandi della mia vita.
-Ich liebe dich, Rob- dissi con una certa nota di imbarazzo, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Anche io, Arianna- mi rispose, facendomi capire che i suoi ricordi di tedesco erano svaniti già da un po’ di tempo. Mi prese la mano e mi condusse fuori da qual labirinto. La pioggia continuava a scendere e ormai i nostri vestiti erano tutti inzuppati, ma non  mi interessava: ero lì con lui ed eravamo disposti a ricominciare. Insieme, rimboccammo il piccolo vicolo da cui eravamo arrivati entrambi e girandomi diedi un’ultima occhiata al quel labirinto  che mi aveva così aiutato quella sera: mi aveva fatto capire che la ragione, per quanto fosse di grande importanza per riuscire a uscirne, aveva dei limiti e là dove essa non è può più essere d’aiuto, c’è il cuore. Finalmente ero riuscita a capirlo, avevo bisogno di pensare di meno e di seguire di più il mio istinto.
 
Il servizio il giorno dopo andò alla grande, il migliore che abbia mai fatto e la cosa migliore è che Rob era lì e sarebbe tornato con me a Roma. Ora la mia vita non poteva che essere perfetta: avevo ritrovato l’amore della mia vita e Luca poteva finalmente poteva avere un padre.
 
-Dai Arianna muoviti o perderemo l’aereo- mi chiamo Rob, che mi stava aspettando da più di un quarto d’ora sulla soglia della porta della camera.
-Si arrivo! Però dobbiamo prima passare dal negozio di souvenir, devo prendere una cosa- dissi, prendendo la giacca ancora un po’ umida dalla sera precedente.
 
-Quindi solo questo signora?- mi chiese la commessa di quel piccolo negozietto.
-Si si, solo questo- risposi prendendo il piccolo pacchetto che mi porse- grazie e auf wiedersehen!
 
-I passeggeri diretti a Roma sono pregati di dirigersi all’imbarco- annunciò l’ormai nota voce dall’altoparlante.
-Dai tesoro andiamo- mi intimò Rob, dandomi un leggero bacio sulla fronte.
Appena mettemmo piede sull’aereo Rob crollò: era così bello mentre dormiva, la testa poggiata sulla mia spalla, la mia mano nella sua…era tutto perfetto!
Presi il sacchetto, che avevo comprato poco prima, dalla borsa, lo spacchettai e tirai fuori il piccolo portachiavi con sopra inciso il monumentale della Shoah. Quel labirinto era stato di vitale importanza e io avevo intenzione di portarlo sempre con me: mi avrebbe portato fortuna ovunque sarei andata, ne ero più che certa.


Ciao ragazzi! Questa è la prima storia che scrivo su questo sito :) Era un compito scolastico ma dato che mi è piaciuta come è "uscita" ho deciso di pubblicarla :P spero vi piaccia e se avete voglia di farmelo sapere lasciate una recensione :D

Effexo

 

 
 
  
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