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Autore: Rico da Fe    21/10/2012    2 recensioni
Italia, durante un pic-nic al castello di Bran con Romania, propone al fratellino di fargli il ritratto...
Una storia riflessiva, che ci permette di comprendere le varie sfumature del nostro amico, dal suo rapporto con il fratello fino alle sue ombre piu' nascoste...
Basata sulla canzone "Come un pittore" dei Modà.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Romania
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Ti farò il ritratto!”
Romania si voltò a guardare il fratello, perplesso.
Erano entrambi seduti sopra una collina, e Italia lo guardava sorridente, come se si aspettasse una conferma.
Dietro di lui, il magnifico panorama transilvano, dominato dai Carpazi incappucciati dalla foschia e dalla gelida mole del castello di Bran, che si ergeva come una muta e imperturbabile sentinella a guardia dei campi dispiegati ai suoi piedi.
Era una bella giornata di sole, inusuale per un Paese solitamente nebbioso e lugubre; persino Bran, in lontananza, sembrava languire sotto quell’astro accecante, come un vampiro sotto quei raggi torridi e implacabili.
L’ideale per un pic-nic, aveva pensato, così aveva invitato Italia a casa sua per condividere con il suo amato fratellone quella bellissima giornata.
“Perché vuoi farmi il ritratto?” domandò incuriosito, accomodandosi meglio sul soffice tappeto di erba alta e giocherellando con un soffione.
“Perché non dovrei? Non ti piace come disegno?” ribatté Italia, preparando già pastelli, foglio e matita.
“No… anzi, ne sono lusingato… mi chiedevo solo perché.” Disperse i petali del fiore con un soffio e continuò a fissare Italia.
“Sdraiati lì, davanti a me…” gli ordinò il fratello, senza rispondergli.
Romania obbedì.
“No, non lì, mi copri il castello… ecco, perfetto… appoggiati sui gomiti, così… benissimo… accavalla un po’ le gambe… la sinistra sulla destra, così…” Romania eseguì alla lettera le istruzioni di Italia, e si ritrovò sdraiato davanti al fratello, seduto a gambe incrociate davanti a lui con il foglio in grembo e la matita in mano.
Con mano sicura ed esperta, Italia iniziò a tracciare i primi segni sul foglio…
 
Ciao, semplicemente ciao,
difficile trovar parole molto serie
tenterò di disegnare…
come un pittore, farò in modo
di arrivare dritto al cuore
con la forza del colore
guarderò senza parlare…
 
L’espressione di Italia era concentratissima.
Inizio’ a prendere i primi colori: azzurro… sì, azzurro, come il Mar Nero, come il delta del Danubio, il grande fiume che proprio in Romania trovava finalmente l’uscita, la liberazione da quella prigione di terra e rocce…
Azzurro come te,
come il cielo e
il mare…
 
Sì, eccolo lì, il mare, riflesso negli occhi azzurri del rumeno… e poi il giallo… il giallo del sole che illuminava quella giornata, la luce abbagliante che fugava le tenebre dei freddi Carpazi, l’oro del grano dietro Romania, l’oro dei suoi capelli, morbidi e lisci, il giallo del nastrino che portava tra i capelli…
Giallo come luce
Del sole…
 
“Prendi questo fazzoletto” disse Italia a un certo punto, lanciando a Romania un piccolo quadrato di stoffa rossa.
Il rumeno lo afferrò al volo.
“E cosa ci dovrei fare con questo?” chiese tenendolo sollevato e guardando il fratello con espressione interrogativa.
“Tienilo così…” fu la risposta dell’italiano, che riprese a disegnare pescando di tanto in tanto qualche pastello dalla scatoletta accanto a sé.
Rosso… eccolo, il rosso, il rosso del ribollente e vivo sangue rumeno, il rosso che stillava dalle labbra di Dracula, lo scarlatto del suo mantello… il rosso tenue e slavato delle tegole sui tetti del grigio castello di Bran, ormai abbracciato dal sole; il rosso vermiglio del fazzoletto, simile a un cuore tra le dita di Romania; il rosso bordeaux delle rose che gli regalava Bulgaria; il rosso dell’amore, dell’affetto fraterno che provava per lui, lo stesso sentimento che li univa da sempre a loro insaputa…
Rosso come le
Cose che mi fai
Provare…
 
E adesso il verde, chiaro come l’erba sulle colline dietro Romania, chiaro come l’erba intorno a loro, vivo come le mele in quel periodo dell’anno, calmo e opaco come le olive di Romano, smeraldino come le foglie che ondeggiavano sopra di loro, corteggiate dal vento, e scuro, tenebroso come le foreste che ornavano i crepacci, i dirupi e le aspre rocce dei Carpazi i n fondo alla vallata…
Ciao, semplicemente ciao,
disegno l’erba
verde come la speranza,
e come frutta ancora acerba…
 
La mano di Italia correva rapida sul foglio, il pastello sfrecciava divorando il bianco della carta con il suo colore…
Romania, immobile di fronte a lui, lo osservava.
Sapeva che avrebbe tirato fuori un capolavoro. Era un mago dell’arte, un maestro del colore e un re del tratto.
Vedeva gli occhi castani correre, inseguire la mano e il pastello a rotta di collo su quel foglio pudicamente voltato verso l’artista, in attesa di svelare il suo magnifico volto al rumeno incantato.
Italia pesco’ un altro pastello.
Blu.
Blu come il pastrano di Romania, blu come la sottile linea che separava il mare dal cielo, blu come la notte screziata di violetto e porpora sopra le buie vallate abbracciate da quei monti ostili dietro Bran… blu come gli occhi del rumeno, quando di notte lo abbracciava rassicurandolo che Dracula era lontano da loro.
Blu come il manto di Vlad III Tsepes, l’antico e malvagio sovrano che Romania venerava come eroe…
E adesso un po’ di blu,
come la notte…
 
Il blu intenso invase il pastrano disegnato sul foglio, insidiò il cielo sopra e dietro di lui, percorse rapido le ampie volute grigie della foschia lontana e si fermò con un bagliore negli occhi del ritratto.
Poi fu la volta del bianco.
Bianco come le sue stelle,
con le sfumature gialle…
 
Bianco, si’, come le stelle luminose della sera, bianco come i fastosi palazzi della dolce Bucarest, bianco, candido e puro come le mura del castello Peles, come le torri di Sighisoara e Bran, ormai purificato dal lugubre grigio di tomba che lo aveva coperto poco prima.
Bianco come il pallore mortale dei vampiri, come il candore lucente che illuminava la pelle liscia di Romania…
Il vento li accarezzava, danzando con il foglio, con i nastri e le ciocche sul capo del rumeno, e con le foglie e le fronde dell’albero dietro l’italiano.
Ah, avesse potuto disegnarlo, quel vento tenue, tanto scherzoso e amabile quanto gelido e affilato come una spada!
Ma che colore poteva dare al vento, trasparente e beffardo, impalpabile e terribile, favorevole o contrario?
Ma l’aria
Puoi solo respirarla…
 
Il profumo dell’erba accarezzò le narici di Romania.
Il giovane inspirò profondamente quell’odore dolce e ingannevole: lo conosceva ormai, quel profumo. Abbastanza da notare qualcosa di insolito…
Una nota aspra, sfuggente, malinconica.
Una nota che conosceva fin troppo bene.
Pioggia pensò Romania. È in arrivo un temporale…
“Finito!” proruppe Italia, espirando profondamente e asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte.
Proprio allora, la radura si adombrò.
Il cielo azzurro fu invaso da una livida e gonfia armata di nubi.
Il castello di Bran fu nuovamente inghiottito dal grigiore sporco e tristo di quel mattino.
Romania balzò in piedi, imitato da Italia. Guardò il cielo, preoccupato.
“Dobbiamo andarcene, presto! Sta per scatenarsi una tempesta!” disse al fratello il rumeno, iniziando a raccogliere il cestino e le poche cose rimaste del pic-nic. Italia non se lo fece ripetere due volte: ripose il ritratto nella cartellina, raccattò pastelli e matita e si fiondò dietro a Romania, il quale, agguantati la tovaglia e il cestino, si era già lanciato a rotta di collo giù per la collina, incalzato dal vento che li inseguiva sempre più rabbioso.
Corsero a perdifiato tra gli alberi scrollati dalla bufera.
Un lampo sfolgorante illuminò le nubi sopra di loro.
Un boato ruggì all’improvviso, echeggiando tra gli alberi, le rocce e le colline, scuotendo l’aria torbida intorno ai due fuggiaschi.
Non pago, il vento inizio’ a frustarli con la pioggia liberata dalle nubi: migliaia e migliaia di lame d’acqua staffilarono i volti di Italia e Romania.
Il terreno mutò in fango, un viscido e limaccioso fango che si divertiva ad aggredire le caviglie e le gambe dei due, aggrappandosi ai loro stivali e tentando di trascinarli giù, nell’oblio dei suoi abissi morti e avvolgenti.
“Romania…!” gemette Italia.
“Eccoci!” gridò il rumeno in risposta, indicando un tozzo edificio squadrato in pietra dura.
Dalla torretta affianco, l’italiano intuì si trattasse di una chiesetta.
Romania spinse i battenti, fortunatamente aperti, e i due entrarono chiudendosi alle spalle il temporale, che continuava a ruggire e a scrosciare, furente per la sua sconfitta.
Romania e Italia si guardarono, rossi e ansanti.
Erano fradici dalla testa ai piedi, con i capelli appiccicati alla fronte e gli stivali inzaccherati di fango.
“Anf… ancora un po’… e saremmo finiti sotto terra!”
“Ma devi sempre essere così lugubre? Lo sai che sono tafofobo*!” ribatté Italia, appoggiandosi pesantemente alla robusta porta di quercia della chiesa e guardandosi intorno.
Romania notò lo sguardo attento dell’italiano.
“Diagnosi?” chiese ironico appoggiandosi anche lui.
“Pieve romanica, a capanna, una sola navata, priva di transetto… probabilmente una chiesa rurale. Anteriore allo Scisma d’Oriente, e abbandonata in seguito. Probabilmente… anzi sicuramente di età bizantina.” Enunciò Italia analizzando l’ambiente che li circondava.
“Totale mancanza di affreschi e immagini… a proposito…” estrasse la cartellina dal suo zaino.
Romania appoggiò il fagotto zuppo su uno dei banchi e si avvicinò.
“Spero non si sia bagnato…” chiese preoccupato il rumeno.
“Tranquillo, la cartellina è impermeabile… allora…” disse tirando fuori il foglio Fabriano dal plico e mostrandolo al fratello.
Romania restò paralizzato dallo stupore.
“Ammettilo: mi hai fotografato mentre ero distratto, e con chissà quale magia hai trasferito la foto sul foglio!” disse il rumeno senza staccare gli occhi dal ritratto.
Eccolo lì, lui stesso, che ammiccava da un bellissimo disegno: sdraiato, la gamba destra sulla sinistra, una mano puntata sul soffice e brillante tappeto d’erba, l’altra stretta intorno a un fazzoletto rosso sangue, l’espressione ironica e accattivante, e dietro di lui un caldo e soleggiato paesaggio…
Ecco cosa avrebbe visto una persona normale.
Ma Romania ci vide raffigurato se stesso.
Tutto se stesso.
La sua anima, le sue ombre, le sue paure, le sue emozioni, il suo carattere, tutto, tutto quello che Romania era.
Era ombra e luce, era calore e gelo, era ragione e istinto, ricchezza e miseria, coraggio e viltà…
Quel dipinto era lui. La sua mappa. La mappa di Romania.
“Ho messo i colori della tua bandiera, vedi? Azzurro, giallo, rosso… tutti presenti nel… ehi, quello non lo avevo visto!” disse Italia, indicando qualcosa sul petto del rumeno.
“Italia, è… è magnifico come il tuo Lorenzo*…” riuscì solo a dire Romania, prima di staccare faticosamente gli occhi dal suo e guardare nella direzione indicata dall’italiano.
Dal taschino del cappotto fradicio ammiccava una rosellina.
“Oh, questo… l’ho preso una volta a casa di Bulgaria…” spiegò prendendo il timido fiorellino con la mano guantata.
L’italiano aveva già frugato nello zaino e ne aveva estratto un pastello rosa, con il quale stava aggiungendo il fiore al ritratto, esattamente nel taschino del rumeno.
Gli porse il lavoro.
“Ecco!” disse soddisfatto, mentre Romania prendeva il foglio con delicatezza, temendo di rovinarlo.
“Mi raccomando, quel ritratto ha un valore…”
“…inestimabile.” Concluse il rumeno, ancora assorto.
Poi gli porse il fiorellino.
Italia lo respinse.
“Ma dai, non ce n’è bisogno…”
“Prendilo.” Ordinò Romania.
“È un regalo che ti faccio col cuore…” provò a ribattere l’italiano.
“Anche il mio lo è.” Tagliò corto il rumeno, sporgendosi un po’ e infilandogli il fiore nel taschino.
Italia sospirò e accettò il regalo. Poi, approfittando della vicinanza di Romania, scostò il foglio e lo abbracciò.
Un abbraccio fraterno. Un abbraccio carico di parole nascoste dalla voce, ma svelate dagli occhi, le limpide finestre del cuore.
Restarono abbracciati per un tempo infinito.
Quando finalmente si lasciarono, dalle finestre della chiesa filtravano di nuovo i giocosi raggi del sole.
Per le tempeste
Non ho il colore,
e con quel che resta
disegno un fiore,
ora che è estate
ora che è amore…
 
Nota dell’autore
 
Sparatemi. Sul serio.
Questa roba melensa l’ho scritta in due giorni.
L’idea mi è venuta ascoltando la canzone “Come un pittore” dei Modà: ascoltandola bene, mi sono accorto che i colori descritti dal ritornello della canzone sono gli stessi della bandiera di Romania, disposti persino nell’ordine giusto. Poi mi sono ricordato dell’innato talento artistico di Italia, e mi sono detto: perché buttare al vento tutte queste belle coincidenze? E da ciò nacque ciò…
 
* Tafofobia: paura delle tombe e di essere sepolti vivi.
** Vlad III Tsepes: conte di Valacchia, è considerato da sempre una delle figure più sanguinarie e sadiche della storia, tanto da ispirare Bram Stoker per il suo leggendario Dracula.
Visse nel ‘400.
Documenti storici accertano che amasse ‘impalare’ chi non gli andava a genio, e che solesse banchettare con i suoi ambasciatori sotto i pali dove i poveri malcapitati languivano con un palo appuntito che gli entrava dal sedere e, passando tra gli organi interni, usciva dalla bocca… (brrrrrr…)
Inoltre, secondo alcune fonti storiche non accertate, agli ambasciatori di Turchia venuti da Costantinopoli a fargli visita fece inchiodare il turbante sul capo perché si erano rifiutati, per motivi religiosi, di toglierlo davanti a lui in segno di rispetto.
Malgrado ciò, in Romania è venerato come un eroe per aver cacciato e tenuto lontano gli Ottomani dalla Valacchia (primo nucleo della Romania attuale). Infatti, se andate in Romania, in ogni città troverete sue statue.
*Lorenzo: Si riferisce a Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze nel Rinascimento.  
Curiosità: Il ritratto, in psicologia, rappresenta il tentativo del pittore di indagare e raffigurare tramite la pittura la psiche e l’inconscio del soggetto.
 
 
 
 
 
  
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